È d’uso tenere distinte, nella dottrina italiana e non solo, alme- no due forme “tipiche” nelle quali la posizione di garante può manife- starsi, con riguardo al contenuto degli obblighi che vi sono sottesi: le posizioni di controllo sulle fonti di pericolo e le posizioni di protezione verso determinati beni giuridici – che fanno capo a rispettivi “obblighi
257 Cass. Pen., sez. IV, 6 dicembre 1990, cit. (disastro di Stava) e, di recente, Cass.
Pen., 22 marzo 2016, n. 12223, in www.dejure.it (crollo del Liceo Darwin); per l’analisi critica della giurisprudenza sotto questi profili A. GARGANI, op. ult. cit., p. 610 ss. e G. MORGANTE, Tempus non regit actum. La parabola discendente del prin-
cipio di affidamento nella successione “patologica” tra garanti, in
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di controllo” e “obblighi di protezione”. La dicotomia risale alle prime elaborazioni d’oltralpe della teoria funzionale258, contesto in cui una
descrizione del contenuto/scopo degli obblighi assumeva nientemeno che il delicato ruolo di identificare quelle funzioni da cui potevano sca- turire possibili responsabilità omissive improprie; in Italia, l’accoglimento dell’approccio “misto” che abbiamo citato potrebbe svalutarne buona parte del portato precettivo, giacché, in tale prospet- tiva, il fondamento della posizione viene ricostruito sempre a partire da riscontri giuridico-formali dell’obbligo. Tuttavia, tale suddivisione può essere ancora rilevante su vari piani259 ed è sovente richiamata dalla nostra dottrina per dettare le linee ricostruttive generali di una «parte speciale» delle posizioni di garanzia260: non può infatti trascurarsi la
differenza contenutistica fra la protezione di un bene contro ogni pos- sibile aggressione e il controllo sui pericoli che cose o persone potreb- bero causare alla collettività e verso ogni bene giuridico; sono funzioni di garanzia che, nei due casi, sembrano atteggiarsi in termini assai di- versi.
Pertanto, occorre precisare che se nei precedenti paragrafi si è mantenuta, conformemente alle più comuni impostazioni dottrinali, una prospettiva che appare più adeguata a descrivere gli obblighi di protezione (alludendo ad un «vincolo alla protezione di un bene o un interesse») a scapito di quelli di controllo, è perché, in ogni caso, «tutte le posizioni di garanzia sono volte, in definitiva, alla protezione di beni
giuridici»: semmai, le due tipologie differiscono nel modo in cui i beni
protetti sono individuati, cioè direttamente nelle posizioni di protezio- ne, indirettamente nelle altre261. Tale prospettiva si è dimostrata utile per identificare unitariamente la collocazione dogmatica della posizio-
258 ARM.KAUFMANN, Die Dogmatik der Unterlassungsdelikte, cit., p. 283 ss.
259 Ad esempio, secondo G. GRASSO (op. ult. cit., p. 260 ss.) nel caso di posizioni di
controllo andrebbe riscontrata la situazione di «signoria sulle condizioni del risulta- to», mentre sarebbe un requisito estraneo alle posizioni di protezione.
260 Cfr., ad es., F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 169 ss. 261 G. GRASSO, op. ult cit., p. 292, corsivi dell’autore.
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ne di garanzia; adesso bisognerà prestare maggiore attenzione ai con- tenuti.
