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Origini e forme del diritto di potere fondiario e le sostanze delle cattedrali in età prenormanna

Nella Puglia centrale la signoria ha origine pubblica e si contraddistingue fin da subito per il suo carattere bannale, non originato necessariamente da un precedente fondiario, ma strutturato fin da subito sulla base di diritti acquisiti a sostegno del controllo della terra e degli uomini che faranno il territorio234, dal canto suo già caratterizzato dalla presenza di piccoli proprietari e città235. Sono queste i luoghi in cui risiederanno i nuovi signori. E sono queste che già realizzavano il territorio bizantino secondo una concezione strategica dello spazio strutturato per policentrismo, specie nella sua ultima fase.

Una volta ottenuto il dominio, i conquistatori normanni costruiranno una signoria che di fatto non ha precedenti nella zona. In Capitanata, come nel Salento, soprattutto nel Salento settentrionale – realtà periferiche e poco sviluppate rispetto alla parte centrale dell‟ex Thema – la presenza di villaggi e centri più grandi permetterà di adottare modelli di organizzazione signorile classici, mentre, nella più popolosa Puglia centrale, gli stessi conquistatori non potranno fare a meno di adattarsi ad una situazione preesistente e di fatto consolidata236.

Il problema qui riguarda appunto la natura della signoria nella sua fase di formazione ed affermazione: la nascita e lo sviluppo dei complessi comitali si fonda sul principio strategico della presa di un determinato territorio. Principio che di per se è sostanziato di carattere militare. Quando i signori normanni costituiranno il proprio dominio, lo faranno tenendo conto non di un‟idea teorica del feudalesimo in quanto relazione di dipendenza tra eminenti, quanto in vista anche di un uso economico del

234 J.-M. Martin, La Pouille...cit., pp. 302 ss.; S. Carocci, Signoria rurale, prelievo signorile e società

contadina (sec. XI-XIII): la ricerca italiana, in Pour une anthropologie du prélèvement seigneurial dans les campagnes médiévales (XIe – XIVe siècles). Réalités et raprésentations paysannes, Actes du Colloque

(Medina del Campo, 31 mai – 3 juin 2000), a cura di M. Bourin e P. Martínez Sopena, Paris 2004, p. 66; G. Piccinni, Regimi signorili e conduzione delle terre...cit., p 213. Cfr. C. Violante, Introduzione.

Problemi aperti e spunti di riflessione sulla signoria rurale nell‟Italia medievale, in La signoria rurale nel Medioevo italiano, a cura di A. Spicciani e C. Violante, Pisa 1997, I, p. 8 ss.;

236

territorio stesso, ovvero di un suo sfruttamento reddituale. La struttura di quel potere politico si erigerà allora in funzione di produttività e quindi di evoluzione del sistema economico territoriale, rispetto ad un passato del quale la proprietà verrà sostituita237.

Quella proprietà che in Italia meridionale era costituita dal regime della τπατ α per le provincie bizantine, e da farae per i territori longobardi, e che già da tempo si fondava sullo sfruttamento dell‟insediamento rurale.

Le terre stratiotiche erano possessi fondiari militari. Venivano concesse ai soldati assieme ad agevolazioni ed esenzioni fiscali. I militari potevano sostenersi tramite la rendita di questi fondi in cambio della prestazione del servizio in caso di necessità. Ed in caso di necessità, sempre con la rendita, dovevano provvedere al loro equipaggiamento militare. L‟assegnazione di terreni e fondi consentiva allo Stato di economizzare largamente238.

La cosa è ampiamente attestata fin dall‟età di Eraclio e di Costante II, sia in Africa che in Asia Minore. La concessione in enfiteusi di possedimenti imperiali garantiva, oltre a un mantenimento dei costi di spesa per il mantenimento dell‟esercito, anche opportunità di insediamento – specie in provincia e lungo i confini – di genti fedeli all‟Impero, magari di origine greca, consentendo così un più oculato controllo del prelievo fiscale.

