• Non ci sono risultati.

a città, sia essa fatta di pietra o anche solo espressione di una società concentrata in un determinato spazio, oppure elemento dell‟acculturazione di un territorio, nel Meridione italiano è il cardine della manifestazione della lex del dominio e, in quanto tale, il luogo dell‟appartenenza ad un determinato sistema giurisdizionale374. In questo senso, essa è il centro nel quale maggiormente si esprimerà la cultura giurisdizionalemente riconosciuta che del potere è immagine. Ma anche è il sito delle egemonie ecclesiastiche, nobiliari, più genericamente “urbane”, non solo presenti nella città fisica, ma anche nell‟intero territorio ad essa afferente.

Il sistema che col tempo si evolve, adattandosi alle situazioni contingenti, è costituito da soggetti che s‟indirizzano – ognuno secondo le proprie esigenze, o meglio, secondo i propri interessi – verso l‟esercizio locale dei poteri politici», nelle diversità di situazioni che delineano un panorama “a macchie” nel quale pochi individui, forze egemoniche e gruppi diversi hanno tutti interesse ad accedere al controllo, alla gestione ed allo sfruttamento delle risorse fondiarie e dei diritti da queste derivate375. Non di diversa concezione è quell‟esercizio del diritto che i monasteri attuarono sui centri. Il momento di ripresa del dominio da parte dei Bizantini e la successiva ascesa ed

374 F. Porsia, I segni sul territorio. Città e fortificazioni, in I caratteri originari della conquista

normanna…cit., pp. 232 ss., in part. p. 236.

375

G. Piccinni, Regimi signorili e conduzione delle terre...cit., p. 214.

L

affermazione dei Normanni, non sembrano intaccare più di tanto la signoria dei grandi gruppi monastici. Lo abbiamo visto a proposito di Lesina376. Anzi, i Normanni – termine questo quantomani generico – quando instaurarono il sistema feudale lo fecero quasi empiricamente, all‟interno di un territorio eterogeneo dove essi trovarono «delle predisposizioni locali ad accoglierlo, sia negli antichi principati longobardi, dove i gastaldati erano diventati ereditari, sia nelle antiche provincie bizantine, ove le terre erano state concesse dietro prestazione di servizio militare»377.

Nella più recente revisione delle problematiche connesse alla signoria fondiaria ed all‟accesso al diritto feudale di fatto, c‟è chi – come G. Piccinni – fa leva sul fatto che i Normanni si trovarono ad affrontare l‟emergenza della riorganizzazione territoriale tenendo conto che, in molti casi, era più conveniente sfruttare «processi già in atto» caratterizzati dall‟accesso di alcuni soggetti al possesso di interi territori sui quali i lavoratori dipendenti subivano l‟imposizione di vincoli personali sanciti da specifici atti378. Daltronde già Musca si domandava quanto i Normanni appresero da quelle che Egli chiamò, senza mezzi termini, le istituzioni “feudali” bizantine dell‟Italia meridionale»: quelle poche che forse sarebbe opportuno, ripetiamo, appellare come “parafeudali”379

; quelle stesse, che forse, erano destinate a svilupparsi nel senso proprio, più storiograficamente tradizionale, di modello feudale a prescindere dall‟apporto normanno380.

Quale allora la funzione delle città? Chi determina la città? Cos‟è la città? E di cosa si connota la città a livello urbano?

376

Infra, p. 94 ss.

377 G. M. Monti, Lo Stato normanno svevo. Lineamenti e ricerche, ed. a cura di F. M. De Robertis,

Cassano Murge 1985, p. 23. Cfr. V. von Falkenhausen, L‟Italia meridionale longobarda dal VI all‟XI

secolo, in Storia d'Italia, a cura di G. Galasso, III...cit., pp. 290 ss.

378

G. Piccinni, ibid.; cfr. contra S. Carocci, Signoria rurale, prelievo signorile e società

contadina...cit., p. 65, per il quale invece non si tratta meramente di un signore colui che semplicemente

possiede latifondi tramite la cui proprietà esercita un potere economico.