Dunque, a proposito dei contenuti, a fianco alle due categorie menzionate, un autorevole orientamento ne ha individuata una terza negli obblighi di impedimento degli altrui reati, che perciò non do- vrebbero essere inquadrati, come di norma accadeva, all’interno delle posizioni di controllo262. Le ragioni di questa ulteriore distinzione sa- rebbero da rinvenirsi, innanzitutto, in un’ontologica peculiarità di tale specie di obblighi rispetto alle caratteristiche generali degli obblighi di controllo: ad esempio, risulterebbe forzato considerare un uomo una “fonte di pericolo” in senso stretto, se non in casi eccezionali (come, i minori di età e gli incapaci), e, comunque, una simile funzione impli- cherebbe poteri affatto particolari di “controllo” sulla condotta al- trui263. Ma la particolarità principale è data dal fatto che la responsabi-
lità del garante assume anche una dimensione di partecipazione al rea- to, nel senso che l’omesso impedimento del reato di terzi non sarebbe da leggersi solo come fenomeno di omissione impropria, ma anche come concorso omissivo nel reato commissivo altrui, con tutte le con- seguenze che possono derivare dal richiamo di un modello imputativo – quello del concorso eventuale – assai diverso da quello dell’omissione impropria, quanto a nodi problematici, criteri di impu- tazione e, in definitiva, fondamenti della responsabilità.
2.1. La base giuridica dell’incriminazione dell’omesso impedimento
del reato doloso altrui: il concorso mediante omissione.
Affermare che l’omesso impedimento del reato altrui ha un ri- lievo sia a titolo di reato omissivo, sia a titolo di concorso eventuale,
262 G. GRASSO, op. ult cit., p. 293. La categoria non era considerata a sé stante in F.
SGUBBI e di G. FIANDACA, ma dopo l’opera di G. GRASSO aderiscono alla tesi della sua esistenza quasi tutti (ad es. I. LEONCINI, op. ult. cit., p. 125 ss.; contra, F. GIUN- TA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, cit., p.
624).
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sembrerebbe voler dire, in prima approssimazione, che un simile fatto storico possa rispondere sia ai dettami della clausola dell’art. 40 cpv., sia a quelli richiesti dall’art. 110 c.p. – oppure, se si trattasse di coope- razione colposa, dell’art. 113 c.p. Le disposizioni richiamate, comu- nemente denominate «clausole estensive dell’incriminazione» o «clau- sole di incriminazione suppletiva»264, descrivono situazioni che ven- gono punite in virtù di un certo tipo di “legame” con una fattispecie in- criminatrice già prevista nella parte speciale del codice penale, ma che in essa non sono direttamente sussumibili. Le fattispecie di parte spe- ciale, dunque, finiscono per vedere la propria punibilità estesa rispetto ai confini originariamente determinati, essendo infatti rilevanti, grazie alla combinazione con tali clausole generali, ipotesi che sarebbero ri- maste altrimenti atipiche. Gli artt. 40 cpv. e 110 c.p., tuttavia, fondano il proprio funzionamento su criteri di imputazione e ambiti applicativi potenzialmente non omogenei fra loro, e prevedono, quanto alla disci- plina, conseguenze non sempre coincidenti. Dunque si tratta di capire, in primo luogo, come funziona il meccanismo sussuntivo in caso di reato non impedito, così come risulta dall’applicazione delle due clau- sole e, cioè, qual è il sentiero normativo che viene in rilievo per ascri- vere la responsabilità del reato non impedito al garante.
Il tema è controverso nella dottrina italiana, mentre appare me- no travagliato nella giurisprudenza265; comunque, pur leggendosi tal- volta tendenze dottrinali restrittive o critiche verso tale fenomeno puni- tivo, non si arriva mai a negare la configurabilità di una responsabilità
264 Cfr. diffusamente, L. RISICATO, Combinazione e interferenza di forme di manife-
stazione del reato, Milano, Giuffrè, 2001.
265 Nel senso che seppure con il richiamo di fondamenti non sempre univoci – perché
il fenomeno è di regola punito a titolo di concorso mediante omissione, mentre in al- tri (più rari) casi si è ritenuto sufficiente l’art. 40 cpv. (specialmente per gli obblighi di impedimento dei reati nascenti dai rapporti in ambito familiare cfr. Cass. pen., 1 febbraio 1935, in Giust. pen., 1937, 2, p. 932 ss; Cass. pen., 15 aprile 1940, in Giust.
