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L’Ordine di Indagine Europeo (OIE)

CAPITOLO IV Gli approfondimenti: Ordine di Indagine Europeo - Digital Evidence - Sequestri e

4.1 L’Ordine di Indagine Europeo (OIE)

Il Desk italiano ha supportato le esigenze di cooperazione giudiziaria delle autorità italiane in molti casi nei quali le stesse hanno adottato ordini di indagine europei.

Si tratta di un trend crescente, a conferma della necessità di avvalersi della mediazione di Eurojust per facilitare la fase esecutiva e superare le asimmetrie normative tra gli ordinamenti nazionali.

L’info-grafica che segue è rappresentativa del trend:

Nelle relazioni degli anni precedenti si è ampiamente trattato l’aspetto del regime transitorio previsto dagli artt. 34 e 35 della direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa all’ordine europeo di indagine penale (OIE), le cui problematiche devono ritenersi ormai superate. Negli ultimi due anni l’attività di analisi di Eurojust si è concentrata sulle buone prassi emergenti e sulle problematiche derivanti

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Coinvolgimento dell'Italia in casi riguardanti gli OEI

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dall’applicazione dello strumento di cooperazione giudiziaria. Un primo aggiornamento sulle prassi applicative dell’EIO è rinvenibile nella nota congiunta di Eurojust e della Rete Giudiziaria Europea sull’ applicazione pratica dell’Ordine Europeo di indagine del giugno 2019 (recuperabile in versione italiana nel sito del CSM nello spazio riservato alla documentazione del desk italiano di Eurojust).

A distanza di tre anni dall’ entrata in vigore della direttiva, nel novembre 2020 Eurojust ha pubblicato un Rapporto sulla applicazione dell’Ordine d’Indagine Europeo nelle procedure di acquisizione transfrontaliera della prova nei rapporti tra i Paesi membri UE. Il documento è stato fornito alle Autorità nazionali ed è rinvenibile in inglese nel sito del CSM nell’ area riservata al desk italiano di Eurojust. Lo scopo del rapporto è quello di informare sulle principali difficoltà incontrate nell’applicazione pratica dell’Ordine europeo di indagine (OEI) sulla base del lavoro di Eurojust (circa 1500 casi sono stati esaminati) e delle soluzioni che sono state adottate. Di particolare interesse per le autorità italiane sono le problematiche attinenti ai seguenti temi:

Sequestro probatorio e sequestro preventivo; l’esperienza fatta in questi anni attesta una interpretazione restrittiva fornita dagli altri Paesi in merito alla estensione dell’istituto del sequestro probatorio (per il quale lo strumento previsto è l’ordine di indagine europeo).

Tendenzialmente i beni fungibili, e in generale le cose pertinenti al reato e non strettamente funzionali alle esigenze probatorie dello stesso, sono aggredibili solo attraverso il certificato (in precedenza emesso ai sensi del Decreto Legislativo n. 35/16 ora sostituito dal regolamento 2018/1805 del quale si parlerà in seguito). Pertanto, nel caso in cui le autorità nazionali abbiano necessità di individuare preliminarmente e poi sequestrare (con un freezing order) beni situati all’Estero, questo desk ha suggerito la seguente pratica, che potrebbe consolidarsi come pratica ricorrente: emissione contemporanea dell’ordine di indagine finalizzato alla individuazione dei beni e del certificato (basato su un provvedimento di sequestro preventivo per equivalente), in modo tale da evitare il pericolo di soppressione o dispersione del bene (come può avvenire ad esempio nel caso della provvista su un conto corrente). Ai fini della preliminare individuazione dei beni, questo desk suggerisce altresì di effettuare un tentativo attraverso la rete ARO (Asset Recovery Office), la cui unità italiana ha sede presso il Ministero degli Interni1.

Il principio di specialità; il principio di specialità è previsto per il mandato di arresto europeo (vedasi art. 26 L. 69/2005) ma non nella direttiva sull’ ordine di indagine europeo. Da ciò le diverse interpretazioni date dalle Autorità dei diversi Paesi. Il problema è il seguente: se il materiale probatorio ottenuto attraverso l’ordine di indagine europeo possa essere utilizzato anche in altri procedimenti domestici, diversi da quelli nei quali l’ordine è stato emesso. Pur in presenza di diverse interpretazioni2, il suggerimento che emerge dalla pratica è quello di chiedere l’ autorizzazione alla autorità straniera che ha dato esecuzione all’ordine di indagine di potere utilizzare il materiale probatorio anche in altro procedimento interno.

1 ARO (Asset Recovery Office istituito presso il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia – SCIP - Direzione Centrale Polizia Criminale presso il Ministero dell’Interno) via Torre di Mezzavia 9/121, 00173 Roma (Italy) TEL: +39-06-46542182 e 46542500 E-MAIL: aroitalia@dcpc.interno.it.