379 G. Musca, I Normanni in Inghilterra...cit., pp. 135-136. 380

2. 1 Πόλιρ, σάστπον, ἄστς: l‟habitat e la struttura territoriale del Meridione prenormanno

Quando i Normanni iniziano a strappare territorio ai Bizantini e ai Longobardi, l‟Italia meridionale vive il rifiorire delle città. Città che vengono accordate dallo Stato e nelle quali risiedono funzionari di governo ai quali è dato incarico di provvedere alla difesa del territorio, a coordinare lo sfruttamento del suolo, a gestire le finanze e ad esercitare la giustizia381.

Tema di grande fascino, quello della città meridionale ha interessato molti studiosi che negli ultimi cinquant‟anni si sono prodigati a fornire interpretazioni e riflessioni tutt‟altro che univoche. Posizioni sulle quali ha spesso pesato, almeno fino agli inizi degli anni Ottanta, un‟impostazione che partiva dal modello centro- settentrionale quale “parametro” col quale guardare le città meridionali: soggetti queste convenientemente confrontabili con esempi francesi e inglesi, ma che più raramente sono state messe in relazione con le città propriamente bizantine, o meglio, con una concezione bizantina della città382.

Varrà qui l‟invito fatto nel 1979 da G. Fasoli, di individuare e analizzare quelle che i contemporanei definivano città – civitas – ovvero quelle che nei documenti e nelle cronache dell‟epoca sono sempre sedi di arcivescovadi o vescovadi383

. Tuttavia occorre discutere tenendo conto di come il lessico terminologico relativo alle città si evolve nel tempo e di come, a seconda degli ambiti geopoliciti, cambino le sfumature di significato.

381 A. Guillou, Production and Profits in the Byzantine Italy (Xth-XIth C.): an expanding Society, in

DOP, 28 (1974), pp. 89-109; Id., Città e campagna nell‟Italia meridionale bizantina (VI-XI sec.)...cit., p. 27.

382 G. Fasoli, Problemi di storia medievale siciliana, in «Siculorum Gymnasium», IV (1951), pp. 1-

20, rist. in Id., Scritti di storia medievale, Bologna 1975, pp. 321-340; M. Del Treppo, Medioevo e

Mezzogiorno: appunti per un bilancio storiografico, proposte per un‟interpretazione, in Forme di potere e struttura sociale in Italia nel medioevo...cit., pp. 249-283, in part. 252; G. Galasso, Il Mezzogiorno nella storia d‟Italia, Firenze 1977, p. 15; M. Bellomo, Società e istituzioni in Italia tra Medio Evo ed età moderna, Catania 1977, pp. 111-112; A. Guillou, Città e campagna nell‟Italia meridionale bizantina...cit.

383 G. Fasoli, Città e ceti urbani nell‟età dei due Guglielmi, in Potere, società e popolo nell‟età dei

due Guglielmi, Atti delle quarte giornate normanno-sveve (Bari – Gioia del Colle, 8-10 ottobre 1979),

La città si presenta innanzitutto in quanto luogo dell‟azione, della resistenza, dell‟amministrazione: dove – in altre parole – pur in mancanza di un giuramento collettivo che ne indirizzi al comune (come quello settentrionale), ceti eminenti sono capaci di gravare su decisioni, esercitano funzioni, erigono monumenti e strutturano lo spazio urbano. Ossia, manifestano delle volontà nell‟ambito del sistema di diritto al quale appartengono e tramite il quale agicono anche con indirizzi economici di uso del suolo e di commercio.

Per l‟Italia meridionale, di “comune” – in senso “settentrionale” – non si può tuttavia parlare facilmente, specie se si mantiene quell‟impostazione tradizionale che al termine “comune” attribuisce il significato di comunità che esprime la volonta della gestione del bene comune384. Al di là di del problema dello statuto del comune meridionale, che di per se si porta dietro tutto un filone storiografico impegnato a disvelare quegli elementi che indicano l‟esistenza o meno di corporazioni, oppure ad analizzare i momenti evolutivi delle universitas attraverso le molte interpretazioni del diritto pubblico dei diversi dominii, ciò che emerge è la difficolta di trovare dei confronti, dei “paradigmi”, certe assonanze, con quell‟Italia comunale settentrionale la cui storiografia ha per molto tempo condizionato ideologicamente lo sviluppo delle riflessioni di coloro che si sono occupati – almeno fino agli anni Ottanta – della specificità della città meridionale385.

