• Non ci sono risultati.

Il paesaggio sonoro

Altri test

2. GEOGRAFIA E MUSICA

2.3 Il paesaggio sonoro

In un saggio fondamentale, Soundscape, comparso sulla rivista Area dell’Institut of British Geographers nel 1994, Susan Smith si propone di indagare il concetto di paesaggio sonoro entro gli studi di geografia sociale.

Partendo dal concetto di “paesaggio come testo”, introdotto da Denis Cosgrove e Steve Daniels (Cosgrove 1984, Cosgrove e Daniels 1988), di cui riconosce la fondamentale importanza nell’aver introdotto la rilevanza dell’esperienza e dell’emozione negli studi sulla vita sociale, la Smith critica il limite imposto dalla consuetudine di accostarsi al paesaggio secondo un approccio pressoché esclusivamente visivo (modalità che la studiosa definisce “ideology of the visual”) e “silenzioso”, così da mettere in ombra gli altri sensi nella percezione dello spazio e dei luoghi. Infatti “the majority of human geography remains devoted to seeing the world, or speaking about it, rather than to listening or hearing” (Smith 1994, p. 233).

Ma in questo modo si spreca un’opportunità percettiva straordinaria, poiché il suono ha il potere di evocare un “senso del luogo” diverso da quello evocato dalla vista e ad esso complementare. E non possiamo, a questo proposito, dimenticare gli studi compiuti da Porteous (1985) sul concetto di smellscape, di “paesaggio olfattivo”, che permette, integrandosi con gli altri tipi di percezione sensoriale, di restituire e creare quella visione olistica del mondo tanto cara alla geografia umanistica.

Diverse ricerche hanno investigato la musica per illustrare alcuni aspetti chiave come la diffusione di idee e tradizioni (Carney 1974 e 1977; Ford 1971; Meyer 1976) o per catturare, ad esempio, l’idea di un’audible past (Lowenthal 1975), “however, much remains unsaid and unheard, and this can be illustrated by highlighting the potential for incorporating musical themes into three types of landscape study, deriving respectively from the project of ethnography, the idea of

place and the notion of spectacle” (Smith 1994, p. 233).

Cerchiamo allora di approfondire questi tre concetti che stanno alla base, secondo la studiosa inglese, di tre diversi tipi di studi sul paesaggio.

 Il progetto dell'etnografia

L’approccio etnografico ha acquistato un’importanza sempre maggiore all’interno di alcune aree della geografia culturale, ma ha mantenuto a lungo il grosso limite di essere dominato dall’osservazione dei dettagli e troppo legato alla ricchezza di particolari visivi. Almeno fino all’avvento, nel 1970, del WSP (World Soundscape Project), che si proponeva di studiare e catalogare i vari aspetti dei paesaggi sonori per determinare come i cambiamenti in atto potessero influire sul pensiero della gente e sulle attività sociali (Murray Schafer1985, p. 88).

In questo ambito di indagine si possono inscrivere alcuni paesaggi sonori carichi di conflittualità, che legano la musica ad una condizione di “alterità” etnica (blackmusic, ragtime e rap, per fare qualche esempio), tipici di certe realtà urbane, che possono anche, nei casi più positivi, trasformarsi in forme di riscossa e lotta per l’indipendenza e i diritti umani.

Alcuni esempi di questo tipo di soundscape di rottura sono delineati da Spike Lee nel suo Do the right thing, un film che esplora le tensioni razziali e i conflitti territoriali a Brooklyn. In particolare, l’importanza del ruolo della musica risulta evidente nella scena in cui si vede un gruppo di Puerto Ricans che giocano a domino e bevono cerveza frio al suono della salsa diffuso da una delle loro auto, scatenando la protesta della locale banda di rappers, che ristabilisce l’autorità nera attraverso la musica rap suonata ad un volume ancora più alto fino a coprire quello della salsa. Sebbene questa scena sia costruita per un pubblico cinematografico, essa aiuta a fare il punto sul fatto che possa esserci, nella geografia, un posto per un'etnografia musicale che ponga il suono al di là delle preoccupazioni esotiche

degli etnomusicologi, nel campo d'indagine dell'analisi culturale (Smith 1994, p. 234).