In realtà i themi stessi si strutturarono fiscalmente sul sistema enfiteutico della concessione fondiaria attraverso un apparato che gestiva e controllava il rapporto tra agevolazione fiscale e servizio militare. Fin dal X secolo i possessi venivano registrati – ν τοιρ τπατι τισοιρ σοδιξιν – appositi registri che venivano custoditi da funzionari addetti alla gestione fondiaria, facenti capo allo stratega del tema.

Col tempo, il diritto di possesso delle terre stratiotiche divenne ereditario. Lo Stato obbligava però il “concessionario” alla prestazione militare, mantenendo un saldo legame tra terra e amministrazione, nonché il controllo del patrimonio fondiario nel territorio imperiale239.

237 G. Musca, I Normanni in Inghilterra e i Normanni in Italia meridionale, in Ruggero il Gran

Conte e l‟inizio dello Stato normanno...cit., p. 135.

238 Cfr. J. Haldon, Military Service, Military Lands, and the Status of Soldiers: Current Problems

and Interpretations, in «Dumbarton Oaks Papers», 47 (1993), pp. 1-67, in part. 29 ss.

239 J. H. Haldon, Recruitment and Conscription in the Byzantine Army c. 550-950. A Study on the

Origins of Stratotika Ktemata, Wien 1979, pp. 72-79; M. Kaplan, Les homes et la terre à Bysance du VI au XI siècle, Paris 1992.

Tra VII e X secolo, l‟incremento della popolazione delle campagne è documentato dalla diffusione del chorìon, ossia comunità in villaggi rurali non sempre vincolati alle terre dal regime stratiotico visto che, almeno dall‟VIII secolo, erano composte anche di liberi contadini240. Gli abitanti in chorìa corrispondevano al fisco un‟imposta fondiaria tradizionale – τ λορ – o anche la σαπνισον, una tassa sulle persone fisiche241. Nonostante l‟istituzione del sistema tematico, indirizzato ad un maggiore controllo amministrativo e strategico del territorio imperiale, nelle provincie bizantine d‟Italia, a fianco all‟esercizio del diritto greco, continuò a sopravvivere un diritto patrimoniale di tradizione longobarda. Quando nel X secolo venne istituito il Catepanato, una delle attenzioni prioritarie dell‟amministrazione bizantina consistette nel porre particolare riguardo agli interessi dei possessori indigeni tra i quali lo Stato poteva attingere uomini da impiegare nel funzionariato provinciale, garantendosi quindi un legame più prossimo con le popolazioni della regione dove, medi e piccoli proprietari terrieri, detenevano possedimenti nei chorìa. Esisteva pure un ceto di grandi possessori, formato da esponenti dell‟aristocrazia funzionariale dell‟Impero ed anche da monasteri. Già tra VIII e IX secolo questi due macro gruppi caratterizzano la società bizantina: i più eminenti ceti arcontali sono gli stessi che vengono integrati nelle gerarchie amministrativo- militari del tema; dal canto loro, i possessori – piccoli o grandi che fossero – spesso erano discendenti di classi di antica tradizione, detentrici di proprietà che si tramandavano da generazioni.

I rappresentanti dell‟aristocrazia locale costituivano di fatto il ceto eminente dal quale lo stratega provinciale poteva attingere per rinforzare la propria “corte”. Questi ἄπσοντ ρ erano veri e propri dignitari che assolvevano a specifiche funzioni e che costituivano la “famiglia” del governatore242

.

240

M. Dendias, Contribution à l‟étude de l‟administration locale dans l‟Empire byzantin, in Atti del IX Congresso Internazionale di Studi bizantini, II (Salonicco 1953), Atene 1956, p. 11, 355, il quale intende il “chorion” greco come “casale” latino; cfr. N. Svoronos, Βς αντινή παπσ α. Π ντ ματήματα

Αθήνα, Athìna 1991, pp. 20-21, dove σ π ον va tradotto col latino fundus, diversamente da quanto inteso

nei paragrafi 4-5 del Trattato fiscale, oltre che in Dendias. Cfr. infine A. Carile, Il Feudalesimo bizantino, in Il feudalesimo nell‟Alto Medioevo, Atti CISAM, XLVII [1999], Spoleto 2000, pp. 1017, n. 156.

