UNIVERSITÀ DI PISA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Tesi di Laurea
Controlli societari e posizioni di garanzia.
La responsabilità penale dei funzionari Consob per l’omesso
impedimento di reati nelle società vigilate
Relatore:
Chiar.mo prof. Alberto Gargani
Candidato:
Correlatore:
Marco Mossa Verre Chiar.ma prof.ssa Ilaria Kutufà
I
I
NTRODUZIONE
L’ipotesi di una responsabilità penale del funzionario Consob per l’omesso impedimento del reato altrui potrebbe sembrare singolare o, addirittura, “azzardata”: essa non trova, ad oggi, un riconoscimento giudiziale, né rientra fra i temi ordinariamente trattati dalla dottrina e dalla giurisprudenza penale in materia di obblighi di impedimento. Tuttavia, un’indagine in proposito – come alcuni Autori non hanno mancato di osservare – può rivelarsi opportuna alla luce del dibattito aperto sulle conseguenze penalistiche dell’omessa vigilanza nel conte-sto societario.
È noto, infatti, che, dinanzi ai crimini commessi in una società, la ricerca delle responsabilità non si arresti all’individuazione del sog-getto che abbia integrato tutti gli elementi di una fattispecie criminosa di parte speciale, ma si estenda all’esame della posizione di coloro che sono tenuti, nell’esercizio di funzioni di controllo, ad assicurare la le-galità delle condotte dell’autore principale del reato. Il presupposto è il riconoscimento di un potere-dovere di impedire la commissione dell’illecito altrui: una “posizione di garanzia”, che potrebbe fondare i requisiti per un concorso omissivo nel reato, in base all’interpretazione combinata degli articoli 40, secondo comma, e 110 del Codice Penale.
Nondimeno, i confini di questo modello di responsabilità sono da sempre controversi nella letteratura penalistica, considerati i notevo-li margini di indeterminatezza emergenti dalle clausole codicistiche poc’anzi richiamate, ed ancora più problematica è la possibilità di de-rivarne l’esistenza di obblighi di prevenire illeciti nelle società. Nel
II
contesto societario, infatti, si rinviene una fitta trama di poteri e di do-veri che la normativa extra-penale definisce come funzioni di “vigilan-za”, di “sorveglian“vigilan-za”, o di “controllo”: la crescente espansione delle figure che, a vario titolo e a vari livelli, presidiano l’ordinato ed effi-ciente svolgimento delle attività sociali potrebbe porre le basi per indi-viduare molteplici centri di imputazione di obblighi penalmente rile-vanti. Al contempo, la complessità dell’organizzazione societaria rende difficile applicare i tradizionali schemi ideali della posizione di garan-zia, nonché valutare le reali possibilità di impedimento di ogni presun-to garante.
In questo scenario problematico, è lecito chiedersi se i presup-posti della posizione di garanzia possano essere riconosciuti anche nel controllo che, pur esternamente, la Consob esercita sulle attività delle società vigilate: a tale ente pubblico è possibile ricollegare, da un lato, il dovere di perseguire ampie finalità di vigilanza – rappresentate, co-me vedremo co-meglio, da obiettivi di tutela degli investitori e di efficien-za e trasparenefficien-za del mercato – dall’altro, un ampio spettro di poteri di intervento, che negli ultimi anni si è arricchito a seguito di scelte legi-slative, nazionali ed europee. Considerati, inoltre, i dubbi che, in recen-ti vicende giudiziarie, sono starecen-ti sollevarecen-ti a proposito della vigilanza pubblica sui mercati finanziari, uno studio sulle responsabilità omissi-ve del funzionario Consob appare ancora più meritevole di attenzione.
L’analisi prenderà le mosse, nel I capitolo, dalla contestualizza-zione del ruolo della Consob, come autorità di regolacontestualizza-zione e di
enfor-cement nei mercati finanziari e quale organismo che esercita funzioni
di controllo esterno sulle società per azioni. Dopodiché saranno analiz-zati i poteri di cui tale ente si avvale nell’attività di vigilanza, verifi-candone i tratti interessanti per un successivo confronto interdisciplina-re con il concetto di poteinterdisciplina-re impeditivo del interdisciplina-reato altrui. La nostra atten-zione si concentrerà specialmente sui poteri della Consob perché un’indagine che voglia, pur con un certo grado di approssimazione,
III
rificare la sussistenza di vincoli penalistici di garanzia trova nel rico-noscimento dei “poteri impeditivi” del reato un primo, basilare, mo-mento di riscontro.
Prima di procedere all’esame dello specifico tema dei poteri, tuttavia, sarà necessario, nel II capitolo, illustrare i lineamenti fonda-mentali della materia delle “posizioni di garanzia” ed enucleare gli aspetti problematici sottesi all’impiego congiunto delle ampie clausole degli articoli 40, secondo comma, c.p. (l’obbligo giuridico di impedire l’evento) e 110 c.p. (il concorso di persone nel reato).
Il III capitolo sarà dedicato, quindi, al concetto di potere impe-ditivo del reato altrui nel contesto delle organizzazioni complesse, al fine di ottenere indicazioni utili per una successiva valutazione del cor-redo dei poteri attribuiti alla Consob: saranno ricostruiti i momenti fondamentali del difficoltoso dialogo fra dottrina e giurisprudenza sul-la nozione di potere impeditivo e, al termine, verranno svolte conside-razioni ‘trasversali’ per sottolineare alcune delle questioni fondamenta-li alla base del dibattito esaminato.
Nel IV capitolo, alla luce delle premesse sviluppate nelle pagi-ne precedenti, l’ipotesi della sussistenza di una posiziopagi-ne di garanzia in capo al funzionario Consob sarà “messa alla prova”. Si procederà all’esame dei poteri di impedimento disponibili all’Autorità e, di con-seguenza, all’analisi della posizione del singolo funzionario: non si po-trà prescindere, infatti, al fine di configurare una responsabilità penale pienamente personale, da un’attenta valutazione delle possibilità di impedimento individuali e dell’elemento soggettivo degli obblighi di impedimento del reato altrui.
1
C
APITOLO
I
LAW
ENFORCEMENT
E
CONTROLLI
SOCIETARI:
IL
RUOLO
DELLA
CONSOB
SOMMARIO: 1. Regolazione e controllo dei mercati finanziari. – 1.1. La tutela dei mercati finanziari e il ruolo delle Authorities. – 1.2. Regolazione ed enforcement pubblico negli Stati Uniti e in Europa. – 1.3. Il fallimento dei controlli e le re-sponsabilità – 2. I controlli nelle società di capitali. – 2.1. Controlli e gatekeepers: una premessa. – 2.2. La funzione di controllo “in senso stretto”. – 2.3. La funzio-ne di controllo interna funzio-nei diversi sistemi di governance. – 2.4. Ancora su «am-ministrazione» e «controllo». – 2.5. Controlli esterni: uno sguardo d’insieme. – 2.6 L’enforcement delle Autorità di vigilanza sui mercati. – 3. L’attività di vigi-lanza della Consob – 3.1 L’istituzione della Consob e la sua espansione. – 3.2 Vi-gilanza, poteri ispettivi e di accertamento nel controllo dell’Autorità. – 3.3 Il pro-cedimento sanzionatorio. Cenni al contrasto degli abusi di mercato. – 3.4 I poteri di autorizzazione. – 3.5 I poteri “in tempo reale” della Consob.
