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Reclaiming the gaze Il piacere mediale

2 “C REATION DOES NOT HAPPEN IN A VACUUM ” I L CONTESTO MEDIALE CONTEMPORANEO

2.3 Gendering the remix La pratica del montaggio in una prospettiva di genere

2.3.2 Reclaiming the gaze Il piacere mediale

Rosalind Gill lo definisce “turn to pleasure145”, il momento in cui sul finire degli anni Ottanta i feminist media studies si aprirono al “piacere della visione”. Mosso a livello più generale dal collasso delle distinzioni tra cultura alta e cultura popolare e, nel microcosmo della critica femminista, dalla volontà manifestata da alcune studiose di non ignorare più prodotti ritenuti “da donne” e destinati a un consumo non politico e critico, questo cambiamento dette l’avvio a una serie di studi particolarmente rilevanti per comprendere, oggi, il funzionamento delle pratiche di remix. A questo orizzonte di studi, proseguito poi fino ai giorni nostri, vanno ascritti, in primo luogo, gli studi sul consumo mediale casalingo, come quelli di Ann Gray e David Morley146. E, in secondo luogo, gli studi sulla spettatorialità femminile, come quelli di Jackie Stacey e E. Deirdre Pribram147, che cercavano di ricollocare la spettatorialità femminile in un orizzonte meno passivo e più votato alla ricerca del piacere mediale.

Come ricorda Tania Modleski in uno dei testi capitali di questa “corrente”, Loving

with a Vengeance (la cui tesi è riassunta efficacemente dal sottotitolo Mass-produced Fantasies for Women), per lungo tempo la critica femminista ha interpretato erroneamente

i prodotti mediali come prodotti costruiti esclusivamente per un pubblico maschile e si è preoccupata soltanto di individuare spazi di produzioni mediali “alternative” che potessero fungere da luogo “sicuro” per le spettatrici.

Il saggio di Laura Mulvey Visual Pleasure and Narrative Cinema148, vera e propria pietra miliare dei feminist film studies, rappresenta pienamente la tendenza – perfettamente coerente nel contesto coevo del saggio, ovvero la metà degli anni Settanta – a rendere conto, innanzitutto, di come “a sexist ideology positioned women in mainstream

145 Rosalind Gill, Gender and the Media, Cambridge, Malden, Polity, 2007, pp. 13–14.

146 Ann Gray, Video Playtime: The Gendering of a Leisure Technology, London-New York, Routledge,

1992; David Morley, “Gender, domestic leisure and viewing practices”, Television, Audiences and Cultural

Studies, London-New York, Routledge, 2003, pp. 123–162.

147 Jackie Stacey, Star Gazing. Hollywood Cinema and Female Spectatorship, London-New York,

Routledge, 1994; E. Deidre Pribram, Female Spectators: Looking at Film and Television, London-New York, Verso, 1988.

148 “Current film theory, even feminist film theory, assumes that the addressee of narrative film is necessarily

male; indeed, this is the explicit point of Laura Mulvey’s extremely influential essay, ‘Visual Pleasure and Narrative Cinema,’ in which she argues that the spectacle and the story work together in order to stimulate masculine pleasure and alleviate basic masculine psychological insecurities. But soap operas are one visual, narrative art uniquely adapted to the psychology of the woman in the home”. Tania Modleski, Loving with a

cinema149”. L’analisi di stampo psicoanalitico di Mulvey che colloca la “donna come immagine” e l’uomo come “portatore di sguardo150” genera, come ricorda David Gauntlett, un posizionamento rigido dei ruoli sessuali – e una forte limitazione all’agency femminile – che, fermo restando il ruolo centrale che questo saggio ha avuto nell’affermazione e avviamento dei feminist film studies, oggi ritieniamo problematici.

Perhaps a bigger problem with Mulvey’s argument is that it denies the heterosexual female gaze altogether. Within her model, the audience, both male and female, is positioned so that they admire the male lead for his actions, and adopt his romantic/erotic view of the women. There is value in the idea that women come to learn to view themselves and other women through the ‘male gaze’, given the dominance of male-produced media; but to deny the ‘female gaze’ altogether does little service to women (although Mulvey’s point is not that women are inadequate in this respect; rather, she is making a critique of the position

that patriarchy puts women into)151.

