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Il Servizio Sanitario Nazionale è quindi l’istituzione attraverso la quale lo Stato garantisce ai propri cittadini il diritto costituzionale alla tutela della salute (art. 32 della Costituzione).

Organo principale del Servizio Sanitario Nazionale è il Ministero della Salute, il quale, attraverso il Piano sanitario nazionale approvato dal Parlamento, definisce gli obiettivi generali da raggiungere per la salute pubblica, l'importo del fondo sanitario, il criterio di ripartizione di tale fondo alle Regioni che, mediante le Aziende Sanitarie Locali (ASL)garantiscono l'attività dei servizi sanitari. Il Ministero stabilisce inoltre i criteri per l'erogazione di questi servizi, le linee guida per la formazione e l'aggiornamento di medici, infermieri e tecnici, nonché i sistemi di controllo e verifica dei risultati ottenuti.

Il Ministero è costituito da uffici centrali organizzati in tre dipartimenti62,a loro volta divisi in direzioni generali:

1. Dipartimento della sanità pubblica e dell’innovazione: gli competono le attività di coordinamento e vigilanza e di intervento diretto di spettanza statale in ambito di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, delle

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condizioni di vita delle persone, di promozione e sviluppo della ricerca;

2. Dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del Servizio sanitario nazionale: gli sono attribuite, tra le tante, le attività di coordinamento, vigilanza e intervento diretto di competenza statale in materia di sviluppo, monitoraggi e programmazione di sistemi di garanzia della qualità del SSN, formazione del personale del SSN, assistenza sanitaria all’estero;

3. Dipartimento della sanità pubblica veterinaria, sicurezza alimentare e organi collegiali per la tutela della salute: ha competenza in materia di sanità pubblica veterinaria, valutazione del rischio in materia di sicurezza alimentare, funzionamento del Consiglio superiore di sanità, alimentazione animale.

Concorrono, poi, al funzionamento del SSN altri organi e istituti, che sono alle dipendenze del Ministero63:

- L'Istituto Superiore di Sanità (ISS)è l'organo tecnico- scientifico che si occupa principalmente di predisporre piani di ricerca, sperimentazione e formazione. Il suo ruolo è

63 Baggio S., La responsabilità della struttura sanitaria, Giuffrè Editore,

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decisivo nella preparazione dei piani sanitari nazionali, nella promozione di sperimentazioni cliniche di nuovi farmaci o metodi di cura, nella promozione di convegni e dibattiti scientifici a carattere nazionale e internazionale.

- Il Consiglio Superiore della Sanità è costituito da 50 membri non di diritto (dirigenti universitari, dirigenti di struttura complessa del sistema sanitario nazionale, esperti di materie, magistrati) e membri di diritto indicati dal ministero, tra cui il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e il direttore generale dell’AIFA. Verifica gli interventi nel campo dell'igiene e della salute pubblica, dando poi il suo parere agli organi decisionali; ha diritto alla revoca di farmaci sul mercato e può impedire l'approvazione di quelli nuovi.

- La Agenzia italiana del Farmaco(AIFA) è un’istituzione di recente introduzione. Tra i suoi compiti vi è quello di registrare i medicinali in tempi brevi che servono a curare le malattie rare e quelle malattie che attualmente non hanno possibilità di cura alternative. Responsabilità dell'Agenzia è anche la comunicazione e il sistema di informazione sui farmaci alla popolazione, la vigilanza e il controllo delle officine di produzione farmaceutiche, la verifica sull’applicazione delle leggi in merito alla distribuzione, importazione, esportazione e buon funzionamento delle procedure di allerta e emergenza. Assicura efficienza e trasparenza di tutte le procedure amministrative con un

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meccanismo di tracking di ogni procedura e inoltre comprende l'attività della Commissione Unica del Farmaco con il compito di stilare il prontuario dei farmaci che sono disponibili in commercio, specificando quelli da vendere dietro presentazione della prescrizione medica (dispensabili dal SSN e non), e quelli da banco.

- L'istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) è stato un organo tecnico-scientifico che tutelava la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro collaborando direttamente con enti pubblici e privati. Oltre a fare da consulente al ministero nella redazione dei piani sanitari, l'ISPESL si occupava della progettazione di metodi e criteri standard per valutare i rischi a cui può essere soggetta la salute dei lavoratori, formulando proposte per una migliore sicurezza. Quest’organo è stato poi soppresso, nell’ambito di un progetto di revisione e ottimizzazione della spesa pubblica destinata alle risorse nel settore sanitario, dalla legge 122/2010 e oggi le sue funzioni sono svolte dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro).

- Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali sono i canali attraverso i quali le Regioni e le Provincie possono apportare ricerche sull'igiene e sulla conformità degli allevamenti e delle produzioni zootecniche e, quindi, sulla sanità veterinaria.