1. Regolazione e controllo dei mercati finanziari.
1.1. La tutela dei mercati finanziari e il ruolo delle Authorities. L’esistenza di agenzie o di autorità indipendenti che vigilano sui mercati finanziari trova spazio in un contesto in cui i mercati sono soggetti alla regolazione statale: l’attività di questi enti consiste nella partecipazione al processo di regolazione attraverso una potestà nor-mativa (o quasi-nornor-mativa) loro riconosciuta e nella garanzia di appli-cazione del diritto dei mercati finanziari, e perciò rappresenta – utiliz-zando un’espressione anglosassone di difficile traduzione, ma che ri-chiama il concetto italiano di “effettività” del diritto – una modalità di
2
law enforcement1. Il ricorso da parte degli ordinamenti statuali
all’ausilio di istituzioni fornite di elevate competenze tecniche e indi-pendenti dal potere politico, per quanto comune nelle strategie di law
enforcement dei mercati finanziari, vede alla base fondamenti assai
controversi, così come è dibattuta la questione, in certo modo “pregiu-diziale”, sulla necessità e sull’opportunità di un intervento pubblico per la regolazione dei mercati. Vi sono interessi di rilievo pubblico che giustificano l’intervento dello Stato? È opportuna, nell’ottica di perse-guirli, l’introduzione di regole speciali e l’istituzione di Autorità di set-tore? Sono questi i problemi che, in buona sostanza, accompagnano la vastissima letteratura economica orientata a fornire strumenti per l’analisi delle politiche di governo dell’economia.
Ora, l’intervento pubblico nell’economia mediante l’emanazione di regole rappresenta, di per sé, un dato storico scontato, perché presente e costante sin dalle più lontane testimonianze dell’umanità; solo in tempi più recenti, si è cercato, nella dottrina eco-nomica e giuridica, di formalizzarne i presupposti2.
Secondo l’impostazione economica dominante e più “tradizio-nale”, il libero mercato è endemicamente affetto da profili disfunziona-li – i c.d. faldisfunziona-limenti del mercato – la cui soluzione richiederebbe l’inevitabile intervento dello Stato. Se è vero che la correzione dei fal-limenti, riducendo l’inefficienza dei mercati, può accrescere il benesse-re collettivo, vi sabenesse-rebbe un intebenesse-resse pubblico che giustifica interventi di regolazione e l’affidamento ad un organo pubblico di vigilanza la cura della sua realizzazione3.
Negli anni, questa rappresentazione “positiva” dell’intervento offerto dagli attori pubblici è stata sottoposta a diversi ordini di critiche
1 P. STELLA, L’enforcement nei mercati finanziari, Giuffrè, Milano, 2008, p. 2 ss. 2 Per una sistemazione stabile delle teorie sulla regolazione, cfr. A. OGUS,
Regula-tion: Legal Form and Economic Theory, Clarendon Press, Oxford, 1994.
3 Si tratta della c.d. public interest theory of regulation, il cui manifesto è
rappresen-tato dall’opera A. C. PIGOU, The Economics of Welfare, Macmillan, Londra, 1920, spec. a p. 292 e ss. Per una trattazione diffusa, cfr. A. OGUS,op. ult. cit., p. 29 ss.
3
e manifestazioni di sfiducia: in effetti, tale intervento, non meno del mercato, potrebbe essere destinato ad incorrere in fallimenti. In primo luogo, non è detto che i decisori pubblici (politici, o funzionari delle autorità di controllo) abbiano la capacità di comprendere e prevedere le dinamiche dei mercati e, quindi, gli effetti del proprio intervento – né, a ben vedere, che un simile compito rientri nelle umane possibilità di calcolo4. Così, non si è mai certi ex ante degli effetti, anche favorevoli, di un intervento regolatore, ma si può essere sicuri che i costi che ne deriveranno, siano essi esigui o tanto elevati da oltrepassarne i bene-fici, saranno imposti, più o meno direttamente, alla collettività5. Al contrario, la soluzione privata ai fallimenti del mercato, quella contrat-tuale, è sorretta da una certezza quasi “assiomatica” della sua maggiore efficienza6.
Inoltre, in un’ottica più realistica, si è messo in dubbio che gli attori pubblici chiamati all’opera di regolazione e di vigilanza siano forniti dei corretti incentivi per operare esclusivamente e diligentemen-te nell’indiligentemen-teresse pubblico: la regolazione e la vigilanza potrebbero es-sere deviate dagli interessi personali di politici e funzionari (id est, pre-stigio, potere, consenso politico), o risultare permeabili alle pressioni di gruppi di interessi organizzati, capaci, tramite la loro influenza, di «catturare il regolatore». Si è arrivati a dire, non senza un velo di
4 Si allude alla critica mossa agli interventi legislativi dal filosofo ed economista
au-striaco F. Von Hayek, secondo il quale l’insieme delle informazioni a disposizione del decisore non potrà mai rispecchiare a sufficienza la conoscenza e le informazioni disperse fra gli operatori del mercato (la c.d. personal knowledge). Cfr. F. A. VON
HAYEK, Law, Legislation and Liberty, I, Routledge, Londra, 1973-79, passim.
5 Si noti che i costi degli interventi devono essere calcolati non solo tenendo conto
delle spese “vive” per l’istituzione e il mantenimento degli apparati di enforcement, ma anche dei costi sociali che derivano dall’insieme delle inefficienze introdotte nel mercato. Si pensi, ad esempio, alle spese degli imprenditori per l’adeguamento ad una nuova normativa: potrebbe derivarne un aumento sensibile del prezzo del bene o servizio scambiato, che avrebbe l’effetto di disincentivarne la contrattazione.
6 Infatti, l’analisi economica del diritto ci insegna che in assenza di costi di
transa-zione, in presenza di diritti di proprietà ben definiti e comunque siano distribuiti ini-zialmente tali diritti di proprietà, per mezzo della contrattazione (si badi, non dell’intervento pubblico) si raggiungerà l’efficienza allocativa delle risorse. L’affermazione, nota come “Teorema di Coase”, è stata esposta per la prima volta in R.H. COASE, The problem of Social Cost, in Journal of Law and Economics, 3, 1960 p. 1 ss.
4
quietudine, che «la regolazione nascerebbe ed opererebbe principal-mente a beneficio dell’industria regolata»7.
Le considerazioni che precedono possono essere riprodotte in buona sostanza anche riguardo allo specifico contesto dei mercati fi-nanziari – cui è dedicata la presente trattazione – ma non sono state di ostacolo ad un immane sviluppo di regole (oggi, in Italia, si parla tal-volta di «alluvione normativa») e di controlli sui mercati finanziari, orientato alla tutela di interessi pubblici.
I fallimenti dei mercati finanziari, che rappresentano il fonda-mento teorico della loro regolazione, sono ormai assodati nella lettera-tura economica. In primis, vi sono ragioni legate alla stabilità e alla si-curezza del mercato: la crisi di soggetti-chiave del mercato, come gli intermediari, può propagarsi, coinvolgendo altri intermediari e assu-mendo dimensioni sistemiche. Il cliente dell’intermediario non ha né le informazioni, né le risorse, per poter tenere sotto controllo la propria controparte contrattuale, che quindi è in una posizione che favorisce l’adozione di condotte rischiose, od opportunistiche8. Se il mercato non
è in grado di offrire le garanzie di una «sana e prudente gestione» dell’impresa-intermediario, lo Stato può intervenire a tal fine con mi-sure di regolamentazione e vigilanza “prudenziale”, ad esempio
7 La conclusione è di G.STIGLER, The Theory of Economic Regulation, Bell Journal
of Economic and Management Science, 2(3), 1971, p. 3, opera che insieme a quelle
di altri autori (Peltzman, Becker) si inserisce nello sviluppo della c.d. capture theory
of regulation da parte della scuola economica di Chicago. Alle stesse conclusioni è
giunta anche l’analisi fornita dalla “teoria delle scelte pubbliche” (Buchanan, Tul-lock), su cui, cfr., in generale, P. MCNUTT, The Economics of Public Choice, Edward Elgar, Cheltenham-Brookfield, 1996. Entrambi gli approcci possono essere compen-diati nella categoria delle private interest theory of regulation, in contrapposizione con la public interest theory (citata in nt. 3). A.OGUS, op. ult. cit., p. 3 e p. 55 ss.
8 È un classico «problema di agenzia»: in tutti i rapporti in cui una parte (l’agent, in
questo caso l’intermediario) promette una prestazione ad un’altra (il principal, cioè l’investitore) la prima ha sempre più informazioni della seconda sui fatti che rilevano per la prestazione ed è nella posizione di adottare comportamenti opportunistici (in questo caso rischiando eccessivamente le risorse della controparte). Sulla relazione fra asimmetrie informative e «opportunismo» contrattuale sono fondamentali le teo-rie di O. WILLIAMSON, The Economic Institutions of Capitalism, The Free Press, New
5
dendo misure di capitale minimo iniziale o di adeguatezza patrimonia-le.