Pen., 1940, 4, p. 472;, più di recente, Cass. 21 settembre 1992, in Cass. pen., 1994, p.
1499) – si arriva sempre ad affermare la punibilità dell’omesso impedimento del rea- to altrui, senza restrizioni particolari (come ad esempio quelle individuate dalla dot- trina di cui al §2.2).
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per omesso impedimento dei reati tout court266. Aspetti che rimangono
oggetto di discussione a causa della scarsa determinatezza della dispo- sizione richiamata sono, tuttavia, la precisa identificazione del mecca- nismo di incriminazione e l’ambito applicativo dell’art. 40 cpv. c.p. Si anticipa che non è estranea alla soluzione dei problemi l’individuazione del criterio di selezione delle condotte sotteso all’operatività di ciascuna clausola.
L’impostazione tradizionale267, invero, ritiene che la punibilità
dell’omesso impedimento del reato sia legittimata da una lettura dell’equivalenza fondata dall’art. 40 cpv. congiunta all’art. 110 c.p.: se l’omesso impedimento è equiparato all’attiva causazione dell’evento e se ogni condotta che ha un’efficacia causale rispetto al reato è punibile a titolo di concorso, ne dovrebbe derivare che il non impedimento di un reato da parte del titolare di un obbligo di garanzia di tale contenuto debba essere considerato come una condotta di partecipazione punibi- le268. Seguendo questa linea interpretativa, entrambi gli articoli si rive-
lano necessari a fondare l’incriminazione della condotta e da soli non sufficienti, giacché, da un lato, l’art. 40 cpv. c.p. si riferirebbe all’impedimento di eventi previsti da fattispecie incriminatrici a forma libera269, dall’altro, l’art. 110 c.p. non potrebbe fondare la rilevanza concorsuale di un’inerzia che, difettando del quid pluris fornito dall’equivalenza normativa, resterebbe una mera connivenza (moral- mente deplorevole ma comunque) non punibile270. Si noti, inoltre, che tale meccanismo di “integrazione reciproca” della tipicità si fonda
266 Per le impostazioni restrittive, cfr. infra, §2.2 le tesi di FIANDACA e RISICATO. 267 Viene definita «tesi tradizionale», aderendovi, da I. LEONCINI, op. ult. cit., 353 ss.
Ma questa posizione, nettamente maggioritaria, già si trova ad es. in A. CRESPI, Rea-
to plurisoggettivo e amministrazione pluripersonale della società per azioni, in Jus,
1957, p. 161 ss.; G. GRASSO, op. ult. cit., p. 139 ss. e, grosso modo, in tutta la manua- listica sul concorso di persone e le posizioni di garanzia. Seppure con alcune diver- genze, di recente, P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, in Ind.
pen., 2006, p. 584 ss.; A. NISCO, op. ult. cit., p. 189 ss. spec. 197 nt. 31.
268 Quasi testualmente, G. GRASSO, op. ult. cit., p. 140.
269 Interpretazione pacifica, ad es. A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte ge-
nerale, Giuffrè, Milano, 1972, p. 359; F. SGUBBI, op. ult. cit., p. 114; G. FIANDACA,
op. ult. cit., p. 38; G. GRASSO, op. ult. cit., p. 137.
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sull’accoglimento della causalità come criterio tipicizzante del contri- buto concorsuale rilevante271.