 L'idea di luogo

Dopo che Walter Firey (1945) ebbe dimostrato la potenza dei sentimenti e del simbolismo nella strutturazione dello spazio urbano, i geografi si sono interessati al senso, alla costruzione e alla significazione dei luoghi. Eppure, se non sono mancati autorevoli studi sui vari paesaggi immortalati dai diversi autori (la Scozia di Scott, il Wessex di Hardy, l’Inghilterra della Austin, per fare solo qualche esempio), “the composer’s image of place –the musical evocation of nations and countries – has not yet found a space in the geographical imagination” (Smith 1994, p. 234). Ad eccezione di due lavori di Howkins (1989) e Lowenthal (1993) che analizzano le tensioni prodotte da un medium come la musica, che, da un lato aspira all’universalismo, dall’altro evoca l’idea di specifici luoghi, tempi e nazioni. Evocazione che si sposa perfettamente con la definizione suggerita da Barnes e Duncan (1992), di paesaggio come: “a piece of art or a text, to be interrogated for what it tells us about its creators, their world, and ourselves” (Smith 1994, p. 232).

In questa sede vorrei introdurre due esempi di paesaggi sonori in qualche modo “artificiali”, che costituiscono quasi dei testi di fantasia a livello territoriale perché sono in grado di veicolare messaggi molto forti di identità non autentiche che costruiscono a tavolino un idea of place per così dire d’invenzione o almeno contaminata, come nel primo caso, o anacronistica, nel secondo: il Brasile del Tropicalismo e gli Appalachi del Blugrass.

Quando Gilberto Passos Gil Moreira, nato a Salvador de Bahia nel 1942 e cresciuto nella campagna di Ituaçu, torna alcuni anni dopo nella sua città natale, entra in contatto con i nuovi suoni delle jazz band e i nuovi ritmi della costa. Come l’amico e collega Caetano Veloso, rimane affascinato dalla bossa-nova di João

Gilberto e dalla musica “colta” (Pierre Boulez, John Cage, Stockhausen), conosciuta attraverso alcuni concerti organizzati dall’Università di Bahia. Una “musica che non era musica. Una musica che incorporava suoni, rumori e silenzi”. La proficua collaborazione tra gli artisti (Gilberto Gil, Caetano Veloso, Maria Bethânia, Gal Costa, Tom Zè e tanti altri), il dialogo con il pubblico, il fermento musicale della città sono gli elementi che consentono a Gilberto Gil e Caetano Veloso la creazione del Tropicalismo, (contaminazione dei suoni della musica tradizionale, la bossa- nova, il pop, il samba), con cui rivoluzioneranno il panorama della musica popolare brasiliana e presto osteggiato dal regime per le sue critiche sul piano etico, morale e politico14.

Il secondo esempio di soundscape artificiale, come abbiamo anticipato, è quello del Bluegrass, che tenta di conferire un aspetto di ritorno alla purezza del country life style che in realtà non corrisponde più all’identità del paesaggio geografico e culturale degli Appalachi, al cui senso del luogo viene comunemente associata. Padri di questo genere musicale, emerso solo negli anni’40, sono Bill Monroe, Lester Platt ed Earl Scruggs, provenienti rispettivamente dal Kentucky occidentale il primo, dal North Carolina gli altri due. L’uso di strumenti a corda non elettrificati, tra cui predomina il banjo, contribuisce a creare l’impressione che questa sia “the only true, natural, authentic form of country music” (Connel e Gibson 2003, p. 31), “the living link back to the older acoustic forms of country and folk music” (Peterson 1997, p. 213) o “the lastest expression of poor, rural, working-class pioneer America” (Rosenberg 1985, p. 13).

Una situazione simile, frutto di una contaminazione culturale dai confini geografici ancora più ampi, è quella della musica popolare congolese (Rocherau

14 Le citazioni sono tratte da un’intervista rilasciata da Gilberto Gil a Roberto Molteni in occasione del Premio Tenco 2002, che lo ha visto vincitore del prestigioso riconoscimento proprio perché “insieme ad altri musicisti ha rinnovato la musica popolare brasiliana con scelte inconsuete, riuscendo ad affermare, attraverso l’invenzione del Tropicalismo, un nuovo gusto”, come recita la motivazione.

1984, Connell e Gibson 2003, p. 151) che prese forma intorno agli anni ’50 dopo l’importazione della musica caraibica, in particolare cubana, che sviluppò in questa zona dell’Africa una vera e propria passione per i ritmi della rumba e per le sue linee melodiche. Nello stesso periodo si diffuse anche l’uso della chitarra acustica, che insieme ai ritmi caraibici afro-cubani, si sovrappose ai ritmi tradizionali locali per dare vita alla musica “Congo”, poi diffusa in altre aree africane circostanti.

