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1.3 Prospettive teoriche

1.3.1 Originalità e Riconoscimento

Perché un remix esista occorre la compresenza di due componenti: uno o più originali da cui sono stati prelevati i frammenti che compongono il remix e un'opera seconda, derivativa, che li contiene e li modifica in altro.

Il tema dell'originalità e del riconoscimento delle parti remixate da parte degli spettatori diventa, quindi, di centrale importanza nella trattazione del fenomeno e porta con sé come corollari la trattazione dei concetti di “storicità” e “riflessività” del/nel remix e nella pratica del remix.

La questione dell'originalità è intimamente collegata al tema della copia e, quindi, si lega a doppio filo con le questioni legali riguardanti il copyright.

Come abbiamo in parte già rilevato nella sezione dedicata alla fase di selezione nel

remix221 l'atto di appropriazione di un originale o di sue parti porta con sé innumerevoli ripercussioni sull'opera derivativa, ripercussioni dovute da una parte alla natura proprietaria dei materiali remixati e, dall'altra, allo stigma culturale proprio dell'atto del copiare, inteso come plagio e associato alla mancanza di creatività e originalità da parte del secondo autore.

Marcus Boon, nell'introduzione alla sua elegia della copia, In praise of copying, ci ricorda che:

many of the boundaries we have set up between activities we call “copying” and those we call “not copying” are false, and […] objectively, phenomena that involve copying are everywhere around us. Indeed, they are a crucial factor in our ability to make sense of ourselves and the world222.

Ma se il concetto che la copia, intesa come imitazione, faccia parte dell'umano modo di conoscere e trasmettere conoscenza è oramai piuttosto radicato, ci troviamo nel caso della

221 Si veda infra 1.1.3. 222 M. Boon, op.cit., p. 10.

pratica del riuso di fronte a un mondo – quello dell'arte ma anche quello legato ai processi produttivi – in cui il distinguere una copia da un originale assume su di sé tali ripercussioni in termini di valore economico, status, capitale culturale, “aura”, che il problema non può essere liquidato facilmente. Rosalind Krauss in L'originalità dell'avanguardia decostruiva il mito romantico dell'originalità artistica a favore di una pratica di ripetizione e ricorrenza che caratterizza anche lo spazio dell'arte che più si pensa votato a fare tabula rasa del passato e partire da zero, ovvero l'avanguardia223. E il détournement debordiano del “plagio necessario” conferma ulteriormente questa posizione. Tuttavia, nel campo del

remix contemporaneo l'idea di “originale”, così come l'idea di “autore”, intesi come entità

da proteggere ristagna in una molteplicità di ambiti.

Il tema della mancanza di originalità delle opere derivative è, ad esempio, una delle armi maggiori nelle mani dei legislatori che perseverano nel perseguitare le pratiche di remix come illegali e contrarie all'etica – di facciata – che vorrebbe il copyright come strumento a difesa dei diritti dei creatori “originali” delle opere, garante di quell'equo compenso che fornisce all'artista indipendenza economica e artistica. “Non si può essere veramente creativi se la tua creatività è basata sulla creatività altrui”, risponde scioccata una funzionaria governativa di un ufficio brevetti e copyright al documentarista Brett Gaylor che le domanda – mostrandole le immagini di un musicista che utilizza campionamenti per comporre i propri brani – perché la legislazione vigente dovrebbe frenare la palese creatività di un individuo per proteggere brandelli quasi irriconoscibili di materiali “originali” creati da altri224. Il concetto di creatività connesso all'idea di originalità della pratica del riuso è parimenti utilizzato dai promotori della cosiddetta cultura libera per difendere e sostenere una visione alternativa del remix: “we wish to defend the idea of a creative field of concepts and ideas that are free from ownership225”.

Non è un caso che Lawrence Lessig, nel propugnare le ragioni di un'auspicata apertura delle norme del copyright, definisca l'oggetto della sua analisi “culture della creatività226” nonostante la sua trattazione si concentri sull'industria dell'intrattenimento dal punto di vista dei processi produttivi di tipo economico e commerciale: sotto il profilo retorico l'appello alla creatività ha un grado di attrazione ed efficacia infinitamente maggiore

223 cfr. Rosalind E. Krauss, L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, Roma, Fazi, 2007, pp.

