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Fisiologia

In individui sani i processi biosintetici giustificano circa il 90% dell’ossalato presente nelle urine. La sintesi endogena è regolata geneticamente da due alleli codominanti che presentano un gene regolatore della sintesi di questo composto. Esistono quindi individui con un più alto rischio di andare incontro agli effetti tossici dell’ossalato (Erickson et al., 1984).

La proporzione di ossalato nelle urine, derivante dalle quantità introdotte con la dieta, è altamente variabile, ed è stato dimostrato che può essere compresa in un range dal 2 al 50% del valore totale introdotto (Lindsjö et al., 1989). Il contenuto di acido ossalico assunto con la dieta può essere stimato e controllato, mentre risulta difficile quantificare e controllare l’ossalato presente nel lumen a causa dell’assorbimento variabile lungo l’intero tratto gastrointestinale.

La membrana epiteliale del tratto gastrointestinale e renale rappresenta la principale interfaccia di scambio dell’ossalato tra l’organismo e l’ambiente e gioca un ruolo prioritario nel mantenimento e nel bilancio di massa dell’ossalato. Benché i tessuti umani presentino una scarsa attività degradativa dell’acido ossalico, il suo assorbimento dipende da diversi fattori quali flussi paracellulari all’interno dell’apparato digerente, concentrazione di ossalato solubilizzato, tempo di transito, proprietà di assorbimento delle cellule epiteliali del lume intestinale (Binder et al., 1974), e concentrazioni di calcio, magnesio e fibre. Calcio e magnesio impediscono l’assorbimento perché legano l’ossalato, diminuendone la frazione libera disponibile (Berg et al., 1986), mentre le fibre

abbassano l’assorbimento perché diminuiscono il tempo di transito lungo il tratto gastrointestinale (Holmes et al., 1995). In diversi studi è stato individuato un picco di assorbimento dell’ossalato dopo 2-5 ore dalla somministrazione (Erickson et al., 1984; Prenen et al., 1984), ed il colon è stato evidenziato come sito principale di assorbimento (Hatch et al., 1995). In questa sede è stato evidenziato l’accoppiamento del flusso di ossalato con scambiatori di Na+/H+ e Cl-/HCO3-. Sia nel segmento prossimale che in quello

distale del colon, la direzione del flusso netto può essere regolata da neurormoni, che condizionano il trattamento enterico dei maggiori elettroliti plasmatici.

Il primo sistema di trasporto ad essere caratterizzato è stato lo scambiatore ossalato (SO4)2-/OH- nel piccolo intestino, identificato grazie all’osservazione che il gradiente di

ioni OH- stimola l’uptake di ossalato e solfato, e che entrambi gli anioni divalenti erano cis-inibiti e trans-stimolati l’un l’altro. L’uptake non è risultato condizionato dalla presenza di un gradiente elettrico. Un altro sistema di trasporto caratterizzato a livello dell’orletto a spazzola delle cellule dell’ileo è uno scambiatore ossalato/Cl-; sia l’ossalato che il cloruro sono cis-inibiti e trans-stimolati e inducono il controflusso l’uno dell’altro. Il processo di scambio è elettroneutrale. Nel largo intestino, invece, il trasporto dell’ossalato è sempre stato considerato una diffusione passiva anche se recentemente sono state riportate evidenze su un suo trasporto attivo. Una minore attenzione è stata riservata allo studio dell’assorbimento dell’ossalato attraverso la mucosa dello stomaco, in quanto questo assorbimento sembra essere non troppo significativo e molto probabilmente avviene attraverso una diffusione non ionica dell’acido libero secondo un gradiente di concentrazione.

Patologia

L’ossalato, quando è presente in concentrazione molto elevata, può risultare estremamente tossico per l’organismo umano (Sidhu et al., 1997a). L’acido ossalico è in grado di legare due ioni calcio per formare ossalato di calcio, sale insolubile che si deposita a livello renale sotto forma di cristalli.