In effetti, una serie di argomenti testuali e di sistema suggeri- scono un sostegno all’ipotesi del concorso omissivo nel reato commis- sivo (doloso) altrui. Fra questi, si segnala una disposizione inserita nel- la disciplina del concorso di persone, che, in quanto tale, acquista un significato difficilmente contestabile: l’art. 116 c.p. dispone che il con- corrente risponde del fatto diverso da quello voluto se «l’evento è con- seguenza della sua azione o omissione». Si profila, così, all’interprete la chiara volontà del legislatore di ricomprendere il contributo omissi- vo fra le possibili configurazioni del generico concorso richiamato all’art. 110 c.p., e si ammette esplicitamente, dettando la disciplina di tale forma di manifestazione del reato, una rilevanza concorsuale di una condotta omissiva rispetto ad un «evento» inteso come reato nel
suo complesso272. A corroborare questa linea interpretativa troviamo
anche l’art. 138 c.p.m.p. che incrimina l’«Omesso impedimento di rea- ti militari» tenendo «ferma, in ogni altro caso, la disposizione del se- condo comma dell’art. 40 del c.p.», come a sottintendere che l’art. 40 c.p, si presti a punire lo stesso tipo di condotta273; ancora, l’art. 57 c.p., sui reati commessi per mezzo della stampa, si applica «fuori dai casi di concorso» e incrimina i casi di responsabilità per omesso controllo ad- debitabili «a titolo di colpa»: sarebbe irragionevole, si dice, che, quan- do l’ordinamento punisce una simile responsabilità per colpa, non trovi
271 G. GRASSO, op. ult. cit., p. 140.
272 L’argomento è centrale per ammettere il concorso mediante omissione
nell’impostazione di L.BISORI, L'omesso impedimento del reato altrui nella dottrina
e giurisprudenza italiane, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 4, p. 1349 – anche se poi,
vedremo infra, l’Autore raggiunge conclusioni in parte divergenti dalla tesi tradizio- nale – e in quella di P. SEMERARO, op. ult. cit., p. 587 ss.
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rilievo penale l’ipotesi in cui nella partecipazione omissiva del diretto- re o del vicedirettore responsabile sia ravvisabile il dolo274.
2.2. Il concetto di «evento» come «reato» da impedire. Le critiche
all’impostazione tradizionale.
A ben vedere, tuttavia, l’applicazione così combinata degli artt. 40 e 110 c.p., come risulta anche dagli argomenti citati a sostegno, fa- vorisce una dilatazione della responsabilità oltre i confini originaria- mente previsti per le singole clausole estensive. Si consideri special- mente quanto accade nell’applicare l’art. 40 cpv.: quando si sostituisce all’«evento» un generico «reato» da impedire, si tende a disperdere quel limite applicativo che, in una lettura in chiave monosoggettiva della disposizione, ne escluderebbe la combinazione con fattispecie speciali diverse da quelle di evento a forma libera. Scriveva, perciò, Fiandaca nel 1979, in senso critico: «[se] nel caso di realizzazione mo- nosoggettiva dell’illecito il giudizio di equivalenza ex art. 40 cpv. c.p. […] va rigorosamente limitato alle fattispecie causali pure, non si comprende quale sia la ragione per cui tale regola debba essere disatte- sa allorché il garante è chiamato a rispondere a titolo di concorso»275. L’Autore, richiamando l’idea di eccezionalità dell’omissione, denun- ciava altresì gli echi di «concezioni illiberali e autoritarie» alla base di tali tendenze espansive della responsabilità276.
L’autorevole critica è stata più recentemente raccolta e svilup- pata in uno studio più recente (di Risicato) circa il rapporto fra le “clausole estensive delle responsabilità”277 – fra le quali, oltre ai citati
art. 40 cpv. e 110 c.p., si annovera anche la disposizione dell’art. 56
274 L’argomento si legge in L. BISORI, op. ult. cit., p. 1346 ss. e P. SEMERARO, op. ult.
cit., pp. 589-590. Per l’affermazione della punibilità del concorso doloso, maggiori-
taria in dottrina, cfr. ad es. F. MANTOVANI, op. ult. cit., p. 392 ss., spec. 394-395.
275 G. FIANDACA, op. ult. cit., p. 181.
276 G. FIANDACA, op. ult. cit., p. 9 nt. 13. Sull’eccezionalità dell’omissione cfr. nt.
208.