171–172.

224 cfr. RIP! A Remix Manifesto (Brett Gaylor, 2008).

225 David M. Berry, Giles Moss, Libre Culture: Meditations On Free Culture, Provo, Repressed Publishing

LLC, 2012, p. 4.

226 Lawrence Lessig, Remix: il futuro del copyright (e delle nuove generazioni), Milano, ETAS, 2009, p.

rispetto ad altri concetti, perché è radicato nell'immaginario collettivo come “qualcosa che va preservato227”. Il concetto dell'unicità e importanza dell'originale è talmente insito nel ragionamento culturale legato all'arte che le formule ideate fino a questo momento per tutelare il riuso si sono finora appellate o alla parzialità del riuso (quantificare quanto dell'originale viene appropriato e modificato) o alla trasformatività dello stesso (giudicare

come l'originale è stato modificato). Prendiamo, ad esempio, le norme che regolano il fair use, che non è una legge come sono quelle sul copyright ma una dottrina nata nella

legislazione statunitense – e presente in realtà in molti paesi tra cui anche l'Italia228 – creata per salvaguardare ogni utilizzo trasformativo di materiale protetto da copyright (fatto senza chiedere la liberazione dei diritti) per la creazione di lavori che abbiano l’intento di commentare, criticare o parodiare tali materiali229. Il fair use è stato frequentemente chiamato in causa nell'ultimo decennio come strumento da utilizzare per difendere a livello legale le varie forme di remix: le corti di giustizia, che giudicano caso per caso, hanno a disposizione quattro fattori per stabilire se nell'opera derivativa in questione il fair use sia correttamente utilizzato o meno. I quattro fattori sono: lo scopo dell'utilizzo di materiali protetti (ad esempio, per fini didattici o critici), la natura di questi materiali (se sono materiali editi o inediti), la quantità e la rilevanza delle parti utilizzate (se i campionamenti fatti sull'originale ne prelevano solo piccole parti o si estendono all'opera intera) e, infine, gli effetti del riuso sul mercato potenziale del contenuto protetto (se l'opera derivativa può in qualche modo ledere il mercato di riferimento dell'originale). É rilevante notare come il

227 Creatività, comunità creative, pratiche creative sono solo alcuni dei termini utilizzati frequentemente in

testi che trattano il tema del copyright. Tra questi possiamo ricordare la proposta di istituire un contributo per ricompensare i detentori dei diritti in caso di condivisione dei loro prodotti fuori dagli scambi di mercato. (Philippe Aigrain, Sharing. Culture and the Economy in the Internet Age, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2012, pp. 59–135.; D.M. Berry, G. Moss, op.cit., pp. 4–11.; S. Vaidhyanathan, op.cit.).

228 Nei paesi del Commonwealth il fair use è conosciuto come fair dealing mentre nella legislazione è stato

introdotto nel 2007 attraverso un emendamento all’articolo 3 dell’IPRED2–Second Intellectual Property Rights Enforcement Directive

(http://eur; lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52006PC0168:EN:NOT).

In Italia, stando alle dichiarazioni ufficiali sarebbe previsto “implicitamente” nell’ art.70 e nel comma 1-bis della Legge sul diritto d’autore

(http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_15/ShowXml2Html.Asp?IdAtto=8215 Stile=5). Sul fair use si vedano anche P. Aufderheide, P. Jaszi, op.cit.; Center for Social Media, “Recut, Reframe, Recycle: Quoting Copyrighted Material in User-Generated Video”, cit.; NOLO, “Copyright and Fair Use Overview and Resources”, Stanford University Library, 2010,

http://fairuse.stanford.edu/Copyright_and_Fair_Use_Overview.