Non solo, il risparmiatore che voglia accedere al mercato può incontrare difficoltà nel reperimento di quelle informazioni indispen-sabili per operare una ponderata scelta di investimento – ed è noto co-me l’informazione assuma un ruolo di prim’ordine nella definizione del valore delle attività finanziarie9. Gli emittenti, ad esempio, hanno tutto l’interesse a trattenere le informazioni sui risultati negativi della gestione: rilasciarle significherebbe esporsi a fughe di investitori, azio-ni di responsabilità, minacce di scalate ostili. Inoltre, coloro che di-spongono di informazioni capaci di influenzare il prezzo potrebbero non rivelarle al fine di trarre profitto dalle variazioni del prezzo che prevedibilmente si verificherebbero non appena le informazioni fosse-ro diffuse (c.d. insider trading). Quand’anche l’investitore affidasse il proprio risparmio ad esperti, dovrebbe fidarsi delle informazioni forni-te dal soggetto che li gestisce, il quale non è escluso che decida di mentire per perseguire i propri interessi. In tutti i casi, come questi, in cui non vi sono a disposizione sufficienti informazioni sul valore di un’attività o sulla qualità di una prestazione di un servizio di investi-mento – ossia in cui il mercato soffre di «asimmetrie informative» – il mercato fallisce perché il risparmiatore, non potendo trovare soddisfa-zione alle proprie aspettative, sarà dissuaso dall’investire le proprie ri-sorse in attività finanziarie. Nel momento in cui è in dubbio la fiducia nel mercato, si realizzano anche problemi di c.d. selezione avversa: il cliente pretenderà sempre prezzi inferiori, temendo per la scorrettezza della propria controparte, così impedendo di accedere al mercato, o di rimanervi, agli intermediari e agli emittenti più corretti10. Queste
9 Fondamentali in tal senso gli studi che hanno studiato il rapporto fra informazioni e
“mercato efficiente”. Su tutti, S. GROSSMAN, J. STIGLITZ, Information and
Competi-tive Price Systems, in American Economic Review, 66(2), 1976, p. 246 ss.
10 La relazione fra la carenza di informazioni e i meccanismi di selezione avversa è
stata messa in luce per la prima volta nel celebre saggio G. AKERLOF, The market of
“lemons”: quality, uncertain and the market mechanism, in Quarterly Journal al Economics, 84(3), 1970, p. 488 ss.
6
ficienze suggeriscono allo Stato di introdurre misure quali obblighi di informazione e di trasparenza, o regole di condotta che gli attori del mercato sono tenuti a rispettare.
Compresa la necessità di questo insieme di rimedi contro i
market failures, si è diffusa l’idea che un mercato finanziario
traspa-rente e stabile – in una parola “efficiente” – sia un «bene pubblico» che lo Stato deve fornire mediante un’attenta attività di regolazione e di vi-gilanza: la «tutela del risparmiatore», o, in un’ottica collettivistica, del «risparmio pubblico», sono valori che assumono primaria importanza nella comunità economica, tanto da ricevere in molti ordinamenti una tutela penale o anche – è il caso dell’Italia – una considerazione di ran-go costituzionale (cfr. l’art. 47 della Costituzione Italiana). La “traspa-renza”, in particolare, è oggi il principale meccanismo di controllo ne-gli ordinamenti giuridici di paesi ad economica capitalista sulla possi-bilità di imprese private di finanziarsi attraverso l’offerta di titoli sul mercato11.
Nel tempo, tuttavia, la fiducia in una “salvifica” regolazione si è dovuta confrontare con la progressiva e travolgente espansione dell’economia finanziaria12, nonché con la ciclica deflagrazione di crisi
e dissesti finanziari (noti anche alle cronache recenti): fenomeni che hanno manifestato la dimensione rischiosa delle attività svolte dai mer-cati. La conseguenza è stata una ricerca spasmodica, da parte degli or-dinamenti, di regole atte a dominarne la complessità, accompagnata dal conclamarsi della c.d. «esplosione dei controlli»: «nuove forme orga-nizzative, assicurative e di certificazione» vengono presentate come valide soluzioni alle sfide create dalla crescente incertezza e instabilità
11 Quasi testualmente S. PROVIDENTI, Il controllo giudiziario ed i controlli esterni, in
AA.VV., La governance nelle società di capitali. A dieci anni dalla riforma, diretto da M. VIETTI, Egea, Milano, 2013, p. 635.
12 Vale a dire il fenomeno di “finanziarizzazione dell’economia”, espressione che fa
riferimento al «crescente ruolo assunto dai moventi finanziari, dai mercati finanziari, dagli attori finanziari e dalle istituzioni finanziarie nella operatività delle economie nazionali ed internazionali» G. EPSTEIN, Financialization and the World Economy, Edward Elgar, Cheltenham-Northampton, 2005, p. 5.
7
dei mercati, portando ad aumentare il numero dei soggetti chiamati ad un’opera di controllo sull’effettiva applicazione delle regole predispo-ste alla gestione dei rischi summenzionati13.
È naturale, d’altronde, che tanto si moltiplicano e si raffinano strumenti normativi di tutela del mercato, quanto aumentano le esigen-ze di fornire un certo grado di controllo sull’effettivo rispetto delle re-gole.
Ora, in termini generali, per soddisfare le necessità di law
en-forcement, un ordinamento può contare su un insieme di meccanismi
che fanno affidamento sull’iniziativa di soggetti talvolta pubblici, talal-tra privati. I privati possono attivare iniziative giudiziarie per tutelare i diritti che sono sottesi alle regole violate, demandandone l’applicazione effettiva ai tribunali. Inoltre, a seconda del rapporto che intrattengono con il destinatario delle regole, possono disporre di pote-ri che impediscono ai potenziali trasgressopote-ri di portare a compimento i propri propositi illeciti: sono privati che, secondo una nota definizione, assumono la posizione di «gatekeepers» (letteralmente, in inglese, so-no le “guardie del cancello”) e che possoso-no garantire l’enforcement perché dispongono di poteri preclusivi (o “interdittivi”) di possibili violazioni (c.d. gatekeeping theory)14. È un gatekeeper, ad esempio, il notaio che può precludere la rogazione di un atto che rappresenta una realtà non corrispondente al vero.
Accanto ai privati, i soggetti pubblici (i. e., l’Autorità giudizia-ria, o le Autorità di vigilanza), vuoi attivatisi d’ufficio, vuoi sollecitati dagli amministrati, garantiscono il law enforcement vigilando sulla corretta applicazione delle regole e reprimendo gli eventuali illeciti
13 L’espressione «esplosione dei controlli» è frequente nella letteratura sociologica in
argomento ed è il titolo dell’opera M. POWER,The audit explosion, Demos, Londra,
1994. Nella spiegazione si è citato A. MUTTI, Le inerzie della fiducia sistemica, in
Rivista italiana di sociologia, 2004, 3, p. 422.
14 La definizione di gatekeeper di R. KRAAKMAN, Gatekeepers: The Anatomy of a
Third-Party Enforcement Strategy, in Journal of Law, Economics, & Organization,
2(1), 1986, p. 54 ss. che nello stesso saggio affronta per la prima in profondità il tema della responsabilità dei gatekeepers e del loro ruolo di law enforcers.
8
mediante l’irrogazione di sanzioni. Non è detto, però, che anche un soggetto pubblico non si trovi a poter esercitare poteri “interdittivi”, nel senso sopra inteso, verso possibili trasgressori. Le Autorità di vigi-lanza sui mercati, in effetti, nell’attività di enforcement cui si faceva cenno inizialmente, possono godere di simili prerogative, costituendo così un prototipo di gatekeeper pubblico15: ad esempio, il loro consen-so è richiesto affinché il privato possa esercitare attività consen-sottoposte ad un regime autorizzatorio; oppure, controllando lo svolgimento di de-terminate operazioni, possono sospenderne o vietarne la prosecuzione. Così il privato, destinatario delle regole di cui garantire l’applicazione, non subisce soltanto sanzioni da un’Autorità di vigilanza, ma può esse-re anche impedito nel compimento delle condotte in contrasto con la regola.