2 La lettura che viene data da alcuni è la seguente: in mancanza di un espresso richiamo al principio di specialità, una volta acquisito il materiale probatorio all’interno del procedimento dell’autorità richiedente, il

Le intercettazioni; il 6 giugno 2018 questo Desk aveva trasmesso una nota relativa all’utilizzo dell’allegato C alla Direttiva 2014 del 2017, fornendo alcuni suggerimenti sulla compilazione e sull’invio della suddetta notifica nel caso in cui le intercettazioni avvenissero nel territorio di altro Stato membro dell’Unione senza la necessità di supporto tecnico (art. 44 Decreto Legislativo n. 108/17).

Un nuovo documento è stato recentemente elaborato dall’Ufficio italiano in materia di intercettazioni, per fornire ai colleghi ulteriori informazioni, anche pratiche, al fine di facilitare l’utilizzo dello strumento dell’ ordine di indagine nei rapporti con gli altri Stati con particolare riguardo alle richieste di intercettazioni ambientali, di utilizzo di conversazioni avvenuto all’interno di autovetture “ambientalizzate” e della possibilità di chiedere alle autorità giudiziarie straniere l’utilizzo del captatore informatico (cd. Trojan horse) per l’esecuzione di intercettazioni da eseguirsi nel territorio straniero.

Fino all’entrata in vigore dell’EIO l’intercettazione di comunicazioni tra presenti eseguita a bordo di una autovettura attraverso una microspia installata nel territorio nazionale, dove si svolge altresì l’attività di captazione, non richiedeva l’attivazione di una rogatoria per il solo fatto che il suddetto veicolo si spostasse anche in territorio straniero ed ivi si svolgessero alcune delle conversazioni intercettate (Cass. Sez. 2, n. 51034 del 04/11/2016 - dep.

30/11/2016, Potenza e altri, Rv. 26851401). Con l’entrata in vigore dell’EIO non vi è dubbio che nel nostro ordinamento l’ipotesi di cui sopra rientri nelle disposizioni di cui agli artt. 24 e 44 Decreto Legislativo n. 108/17 che prevedono la notifica al Paese di transito dell’allegato C.

In realtà non tutti i Paesi aderenti all’EIO hanno implementato nello stesso modo le norme della Direttiva sulla cooperazione in materia di intercettazioni (artt. 30 e 31); in particolare sono due i punti oggetto di contrasto: l’interpretazione del termine

“telecomunicazioni” utilizzato dal legislatore europeo e il potere di sindacato da parte del Paese esecutante sulla base della verifica che l’atto di indagine richiesto sia ammesso nell’

ordinamento domestico in “un caso analogo”. Molti Paesi dell’Unione hanno trasposto nei loro ordinamenti interni il termine il termine telecomunicazioni in senso letterale-restrittivo, ritenendo che non vi rientrino le intercettazioni ambientali che vanno invece inserite nella categoria della surveillance (pedinamento, monitoraggio); la conseguenza è che, per tali Paesi, non va applicata la normativa specifica di cui agli artt. 30 e 31 sopra richiamati bensì quella generica sull’ EIO (utilizzando l’allegato A). Il Desk italiano si è fatto carico di sensibilizzare i colleghi degli altri Paesi sia a livello di caso concreto che di analisi normativa. Poiché però, allo stato, la prassi applicativa risente di tali asimmetrie, si è ritenuto prioritario cercare di fornire supporto alle autorità italiane nel tutelare il più possibile la utilizzabilità processuale del materiale probatorio raccolto all’ estero con le indagini tecniche. Analoghe problematiche sono state esaminate con riguardo al captatore informatico (trojan horse) e le intercettazioni ambientali in privata dimora, poiché non tutti i Paesi dell’Unione prevedono tali strumenti investigativi. In base ad un monitoraggio effettuato all’ interno dell’Agenzia è stato possibile verificare la posizione dei singoli Stati, con la conseguenza che per molti occorre redigere un allegato A), da notificare prima che il target entri nella giurisdizione straniera. Tali temi sono stati in dettaglio analizzati nel contesto di un documento ad hoc di recente inviato a tutte le autorità nazionali.

Le problematiche indicate sono le più rilevanti, ma non le sole, emerse in questi primi anni di applicazione dell’ordine di indagine. Certamente lo strumento ha notevolmente semplificato la cooperazione tra i Paesi aderenti ma, allo stesso tempo, necessita di miglioramenti dei quali si sta facendo carico la Commissione dell’Unione Europea in stretta collaborazione con Eurojust e la rete Giudiziaria Europea. In particolare, la modulistica sarà oggetto di revisione e semplificazione così come il settore delle intercettazioni sarà oggetto di specifica analisi, come peraltro previsto dall’ art. 37 DIR 2014/41/EU.

La prossima frontiera in materia è quella di un sistema integrato di collegamento tra le Autorità giudiziarie dei Paesi dell’Unione (Digital Justice- E-EDEX) che renda ancora più agevole ed immediato lo scambio informativo e il flusso di richieste e risposte in un contesto di sicurezza telematica. Tale progetto, che ormai è in avanzata fase di sperimentazione, avrà comunque tra i suoi protagonisti l’Agenzia che continuerà a fornire il supporto e il coordinamento necessari.