241 M. Gallina,

Potere e società a Bisanzio. Dalla fondazione di Costantinopoli al 1204, Torino 1992, p. 117.

242 Lo stratega era a capo di almeno undici funzionari a lui direttamente sottoposti, stando almeno

all‟elenco che vien fatto nel Kletorologion di Filoteo a proposito del tema di Anatolia, probabile modello di riferimento per gli altri temi provinciali. N.Oikonomidès, Les listes de préséance byzantine des IX et X

Di fatto, la dinastia Macedone si mostrò più interessata a tutelare questi ultimi, i proprietari locali, rispetto alla componente aristocrazia militare che, tramite l‟accumulo di proprietà e quindi di fondi, era – agli occhi del potere centrale – un pericolo per il controllo del territorio provinciale, dove si poteva scatenare non senza il sostegno della popolazione – specie cittadina – qualche manifestazione di spinta autonomistica243.

Anche per questo fu vietato agli alti funzionari dei themi, di accumulare possessi nelle zone in cui erano destinati, soprattutto per il periodo in cui restavano in carica244.

dominazione bizantina…cit., pp. 116 ss; A. Guillou, Geografia amministrativa del katepanato…cit.,

pp.119-121; A. Cilento, Potere e monachesimo…cit., p. 69, n. 15.

243 Già Leone VI aveva sollevato la questione dell‟appropriazione indebita e sconveniente di poteri

da parte dei funzionari imperiali provinciali. L‟abuso di potere era considerato dal governo centrale uno di pericoli maggiori. Le malvessazioni verso le popolazioni locali avrebbero spinto queste a diffidare del potere istituzionale e a trovare forme di difesa e di autodeterminazione che spesso non disconoscevano la supremazia di Costantinopoli ma, pur rimanendo fedeli all‟impero, si portavano alla richiesta di ampie autonomie. La cosa è particolarmente evidente in ambito cittadino: basti pensare agli ultimi tempi della presenza bizantina in Puglia. Leone VI, Tactica, in Patrologiae cursus completus, Series Graeca, ed. J. P. Migne, Paris 1857-1875, col. 684. Cfr. A. Cilento, Potere e monachesimo. Ceti dirigenti e mondo

monastico nella Calabria bizantina (secc. IX-XI), Firenze 2000, pp. 56 ss. Rimando inoltre alla mia tesi di

laurea discussa a Venezia nel novembre 2006, rel. Prof. E. Concina: D. Salamino, Potere territorio e

città in Italia Meridionale tra IV e X secolo: il caso di Taranto, Tesi di Laurea, AA. 2005-2006, I, pp. 193

ss.

244 Durante il periodo compreso tra la ripresa macedone degli anni Ottanta del IX secolo e l‟impero

di Niceforo II (m. 969), gli strateghi inviati a governare i themi dell‟Italia Meridionale, rimanevano in carica, in media, per circa quattro anni al massimo con differenze, anche sostanziali, tra thema e thema. In quello di Langobardia, normalmente, la durata non superava i tre anni e mezzo; in quello di Sicilia- Calabria anche fino a sette. Una volta istituito in Catepanato (969 ?), anche la carica di Catepano durava circa tre anni o poco più: eccezione fu Basilio Bojoannes, rimasto in carica per circa undici anni. Verosimilmente in età catepanale continuarono ad esistere le circoscrizioni tematiche rette ognuna sempre da uno stratega, incaricato del governo e del controllo della sottoprovincia. Questi facevano capo al catepano il quale deteneva ora il governo supremo della provincia ed era diretta emanazione dell‟imperatore. Al catepano con corte a Bari, capitale del Catepanato, facevano riferimento gli strateghi dei temi di Langobardia, sempre con sede a Bari; di Lucania, con sede a Tursi; di Calabria, con sede a Reggio. È questa, ad oggi, la tesi più accreditata. G. Gay, L‟Italia meridionale e l‟Impero bizantino...ed. cit., pp. 322 ss.; A. Pertusi, Contributi alla storia dei temi bizantini dell‟Italia meridionale, in Atti del III Congresso Internazionale di Studi sull‟Alto Medioevo (Benevento-Montevergine-Salerno-Amalfi, 14-18 Ottobre 1956), Spoleto 1959, pp. 495-517, in part. 504 ss.; E. Eickhoff, Tema e ducato di Calabria. Per