229 Sull’applicazione e il rinforzo di questa dottrina si sono spesi negli ultimi anni molti attivisti e

associazioni, come l’Electronic Frontier Foundation, coinvolgendo anche le associazioni che proteggono le creazioni dei fan come l’Organization for Transformative Works. In particolare, queste due associazioni hanno presentato alla Library of Congress la richiesta di esenzione dalla legge di anti-circonvenzione (contenuta nel DMCA-Digital Millenium Copyright Act) per i creatori di remix a scopo non commerciale. Tale esenzione è stata ottenuta nel 2009 e poi riconfermata e ampliata nell’ottobre 2012. Sul diretto coinvolgimento della comunità del vidding in queste petizioni, rimandiamo al paragrafo 3.2.2.

fair use non stabilisca la non-commerciabilità dell'opera derivativa come condizione sine qua non per concedere l'utilizzo di materiali protetti ma si limiti a una più generica

salvaguardia del mercato dell'opera prima (elemento che invece sembrerebbe, a un esame superficiale della questione, ben più rilevante) e si premuri invece di proteggere l'originale adottando una sorta di griglia di valori da verificare nell'opera derivativa: quanto è stato “preso” dall'originale? E, soprattutto, perché? Quest'ultima domanda causa la maggior parte delle controversie in termini di applicazione del fair use perché sottintende un giudizio di valore espresso giuridicamente su quali opere derivative abbiano il diritto di esistere e quali invece vadano condannate. E se risulta di facile accettazione (quantomeno a livello di discorso pubblico, ma non ancora a livello del dibattito legislativo) che vadano salvaguardate le pratiche di riuso nel campo dell'educazione e della didattica, è chiaro che la difesa dei remix parodici su YouTube fatti da singoli utenti appare molto più complessa da giustificare seguendo una scala di valori che giudica positivamente soltanto interventi che rimandino a critiche e commenti che potremmo genericamente definire di tipo politico230.

La motivazione del remix diventa quindi il criterio primario per stabilire se sia corretto o meno proteggerlo da un punto di vista legale. E tale posizione giustifica i numerosi tentativi di elevare lo status della pratica del remix a critica politica tout court per rientrare a pieno titolo nelle protezioni proposte dalle leggi vigenti. Ciò conduce remixer e attivisti a difendere frequentemente la pratica e i diritti di riuso dal dubbio di “rispettabilità” e “utilità” della forma remix231. Come ricorda Rebecca Tushnet in riferimento ai fanvideo:

Remix culture often has to fight off the intuition that free speech, to be really respectable, ought to be political, at least in the general sense of operating as social criticism even if it doesn't intervene in electoral politics. What's so important about remixing a favorite show to demonstrate how two characters are meant for each other?232

Questa valutazione qualitativa del remix – che risponde alla necessità di giusticare il “furto” di parti di un originale cui viene attribuito in maniera acritica e automatica un

230 Non è un caso che il fair use nasca negli Stati Uniti oltre centosettanta anni fa con lo scopo di mitigare le

leggi sul diritto d’autore nei casi in cui minacciassero la libertà di espressione, ovvero per garantire il diritto di commentare e criticare liberamente testi protetti da copyright citandone delle parti.

231 In Recut, Reframe, Recycle, ad esempio,il Center for Social Media elenca tra le possibili motivazioni del

remix soltanto satira, parodia, commento critico negativo o positivo, pastiche e collage. Anche in questo caso

si evidenzia nella mancanza di quelle motivazioni prettamente ludiche che muovono una parte cospicua delle attività di remix sul web un tentativo di nobilitare il remix per renderlo “degno” di protezione («Recut, Reframe, Recycle: Quoting Copyrighted Material in User-Generated Video» cit.).

232 Rebecca Tushnet, “Hybrid Vigor: Mashups, Cyborgs, and other Necessary Monsters”, I/S: A Journal of

valore intrinseco da rispettare e salvaguardare – è tanto radicata quanto infondata anche da un punto di vista legale. Le legislazioni riguardanti il diritto d'autore, compreso il fair use, non dovrebbero, infatti, fornire criteri per stabilire quali lavori meritino protezione e quali no, perché questo genererebbe un'ulteriore limitazione alla libertà di espressione che tentano invece di sostenere.

Al di là degli aspetti propriamente legali, è indubbio che la questione dell'originale ha ramificazioni pressoché infinite nella discussione sul riuso e sul remix. Ed è evidente che ipotesi di analisi e trattazione del fenomeno basate su giudizi di valore che travisino completamente il senso delle operazioni di remix ai fini di inserirle in categorie cui non appartengono finiscono con l'essere viziate da un'incomprensione di fondo che ne determina l'inapplicabilità.