277 L. RISICATO, Combinazione e interferenza di forme di manifestazione del reato,
cit.; in precedenza già ID., La partecipazione mediante omissione a reato commissi-
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c.p. che incrimina il tentativo. L’Autrice sostiene che quando tali clau- sole vengono applicate congiuntamente, ne possa derivare una «com- binazione» oppure una reciproca «interferenza»: nel primo caso «l’una clausola generale trova applicazione, secondo il proprio ambito di ope- ratività, solo dopo che l’altra si sia previamente raccordata, alla stregua dei rispettivi ordinari presupposti, con la fattispecie incriminatrice di base»; nel secondo, l’una si innesta nel corpo dell’altra prima che essa trovi la corretta applicazione alla fattispecie base278. L’esito di questo secondo procedimento applicativo sarebbe la creazione di un’inedita (e ulteriore) forma di manifestazione del reato ad opera dell’interprete, la quale, venendo direttamente collegata alla norma incriminatrice di ba- se, sarebbe capace di descrivere un’estensione della tipicità in termini più ampi rispetto all’applicazione “combinata” delle due clausole, ma- nifestando evidenti attriti con il principio di legalità279. Ebbene, proprio
la fattispecie di concorso omissivo nel reato commissivo sarebbe un chiaro esempio di interferenza fra clausole di incriminazione suppleti- va: si è già visto, infatti, come in tal caso la formula di equivalenza fra agire ed omettere si applichi anche a reati a forma vincolata e di mera condotta, debordando dal naturale alveo applicativo dell’art. 40 cpv. c.p. Ciò detto, l’Autrice valorizza le originarie capacità selettive dell’art. 40 cpv. c.p., da un lato, criticando gli appigli normativi dell’impostazione tradizionale, dall’altro, proponendo un’interpretazione restrittiva del concetto di «evento».
Quanto alla critica degli argomenti di diritto positivo, si è fatto notare come l’art. 138 c.p.m.p., in quanto lex specialis rispetto all’art. 40 cpv., mal si presti a legittimare un’estensione di tale clausola gene- rale280. L’art. 57 c.p., inoltre, dovrebbe essere espunto dalla tematica dei reati omissivi impropri, in quanto, a detta dell’Autrice, sarebbe un reato omissivo proprio; inoltre, la sua rilevanza in tema di concorso
278 L. RISICATO, Combinazione e interferenza, cit., pp. 153-154. 279 L. RISICATO, loc. ult. cit.
280 L. RISICATO, op. ult. cit., p. 393 ss. L’Autrice in tali pagine presenta contro il ri-
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dovrebbe essere ipso iure scartata dalla citata formula di riserva con cui la disposizione si apre281. L’argomentum ex art. 116 c.p. sarebbe altresì vacillante se si considera la dubbia costituzionalità della dispo- sizione rispetto al principio dell’art. 27 Cost. (è, in effetti, una delle classiche ipotesi di responsabilità ricollegabili al canone dell’in re illi-
cita versari)282 e, specialmente, se si osserva che la portata risolutiva del suo richiamo si concentra nell’equivocità del concetto di «evento», cioè sul fatto che esso si presti talvolta ad essere interpretato in senso
giuridico (o, in sostanza, come «reato»): vero è che il suo significato
può essere ambiguo, ammette l’Autrice, ma ciò non significa che deb- ba esserlo anche nella disciplina della causalità (art. 40 c.p.), che sem- bra essere, anzi, l’unico àmbito in cui è «pressoché certo che il concet- to di evento si riferisca esclusivamente all’effetto materiale della con- dotta»283.