Le Authorities, dunque, godono di una posizione peculiare nel mondo dei controlli, che può essere assimilata in alcuni momenti a quella dei soggetti pubblici incaricati della repressione degli illeciti, in altri a quella dei gatekeepers del mercato. Vedremo nel prosieguo co-me l’Autorità di Vigilanza italiana sui co-mercati mobiliari, la Commis-sione Nazionale per la Società e la Borsa (più semplicemente, Con-sob), che vigila, in particolare, sulla «trasparenza» e la «correttezza dei comportamenti», possa essere calata nell’insieme dei controlli societari e quali responsabilità ne deriveranno sotto il profilo penale – non pri-ma, però, di alcune considerazioni sullo sviluppo storico del modello delle Autorità di vigilanza e, in termini generali, sul fallimento dei si-stemi di controllo sui mercati finanziari.
15 Così, J. COFFEE, Gatekeepers: The Professions and Corporate Governance,
Ox-ford University Press, OxOx-ford, 2006, p. 2, con riferimenti anche a R. KRAAKMAN, op.
9
1.2. Regolazione ed enforcement pubblico negli Stati Uniti e in
Eu-ropa.
Il modello di amministrazione mediante Agenzie o Autorità in-dipendenti può essere ricondotto all'avvento dello “Stato regolatore”: quell’approccio alla politica economica in cui lo Stato si prende carico della tutela di interessi pubblici, ma rinuncia ad un intervento diretto sull’economia, affidandola piuttosto ad organismi tecnocratici, più vi-cini al mercato regolato e tendenzialmente indipendenti dalla politica16.
Non è un caso che lo sviluppo originale di questa forma di intervento pubblico sia da rintracciarsi nella storia economica americana, da sem-pre caratterizzata dall’avversione verso una gestione diretta, collettivi-stica, dell’economia, da parte dei pubblici poteri.
Il caso della regolazione dei mercati finanziari ne è uno dei mi-gliori esempi. Nel mondo anglosassone, l’istituzione di enti regolatori ha antenati illustri: la Bank of England, istituita nel 1694, è considerata il primo istituto con funzioni di regolazione finanziaria nella storia17. Ma le vere e proprie indipendent agencies si svilupperanno negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo per il mercato ferroviario e, poco più tardi, anche nel campo dei mercati finanziari. Nel milieu delle politiche economiche rooseveltiane di reazione alla Crisi del ’29 (il c.d. «New Deal»), furono approvati dal Congresso americano i Securities Act (1933) e Securities and Exchange Act (1934), ossia i provvedimenti che costituiscono il presupposto per l’istituzione della Securities and
Exchange Commission (SEC) – questa sì – la prima agenzia di
regola-zione con un effettivo ruolo di enforcement nei mercati finanziari. La
mission della Commissione era (ed è) quella di «proteggere gli
16 Sullo sviluppo di questo approccio di governo, A. LA SPINA, G. MAJONE, Lo Stato
regolatore, Il Mulino, Bologna, 2000, spec. p. 15 ss.
17 Ma che agiva soltanto in forme che oggi definiremmo di moral suasion:
simboli-camente la Banca d’Inghilterra viene ricordata come l’istituto che controllava «rai-sing eyebrows», alzando le sopracciglia, a significare che le era sufficiente esprimere disapprovazione per imporre le proprie vedute. J. W. MARKHAM, Super-Regulator: a
Comparative Analysis of Securities and Derivatives Regulation in the United States, Great Britain and Japan, in Brooklyn Law Review, 28(2), 2002, p. 51 ss.
10
tori, mantenere i mercati equi, ordinati ed efficienti, e facilitare la for-mazione del capitale»18: in buona sostanza, si mirava ad infondere fi-ducia ai mercati finanziari19.
Il clima di illegalità che pervadeva l’attività dei mercati, rivela-to alla nazione nelle sedute congressuali precedenti l’approvazione, esigeva, in effetti, una scelta legislativa che ponesse attenzione anche alla fase applicativa della nuova regolamentazione20. Un intervento fe-derale in questi termini si imponeva anche per ragioni legate alla forma di governo statunitense: il quadro normativo offerto dalla precedente legislazione, demandata ai singoli stati (le c.d. blue-sky laws), offriva ben poco momento ad un controllo effettivo sui prodotti finanziari immessi nel mercato sull’intero territorio americano. Così, si scelse di costituire la SEC come “attore pubblico” di riferimento per la regola-zione dei mercati finanziari, per la loro vigilanza e per il controllo de-gli innumerevoli “attori privati” che li popolano (emittenti, intermedia-ri, etc.).
Col tempo, le dimensioni dell’amministrazione21, l’ampiezza
delle normative applicate e, nondimeno, le funzioni da essa svolte si sono arricchite in corrispondenza dell’approvazione di nuove leggi fe-derali, nel tentativo di rafforzare la posizione istituzionale della SEC a seguito di crisi o scandali finanziari – principalmente, con il Sarbanes–
Oxley Act (2002) e il Dodd–Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act (2010) – sul presupposto logico, invero discutibile, che
18 www.sec.gov/Article/whatwedo.html
19 Infatti «Trust in securities acts» era il soprannome-slogan che si era diffuso per
descrivere la legislazione finanziaria americana degli anni 1933-’34.
20 Questa è una sintesi dell’inchiesta parlamentare nota come “Pecora commission”
preliminare all’adozione del Securities and Exchange Act, le cui conclusioni sono
rinvenibili all’indirizzo:
www.senate.gov/artandhistory/history/common/investigations/pdf/Pecora_FinalRepo rt.pdf
21 Accanto ai cinque commissari si staglia un’organizzazione mastodontica,
compo-sta di 5 divisioni a livello funzionale (Corporate finance, Trading and Markets,
In-vestment Management, Economic Risk Analysis ed Enforcement) e 11 Uffici
11
poteri più forti e sanzioni più severe possano fungere da deterrente concreto per ristabilire nei mercati un clima di legalità22.
Nell’ordinamento statunitense, la SEC è considerata un’agenzia federale indipendente, composta da cinque commissari nominati dal Presidente con il consenso del Senato. Un insieme di guarentigie mira a innalzare uno scudo contro le interferenze politiche nella composi-zione della Commissione23 e a garantire l’indipendenza professionale dei suoi membri. Ciononostante, è affermazione comune che i poteri esecutivo o legislativo abbiano la possibilità di frenare la sua attività o di fornirgli indirizzi: l’indipendenza della SEC, come del resto quella delle autorità indipendenti italiane, non può definirsi assoluta24.
Quanto alle funzioni, la SEC interpreta il diritto dei mercati fi-nanziari federale ed emana nuove regole di sua competenza (c.d. attivi-tà di rulemaking), adoperandosi anche per il coordinamento e la coe-renza dell’intera materia normativa25 La vigilanza e l’applicazione del
diritto vengono garantite dalle 5 “Divisioni” della SEC, competenti ciascuna nella propria materia, fra le quali gioca un ruolo fondamentale la “Enforcement Division”, che, in collaborazione con le altre Divisio-ni, svolge indagini e individua, di fronte ad eventuali violazioDivisio-ni, la ri-sposta sanzionatoria opportuna, che sarà poi formalizzata dalla
22 Sulle evoluzioni recenti della SEC e sulle difficoltà nel rispondere alla situazioni di
crisi, J. KATZ, Reviewing the SEC, Reinvigorating the SEC, in University of Pittsburg
Law Review, 71(3), 2010, p. 489 ss.
23 Il citato Securities and Exchange Act prevede, infatti, che non più di tre
commissa-ri possano essere espressione dello stesso partito politico. Inoltre, il mandato di ogni commissario dura 5 anni e determina l’incompatibilità con ogni altra carica. Il man-dato non può essere revocato se non per giusta causa dal Presidente, o, all’esito di un procedimento di impeachment, dal Congresso. Ogni anno scade un solo mandato, co-sì la composizione della Commissione si rinnova di anno in anno.