Di centrale importanza è anche il tema del riconoscimento dell'originale – ovvero delle parti remixate – da parte degli spettatori. Gli studiosi in questo frangente hanno opinioni indubbiamente divergenti.

Eduardo Navas, basandosi sulle teorie del postmoderno di Craig Owens, sostiene che la natura del remix sia intrinsecamente allegorica: come nel postmoderno avviene una decostruzione intesa come “a transparent awareness of the history and politics behind the object of art”, così nel remix

The object of contemplation […] depends on recognition (reading) of a pre-existing text (or cultural code). For Owens, the audience is always expected to see within the work of art its history233.

Secondo Navas il remix (principalmente in campo musicale) si fonda sull'autorità della composizione originale e, sia che abbia forma di campionamento sia che abbia forma di citazione, funziona principalmente a livello metariflessivo:

This implies that the originality of the remix is non-existent, therefore it must acknowledge its source of validation self-reflexively. The remix when extended as a cultural practice, as a form of discourse, is a second mix of something pre-existent. The material must be recognized, otherwise it could be misunderstood as something new, and it would become plagiarism234.

Navas ammette soltanto nel caso del regenerative remix – ovvero del tipo di remix che definisce tipico dei nuovi media che si basa sul continuo aggiornamento delle parti (come nel caso dei mashup informatici) – che il riconoscimento dell'originale lasci spazio ad altre istanze, in primo luogo il valore d'uso del remix.

233 E. Navas, Remix theory, cit., p. 67 con riferimento a Craig Owens, “The Allegorical Impulse: Towards a

Theory of Postmodernism”, Art After Modernism, Brian Wallis, Marcia Tucker (a cura di), New York, Godine, 1998, pp. 217-221.

The regenerative remix is specific to new media and networked culture. Like the other remixes it makes evident the originating sources of material, but unlike them it does not necessarily use references or samplings to validate itself as a cultural form. Instead, the cultural recognition of the material source is subverted in the name of practicality—the validation of the regenerative remix lies in its functionality235.

A nostro avviso, la prevalenza della funzionalità pratica del remix rispetto al riconoscimento culturale non può essere relegato al solo remix rigenerativo – ovvero al

remix informatico nell'accezione di Navas – ma va esteso alla totalità delle produzioni

derivate dal riuso. Il grado di riconoscimento dell'originale, infatti, può assumere sfumature differenti a seconda della funzione attribuita dall'autore, o dallo spettatore, alle singole parti e alla loro combinazione. Non viene fatta menzione, infatti, della natura degli elementi riconoscibili dell'originale: se occorra quindi riconoscere l'opera in sé (compreso il titolo e l'autore), il contesto generale di produzione (periodo storico, luogo di produzione), il tipo di materiale (pubblicitario, giornalistico, finzionale cinematografico o televisivo) o qualcos'altro. Come se l'imitazione e appropriazione di elementi a livello tematico o sintattico all'interno dei remix non avesse alcuna rilevanza in termini di fruizione e utilizzo delle opere di riuso.

Se prendiamo, ad esempio, le controcampagne pubblicitarie che utilizzano immagini e linguaggi degli spot originali per sovvertirne il messaggio236, quale grado di riconoscimento dell'originale è sufficiente e quale necessario? Occorre riconoscere con esattezza lo spot originale, il claim e l'azienda, oppure è sufficiente identificare le immagini come provenienti dal contesto della promozione commerciale e stabilire a quale settore appartenga il prodotto (informatica, multinazionali farmaceutiche, prodotto di bellezza, etc.) in modo da comprendere il ribaltamento proposto? Nei casi di remix utilizzati a scopi didattici e pedagogici237 la funzione del remix risiede effettivamente nel riconoscimento degli originali o, piuttosto, nel processo in sé, proposto agli allievi per trasmettere, ad esempio, competenze nel campo della media literacy che derivano dal saper applicare correttamente gli strumenti del remix esplorando il mondo mediale che li

235 Ivi, p. 73.

236 Tra questi possiamo citare nuovamente Levi’s - Go Forth and Revolt e alcune delle molte sovversioni

dello storico spot della Apple “Think Different”, come Think Different! (Egypt) (doncorlionharby, 2011, https://www.youtube.com/watch?v=0Y7XZBTLuNM) o Think Different Star Wars Edition (Ayaz Asif, s.d., https://www.youtube.com/watch?v=bjrqHEhopW8).