 La nozione di spettacolo

Soffermandoci in particolare sulla musica come spettacolo, possiamo dire che essa può rappresentare una dimostrazione del potere che evidenzia e riproduce il simbolismo dei luoghi. Un’attenzione particolare è posta dalla Smith sul significato sociale e politico dei suoni, soprattutto della musica, che fornisce un prezioso aiuto per influenzare, cambiare o arricchire l’interpretazione di particolari paesaggi.

Basti pensare all’importanza della musica nelle celebrazioni politiche, soprattutto nei paesi con regimi totalitari, e ad alcuni quadri paesaggistici tracciati secondo una visione imperialista del mondo, come quello che compare nell’Aida di Verdi, uno spettacolo pensato per alienare ed impressionare un pubblico quasi esclusivamente europeo, che fornisce un immagine “orientalizzata” dell’Egitto, dipinto come un luogo essenzialmente esotico e lontano nel tempo e nel spazio (Said 1993).

Un discorso a parte meritano le canzoni di guerra, che inscenano una sorta di spettacolo appositamente costruito per infondere negli animi dei combattenti lo spirito patriottico e scacciare la paura. I testi dipingono sovente paesaggi di dolore e distruzione, sangue, lutti e macerie, di una patria straziata che implora i suoi soldati affinché la difendano e riportino in essa la pace. E ciò accade sia nella musica degli gli eserciti “regolari”, sia in quella delle brigate partigiane, che possono contare su una base locale anziché nazionale, in cui la carica identitaria è

spesso assai più sentita.

Quasi tutte le canzoni della nostra Resistenza15, ad esempio, almeno quelle

precedenti la Liberazione, sono strettamente legate, oltre che alle ideologie politiche, anche ai luoghi dove vengono prodotte e consumate, e spesso descrivono località e paesaggi o li nominano attraverso riferimenti toponomastici minuziosi, come sa fare chi quelle realtà ben conosce, così bene che proprio in quella conoscenza ripone l’unica speranza di salvezza. Nota infatti lo storico Roberto Battaglia che “in ogni poesia partigiana è […] possibile cogliere i motivi locali, le ragioni ambientali che danno origine alla sua tematica. E il dialetto è la più sicura denuncia di ciò”(Battaglia 1953, p. 405). Anche perché molte musiche del canzoniere partigiano sono spesso ispirate o derivate da “canti tradizionali, popolari o popolareschi, con adozione integrale della linea melodica e modificazione parziale (o più raramente integrale, ma anche in questi casi qualcosa del modello primitivo sopravvive) del testo poetico. Il repertorio più saccheggiato dagli anonimi creatori partigiani è quello della tradizione lirico-narrativa settentrionale, talora nella sua decaduta versione del genere cosiddetto ‘di montagna’” (Leydi 1960).

Al contrario, fa notare Mimmo Boninelli, in città, “in circostanze dove il fascismo concentra l’autorità, esprime la propria forza militare, la boria, eccetera, la sua capacità di dominio, ma non di egemonia, garantisce il permanere dell’innodia di regime, la produzione e lo sviluppo di uno repertorio retrivo e volgare, qualche volta di stampo goliardico e truce, di cui sono infarciti i testi e le strofette antipartigiane” (in Lovatto 2001, p. 138).

Secondo la Smith, dunque, i suoni sono assolutamente inscindibili dal

15 Tranne forse le due più famose, Bella ciao e Fischia il vento, che hanno un’ambientazione più genericamente montanara e che devono alla loro complessa genesi la contaminazione tra luoghi, stili e melodie diverse, tanto che la seconda è stata musicata su una famosa melodia russa, Katiuscia, di Blanter. Non posso qui dilungarmi sulla storia molto interessante della genesi di queste canzoni, molto esaurientemente spiegata in Lovatto 2001.

paesaggio sociale e la musica è indispensabile per l’immaginazione geografica, così da auspicare un loro inserimento più esplicito all’interno delle ricerche di geografia umana, soprattutto relative alle cultural politics.

Un’altra impostazione teorica sul paesaggio sonoro è quella di Murray Schafer (1969, 1977), che suddivide i paesaggi sonori in due tipologie: hi-fi e lo-fi. I paesaggi hi-fi sono quelli in cui è possibile percepire chiaramente i singoli suoni, la loro direzione di provenienza e la distanza da cui giungono, in quanto il livello di rumorosità ambientale si mantiene medio-basso. Si possono grosso modo identificare con i paesaggi rurali. I paesaggi lo-fi sono invece quelli in cui non è possibile percepire chiaramente e in modo distinto i singoli suoni, poiché “di fronte all’ascoltatore si erge una barriera di suoni numerosi e mescolati tra loro” (Disoteo 2003, p. 51). Si possono grosso modo identificare con i paesaggi urbani.