Studi genetici hanno identificato un gruppo di individui con disordini metabolici ereditari nei quali insorgono con ricorrenza calcoli di ossalato di calcio anche in giovane età. Questa malattia genetica prende il nome di iperossaluria primaria. È caratterizzata da una sintesi difettiva dell’ossalato epatico, infatti l’enzima alanin-gliossilato amminotransferasi (AGT), che catalizza la reazione di transamminazione del gliossilato a glicina usando come cofattore il piridossal-5-fosfato, non viene espresso. In assenza di AGT, il gliossilato viene ossidato a ossalato nei perossisomi dalla gliossilato ossidasi, o rilasciato attraverso la membrana dei perossisomi nel citosol e ossidato ad ossalato dalla lattato deidrogenasi. Le caratteristiche fisiopatologiche dell’iperossaluria primaria sembrano essere dovute ad un aumento della sintesi di ossalato e ad una bassa solubilità dell’ossalato di calcio. Dal punto di vista clinico è una malattia molto eterogenea. In molti casi, infatti, si ha il non corretto indirizzamento della proteina ai mitocondri anziché ai perossisomi, in altri si riscontra una distribuzione equa tra i due compartimenti subcellulari, ma la proteina dei perossisomi viene aggregata in strutture corpuscolari (Danpure et al., 1994). L’iperossaluria primaria è dapprima causa di un’eccessiva escrezione di ossalato nelle urine e poi del successivo sviluppo di calcoli nel tratto urinario (urolitiasi) e di deposizione di ossalato di calcio nel parenchima renale (nefrocalcinosi). Il trattamento clinico prevede il ritardo dell’inizio del danno renale regolando la quantità di ossalato introdotto con la dieta, mantenendo alto il flusso

urinario così da minimizzare la saturazione di ossalato di calcio, e somministrando inibitori della cristallizzazione del calcio urinario. In caso di stadi avanzati in cui si ha una notevole deposizione di ossalato di calcio, si effettua emodialisi con successivo trapianto renale.

Uno studio condotto su pazienti predisposti alla formazione di cristalli di ossalato di calcio, ha evidenziato come l’iperossaluria possa anche essere causata da un aumento dei livelli di ossalato introdotto con la dieta (Holmes et al., 1995). L’elevata quantità di acido ossalico assorbita a livello enterico, riconducibile spesso a malattie gastrointestinali o ad alterazioni del microbiota, porta all’iperossaluria enterica (Allison et al., 1989; Argenzio et al., 1988). Questa è conseguenza di un malassorbimento intestinale: gli acidi grassi si legano al calcio rendendo l’ossalato più disponibile all’assorbimento, e insieme ai sali biliari aumentano la permeabilità del colon. Pazienti affetti da fibrosi cistica sono, infatti, ad alto rischio di sviluppo di nefrocalcinosi e litiasi urinaria (Chidekel e Dolan, 1996). Tutti i pazienti affetti da iperossaluria enterica mostrano basse attività di degradazione dell’ossalato (Sidhu et al., 1998), così come basse sono risultate anche le attività riscontrate in pazienti affetti da morbo di Crohn (Balcke, 1983), steatorrea (Goldkin et al., 1986) e sindrome del colon irritabile (Goldkin et al., 1985). Kleinschmidt e i suoi collaboratori hanno evidenziato come la concentrazione dei batteri degradanti l’ossalato in pazienti affetti da calcio-ossalato urolitiasi sia di tre ordini di grandezza inferiore rispetto ad individui sani (Kleinschmidt et al., 1992).

Recentemente è stato dimostrato che la somministrazione orale di ceppi batterici appartenenti ai generi probiotici Bifidobacterium e Lactobacillus riduce l’escrezione urinaria di ossalato in pazienti con urolitiasi e leggera iperossaluria (Campieri et al., 2001); ciò permette di supporre che questi ceppi probiotici svolgano un ruolo nella degradazione dell’ossalato. In uno studio più recente condotto su pazienti affetti da malassorbimento di grassi, nefrolitiasi e presunta iperossaluria enterica, si è osservato che la somministrazione del preparato probiotico Oxadrop® influenza l’assorbimento di ossalato e riduce i livelli di supersaturazione nelle urine (Lieske et al., 2005).