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Inoltre assicurano il costante aggiornamento di veterinari e altri operatori del settore zootecnico.

2.6 Le competenze, in materia sanitaria, Stato-Regioni… La riforma che influisce in misura maggiore sulle tecniche di tutela del diritto alla salute è quella che si è avuta nel 2001. Precedentemente l’art. 117 della Costituzione attribuiva la potestà legislativa esclusiva allo Stato e alle Regioni a Statuto speciale per le materie indicate nei rispettivi statuti. I limiti a questo potere, oltre al rispetto della Costituzione, erano costituiti da: “i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”, “le norme fondamentali delle riforme economiche e sociali”, “gli obblighi internazionali dello Stato”. Un elenco tassativo individuava inoltre le materie di competenza concorrente Stato-Regioni, in cui le Regioni disciplinavano una materia nel rispetto dei principi fondamentali indicati dallo Stato, del limite dell’interesse nazionale e quello delle altre Regioni: di conseguenza le Regioni non avevano una potestà legislativa autonoma64.

Successivamente, con la legge costituzionale n.3 del 2001, recante le modifiche al Titolo V della parte II della Costituzione, questo scenario è mutato. Nel lungo elenco delle

64Martinez T., Ruggeri A., Salazar C., Lineamenti di diritto regionale,

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materie di competenza esclusiva statale compare, all’art. 117, comma secondo, lettera m), quella sulla “determinazione dei livelli essenziali 65delle prestazioni concernenti i diritti civili e

sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, mentre la «tutela della salute», concetto più ampio rispetto al precedente «assistenza sanitaria ed ospedaliera», viene definita materia di competenza concorrente Stato- Regioni (III° co. Cost.). Nonostante sia quindi un sistema sanitario decentrato, esso ha come scopo la tutela della salute uniforme su tutto il territorio, almeno per quanto riguarda le prestazioni considerate essenziali comprese nei LEA: lo Stato decide quali trattamenti rientrano nei LEA e, suddividendo le risorse tra le Regioni, garantisce il loro finanziamento. Si può notare come a livello operativo il ruolo decisivo sia quello delle Regioni. Il modo in cui esse gestiscono la quota di FSN che gli viene destinata stabilisce la possibilità per gli utenti di fruire di un servizio più o meno soddisfacente; l’offerta di prestazioni ulteriori a quelle dei LEA a carico del sistema pubblico dipende dalle diverse normative regionali, di modo che i servizi disponibili, almeno in parte, sono diversificati.

Sulla questione se i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali fossero una materia in senso

65Il riferimento ai livelli essenziali si rinviene anche nell’art. 120 Cost.,

ove si prevede che “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni [...] quando lo richiedono [...] in particolare la tutela dei livelli

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stretto, la Corte Costituzione, nella sentenza n. 282 del 2002, ha chiarito che si tratta di una “competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”. Ciò comporta a riconoscere al livello centrale un potere decisamente ampio, in grado di coinvolgere ambiti rientranti anche nella competenza regionale. In realtà bisogna considerare che lo Stato svolge il ruolo di tutore dell’interesse nazionale anche a “discapito delle competenze regionali”66.

Nella sentenza n. 88 del 2003 si legge infatti che: «l’inserimento nel secondo comma dell’art. 117 del nuovo Titolo V della Costituzione, fra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto ».

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Si è visto che l’art. 117 Cost. indica tra le materie attribuite alla competenza concorrente delle Regioni la “tutela della salute”: di conseguenza le Regioni hanno ampi spazi di autonomia nella configurazione del regime organizzatorio e funzionale dei propri servizi sanitari, vedendo loro attribuite, ad esempio, le decisioni in materia di accreditamento, di sperimentazioni gestionali, di assistenza indirettae importanti competenze per quanto riguarda l’assistenza farmaceutica67.

Alla legislazione nazionale seguono norme regionali, presenti in fonti di rango primario o in atti di programmazione, che determinano l’insorgere di differenze tra le regioni, differenze dovute anche dalle diverse concezioni politiche e prassi di gestione delle tematiche sanitarie, e caratterizzate dal combinarsi di vari fattori.

In primo luogo, i modelli regionali si differenziano per la realtà assistenziale di riferimento e per i bisogni della popolazione: domanda ed offerta dei servizi sanitari, difatti, differiscono tra loro nelle diverse realtà regionali.

In secondo luogo, i modelli regionali possono configurarsi come sistemi “aperti”, in cui viene riconosciuto ampio spazio alla concorrenza tra strutture e alla libertà di scelta dell’utente, o come sistemi “programmati”, in cui predominante è il ruolo

67 Vitiello B., La sanità pubblica: specchio della realtà dei rapporti Stato-

Regioni (con riferimenti alla finanziaria 2007), in Le istituzioni del federalismo, n 6/2006, Maggioli Editore.

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esercitato dall’amministrazione titolare del servizio nella predisposizione dell’offerta.

