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Panoramica sulla situazione produttiva italiana

CAPITOLO IX COMMERCIALIZZZIONE E MARKETING DEL MIELE

9.1 Panoramica sulla situazione produttiva italiana

In Italia l’apicoltura rappresenta un settore ritenuto ancora di nicchia rispetto ad altri comparti dell’agroalimentare per cui, come abbiamo già detto, non è semplice realizzare un quadro con dati statistici precisi anche se l’istituzione di una banca dati apistica dal 2014 ha permesso di caratterizzare maggiormente il comparto.

La Commissione Europea ha pubblicato un report (COMMISSIONE EUROPEA, 2020) in cui è riportato l’andamento del settore

L’Italia si osserva è al quinto posto, per il 2018, con circa 23'000 tonnellate prodotte. Il numero di alveari censiti è di 1,4 milioni di cui 173'000 mila

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Secondo l’ONM (Naldi.G,2019) il giro di affari si stima in 150.000.000 di euro comprendendo tutte le produzioni (miele per circa 120 milioni di Euro, pappa reale, polline, propoli cera ecc.). Oltre a questo si stima in 2 miliardi di Euro il valore per l’impollinazione delle sole piante coltivate a cui aggiungere l’  inestimabile valore della impollinazione per la conservazione dell'ecosistema.

Il numero totale di apicoltori è di circa 51’000 divisi in apicoltori hobbisti- quelli che producono per autoconsumo- e apicoltori che commercializzano: il numero di apicoltori “hobbisti” che detengono alveari per passione e per ottenere produzioni limitate all’autoconsumo è in costante aumento. L’andamento può essere in parte giustificato dal progressivo aggiornamento della Banca Dati Nazionale ma anche da un numero crescente di nuovi apicoltori: l’apicoltura vive un momento di forte attenzione mediatica per l’importante ruolo dell’ape nell’ecosistema e le minacce alla sua sopravvivenza.

139 Le Regioni con maggior numero di alveari sono Piemonte, Lombardia,Toscana, Emilia Romagna e Sicilia.

La maggior produzione si ha per i mieli di acacia, sulla, tiglio, castagno, agrumi, millefiori cui seguono produzioni minori di cardo, coriandolo, corbezzolo, erba medica e girasole.

In merito alla produttività, l’ONM riporta per il 2018 una stima delle quantità medie prodotte per alveare nelle varie regioni , differenziandole in base alla specializzazione dell’imprenditore: transumante, stanziale o per autoconsumo. Tali dati incrociati con la stima della quantità media di miele diversificato per tipologia consente di avere un quadro più preciso della produttività.

L’ONM ha ripartito la produzione al 2018 per macroaree:

- Nord-Ovest, che comprende Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta;

- Nord-Est, con Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, TrentinoAlto Adige e Veneto;

- Centro, di cui fanno parte Lazio, Marche, Toscana e Umbria;

- Sud, con Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia; - Isole, rappresentate da Sardegna e Sicilia.

Dalle stime risulta che la produzione dell’acacia è maggiore al Nord, il millefiori sia primaverile che estivo ottiene migliori risultati al centro e al sud, gli agrumi ovviamente

140 hanno una considerevole produzione al sud e sulle isole dove la coltivazione delle piante è resa possibile dal clima, castagno e tiglio hanno range variabili che attraversano la penisola.

Se si guarda il generale andamento della produzione nazionale:

si notano le marcate oscillazioni ed il brusco calo dell’annata 2019, di cui abbiamo già analizzato le cause e che si è tradotto in una perdita di milioni di euro (nel 2016 il calo produttivo (40%) ha portato ad un mancato reddito complessivo di 47 milioni di euro). Dall’ultimo Congresso dell’Apicoltura professionale italiana, emerge che al danno delle perdite produttive si aggiunge l’aumento dei costi di produzione dovuti al ricorso all’alimentazione di soccorso e frequenti spostamenti delle api. Inoltre, c’è stato un calo del mercato dovuto ai prezzi elevati al consumatore in conseguenza delle scarse rese che ha portato ad una diminuzione dei prezzi al produttore. Il mercato è sempre più condizionato da un prodotto che arriva dall’estero, dall’Asia in particolare, a bassissimo prezzo e spesso adulterato, e dalla concorrenza di altri Paesi che hanno costi di produzione più bassi.