Peculiarità che sorgono tutte dal fatto che, quando si parla di città meridionale, si deve partire necessariamente, non solo dalla situazione politica in cui esse sono calate, ma anche dalle componenti etniche, dai ceti, dai diversi gruppi che la compongono e

384 In ordine cronologico si vedano: F. Caraballese, L‟Apulia e il suo comune, Bari 1905; Id., Il

comune pugliese durante la monarchia normanno-sveva, Bari, 1927; F. Calasso, La legislazione statutaria

dell‟Italia meridionale, Bologna 1929; Id., Le città dell‟Italia meridionale dal sec. IX all‟XI, in Atti del

III Congresso internazionale di Studi sull‟Alto Medioevo, Spoleto 1959, pp. 39-63; Id., La città dell‟Italia

meridionale durante l‟età normanna, in «ASP», XII (1959), pp. 18-34; G. Fasoli, Le città siciliane dall'istituzione del «tema» alla conquista normanna, in «Atti dei III Congresso internazionale di studi

sull'alto Medioevo», Spoleto, 1959; M. Caravale, Il regno normanno di Sicilia...cit., in part. cap. VIII; G. Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno, Torino, 1965, pp. 61-136; G. Dilcher, Die Entstehung der

lombardischen Stadtkommunen, Aalen, 1967.

385

F. Calasso, La città dell‟Italia meridionale durante l‟età normanna...cit., pp. 20-21. Per una disamina della situazione nell‟Italia settentrionale altomedievale, vedi: G. Cantino Wataghin, Quadri

urbani nell‟Italia settentrionale: tarda Antichità e alto Medioevo, in La fin de la cité antique et le debut de la cité médiévale de la fin du IIIe siècle à l‟avènement de Charlemagne, Actes du colloque tenu à

l‟Université de Paris X-Nanterre le 1, 2 et 3 avril 1993, a cura di Cl. Lepelley, Bari 1996, pp. 239-271 et passim.

che la fanno386. Da non sottovalutare inoltre quello strumento di coercizione usato dalle autorità, specie bizantine, nel ripopolare o creare ex novo città destinate ad assolvere a funzioni specifiche nell‟ambito di una concezione territoriale, regionale, di network, del dominio387.

Al ché ci si potrebbe domandare se il “contenitore città” fosse proprio di genti diverse legate tra loro dal fatto di appartenere alla “città” quale oggetto dell‟unità politico statale, le quali si ritrovarono a dover costituire una «solidarietà umana fondata sulla omogeneità etnica, sulla somiglianza dei costumi e della mentalità e maturata nella comune sorte politica»388, oppure prima di tutto del dominio, dello Stato, che usa le città, e qualsiasi luogo dell‟abitare, come strumento di controllo, gestione, difesa delle proprie prerogative, soprattutto nel momento in cui il regime dei Themata bizantini si disgrega389.

L‟eredità lasciata da Bisanzio ai Normanni è appunto quella di città che sono, prima di ogni cosa, la sede dell‟amministrazione e del governo, più spesso del vescovo e dei funzionari dello Stato. Ed anche dei proprietari terrieri, i quali raramente risiedono nei loro fondi, i luoghi dai quali però derivano le maggiori sostanze della vita economica della collettività. Come ebbe a sottolineare Guillou, si può parlare di città quale «centro agro-urbano», perchè è certamente la campagna che prevale sui centri stessi, molti dei quali non hanno mai rotto la continuità con l‟Antichità390

. Anzi, è proprio nello spazio urbano della polis che la ruralizzazione è avanzata: lo dimostra

386

G. Fasoli, Città e ceti urbani...cit., p. 149; V.von Falkenhausen, I gruppi etnici del regno di

Ruggero II e la loro partecipazione al potere, in Società, potere e popolo nell‟età di Ruggero II...cit., pp.

133-156; S. Tramontana, Città, ceti urbani e connessione fra possesso fondiario e potere nella monarchia

di Ruggero II, in Ivi, pp. 157-172. Cfr.: V. von Falkenhausen, Il popolamento: etnie, fedi, insediamenti...cit.

387

Cfr. J.-M. Martin, Insediamenti medievali e geografia del potere, in Capitanata medievale, a cura di M. S. Calò Mariani, Foggia 1998, pp. 77-83; F. Burgarella, Fondazione di città e costruzione di

Kastra: aspetti tecnici, in La cultura scientifica e tecnica nell'Italia meridionale bizantina. Atti della VI

giornata di studi bizantini (Arcavacata di Rende, 8-9 febbraio 2000), a cura di F. Burgarella e A.M. Ieraci Bio, Soveria Mannelli 2006, pp. 193-205. Ricordiamo ancora il caso di Taranto in occasione della Guerra greco-gotica, in Procopio, III, 23.