In terzo luogo, i modelli regionali si possono distinguere per il rapporto tra Regione ed Asl, che può essere più o meno dirigistico o invece caratterizzato da una maggiore autonomia.

Infine i Servizi Sanitari Regionali differiscono per il maggiore o minore coinvolgimento delle risorse private, sia in sede di erogazione, sia nello svolgimento delle attività strumentali all’esercizio dei compiti istituzionali.

2.6.1 … e dei Comuni

L’autonomia regionale in materia sanitaria implica che per conseguire gli obiettivi di tutela della salute nei contesti locali vengano a crearsi alleanze e azioni coordinate tra ASL e enti locali, in primis i Comuni. I decreti legislativi di riordino del SSN del 1992/1993 hanno provocato una sorta di frattura tra Comuni e USL: difatti le USL sono mutate in ASL, diventando enti strumentali della Regione e non più strutture operative dei Comuni, e la loro conduzione è stata assegnata non più ai comitati di gestione eletti dai Comuni ma ai direttori generali di nomina regionale. Gli interventi di legge in ambito socio-sanitario (quali il decreto legislativo 229/1999 e DPCM del 29 novembre 2001 che vedremo successivamente) hanno continuato a mantenere distinte le

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competenze e le dotazioni finanziarie del settore sanitario rispetto a quello degli enti locali, indicando mezzi di programmazione per favorire una maggiore integrazione istituzionale e operativa tra ASL, Comuni e altri enti a livello di distretto socio-sanitario68. I Piani Sanitari Regionali

sottolineano l’importanza della collaborazione tra aziende sanitarie e enti locali, utilizzando quanto messo a disposizione dalla normativa nazionale, come i piani di zona e quelli attuativi locali, facendo sì che le Regioni possano sperimentare nuovi modelli di programmazione negoziata e di organizzazione integrata nell’assistenza socio-sanitaria territoriale. Secondo l’art 118 Cost., i Comuni hanno l’esercizio delle funzioni amministrative e, solo nel caso in cui sia necessario assicurare l’esercizio unitario, possono conferirlo a livelli di governo superiori (Provincie, Città metropolitane, Regioni e Stato). In linea generale, le competenze sono così ripartite69: l’ASL gestisce le prestazioni sanitarie ospedaliere e

territoriali di cui ai Lea (DPCM 29 novembre 2001); le prestazioni a elevata integrazione socio-sanitaria (art 3 septies, comma 5 D. Lgs. 502/92); le prestazioni sanitarie a rilevanza

68 Muraro G., Rebba V. (a cura di), Nuove istituzioni per l’assistenza

socio-sanitaria. Principali esperienze nazionali ed estere, Franco Angeli, Milano, 2009.

69 Anche se nel corso del tempo si sono sviluppati modelli basati su

accordi gestionali tra ASL e Comuni, arrivando anche a forme di gestione unitaria con autonoma personalità giuridica per un insieme di prestazioni socio-sanitarie, come le Società della Salute in Toscana.

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sociale (art3 septies, comma2, lett. a D. Lgs. 502/92). I Comuni gestiscono: le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria (art 3 septies, comma2, lett. b del D. Lgs. 502/1992), le prestazioni sociali di cui ai livelli essenziali dell’art 22 legge 328/2000 e altre prestazioni sociali.

Importanza assume il D. Lgs. 229 del 1999 attraverso l’introduzione nel testo dell’art. 2 del D. Lgs. 502 del 1992 dei commi 2 bis e 2 ter, che disciplinano la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale. È questo lo strumento previsto dal legislatore per assicurare il coinvolgimento degli enti locali nelle funzioni regionali di programmazione e di valutazione. L’attività della Conferenza consiste principalmente nel parere obbligatorio nel procedimento di adozione del Piano Sanitario Regionale, nella partecipazione alla verifica della realizzazione del piano attuativo locale da parte delle aziende ospedaliere, nel parere nell’ambito del procedimento di verifica dell’operato dei direttori generali delle aziende ospedaliere e nel potere di impulso per la revoca o non riconferma degli stessi. Con riguardo alle Aziende unità sanitarie locali analoghe funzioni sono affidate alle Conferenze dei Sindaci.

Nel dare attuazione a queste previsioni, che ben poco spazio lasciano alla discrezionalità del legislatore regionale, le normative regionali hanno inciso sulla composizione dell’organo. Fanno parte della Conferenza il Sindaco o il

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presidente della Conferenza dei sindaci, i rappresentanti delle associazioni regionali delle autonomie locali, nonché (come nel caso delle Marche) i presidenti delle Province e delle Comunità montane, i rappresentanti delle Regioni o di altri enti, quali l’Università (è il caso del Piemonte), i presidenti delle assemblee dei sindaci di ambito distrettuale (come per il Friuli-Venezia Giulia).

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