la storia dell‟organizzazione dell‟Italia meridionale, in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania»,

21 (1952), pp. 109 ss.; cfr. l‟opinione di Ménager secondo la quale la Calabria non avrebbe fatto parte del Catepanato: questo, a suo dire si sarebbe limitato al thema di Langobardia: L. R. Ménager, Les actes

latins de S. Maria de Messina, Palermo 1963, pp. 28-30. Cfr. V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina...cit., pp. 46 ss., secondo la quale i temi si ritrovarono occasionalmente riuniti sotto l‟autorità

catepanale. Sulla coincidenza della sede di Bari, sia per il catepano che per lo stratega del tema di Langobardia, si veda A. Guillou, Régionalisme et indépendance dans l‟Empire byzantin au VII siècle.

L‟example de l‟Exarchat et de la Pentapole d‟Italie, Roma 1969, p.72, n.112. Per una buona e rapida

L‟acquisizione di beni a qualsiasi titolo, anche come donazione, era punita con la confisca. A ciò si aggiungeva il divieto di praticare attività commerciali o intraprendere iniziative edilizie per scopi di lucro. Le decisioni imperiali venivano giustificate sul piano del mantenimento dell‟ordine pubblico – per preservare la provincia dalla violenza – dice Leone VI245.

Inoltre, secondo lo stesso indirizzo politico, fu fatto divieto agli strateghi di amministrare i themi da cui provenivano o nei quali risiedevano246. Al legislatore bizantino preme preservare le provincie dalla “violenza”, dal soppruso che può nascere dall‟arricchimento dei potenti, patrimoniale e quindi economico. Anzi, i potenti sono per il legislatore, proprio quei dignitari e funzionari dello Stato i quali, ottenuto il legittimo incarico, sono tentati dall‟accumulare illegalmente ricchezze grazie allo status raggiunto.

Il potere si misura sull‟ammontare del patrimonio fondiario, considerato base sostanziale del peso sociale assunto. In una Novella contro quei “potenti” spregiudicati, quelli che fanno soffrire i poveri, i liberi cittadini e i piccoli proprietari terrieri, si scaglierà l‟imperatore Romano Lecapeno già nel 934247

. In realtà, nonostante le restrizioni normative, gli strateghi dei themi – e più in generale i grandi dignitari che costituivano la casta dei potenti, illustri, magistroi e patrizi – comunque riuscivano ad avere accesso a beni nelle provincie sotto la loro tutela. Uno strumento di possesso

245

Leone VI, Novelle, in Les Nouvelles de Léon VI le Sage. Texte et tradution publiés par

P.Noailles et A.Dain, Paris 1944, p. 285, n. 84. Il divieto si estendeva anche al diritto di famiglia, tanto è

vero che – per evitare l‟acquisizione di beni tramite la dote – gli strateghi e i loro figli non potevano contrarre matrimonio con donne della provincia da loro amministrata: Ivi, p. 93, n. 23.