24 I limiti dell’influenza del potere politico sono sviscerati in K. DATLA, R. L. R E-VESZ, Deconstructing Independent Agencies (and Executive Agencies), in Cornell
Law Review, 98(4), 2013.
25 Materia che si compone non solo delle regole federali e provenienti dai singoli stati
federati ma anche dell’autoregolamentazione che, sotto la vigilanza della SEC, pos-sono darsi le singole SROs (Self-regulatory organizations), ad esempio i mercati re-golamentati e i sistemi di negoziazione alternativi.
12
missione vera e propria. Il procedimento di enforcement26 presenta al-cune caratteristiche dei procedimenti penali e amministrativi, con forti garanzie in merito al contraddittorio e alla separazione delle funzioni inquirenti e giudicanti27, ma non rinuncia a significativi elementi di in-formalità. In vari momenti del procedimento, ad esempio, vi è l’opportunità di raggiungere un accordo transattivo (il settlement), in cui l’agenzia, solitamente in cambio di condotte riparatorie e garanzie per il futuro, rinuncia a promuovere la prosecution verso l’indagato. Anche per questo si può già dire che l’esperienza americana, intrisa, com’è, della cultura giuridica anglosassone, non potrà essere trapianta-ta, ma solo imitatrapianta-ta, nelle tradizioni dell’Europa continentale, come la nostra, in cui difficilmente potrebbe conciliarsi con i principi di legalità e di eguaglianza.
In Europa e in Italia la disciplina dei mercati mobiliari, così come l’istituzione di autorità indipendenti deputate ad un ruolo di
en-forcement, si è sviluppata con notevole ritardo rispetto agli Stati Uniti,
in quanto gli interventi precedenti riguardavano soltanto la disciplina bancaria. Inoltre, l’affermazione del paradigma dello “Stato regolato-re” si è avuta negli ultimi trent’anni, quando i settori ancora soggetti alla gestione diretta dello Stato sono stati oggetto di liberalizzazione e, perciò, si sono create Autorità di vigilanza per consentire allo Stato di mantenere una funzione di controllo pubblico indiretta28.
La creazione e il potenziamento delle Autorità sui mercati fi-nanziari sono, però, in buona parte, non riconducibili a questa evolu-zione: piuttosto, si legano alla reazione degli ordinamenti al verificarsi
26 Per una panoramica dettagliata della procedura di enforcement della SEC, con
spunti comparatistici rispetto alla normativa italiana, cfr. F. D'ALESSANDRO,
Regola-tori del mercato, enforcement e sistema penale, Giappichelli, Torino, 2014, p. 434 ss.
27 La SEC non applica direttamente le sanzioni. In tutti i procedimenti che
scaturi-scono dall’indagine, compresi quelli amministrativi, la SEC riveste ruolo di semplice parte in causa nella fase decisoria, evitando la confusione dei ruoli fra giudice e accu-satore.
13
di scandali finanziari29, nonché alla comparsa e alla crescente dimen-sione del “diritto europeo” dei mercati finanziari. Il diritto europeo ha in primo luogo contribuito a modellare le funzioni ed i poteri attribuiti a tali autorità, ridefinendo i connotati dei sistemi di regolazione finan-ziaria e le finalità della vigilanza. In una seconda fase ha anche inne-scato profondi cambiamenti istituzionali, che sono culminati nella ri-forma generale dell’architettura di regolazione approvata nel novembre 2010.
L’idea di una regolazione e di una vigilanza europea dei merca-ti prende le mosse dalla scelta di attuare un’armonizzazione comunita-ria del diritto dei mercati mobiliari: si voleva conseguire, in un’ottica espansiva e liberalizzante, un’integrazione a livello sovranazionale dei mercati. I primi passi in questa direzione furono l’introduzione di una direttiva europea in tema di insider trading (89/592/CEE) e le prime direttive sui servizi di investimento (93/6/CEE e 93/22/CEE), che, fra l’altro, hanno affermato il principio per cui l’intermediario registrato può offrire liberamente i propri servizi in tutti gli altri Paesi comunitari (c.d. principio del mutuo riconoscimento).
La svolta, tuttavia, fu l’approvazione del Financial Services
Ac-tion Plan nel 1999, un documento programmatico con cui si dichiarava
di voler trasformare radicalmente quelle aree di intervento già oggetto delle precedenti direttive: il fine ultimo era la creazione di un unico mercato finanziario europeo30. Ci si è avvalsi a tal fine della c.d. “pro-cedura Lamfalussy”, un peculiare procedimento legislativo strutturato in quattro livelli, che indicano progressivamente l’aumento del livello di dettaglio delle regole e della partecipazione degli Stati membri alla
29 Si pensi alla creazione della Financial Service Authority (FSA) inglese, dopo il
collasso della Barings Bank nel 1995, o dell’Autorité des Marchés Financiers (AMF) istituita nel pieno della crisi finanziaria di Vivendi (2003). Anche il notevole am-pliamento dei poteri di enforcement della Consob si avrà con la c.d. legge sul rispar-mio (l. 262/2005), considerata la risposta legislativa ai crac Parmalat e Cirio, cfr.
in-fra, §3.1.
30 Il testo completo del Piano può essere reperito al seguente indirizzo web:
14
loro formazione31. Il coinvolgimento degli Stati passa da appositi co-mitati cui partecipano i rappresentanti delle Autorità di vigilanza na-zionali32.
Grazie a questo meccanismo di produzione del diritto, dal 2003 si è inaugurata una stagione di regolamentazione europea dei mercati che è riuscita ad emanciparsi da quell’approccio emergenziale “post-crisi”, che, si è detto, caratterizza la financial regulation americana, e che ha dato rapidamente vita al nucleo della disciplina europea del mercato mobiliare: la direttiva 6/2003/CE in tema di abusi di mercato (c.d. Market abuse directive, o MAD), la direttiva 71/2003/CE sui “prospetti informativi” (c.d. direttiva prospetti) e, infine, la disciplina dei servizi di investimento della direttiva 39/2004/CE (c.d. direttiva MiFID).
Ad un primo sguardo retrospettivo, il sistema di regolamenta-zione europeo, così delineato, ha dimostrato un’apprezzabile agilità, trasparenza e qualità nella formazione delle regole33. Ciononostante, la
crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha suggerito un ripensamento com-plessivo del quadro di tutela dei mercati, dimostratosi assai fragile alla prova dei fatti: maggiore cura andava riposta alla vigilanza, all’enforcement del corpus di regole frutto della procedura Lamfalussy, che rischiava di restare solo law in books, e non anche in action.
31 Il primo livello, più generale, è occupato, infatti, dalle direttive che saranno ora
ci-tate (la “MAD”, la “direttiva prospetti” e la “MiFID”); ai livelli inferiori, le regole completano ed implementano quelle dei livelli superiori; al quarto e ultimo livello, la Commissione Europea verifica l’attuazione dei singoli Stati membri. Cfr. in proposi-to N. MOLONEY, EU Securities and Financial Markets Regulation, Oxford Universi-ty Press, Oxford, 2014, p. 862 ss.
32 Da cui la qualificazione come procedura di “comitologia”. I comitati erano tre, uno
per ciascun settore dei mercati finanziari: il Committee of European Securities
Regu-lators (CESR) per il mercato mobiliare, il Committee of European Banking Supervi-sors (CEBS) per quello bancario e il Committee of European Insurance and Occupa-tional Pensions Supervisors (CEIOPS) per quello assicurativo. Oggi sono stati
sosti-tuiti da tre Autorità di vigilanza europee, fra cui l’ESMA, che citeremo a breve.