L’analisi di Modleski del piacere narrativo e del desiderio femminile derivante da prodotti di massa quali le soap opera, i romanzi rosa Harlequin e i romanzi gotici individua alcuni importanti snodi del funzionamento di modalità di piacere alternative rispetto a quelle ritenute socialmente “accettabili” e “rilevanti” (ovvero quelle maschili). In particolare, Modleski insiste nel ricercare le tracce di questo piacere all’interno di quei piaceri ritenuti “maschili” perché la separazione dicotomica tra piaceri legati ai generi inevitabilmente costringe le artiste femministe a sfidare il piacere dominante “and then out of nothing begin to construct a feminist aesthetics and feminist form”.

Feminist artists don’t have to start from nothing; rather, they can look for clues to women’s pleasure which are already present in existing forms, even if this pleasure is currently placed at the service of patriarchy152.

Citando Claire Johnston, Modleski propone un’unione proficua di “both the notion of film as a political tool and film as entertainment153” per uscire da questa apparente

impasse teorica.

[M]uch of the feminist work in the arena of film history functions as a double-edged sword: on one level reviewing received notions of what and who counts in film history […]

149 Janet McCabe, Feminist Film Studies. Writing the Woman Into Cinema, London, Wallflower Press, 2004,

p. 19.

150 “In a world ordered by sexual imbalance, pleasure in looking has been split between active/male and

passive/female. The determining male gaze projects its phantasy onto the female figure, which is styled accordingly. In their traditional exhibitionist role women are simultaneously looked at and displayed, with their appearance coded for strong visual and erotic impact so that they can be said to connote to-be-looked-

at-ness” (Laura Mulvey, “Visual Pleasure and Narrative Cinema”, Screen, n. 16.3, settembre 1975, p. 10).

151 David Gauntlett, Media, Gender and Identity: An Introduction, London-New York, Routledge, 2008, p.

42.

152 T. Modleski, op.cit., p. 96.

and on a second level rethinking the ongoing tension in feminist film studies between cinema as a machine of pleasure and cinema as a machine of oppression154.

Più recentemente, nel lavoro di studiose come Mary Celeste Kearney e Angela McRobbie, sono state esplorate le modalità con cui le bambine e le ragazze interagiscono con i media e con i media digitali. Questi studi rilevano, oltre ad alcune inevitabili problematicità, quanto il rapporto con i media – vissuto in maniera attiva da spettatrici e, al contempo, produttrici di contenuti – costituisca per le ragazze uno strumento essenziale per la costruzione dell’identità, per l’affermazione del sé e la negoziazione dei rapporti sociali. Un rapporto che, sebbene segnato da una cultura del consumo di cui McRobbie tratta frequentemente, è fonte di empowerment e autodeterminazione per le nuove generazioni di donne. Un rapporto costruito attraverso pratiche come quelle del remix.

Through their involvement in a cultural activity that subverts the restrictive roles and practices associated with traditional femininity, today’s girl media producers are evidence of the new gender habitus McRobbie describes. Such girls are helping to expand the experiences of contemporary girlhood and thus the spectrum of identities and activities in which all females can invest, for by engaging with the technologies and practices of media production, they are actively subverting the traditional sex/gender system that has kept female cultural practices confined to consumerism, beauty, and the domestic sphere for decades155.

2.3.3 Representation matters. Talking Back to the Media

Starting from the proposition that representations matter, feminist analyses of the media have been animated but the desire to understand how images and cultural constructions are connected to patterns of inequality, domination and oppression156.

Così Rosalind Gill introduce il capitolo di apertura di Gender and the Media, uno dei testi che meglio raccontano non solo la relazione del genere con le forme mediali ma, soprattutto, l’evoluzione degli studi scientifici sulle tematiche connesse a tale rapporto. “Representation matters” può essere considerata una sorta di parola d’ordine nella

154 Vicki Callahan, “Introduction: Reclaiming the Archive Archaeological Explorations toward a Feminism

3.0”, Vicki Callahan, Reclaiming the Archive: Feminism and Film History, Detroit, Wayne State University Press, 2010, p. 3.

155 Mary Celeste Kearney, Girls Make Media, London-New York, Routledge, 2006, p. 12. 156 Rosalind Gill, “Gender and the Media”, op.cit., p. 7.

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