388

F. Calasso, La città dell‟Italia meridionale...cit., p. 23.

389 Sui temi bizantini e la loro struttura politico-sociale rimandiamo qui alla più recente sintesi di J.-

M. Martin, Les thèmes italiens. Territoire, administration, population...cit.

390

Taranto, città questa che più di altre attesta però pure l‟idirizzamento funzionale dei diversi poli aggregativi, dei diversi insediamenti intramoenia, durante l‟Alto Medioevo391.

Fuori dai centri, al di là delle mura antiche, vi erano i choria, e questi – che un tempo, abbiamo visto, erano realtà indipendenti legate direttamente allo Stato tramite il fisco – diverranno dalla metà dell‟XI secolo parte dell‟universitas agrorum infra fines cuiusque civitatis392, vale a dire dipendenti dalla città alla quale afferiranno e dove avranno sede i gradi possidenti fondiari. Ancora prima dell‟arrivo dei Normanni, questi grandi possessori sono spesso i monasteri che non di rado sono nelle città: in generale queste sono appellate kastra, centri controllati dallo Stato. Nelle campagne, al declinare del sistema dei choria, si costituiscono kastellia dove andranno a vivere quegli ex piccoli proprietari che nel tempo hanno ceduto i possessi ai gradi monasteri piuttosto che a talune personalità che costituiscono via via le grandi proprietà. Senza dimenticare però che per kastrum/kastron si intende – nella visone bizantina del termine – non una città in senso lato, bensì un luogo dell‟amministrazione, cosa che la differenzia da un “non villaggio” proprio perchè in esso non vi è un funzionario dello Stato che amministra il territorio393.

Interpretazione terminologica questa non univoca, tanti sono gli usi che di kastron si fa nei documenti dell‟Italia meridionale. Dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, oltre ad A. Guillou almeno altri due insigni studiosi – Vera von Falkenhausen e Jean-Marie Martin – hanno cercato di definire i molti significati delle terminologie identificabili i vari assetti urbani e territoriali dell‟Italia Meridionale bizantina. V. von Falkenhausen ha potuto notare come σ τπον soppianti entro il X secolo la più antica espressione πόλιρ, coerentemente a quanto avviene nel resto

391 E. Lippolis – C. D‟Angela, Taranto: dall‟Acropoli al Kastron, in «ASP», 49 (1996), pp. 7-45; S.

De Vitis, Insediamenti e problematiche dell‟archeologia tardo antica e medievale nel territorio di

Taranto (secc. IV- XV d. C.), Taranto 2003; G. Mastrocinque, Il paesaggio urbano a Taranto nella prima età imperiale tra continuità e innovazione, in Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane, VIII, a cura di M. Pani, Bari 2007, pp. 201-238. Id., , Il paesaggio urbano a Taranto nella prima età imperiale...cit.; Id., Taranto. Il paesaggio urbano di età romana tra persistenza e innovazione,

Pozzuoli 2010.

392 Cfr. E. Ennen, Storia della città medievale, Bari 1975, p. 8, dove si cita il Digesto giustinianeo. 393

dell‟ecumene bizantina394

. Φ τπον, in Langobardia, è vocabolo burocratico che si usa in antitesi a σ π ον, il villaggio395, ovvero «città con tradizioni storiche, come ad esempio Taranto396, oppure nuove fondazioni (...) come ad esempio Troia397». Φ τπον inoltre è utilizzato anche come appellativo di centri davvero importanti come Bari, sede del Catepanato, o Reggio, capitale di un thema398.