33 Come emerge dall’indagine europea ufficiale in proposito: la Lamfalussy Review
15
Si è risposto a tali preoccupazioni con la creazione, nel 201034, dell’European System of Financial Supervision (ESFS) e delle Autori-tà di vigilanza europee, cioè, con l’istituzione di un livello sovranazio-nale di vigilanza. L’attività di vigilanza delle Authorities nazionali, che pure rimane centrale soprattutto con riguardo all’enforcement, è così coordinata e armonizzata in tutto il territorio dell’Unione grazie ad un’autorità sovranazionale – nel campo dei mercati mobiliari, la
Euro-pean Securities and Markets Authority (ESMA) – che si atteggia a
«supervisor of supervisors»35. Non solo: l’ESMA talvolta esercita po-teri di natura gerarchica sulle autorità dei singoli stati membri, potendo imporre a quest’ultimi decisioni vincolanti in situazioni di emergenza, di violazioni del diritto europeo o di impasse istituzionale. Svolge inol-tre un’attività diretta di enforcement, con poteri sanzionatori, contro gli abusi di enti istituzionali di rilevanza sovranazionale, come le agenzie di rating (che sono “sorvegliate speciali” dopo la crisi del 2008) e i
trade repositories (ossia, i repertori di dati sulle negoziazioni).
Con l’istituzione di un’Autorità di vigilanza europea si voleva-no anche scongiurare fevoleva-nomeni distorsivi di c.d. arbitraggio regolato-rio36: «differenti livelli di protezione degli investitori» dovuti alla dif-ferente intensità dei poteri regolatori e di vigilanza attribuiti alle Auto-rità nazionali possono «creare ostacolo alle operazioni transfrontaliere e scoraggiare le imprese dal cercare finanziamenti in altri Stati mem-bri»37. L’esigenza di una maggiore uniformità fra le funzioni delle Au-torità nazionali si palesa soprattutto se guardiamo al caso italiano: co-me ha sottolineato autorevole dottrina, la Consob dispone di poteri e
34 Con l’adozione di tre regolamenti UE datati 24 novembre 2010, n. 1093-4-5. 35 Che potremmo tradurre «vigilante della vigilanza» N. MOLONEY, op. ult. cit., p.
973.
36 V. in proposito, L. ENRIQUES, A harmonized European company law: are we there
already?, in International and Comparative Law Quarterly, 66(3), 2017, p. 763 ss.
37 COMMISSIONE EUROPEA, 18 febbraio 2015, COM(2015) 63, Libro Verde:
16
funzioni che certamente divergono per eccesso da quanto avviene in altri Paesi38. Li vedremo in seguito più nel dettaglio (v. infra, §3).
In definitiva, l’approccio europeo si è caratterizzato per un ap-prezzabile sforzo di mettere a frutto anni di riflessioni economiche e di
input politici in materia di tutela dei mercati, nel tentativo di eliminare
le barriere fra gli stessi e far sì che la legislazione risulti effettiva. Ma un sistema sovranazionale ha i suoi “lati oscuri”: non si può non notare che un’organizzazione così elaborata non faccia altro che intensificare le difficoltà che si verificano in fase di regolazione ed enforcement, come la carenza di informazioni da parte del mercato, la velocità nel rispondere alle innovazioni, o ancora, i già citati rischi di «cattura del regolatore»39. La preoccupazione aumenta se si considera che l’Unione
Europea arroga a sé sempre più spazio per la propria financial
regula-tion, fin quasi a diventare un regolatore “monopolistico”, sottraendo
agli Stati membri la possibilità di sperimentare sul campo scelte nor-mative autonome, o di instaurare meccanismi di competizione fra i loro ordinamenti giuridici, quando invece, dal lato dell’applicazione del di-ritto, la materia rimane quasi interamente in mano alle scelte istituzio-nali e alla responsabilità dei singoli Stati membri. Dunque, non poten-do verosimilmente creare un’unica autorità di vigilanza sul modello SEC, né potendo lasciare la vigilanza sul mercato armonizzato soltanto ad un livello decentrato e frammentato, l’unica formula percorribile è quell’attuale difficile convivenza fra un livello nazionale e uno sovra-nazionale, che si gioca su vincoli normativi stringenti e, talvolta, su po-litiche di compromesso. In questo contesto, si inserisce la nuova gran-de sfida gran-delle Autorità di vigilanza europee, con il conseguente rischio che si tratti solo dell’aggiunta di un nuovo ennesimo livello alla «babe-le dei controlli» sui mercati finanziari italiani ed europei.
38 P. MARCHETTI, Il crescente ruolo delle autorità di controllo nella disciplina delle
società quotate, in Riv. Soc., 2016, 1, p. 33 ss.
17
1.3. Il fallimento dei controlli e le responsabilità.
Come accennato in precedenza, quando si verificano crisi o dis-sesti finanziari cui è data particolare risonanza, si presentano innanzi-tutto movimenti di riforma della precedente normativa in materia fi-nanziaria. Attraverso nuove regole, si mira a riportare fiducia nei mer-cati e a salvaguardare la reputazione delle istituzioni finanziarie40. Con il senno di poi, il disastro finanziario sembra l’inevitabile esito di un difettoso sistema di controlli, che, se fosse stato correttamente proget-tato, avrebbe fatto sì che i trasgressori delle regole – i «responsabili» – fossero individuati ex ante e fermati per tempo.
Senonché, la circostanza che a ogni scandalo si presenti la ne-cessità di rivedere le modalità di intervento palesa come sia ottimistico il proposito di perfezionare un sistema di controlli fallito che, a sua volta, è verosimilmente nato nello stesso modo: sulle ceneri del falli-mento del precedente. Con buona probabilità, il nuovo «rituale di veri-fica»41 infonderà fiducia ai mercati, ma non sarà in grado di scongiura-re che le condizioni in cui può scongiura-realizzarsi una crisi si verifichino nuo-vamente. È stato, infatti, sottolineato come vi siano limiti intrinseci, strutturali, ad ogni forma di controllo: autorità di vigilanza, sindaci o revisori non possono fornire previsioni attendibili sui rischi incalcola-bili associati a talune attività finanziarie e, in alcuni casi, sono chiamati a far fronte ad aspettative di controllo che non possono ragionevolmen-te soddisfare42. Se è così, si è affermato che le pratiche di controllo, più
che evitare gli abusi, siano «forme di razionalizzazione» che
40 A. MUTTI, Produzione di reputazione tramite regolazione in Sistemi intelligenti,
2009, 2, p. 261.
41 L’espressione è di M. POWER in La società dei controlli. Rituali di verifica,
Edi-zioni di comunità, Torino, 2002, da cui sono tratti numerosi spunti in questo paragra-fo.
42 È il c.d. «gap di aspettative» (expectations gap) fra ciò che i regolatori e i
control-lori affermano di fare e ciò che possono realisticamente fare M. POWER,op. ult. cit.,
18
no, nelle organizzazioni, di legittimare le attività degli organi decisio-nali43.
Questo rilievo ci porta ad illustrare in chiave critica un secondo tipo di istanze che si associano al deflagrare delle crisi: oltre alle ri-vendicazioni di riforma del sistema, si aggiungono quelle che preten-dono la responsabilizzazione dei soggetti che hanno compiuto le viola-zioni scatenanti e dei loro “controllori” che non sono riusciti ad impe-dirle. La punizione dei primi è intuitiva, immancabile, e può assumere anche una valenza pedagogica con la sua esemplarità44. La responsabi-lità dei secondi è, invece, più sfuggente. Non si tratta, invero, di far se-guire la responsabilità alla violazione del trasgressore principale, che è il controllato. Una responsabilità da omesso controllo, in termini molto generali, attribuisce il fatto a chi, nonostante non sia l’autore primario o il beneficiario dell’illecito, avrebbe dovuto controllarlo e prevenir-lo45. Il che è evidentemente diverso – e di più – dal sanzionare il mero
inadempimento dei propri doveri di controllo: l’inadempimento di tali doveri assume un significato di particolare gravità perché è correlato al fatto che doveva essere impedito. Ebbene, comprendere questa “rela-zione” significa spiegare il fondamento di tale responsabilità.
Dal punto di vista delle teorie dell’enforcement, è facile intuire perché sia desiderabile affermare la responsabilità anche dei
gatekee-pers: la responsabilità incide sugli incentivi che motivano il gatekeeper
a far rispettare la regola e, quindi, sull’efficacia della sua funzione pre-ventiva nella strategia di enforcement46. Ma queste teorie non offrono
strumenti atti a spiegare il percorso giuridico per mezzo del quale si
43 M. POWER,op. ult. cit., passim.
44 Si pensi alla sentenza contro Barnie Madoff, finanziere condannato a 150 anni di
carcere per aver truffato migliaia di risparmiatori, creando un “buco” di bilancio di 65 miliardi di dollari. È una vicenda simbolo di una condanna «quale messaggio di intimidazione e di sonora conferma del grado di reattività dell’ordinamento». A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 113.