246 P. e J. Zépos, Jus Graecoromanum, Athinai 1931, V, pp. 63-66. In età macedone vennero

maggiormente strutturate le norme destinate a regolamentare la carriera e il raggio d‟azione degli strateghi a capo dell‟amministrazione provinciale. Furono addirittura formulate specifiche procedure al fine di controllore anche gli spostamenti dei funzionari fuori dalla provincia di competenza. A tal proposito occorreva un‟autorizzazione imperiale anche solo per recarsi a Costantinopoli. Vedi: H. Ahrweiler, Recherches sur l‟administration de l‟empire byzantin aux IX et X siècle, in «Bullettin de corrispondance hellénique», 84 (1960), pp. 44-45. Bisogna tuttavia rilevare che vi furono casi di proroga al divieto di divenire strateghi del thema d‟origine. Costantino Porfirogenito infatti tramanda la notizia relativa a Krikorikios di Taron che Leone VI nominò magistros e strategos appunto del Taron. Constantine Porfirogenitus, De administrando imperio, ed. G. Moravcsik, trad. R. J. H. Jenkins (Dumbarton Oaks Texts, I), Waschington D.C. 1967 (2^ed.), pp. 190-196.

247 M. Kaplan, Les homes et la terre …cit., pp. 399-443; J.-C. Cheynet, Pouvoir et contestations

delle terre, utile a costruire di fatto grandi fondi, fu lo stesso contratto di enfiteusi. Strumento questo che consentiva di possedere terreni anche vita natural durante248: bastava pagare un canone, costituito in parte da prestazione in natura.

La sua origine era ben più antica dal momento che bisogna risalire almeno al VI secolo. Si deve rilevare però che già nel VII secolo, proprio con l‟affermazione dei ceti aristocratici, dovuta anche alle favorevoli condizioni fiscali, la crisi dei piccoli proprietari – i liberi contadini e i militari – lascia spazio alla creazione dei fondi249. Ma il fenomeno si accentua sicuramente intorno al X secolo con la formazione di veri e propri latifondi da parte di quella aristocrazia funzionariale su cui tanto si spendeva la legislazione patrimoniale dell‟epoca.

È interessante notare come in questo periodo si inizi a consolidare il rapporto tra questi notabili e le istituzioni religiose. Fin dal Concilio di Nicea del 787, fu vietato agli arconti di trasformare in beni privati i possedimenti ecclesiastici. Anche laddove la legislazione impediva agli strateghi – come abbiamo visto – di accumulare possessi in provincia, nella sostanza i contratti privati consentivano alle famiglie maggiorenti enormi spazi di ingerenza nell‟ambito del controllo – ad esempio – dei beni monastici: cosa questa che logicamente gravava sui poveri e i deboli verso i quali la legislazione imperiale del X secolo cercò di prestare maggiore attenzione.

L‟affermazione del latifondo che avvenne tra VIII e IX secolo, se pur in principio piuttosto timida, interessò presto larghe zone dell‟Impero. Fu un fenomeno che coinvolse sia i ceti arcontali, di estrazione funzionariale e/o locale, che la Chiesa nelle sue diverse forme.

Dal X secolo inoltre, lo Stato rese obbligatorio il versamento della strateia anche da parte dei chierici: alcuni documenti pugliesi testimoniano quanto la Chiesa doveva al fisco. Risale ai primissimi dell‟XI secolo un privilegio emanato dal catepano Giorgio Tarchaneiotes in favore dell‟arcivescovo di Bari e Trani Crisostomo, con il quale egli conferma che la Chiesa barese doveva versare la strateia250. La strateia invece compare

248 Sul rapporto tra possesso fondiario e conflitto sociale, si veda inoltre: P. e J. Zépos, Jus

Graecoromanum…cit., I, pp. 205-214, n. 5; P. Lemerle, The Agrarian History of Byzantium from the Origins to Twelfth Century. The sources and Problems, Galway 1979, pp. 108-114.

249 L. Busi, Terre comuni ed usi civici: dalle origini all‟Alto Medioevo, in Storia del Mezzogiorno,

III…cit., pp. 230 ss.