Fatto ulteriore, rilevato dalla studiosa tedesca, è che mai nelle fonti agiografiche meridionali le città bizantine vengono definite con una “terminologia fissa”, tanto è vero che non è rado rinvenire – all‟interno di un medesimo racconto – termini quali πόλιρ, πόλι μα, σ τπον, ἄ τς, πολ σνη. Se è vero che, comunemente a quanto accade altrove nel mondo bizantino, quando si debba parlare di metropoli si usi il termine πόλιρ399, può apparire singolare che lo stesso vocabolo venga impiegato per alcune città meridionali che certo metropoli non furono. Parliamo qui di centri come Enna e Taormina in Sicilia, Amalfi in Campania e Reggio – questa almeno capitale di un thema considerato strategico – per quanto riguarda la Calabria400. Singolare, ma non per l‟ambiente bizantino, dove anche centri come Butrinto e Sparta sono πόλιρ401: quindi non solo grandi città sedi di metropolie vescovili.

394

V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina in Italia meridionale...cit., p. 145 ss.

395 CDB, IV,pp. 67 ss., n. 32.

396 Cfr. F. Trinchera, Syllabus graecarum...cit., pp. 5, n.7; 6, n. 8; 7, n. 9; 29, n. 26; 36, n. 31; 38,

n.32; 58, n. 47.

397

Ivi, pp. 18-20, n.18.

398 Per Bari, Ivi, p. 28, n. 25; CDB, IV, p. 67 ss., n. 32; per Reggio, A. Guillou, Le Brébion de la

Metropole…cit., p. 171.

399

Nella Vita di S. Elia il Giovane, ed G. Rossi Taibbi, Palermo 1962, sono appellate πόλιρ le città di Gerusalemme, p. 26; Alessandria, p. 30; Tessalonica, p. 110.

400 Ivi: Enna, p. 6; Taormina, pp. 38, 74, 82; Amalfi, pp. 78, 82; Reggio, p. 58.

401 Ivi: Butrinto, p. 42; Sparta, p. 40. Cfr. la Historia et Laudes SS. Sabae et Macarii iuniorum e

Sicilia, auctore Oreste, patriarcha Hierosolymitano, ed. G. Cozza-Luzi, Roma 1883, dove πόλιρ -

termine questo usato di sovente all‟interno del racconto – identifica anche il piccolo centro di Collesano, luogo di nascita dei santi di cui Oreste racconta: e forse per questo – per accentuarne l‟importanza “storica” che Collesano diventa polis, visto che altrimenti è ἄ τς: pp. 6, c. 2; 13, c. 6; 32, c. 19; 50, c. 36; 60, c. 43; 79, c. 6; 81, c. 8; 85, c. 12; 89, c. 16; 92, c. 19. Per Rossano, Oreste usa il termine ἄ τς: p. 89, c. 16; diversamente da quanto avvine nella Vita di S. Nilo iunioris = Vita et conversatio sancti et deiferi

patris nostri Nili, in PG 120, pp. 16-165, in part. 68 B, 85 D, 92 C, 112 CD, dove Rossano è σ τπον, o πόλιρ (p. 68 B).

Tuttavia, l‟identificazione di ciò che in altre sedi era σ τπον con πόλιρ o ἄ τς si rivela in modo non discriminatorio nella letteratura agiografica di origine italiana402 a prova dell‟ulteriore arbitrarietà dell‟uso terminologico relativo ai centri urbani403

: quando Trinchera opera la traduzione in latino degli atti catepanali in favore di Montecassino, a σ τπον fa corrispondere civitas404, mentre Robinson, nella sua raccolta, rileva che per quanto concerne le carte del monastero di S. Elia di Carbone, redatte entro la prima metà del XII secolo, a σ τπον si preferisce ἄ τς e poi anche πόλιρ405

.

Dalla tabella che segue, ralizzata sui dati raccolti da Vera von Falkenhausen dai documenti del Syllabus graecarum di Trinchera, osserviamo come la proporzione dell‟uso di alcuni termini adottati per indicare città si distribuisca nel tempo406:

σ τπον πόλιρ ἄ τς

Ante 1090 28 0 1

1091-1139 9 2 14

É palese, per il primo periodo ducale, il prevalere del vocabolo kastron e questo, come vedremo più avanti, ha un significato preciso che affonda le radici in tempi abbastanza remoti: quelli della destrutturazione delle città antiche e la loro

402 Cfr. Ivi con Vita S. Bartholomai abbatis confessoris, in AA.SS. September, VIII, pp. 810-825, in

part. 811 A, 824 DE; A. Peters, Joannes Messor, seine Lebensbeschreibung und ihre Entstehung,

Auszung aus der Bonner phil. Diss., 1955, BC, p. 29; Vita di S. Luca Vescovo di Isola di Capo Rizzuto,

Testo e traduzione a cura di G. Schirò, Palermo 1954, pp. 90, 96, 98, 104, 114, 120.