45 R. KRAAKMAN,op. ult. cit., p. 54.
46 Queste le conclusioni di R. KRAAKMAN in Gatekeepers: The Anatomy of a
Third-Party Enforcement Strategy, cit., ma anche ID., Third-party Liability, in The New
Palgrave Dictionary of Economics and the Law, III, a cura di P. NEWMAN, 3, Pal-grave-Macmillan, New York, 2002, p. 583 ss.
19
può affermare la responsabilità di un controllore per il fatto del con-trollato: sono ricostruzioni “orientate al risultato”, che guardano alla necessità di una responsabilità, senza spiegare il fondamento dell’addebito – che non è affatto una questione irrilevante.
A dire il vero, nel campo della responsabilità civile, questo pro-filo potrebbe anche essere eluso dal legislatore che voglia progettare un sistema di responsabilità. Infatti, la scelta di aggiungere una respon-sabilità “secondaria” a quella di un trasgressore principale, in astratto, non incontra particolari limiti, perché la responsabilità, nella sua acce-zione più generale, può anche prescindere da una caratterizzaacce-zione soggettiva47. Così, anche in Italia, è possibile che si verifichino casi di responsabilità civile fondati su un rapporto di controllo sulla persona o sulla cosa che fanno tendenzialmente a meno di un’attribuzione sog-gettiva del fatto: si pensi alla responsabilità del custode per il danno cagionato da animale smarrito o fuggito (art. 2052 c.c.), o per restare ai fatti umani, alla responsabilità del padrone e del committente per il danno causato dal domestico o commesso (art. 2049 c.c.).
Ciò che non può fare a meno, invece, dei requisiti dell’imputabilità e della personalità, è la responsabilità penale, né una “distribuzione” di responsabilità, in questo contesto, può essere sugge-rita soltanto da considerazioni di natura economica. D’altronde, la fun-zione della pena non può essere spiegata solo in termini di incentivo per un attore economico e la legge non può con un tratto di penna ascrivere responsabilità a soggetti che non hanno partecipato al fatto. «La responsabilità penale è personale» (art. 27 Cost.): allora un’estensione della responsabilità penale dovrà trovare una giustifica-zione che si radichi in qualche forma di partecipagiustifica-zione soggettiva.
Avremo modo di spiegare come, nella tradizione italiana, l’affermazione della responsabilità dei “controllori” nelle società non
47 Di per sé, «l'imputabilità personale non fa parte essenziale del presupposto della
responsabilità e l'imputazione stessa non sempre si rivolge alla fonte diretta dell'offe-sa». C. MAIORCA, Responsabilità (Teoria generale), in Enc. dir., XXXIX, 1988, p. 1004 ss.
20
sia stata il frutto di alcun progetto legislativo, ma il risultato del rece-pimento dottrinale e giurisprudenziale delle istanze di responsabilizza-zione che si dicevano. Ci si è serviti, in particolare, degli ampi margini interpretativi lasciati dal codice penale nel delineare le forme del reato omissivo improprio e del concorso di persone nel reato: per un verso, infatti, il controllore non ha impedito un reato che aveva «l’obbligo giuridico di impedire» (art. 40, comma 2, c.p.); per un altro, mediante l’omissione, «concorre nel medesimo reato» (art. 110 c.p.). Dunque, la spiegazione del “come punire” sarebbe soddisfatta addirittura da due titoli di responsabilità diversi.
La questione, purtroppo, non può essere liquidata così sempli-cemente perché, proprio a causa della genericità del dettato codicistico, è facile intuire come una responsabilità che si fondi su tali presupposti nasca senza confini determinati.
In un’ottica delimitativa, allora, la dottrina italiana ha ormai stabilmente accolto nel nostro ordinamento la teorica della «posizione di garanzia», di origine tedesca, cercando di selezionare come respon-sabili i soli soggetti dotati dei poteri e dei doveri di agire a salvaguar-dia degli interessi coinvolti nell’illecito (v. infra, cap. II). Tuttavia, non si è mai sopita la discussione a proposito di come la posizione di ga-ranzia debba atteggiarsi quando a dover essere impedito non è un «evento», come vorrebbe il codice, ma è il «reato altrui», specialmente nel contesto organizzato delle società (v. infra, cap. III).
La giurisprudenza, nel frattempo, ha affermato senza troppi dubbi, la responsabilità penale dei soggetti investiti di funzioni di con-trollo societario, come gli amministratori non esecutivi e i membri del collegio sindacale, eludendo, soprattutto nelle sentenze più risalenti, un serio approfondimento di alcuni elementi, notoriamente critici, indi-spensabili per la ricostruzione della fattispecie contestata. Ad esempio, riguardo al dolo, ci si è spesso accontentati di affermare che gli ammi-nistratori «non potevano non sapere» che l’attività criminosa fosse in
21
atto, come se il coefficiente doloso potesse essere accertato omettendo un’indagine di tipo naturalistico48. Inoltre, si è spesso mancato di
spie-gare quale fosse l’attività di controllo richiesta al controllore e che forme dovesse avere l’iniziativa che egli doveva adottare in quanto ca-pace, in concreto, di impedire la realizzazione del reato: un profilo che va risolto ancor prima dell’analisi dell’elemento soggettivo, radicando-si, esso, nello studio del fatto tipico (v. ancora infra, cap. III).
Quest’ultima tematica di indagine sarà quella privilegiata dal presente lavoro. Più precisamente, nell’intento di saggiare possibili re-sponsabilità dei funzionari della Consob per l’omesso impedimento di reati, dovremmo analizzare quali sono – se vi sono – adeguati poteri-doveri di vigilanza e di impedimento da parte di tale autorità. Prima ancora, però, sarà opportuno un inquadramento del complesso «siste-ma dei controlli» nelle S.p.a. italiane; ciò per chiarire in cosa consiste la funzione di controllo nelle società di capitali, nonché per contestua-lizzarvi il controllo esterno amministrativo offerto dalla Consob.
Si anticipa che le riforme del diritto societario italiano hanno costruito un apparato di controlli «confuso e irrazionale»49, in cui non
sono del tutto chiare le attribuzioni e le responsabilità di ciascun “atto-re” che ne prende parte attiva. Ciò desta non poche preoccupazioni agli occhi del penalista, se è vero che la ricostruzione della posizione di ga-ranzia rinvia al sistema civilistico per l’individuazione di quei doveri che, rimasti inadempiuti, possono determinare l’insorgenza di una re-sponsabilità penale: le riforme che hanno ampliato il sistema dei con-trolli, in risposta alle crisi finanziarie, rischiano di dare avvio a una «dilatazione incontrollata della responsabilità»50, imponendo nuovi e generici obblighi di controllo, dalla cui violazione si potrebbe inferire
48 Per un’incisiva ricostruzione della giurisprudenza in proposito A. ALESSANDRI,op.
ult. cit., p. 145 ss. Cfr. anche infra, cap. 4, §1.1.
49 P. MARCHETTI, Il ruolo delle autorità indipendenti, in Impresa e giustizia penale:
tra passato e futuro, Giuffrè, Milano, 2009, p. 227.
50 A. ALESSANDRI, Corporate governance nelle società quotate: riflessi penalistici e
22
la responsabilità per l'evento-reato da altri cagionato. In questo modo, un sistema di norme civilistiche “primarie” che si presti a molteplici interpretazioni potrebbe essere piegato a quelle esigenze di una giusti-zia sommaria e simbolica che, si diceva, tendono ad affermarsi nel pie-no degli scandali finanziari.