9.1.2 Il bilancio tra Import ed export

L’Italia è deficitaria per quanto riguarda la produzione di miele: sul territorio nazionale si produce infatti solo poco più della metà dell’intero fabbisogno, dovendo ricorrere per la quota mancante all’importazione dall’estero. Abbiamo già visto nel VII capitolo

141 che l’Italia si colloca al sesto posto con il 4.49% delle importazioni mondiali e solo al ventesimo degli esportatori (nel 2018 le quantità esportate dall’Italia sono circa 5335 tonnellate ed hanno avuto come destinazione un paese dell’Unione Europea per il 87% e per 13% verso paesi extra UE. Tali percentuali sono pressoché invariate dal 2015). Pur muovendosi in questo scenario caratterizzato da un’offerta molto più bassa rispetto alla domanda, le aziende apistiche si trovano da un paio d’anni a dover affrontare il problema di riuscire a collocare sul mercato il proprio prodotto, che molte volte non viene ritirato dai grossisti e dai confezionatori nemmeno a prezzi stracciati in quanto preferiscono, anche a parità di prezzo, il miele importato dall’estero. Il problema dell’importazione dei prodotti apistici è in questo momento una vera spina nel fianco per i produttori. Il divario tra quantità importate ed esportate è in aumento: nel 2018 si raggiunge un picco pari a circa 27.874 tonnellate di miele importato (a fronte di circa 5.000 tonnellate di esportazioni). Nei primi mesi del 2019 si registrano circa 20.240 tonnellate importate, dato che sembra mostrare una diminuzione rispetto alle 22.000 dello stesso periodo del 2018.

I maggiori fornitori di miele per l’Italia sono, in ordine decrescente,: l’Ungheria, la Romania e la Cina. Il prezzo del miele importato è in media di 3€/kg con un forte calo per il miele importato da Cina e Ucraina con una media di 1,5€/kg. All’export, il prezzo medio è di 4,82€/kg se si parla di paesi europei. Per le esportazioni verso Giappone e Usa è di circa 8,5€/kg.

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Nel 2017 l’Italia ha importato dalla Cina 4 mila tonnellate di miele con un valore all’importazione diretta di poco sopra l’euro. Questo miele è destinato principalmente all’industria dolciaria, il resto viene veicolato in prevalenza nei discount per l’offerta di “primo prezzo” e spesso non se ne evidenzia il paese d’origine. Sembra che in alcuni casi in Cina il miele venga raccolto immaturo (cioè non lasciato maturare nei favi) e portato nelle cosiddette ‘fabbriche del miele’, cioè ambienti nei quali sono poi gli uomini e non le api a lavorarlo, filtrarlo e deumidificarlo risultando, se così fosse, non

in linea con la legislazione europea.

Questo problema potrebbe riguardare anche Paesi più vicini dell’est Europa, che in alcuni casi non lo producono direttamente, ma contribuiscono ad importarlo attraverso meccanismi di “triangolazione” e miscelazione con mieli comunitari, facendo però di fatto arrivare tale prodotto fino al consumatore europeo. Sono stati riscontrati casi di contraffazione attraverso il ricorso allo sciroppo zuccherino con l’aggiunta di polline, trasformando così un prodotto ottenuto in laboratorio in “miele”, rendendo la contraffazione non facilmente riscontrabile anche con l’utilizzo di tecniche isotopiche. Gli apicoltori nazionali si trovano quindi a dover affrontare sul mercato prodotti alimentari che non nuocciono alla salute ma che con il miele hanno ben poco da condividere e soprattutto ad affrontare. I bassi costi del miele adulterato che continuano a ribassare il prezzo di quello autentico.

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