403 V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina...cit., p. 146.

404 F. Trinchera, Syllabus graecarum...cit., pp. 11, n. 12; 25, n. 23; CDB, I, III, IV, passim. Per

quanto riguarda la raccolta di Trinchera, il termine ἄ τς compare solo una volta prima del 1090; quattordici tra 1091 e 1139: Ivi, p. 51, n. 40; cfr. pp. 68, n. 52; 93, n. 72; 97, n. 75; 99; n. 76; 106, n. 80; 108, n. 83; 131, n. 100; 145, n. 110; 149, n. 112; 155, n. 116; 158, n. 118; 159, n. 119; 160, n. 120.

405 V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina...cit., p. 148. 406

ristrutturazione polifunzionale che col tempo vedranno comporre il paesaggio della διασπ τη ιρ della città, ovvero le sue pertinentie, il suo territorio diretto. Mentre il termine ἄ τς, maggiormente utilizzato nella prima metà dell‟XI secolo, sta ad indicare di solito i piccoli centri fortificati di nuova fondazione407.

Gli οἰσήτοπ ρ citati in diversi documenti pugliesi, sono coloro che abitano i kastra ed i choria, ovvero, coloro che vivono nella diakratesis, nel territorio definito408. Questi cittadini dello Stato, prima ancora che residenti in città, o meglio del kastron, o dei kastellia, o ancora dei choria in generale, sono sottoposti all‟autocrate direttamente a mezzo del funzionario territoriale al quale è demandato il governo dei themi, quindi al catepano.

Quando i Normanni arrivano in Italia meridionale, si trovano di fronte a due modalità di amministrazione del territorio: quella dei gastaldati longobardi, per i territori sotto i principati maggiori – Salerno e Benevento – in primis; quello degli arconti, e quindi dei funzionari regionali, nei territori bizantini409. Come a suo tempo rilevato da A. Guillou, se qualcosa permase nelle terre bizantine della legge longobarda, questo fu sostanzialmente afferente al perdurare del diritto longobardo sul matrimonio, ma certo in una condizione favorevole alla concezione greca del diritto. Per il resto, i “cittadini” delle terre bizantine erano sottoposti all‟ordinamento macedone, quello delle novelle di Basilio410.

In diversi documenti, la società meridionale risulta suddivisa in maiores, ossia i nobiles, in mediani e in minores: tripartizione che attesta la sua derivazione dalla concezione militare longobarda che differenziava in tre gruppi411 coloro che possono permettersi di equipaggiare completamente un cavaliere e metterlo a disposizione;

407

A. Peters-Custot, Les grecs de l'Italie mèridionale...cit., p. 320.

408 CDB, I, pp. 67 ss, n. 32; F. Trinchera, Syllabus graecarum...cit., pp. 7 ss., n. 9; 20, n. 18; 40, n.

33; 53 ss., n. 42; 116, n. 88.

409 V. von Falkenhausen, L‟Italia meridionale longobarda dal VI all‟XI secolo, in Storia d'Italia, a

cura di G. Galasso, III...cit., pp. 290 ss.

410 Vedi la risposta a L. Prosdocimi, in A. Guillou, Città e campagna nell‟Italia meridionale...cit.,

pp. 41, 43.

411

coloro che possono garantire un cavallo ed un equipaggiamento leggero; e i minores che sono equipaggiati di soli arco e freccia412. A questi tre insiemi si fanno corrispondere, di solito, le tre grandi classi che dividono la società bizantina del periodo qui preso in esame: quella degli ἄπσοντ ρ, ovvero i notabili locali insigniti spesso di onorificenze, i quali di frequente accedono al funzionariato provinciale; gli ἱ π ῖρ, gli ecclesiastici afferenti però al vescovo, quindi sostanzialmente, il clero cittadino; il λαόρ, il popolo dei contadini e degli artigiani (magister nella traslitterazione latina dei documenti pugliesi413).

J.-M. Martin ha più volte sottolineato come queste strutture sociali vivessero ed operassero all‟interno di un habitat sostanzialmente rurale, costituito da petits propriétaire – piccoli proprietari, specie per quanto riguarda la Puglia centrale e