L’interprete, in questo contesto, è chiamato a porre freno a que-ste tendenze, rigettando aprioristiche affermazioni di responsabilità. È ovvio che responsabilizzare il singolo è sempre più facile che ammet-tere che il sistema dei controlli possa essere inadeguato a fronteggiare i rischi della commissione di reati (e, quindi, a garantire l’enforcement delle regole)51. La tentazione è forte: nella crisi di una comunità, la re-sponsabilità tende a recuperare quel suo ancestrale ruolo di «rituale di ripristino dell'equilibrio turbato», che qua, insieme alla predisposizione di nuovi controlli (nuovi «rituali di verifica»), può infondere fiducia negli scambi – placare, per così dire, l’ira del mercato – e avviare il superamento della crisi52. Ma le responsabilità da omesso controllo
de-vono essere valutate caso per caso, in base alla presenza di tutti i requi-siti richiesti da una posizione di garanzia, ancorando saldamente le pre-tese impeditive all'effettivo raggio di conoscenza e di possibile azione efficace del soggetto che controlla53. Questo è ciò che, in buona so-stanza, proveremo a fare nelle prossime pagine.
51 Gli studi sociologici, si è già accennato, hanno in molti casi sottolineato
l’inadeguatezza dell’organizzazione e l’eccesso di fiducia verso le funzioni di con-trollo come cause delle crisi e degli scandali finanziari. Per un riassunto italiano di questa prospettiva M. CATINO, "Gatekeepers" miopi? Aspetti organizzativi nel
falli-mento dei controlli, in Stato e mercato, 2010, 2, p. 219 ss.
52 Su questa funzione della responsabilità, che trova riscontri anche in tempi attuali
cfr. C. MAIORCA, op. ult. cit., passim.
23
2. I controlli nelle società di capitali.
2.1. Controlli e gatekepeers: una premessa.
L’attività sociale nelle società di capitali è disciplinata da un in-sieme di principi e di regole che governano il fine ultimo di ogni socie-tà – la produzione di utili – nel rispetto degli interessi dei soci e di altri interessi pubblici e privati. È naturale che se l’organizzazione del go-verno societario e l’articolazione del momento decisionale sono limita-te da norme che garantiscono la tulimita-tela di inlimita-teressi, affinché questi ulti-mi non siano frustrati, vi è la necessità di un certo grado di controllo sull’effettivo rispetto delle norme stesse. A questa esigenza, risponde il «sistema dei controlli», composto da soggetti che in varie forme e a va-rio titolo esercitano una funzione di controllo sull’amministrazione.
Negli ordinamenti dei paesi industriali avanzati, il sistema dei controlli rappresenta «uno dei pilastri fondamentali se non l’architrave»54 della corporate governance. Lo stesso concetto di
cor-porate governance, al di là degli statuti teorici55, a livello normativo si traduce essenzialmente nella definizione dei rapporti fra l’amministrazione e il controllo. Il tema ha ricevuto crescente attenzio-ne, come dimostra la riforma del diritto societario italiano del 2003.
Prima di addentrarci nell’illustrazione del sistema, va puntua-lizzato che, per ora, abbiamo impiegato il termine “controllo” in una nozione ampia e, in certo modo, atecnica (ad esempio, nel riferirci ge-nericamente ai «controlli sui mercati finanziari»). Il termine «control-lo», invece, letto in endiadi con quello di «amministrazione», ha un si-gnificato preciso nell’illustrazione delle tematiche di governo
54 P.MONTALENTI, Corporate governance e sistema dei controlli, in Saggi sui grandi
temi della corporate governance, a cura di C. TEDESCHI, Giuffrè, Milano, 2013.
55 In termini economici corporate governance si definisce come un «insieme di
rego-le e vincoli posti sulla contrattazione ex post relativa alrego-le quasi-rendite generate da una relazione contrattuale», L. ZINGALES, Corporate Governance, in The New
Pal-grave Dictionary of Economics and the Law, cit., I, p. 497 ss. che ne dà una
defini-zione anche più semplice, cioè governance come «esercizio di autorità, diredefini-zione e controllo».
24
rio. Sono allora necessarie alcune premesse terminologiche e metodo-logiche, per ricollegarci alla gatekeeping theory, cui abbiamo fatto cenno in precedenza. Ecco, il controllo in senso tecnico, fa riferimento, come vedremo meglio, a quella prerogativa, propria di alcuni soggetti, di operare una verifica dell'attività amministrativa; il concetto di
ga-tekeeper, nella nozione di Kraakman qui adottata, allude alla
possibili-tà che un soggetto, in virtù della propria posizione, possa impedire la trasgressione delle regole, favorendone la relativa osservanza56.
I due aspetti sono intuibilmente connessi nell'ambito societa-rio57, ma non è detto che un soggetto in una posizione di controllo, che sia in grado di vigilare sull'operato dell'amministrazione, sia dotato an-che di poteri idonei ad impedire il compimento di irregolarità (e cioè sia anche un gatekeeper). Per dirla con Bobbio, che in questo senso an-ticipava alcune tematiche delle più moderne teorie sui sistemi misti di
enforcement, «il primo e più ovvio modo di ottenere l’osservanza di
una norma è l’impedimento preventivo (parziale o totale) della viola-zione», ma le misure di vigilanza istituite possono andare dal «puro e semplice controllo a una vera e propria forma di preclusione»58. Ai fini
penalistici, per l’impedimento del reato, ci interesserà soprattutto que-sto secondo e più forte grado di intensità dei poteri di controllo, che può corrispondere, grosso modo, alla definizione di gatekeeper data da Kraakman.
Nel presente paragrafo, allora, intendiamo mettere a fuoco i ruoli e i doveri di soggetti che sono inseriti nell'organizzazione societa-ria e a cui sono attribuite “funzioni” di controllo: poteri-doveri di veri-fica, cui potrà accompagnarsi, eventualmente, la possibilità di reagire e
56 È la nozione che abbiamo adottato nel §1.1, cfr. nt. 14.
57 Sui controlli societari come gatekeepers G. FERRARINI, P. GIUDICI, Financial
Scandals and the Role of Private Enforcement: The Parmalat Case, ECGI - Law
Working Paper, 40, 2005, che si limita, però, ai controlli interni.
58 In N. BOBBIO, Sanzione, in Noviss. Dig. It., XVI, 1968, p. 530 ss. si sviluppa in
effetti un’analisi assai moderna dei «principali espedienti ai quali un sistema norma-tivo ricorre per ottenere il massimo di osservanza dei suoi precetti», spec. pp. 531-533.
25
di impedire le irregolarità contestate, rispetto alla quale la precedente verifica rappresenta un presupposto. Si tratta, dunque, in primo luogo di capire quando si sia di fronte ad un soggetto che svolge funzioni di controllo in senso stretto e, in secondo luogo, appurare se a queste cor-rispondano anche poteri di reazione. Un’analisi di questo tipo risponde alle domande: quali sono i «controlli» nelle società di capitali e da chi sono operati? E in un secondo momento: quali poteri possono risultare d’interesse per l’impedimento di un reato?
Certo, però, bisogna anticiparlo, non sarà possibile studiare i poteri riferibili a tutti i controlli societari: l'analisi diventerebbe ecces-sivamente ampia e trascenderebbe i limiti e gli scopi della presente trattazione. Quindi, se è vero che in un primo momento individueremo in termini generali quali sono i controlli nelle S.p.a., limiteremo l’analisi delle potenzialità impeditive ai soli poteri della Consob, per poi trarne le possibili applicazioni in sede penalistica.
2.2. La funzione di controllo “in senso stretto”.
È preliminare – e utile ai nostri scopi – chiarire a cosa alluda il concetto di “controllo”. “Controllo” è la traduzione del vocabolo fran-cese contrôle, forma contratta di contre rôle, che a sua volta deriva dal latino contra rotolum. L’etimologia si riferisce all’attività di confronto e di verifica della corrispondenza delle cifre riportate in quegli antichi documenti contabili denominati rotulum e contra-rotolum. L’ormai diffusissimo vocabolo è dunque nato, curiosamente, proprio nel ramo delle attività finanziarie59, più specificatamente nel contesto
ammini-strativistico, per poi diffondersi nel linguaggio comune e in quello spe-cialistico di altre discipline giuridiche. Oggi, nel diritto commerciale, identifica una delle funzioni fondamentali degli apparati di governo societario.
59 R. RUSSO, S.p.a.: una “regola d’uso” per “controllo” e “vigilanza”?, in Nuovo