250 G. Beltrani, Documenti longobardi e greci per la storia dell‟Italia Meridionale nel medioevo,

in un documento attestante il procedimento relativo ad un lascito testamentario: alla morte di un certo Urso, i beni di questi passarono al chierico Melo – abbas, custos et rector – della chiesa di S. Gregorio a Bari. In passato Urso aveva concesso ad un suo cugino, Simone, l‟uso di una parte dei fondi che già in origine erano sottoposti alla stratia domnica in quanto costituivano l‟eredità a sua volta ricevuta da sua madre; quando alla morte di Urso i beni fondiari passarono a Melo, questi non fece altro che donare a Simone quella parte della proprietà ancora sottoposta alla stratia251: la lettura che ne fa Lemerle è che lo stratiôtikon ktêma – il bene militare e non “feudo contadino” (M. Bloch) – era quindi sia ereditabile che divisibile: la cosa che maggiormente interessava al fisco, evidentemente, era che la strateia venisse versata come somma252.

Il fondo – e quindi il latifondo – è da considerarsi come cellula sostanziale del potere economico strutturato su base agricola. Lo sviluppo della proprietà, nell‟ambito del sistema dei choria, è quindi in relazione ad una modificazione della facies rurale del territorio. Conseguentemente, alla costituzione di gradi proprietà fa da sfondo la crisi del chorion, ed anche, l‟affermazione dei dynatoi, i potenti della provincia che assurgono a cariche di amministrazione e di governo. Sono questi ultimi che in definitiva integreranno o sostituiranno i ceti arcontali territoriali, esercitando un controllo di fatto sulle comunità di villaggio, e costituendo nuovi rapporti con il mondo monastico radicato nella provincia. E sono questi stessi gradi possessori coloro che – nel solco del funzionariato di governo – accederanno a dignità che verranno insignite da Costantinopoli.

Quando la grande proprietà intaccherà i chorìa, si verificherà un progressivo declino di quelle comunità che dal VII secolo seppero organizzarsi in nuclei di fattorie capaci di gestire territori anche cospicui, magari dandosi un regime “pseudo comunale”, a garanzia degli interessi comuni degli abitanti253. Da questo punto di vista il chorion costituisce un‟entità giuridica di base, anche se non totalmente riconosciuta dal diritto.

Di certo in essa si vedeva una cellula fiscale individuata anche a livello di gestione patrimoniale: le terre erano possedute dalla comunità; i singoli appezzamenti

251

CDB, IV, pp. 26-28, n.13.

252 P. Lemerle, Esquisse pour une histoire agrarie…cit., pp.49 ss.; cfr., V.von Falkenhausen, La

dominazione bizantina…cit., pp.130-131.

253 J. Lefort, Economia e società rurali, in Il mondo bizantino, II, L‟Impero bizantino (641-1204), a

erano concessi ai singoli abitanti, responsabili di fronte al fisco e di fronte alla giustizia interpellata in caso di contenzioso. La comunità era il soggetto che vendeva o acquistava altri terreni, certo nei limiti indicati dalla legge agraria254.

In quanto circoscrizione fiscale, il chorion è soggetto dal X secolo a forme di parcellizzazione del proprio territorio: i contadini organizzano lo spazio in proprietà che alla fine realizzano un borgo, costituito dalla vicinanza di lotti su cui si trovano case e piccoli orti di diretta pertinenza, contigui l‟uno all‟altro: si tratta di quei σαθ δπα σ π ος di cui fa menzione la letteratura fiscale dell‟epoca. Si conserva un anonimo Trattato fiscale o Trattato sulla tassazione del X secolo, dal quale è possibile trarre dati significativi su quanto stiamo dicendo. Questo scritto era usato dai funzionari incaricati dallo Stato di quantificare il gettito fiscale fondiario provenienti dalle ktêsis, ovvero diverse fattorie di una unico soggetto imponibile255.

Questi controllori potevano verificare la durata di un rapporto fiscale: in caso di terre per le quali nessuno da trent‟anni versava all‟erario (klasma), si poteva procedere all‟espropriazione e all‟incameramento al demanio dello Stato, sottraendo quindi alla comunità di villaggio il diritto su di esse. Questo meccanismo minava l‟unità territoriale dei chorìa: paradossalmente, il diritto dell‟imperatore di alienare, affittare o donare queste terre, produsse in molti casi l‟incentivazione di patrimoni da parte di notabili e