Bologna e la musica
5. PAESAGGI DI NOTE: IL SENSO DEL LUOGO DELLA CITTÀ
5.1 Premessa
Nella ricerca di una semiotica del paesaggio, Eugenio Turri introduce il concetto piuttosto forte di “iconema”, che indica una sorta di cellula base della semiologia geografica, come il fonema di quella linguistica, ed è stato spiegato dallo stesso autore “come unità elementare di percezione, come segno all’interno di un insieme organico di segni, come sineddoche, come parte che esprime il tutto, o che lo esprime con una funzione gerarchica primaria, sia in quanto elemento che meglio d’altri incarna il genius loci di un territorio sia in quanto riferimento visivo di forte carica semantica del rapporto culturale che una società stabilisce con il proprio territorio” (Turri 1998, p. 19).
Ed ecco allora che gli insiders, attori-spettatori territoriali, attraverso le loro mappe mentali e le loro geografie della memoria squisitamente individuali, investono il paesaggio di nuovi sottili ed invisibili valori, arricchendolo e personalizzandolo. “Les valeurs! Qu’est-ce qu’une valeur? A quoi ça sert une valeur? Quelle place les valeurs occupent-elles dans l’analyse géographique, dans l’objet de l’analyse géographique, un pays, un paysage par exemple, informés, imprégnés par les valeurs de la société (formation sociale dans son ensemble ou groupe plus local) qui l’a produit? ” (Racine 1990, p. 61) . Di certo occupano un posto importante, fondamentale direi, qualora si voglia, come qui, cercare di leggere i luoghi attraverso le parole e le sensazioni di chi li ama o li ha amati per scoprirne il senso del luogo o, ancora più in fondo, il genius loci che si nasconde al di là dell’immediata visibilità.
Relph (1993) difende il concetto di senso del luogo dall’accusa di essere solo una forma di nostalgia obsoleta e per certi aspetti utopistica e sostiene l’importanza
del genius loci citando How to Design an Haunted House dello scrittore canadese Robertson Davies (1978), che richiama l’idea di tana, di angolo in cui rannicchiarsi per tornare bambini di Bachelard. Assodato che i luoghi non sono posseduti dai fantasmi (come nell’ironico titolo del saggio), è pur vero che essi hanno un loro proprio spirito, il genius loci, che li abita. In questo senso tutti i luoghi sono sacri. Già gli Stoici e Strabone ritenevano che gli dei avessero riempito la terra con presenze animate e dotato alcuni luoghi di attributi e virtù, come l’essere siti attraenti o ricchi di risorse. Così gli uomini, per trarre vantaggio da queste qualità positive, avrebbero dovuto esercitare la loro previdenza e la loro abilità di percepire le virtù dei luoghi. Per alcuni questa comprensione profonda dei luoghi è un’abilità innata, per altri deve essere imparata attraverso deliberati sforzi di osservazione e di riflessione. Il luogo, sebbene privato della sua dimensione spirituale, è un concetto potente e una componente irrinunciabile dell’esperienza umana che non può essere ridotta a generalizzazioni astratte e misure di redditività.
Abbiamo già visto come lo spazio e il tempo si intreccino variamente entro ogni rappresentazione spaziale. Nota Bertrand Levy che “Merlaeau- Ponty […] distingue entre espace ‘spatialisè’ (géométrique) et espace ‘spatialisant’ (chargé de sens et symbolique). […] Kant est à tort considéré comme le théoricien exclusif de l’espace géométrique; sa largesse de perspective embrassait également l’espace existentiel …” (Bertrand-Levy1990, pp. 81-83) . Per Kant lo spazio e il tempo sono le forme pure dell’intuizione e della sensibilità. Lo spazio esistenziale è una sorta di commistione delle due forme pure, poiché lo spazio “passe par le prisme du temps”: i tempi pensati alla luce della coscienza di sé, dell’esperienza. Anche Hegel riprenderà la concezione del tempo come condizione soggettiva delle nostre rappresentazioni spaziali.
tempo di volta in volta associato allo spazio poiché il senso del luogo non è un concetto statico, ma si evolve parallelamente all’evolversi della cultura che lo interpreta dotandolo di significato. “Ogni canzone somiglia alla rappresentazione che banalmente si fa di un atomo. Composta di un nucleo di musica e parole, che trattengono e liberano grandi energie, ruotano attorno ad essa forze estranee tra loro, ma che tutte ad essa si vincolano; l'interpretazione, gli elementi di teatralità, l'esecuzione, in studio o di fronte ad un pubblico, i video musicali, non aggiungono nulla al nucleo, ma ne caratterizzano la capacità di legarsi ad altre canzoni” (Curzi 2005, pp. 5-6). Tra le forze estranee che si vincolano alle canzoni non possono non esserci i sentimenti che legano l'autore ai luoghi cantati e il senso del luogo che egli ne coglie. Da questo punto di vista fenomenologico affronteremo qui l'analisi dei testi musicali per trarne quei paesaggi di note che possiamo legare alla città di Bologna.