Tutto ciò considerato, in linea con le critiche mosse da Fianda- ca, si conclude che sostituire all’«evento» una nozione illimitata di «reato» sia un’operazione arbitraria e contrastante con i principi di le- galità e frammentarietà del diritto penale. Piuttosto, per mantenere coe- renza interpretativa e non smarrire la sua funzione selettiva, l’«evento» dovrebbe essere inteso in senso «naturalistico» e l’applicazione dei due articoli risolta con un procedimento di “combinazione”, nei termini so- pra accennati. Si eviterebbe così il criticabile fenomeno di interferenza: l’obbligo di impedimento del reato assumerebbe rilevanza solo nei li-
281 L. RISICATO, op. ult. cit., p. 395-396. Non ci si può esimere dal rilevare come
l’Autrice critichi la natura di argomento a contrario del richiamo all’art. 57 c.p. sosti- tuendone l’interpretazione, però, con un altro argomento a contrario, peraltro di dub- bia efficacia: l’irrilevanza sistematica dell’articolo citato viene, infatti, inferita dalla riserva legislativa, come se la rilevanza sistematica di una disposizione dovesse con- formarsi alle indicazioni del legislatore sulle sue concrete possibilità applicative.
282 L. RISICATO, op. ult. cit., p. 398. Per le problematiche interpretative legate alla
valorizzazione del principio di personalità nell’art. 116 c.p., cfr. ad es. A. GULLO, La
responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto tra versari in re illi-
cita e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 1197 ss.
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miti già stabiliti dall’art. 40 cpv., cioè per i soli reati causali puri284; il
concorso mediante omissione nei reati a forma vincolata sarebbe un fenomeno da rigettare nel nostro ordinamento285.
Alla luce di quanto esposto, sembrerebbe palesarsi nella dottri- na italiana un contrasto insanabile sul tema dell’ambito applicativo dell’art. 40 cpv. c.p. e sulla configurabilità generalizzata del concorso omissivo. Si deve rilevare, invece, come un simile scisma non sia lon- tanamente ravvisabile nelle applicazioni giurisprudenziali, ove l’ammissibilità di una partecipazione omissiva a qualsiasi tipo di reato appare come un dogma indiscutibile286, né trovi spazio nella dottrina maggioritaria, la quale, tutt’al più, si limita a lodare gli intenti garanti- stici della teoria minoritaria, prima di smentirne puntualmente i risulta- ti287. In effetti, gli argomenti richiamati non sono con ogni probabilità
sufficienti a scalfire la rilevanza degli artt. 138 c.p.m.p. e 57 c.p. come sostegno alla tesi estensiva (almeno come “conferma” di essa)288, né
l’interpretazione suesposta del concetto di «evento» risulta del tutto convincente. Si consideri, ad esempio, che l’Autrice ne fornisce un si- gnificato restrittivo (in senso naturalistico) semplicemente in base ad una pretesa “certezza” interpretativa conferita dalla sedes materiae (l’art. 40 c.p.): sembra non tenersi conto che i dubbi nascono proprio da un’applicazione non isolata dell’articolo e che, così dicendo, si sta affermando a priori che una simile sicurezza ermeneutica debba esten-
284 Conclude la RISICATO (op. ult. cit., p. 399): «è la necessaria presenza di un evento
in senso naturalistico nell’economia dell’art. 40 cpv. c.p. a delimitare l’operatività dell’art. 110 c.p., quando questa clausola generale entra in rapporto con la prima».
285 La forma più vicina alla partecipazione omissiva che l’Autrice ammette è il con-
corso morale, ma l’elemento della causalità psicologica dovrebbe “neutralizzare” la natura di per sé omissiva del contributo. L. RISICATO, op. ult. cit., p. 458.
286 Nel senso che le sentenze che si fondano su tale paradigma imputativo, invero,
non lo affrontano mai come un punto di diritto controverso, apparendo esso del tutto scontato. Nei rari casi in cui è portato all’attenzione del giudice da parte delle difese, il punto viene liquidato senza entrare nel merito, come recentemente in Cass. pen., Sez. I, 23 settembre 2013, n. 43273, in Cass. pen., 6, 2014, p. 2149, con nota di L. PAOLONI.
287 Fra i tanti, A. ALESSANDRI, op. ult. cit., p. 162 o anche I. LEONCINI, op. ult. cit., p.
370; L. BISORI, op. ult. cit., p. 1350.