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PROSOPOGRAFIA: METODO, PROBLEMI E PROSPETTIVE

2.2 Onomastica e parentele

Per una qualsiasi ricerca prosopografica, qualora le fonti esaminate siano di natura epigrafica, l’onomastica si configura come uno degli ambiti di ricerca più frequentati. Lo studio dei nomi rappresenta una valida spia per determinare lo status sociale dei soggetti, qualora esso non sia diversamente esplicitato attraverso specifici titoli all’interno dell’iscrizione che li menziona.

La formula appellativa mette in luce in particolar modo la posizione sociale occupata dai membri di una gens e le loro strategie di alleanza, realizzate attraverso adozioni o, più comunemente, tramite matrimoni, per i quali le donne venivano a svolgere un ruolo essenziale per le dinamiche relazionali delle famiglie coinvolte. Inoltre, l’aspetto onomastico costituisce un utilissimo strumento per individuare l’origo di una un gruppo parentale, attraverso un’attenta mappatura delle iscrizioni ad esso ascrivibili; è possibile anche servirsi dell’onomastica per tentare di ricostruire i rapporti genealogici che intercorrono tra individui della stessa gens, oppure tra una famiglia e altre gentes90. Tale è il caso dei meccanismi relazionali,

contratti per via matrimoniale, dai Cominii con i Desticii e da questi ultimi con i

Sallustii91.

Per quanto concerne la ricostruzione dell’albero genealogico della gens Desticia si rileva un problema di notevole rilevanza: l’omonimia92. La trasmissione ereditaria non solo del gentilicium Desticius, così come previsto dal sistema onomastico latino, ma anche del cognomen Iuba, tra i Desticii concordiesi di rango senatorio costituisce un ostacolo per una chiara proposta ricostruttiva dei loro legami familiari.

Nell’onomastica trimembre latina, il soprannome rappresenta uno degli indicatori più importanti della condizione sociale degli individui: ad esempio, se esso presenta

90 Sulla parentela come strategia di alleanza si veda Moreau 1990; posteriormente, anche Raepsaet-

Charlier 1999; Devijver 1999. Cfr. sull’uso e dell’abuso dell’esegesi onomastica Solin 2003a, pp. 279-286; Solin 1974, pp. 105-132.

91 A tal proposito si rimanda ai paragrafi 4.2.1.1 e 4.2.1.2.

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una matrice grecanica, significa che il soggetto appartiene al rango libertino93.

Inoltre il cognomen rappresenta un utile elemento di datazione, giacché la sua assenza risulta essere indice di arcaicità dell’iscrizione94.

Allo stesso modo, l’omissione nella documentazione epigrafica del praenomen si configura quale indizio di posteriorità del titulus, dal momento che esso comincia a cadere in disuso all’incirca a partire dal III secolo d.C.95.

Nel caso in esame, il cognomen Iuba, di diffusione alquanto rara, ma ereditario all’interno della gens Desticia concordiese, allude probabilmente alla caratteristica fisica dei capelli folti96. Tuttavia, non è da escludere97, l’impiego di tale soprannome dal carattere esotico in conformità ad una precisa volontà interna alla famiglia dei Desticii, magari con fini nobilitanti della propria gens98, giacché il

cognomen Iuba può rimandare alla dinastia dei re Iubae di Numidia, la quale nel

periodo tardo repubblicano aveva frequenti contatti con l’aristocrazia senatoria romana99. Infatti, nel novero delle sole undici iscrizioni, attestate in tutto il territorio occidentale dell’impero a partire dal periodo proto-imperiale, in cui viene menzionato tale soprannome, esso risulta distribuito come segue:

- cinque Desticii di origine concordiese di rango senatorio100;

- un liberto, Q. Ancarenus Iuba, ricordato a Roma in un titulus sepolcrale101;

- un soggetto non meglio precisabile che in una tabula onoraria rinvenuta a Terracina si qualifica con l’appellativo di filius regis Iubae102;

- una donna di rango servile, menzionata in un’epigrafe sepolcrale di provenienza Urbana come serva regis Iubae103.

93 Solin 1977, pp. 161-175; Solin 1996; Solin 2001a, pp. 307-330. 94 Kajanto 1997, pp.103-111.

95 Cfr. Kajanto 1977, pp. 421-430; Kajanto 1997, pp. 103-111. 96 Kajanto 1965, pp. 111, 222.

97 Così Bertolini nel documento nr. 3 trascritto nell’“Appendice documentaria. Parte I” del presente

lavoro, seguito da Broilo 1980, p. 52.

98 A proposito della ripresa di nomi illustri e perciò nobilitanti, nel contesto municipale, si veda Solin

2001b, pp. 411-413, 427.

99 In generale, a proposito dell’Africa romana, si rimanda da ultimo a Ruggeri 2015. Per i rapporti

tra Roma e la Numidia si veda Saumagne 1966; Löffl 2014, pp. 64-71; Balbo 2016, pp. 71-81.

100 Nrr. 8, 9, 10, 11, 14, 16.

101 CIL VI, 33843. Cfr. anche Velestino 2015, p. 92. 102 AE 1986, 124.

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Dunque, seppur in via ipotetica, si può supporre che il largo impiego che la gens

Desticia fece di questo soprannome, in netta contrapposizione all’uso alquanto

sporadico del medesimo in altri contesti, non può che legarsi ad una precisa caratteristica specifica della famiglia considerata.

Il fatto che tutti i Desticii di rango senatorio presentino nella loro formula appellativa, laddove esso sia presente, anche il medesimo prenome Titus, complica ulteriormente i tentativi di ricostruire la loro genealogia. Inoltre, la cronologia che si può loro attribuire si basa, per la maggior parte delle volte, su elementi esterni, quali, ad esempio, altre iscrizioni, i titoli onorifici, la nomenclatura delle province o la paleografia delle epigrafi. Fa eccezione Desticius Iuba Macer Rufus (---)tilius

(---)vius, figlio di un C(aius) Desticius: secondo la logica ereditaria, egli portava

probabilmente come praenomen quello del padre, quindi Caius. Allo stesso modo, dei Desticii-Salustii di Industria e del Desticius attestato in Britannia sono ignoti i

praenomina; riguardo quest’ultimo, sembra logico, come si è detto poc’anzi,

attribuire tale omissione alla cronologia tarda, prossima alla metà III secolo d.C.104. Anche le Desticiae di sesso femminile si caratterizzano per la medesima problematica. Tralasciando la liberta Desticia Philenis, le altre due donne, appartenenti al ceto senatorio, risultano omonime (entrambe si chiamano Desticia

Plotina105), sebbene non si tratti della medesima persona.

104 Cfr. Kajanto 1977, pp. 421-430; Kajanto 1997, pp. 103-111. 105 Nrr. 3, 13, 14.

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