237 Un esempio è l’utilizzo del remix fatto dai Laboratori Reel Grrls (http://www.reelgrrls.org/) per far

interagire bambine e bambini con l’immaginario pubblicitario. Sul tema si veda: Jonathan McIntosh, “The Reel Grrls Remix Gendered Toy Ads”, Political Remix Video, 21 marzo 2010, http://www.politicalremixvideo.com/2010/03/21/reel-grrls-remixed-ads/.

circonda238? Nel caso dei fanvideo, come vedremo, parte del funzionamento del rapporto biunivoco tra il vidder – che crea il vid – e il vidwatcher che lo guarda e interpreta – risiede in una comune comprensione di codici e linguaggi adottati nel costruire i fanvideo più che in una effettiva conoscenza della fonte. Ovvero, un vidwatcher “allenato” al linguaggio del fanvideo è perfettamente in grado di comprendere e apprezzare anche un vid realizzato a partire da una fonte che non conosce, grazie ad elementi quali la tipologia di video, le scelte di montaggio e i codici interpretativi sviluppati dal costante scambio e commento con altri membri della comunità.

Anche Jamie O'Neil come Navas sostiene che nel remix sia necessario il riconoscimento dell'originale, ma affronta il tema da una prospettiva differente.

Secondo O'Neil l'atto del remix, da un punto di vista filosofico, costituisce una forma processuale delle cose che nega un'origine fissa, ovvero quella dell'autore. La proposta di O'Neil di derivazione deleuziana, definisce il remix un’evoluzione molare del mix, che ritiene invece molecolare: laddove il secondo mescola elementi che mantengono la loro individualità come “organi di un corpo”, il primo è una “modifica del corpo in sé stesso”. Si tratterebbe di un oggetto nuovo che, tuttavia,

denies essential identity by maintaining a transparency to the previous context, and presents a sophisticated dual image, the former body is not lost, there is a co-presence of the past and the present in this embodiment, which mediates between the past and the future via a new vector of the eternally changing239.

Come Navas, O'Neil pensa il remix in termini di oggetto trasparente attraverso cui vedere il passato: “This co-presence of the past via the new retelling (the remix) always maintains a transparency to which we perceive the ‘original’, often overtly displayed, albeit not always recognized240”.

L'autore si interroga successivamente sul funzionamento del remix in base alla “conoscenza storica” dell'originale da parte dello spettatore: “[t]he alternative I am suggesting is that we elevate the status of the remix, for it contains, inherently, a form of critical dialogue with the ‘original’ or overarching context241”. Interviene nuovamente il concetto di originalità, in riferimento al quale il remix si configura come un vero e proprio rompicapo perché il remix è al contempo “context-dependent” e frutto di un concetto del tutto difforme dalla norma di originalità. O'Neil si basa in questo caso sulla teoria del

238 Sul tema degli usi didattici del remix si veda, in particolare, M. Ito, op.cit.

239 Jamie O’Neil, “The Remix Aesthetic: Originality: Mixed and Mashed-up”, 2006,

http://www.comdma.com/~mcluhanr/papers.html: 4.

240 Ivi, p. 5. 241 Ivi, p. 6.

simulacro di Baudrilliard e interpreta l'estetica del remix come “an outgrowth of the world as simulacra242”.

By virtue of the Remixer’s choices, the remix becomes a single enunciation that is both creative and critical, i.e. the Remixer’s subjectivity is infused into the superimposition. The Remixer does not consider “media” as merely a recorder of “meaning”, but rather as an interface into which we continually re-interpret, re-record, and re-invent meaning. The remix aesthetic processualizes media and thus opens “recordings” to the future, yet this is accomplished through a very different approach to the “original” or historical243.

I remix sarebbero, quindi, una piattaforma di dialogo critico “because aesthetically, they are a variation on piece of historical material”. Il remix funziona perché attiva gli spettatori attraverso materiali familiari ma offrendo un'interpretazione soggettiva su questi materiali che è quella del remixer. “This willingness to perceive media as not the final form of something244” modifica la percezione dell'elemento storico in una visione più postmoderna.

La posizione di O'Neil lascia maggior margine alle possibilità di comprensione

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