Il fenomenologo non ha nulla a che vedere con il critico letterario, che è un lettore necessariamente severo, ma può permettersi di essere un lettore felice, in grado di bearsi di quelle immagini che gli piacciono in quanto tali e che, se relative allo spazio, gli consentono di giungere a comprendere, se non proprio a raggiungere, veri e propri attimi di estasi geopoetica. Anche Gaston Bachelard, nel suo storico e illuminante testo La poetica dello spazio, spiega e giustifica, con un approccio fenomenologico, la possibilità di trovare una corrispondenza emotiva con l’estasi poetica provata e restituita da altri, arrivando a farla propria. “Se esiste una filosofia della poesia, tale filosofia deve nascere e rinascere in occasione di un verso dominante, nella totale adesione ad un’immagine isolata, praticamente nell’estasi stessa provocata dalla novità dell’immagine. […] Il poeta non mi fornisce il passato della sua immagine, eppure essa affonda immediatamente le proprie radici in me. […] L’immagine, nella sua semplicità, non ha bisogno di un sapere, essa è la ricchezza di una coscienza ingenua, … viene prima del pensiero,
… è una fenomenologia dell’anima…” (Bachelard 1975, pp. 5-14).
Prima di entrare nel vivo della nostra analisi dei paesaggi di note di Bologna urge un'ultima premessa metodologica, legata alla forma canzone stessa, in cui la semplicità e la musicalità del linguaggio si associano spesso e volentieri alla “densità”. “Le parole di una canzone tentano di racchiudere il maggior numero di significati possibili in una frase. Dato lo spazio narrativo ridotto, la canzone fa uso di quella che Hebdige chiama 'densità referenziale', in opposizione alla 'coerenza narrativa' tradizionale” (Sibilla 2003, p. 142), senza contare i limiti imposti dalla metrica e della costruzione del testo in strofe e ritornello, che vincolano in modo piuttosto rigido l'autore. Per queste ragioni le canzone dai noi analizzate non possono che rivelarsi documenti sonori assai complessi, da decodificare su più piani, non ultimo quello linguistico per le canzoni in lingua bolognese, che qui chiamerò per comodità “dialetto”87. Si è deciso allora di riportare qui i testi originali88, per lo più in versione integrale89, in modo da non falsare il significato
dei versi estrapolandoli dal loro contesto narrativo, lasciando così inalterata l'ambivalenza di questi documenti, utilizzati dagli autori come strumento per raccontare la geografia e dai geografi come fonte per poterla studiare90.
Le riflessioni qui riportate vogliono essere impressionistiche pennellate, materiale prezioso per riflessioni future dell'autrice, di altri geografi, ma anche dei
87 Non me ne abbiano dunque i puristi e i cultori di questa nobile lingua, per le cui trascrizioni mi sono basata sulle regole fonetiche del sito www.bulgnais.com. Una doverosa precisazione: spesso nella musica, il dialetto non è utilizzato solo come folklorismo di maniera, ma anche come precisa scelta espressiva della “lingua delle origini come arma di reazione contro la cultura dominante della modernizzazione tecnologica e della globalizzazione” o “come riabilitazione della memoria etnica e dell'identità individuale”. E “sotto questo profilo il suo utilizzo da parte i certi cantautori si ricollega alla miglior tradizione vernacolare italiana: da Pier Paolo Pasolini a Tonino Guerra e Biagio Marin” (Pivato 2002, p. 135).
88 Corredati in nota di traduzioni eseguite, salvo diversa indicazione, dall'autrice, data la difficoltà di reperire materiale bilingue.
89 Soprattutto per i testi meno noti e di più difficile reperibilità.
90 Sul modello di ricerca proposto da Marco Peroni per lo studio della storia attraverso la musica, che prevede anche, oltre a quello di strumento e di fonte, anche il ruolo di agente (di storia), che non si ritiene qui applicabile al contesto geografico (Peroni 2001, pp. 27-130).
Bolognesi che leggeranno queste pagine, soprattutto perché “il poco spazio a disposizione impone alla canzone di creare micro-racconti che lasciano molto spazio all'immaginazione: sono più le cose non dette che quelle dette” (Sibilla 2003, p. 142), quindi da ogni strofa possono e devono nascere ad ogni ascolto sempre nuovi spunti per arrivare a fare proprio il senso del luogo che vi è sotteso. Come sottolinea anche l'etnomusicologo Franco Fabbri: “la canzone pop, la canzone rock, la canzone 'sofisticata' delineano un mondo possibile che è una variante elementare del mondo reale, una sceneggiatura nella quale l'ascoltatore può entrare, sostituendosi al protagonista della canzone” (Fabbri 1996, p. 20).