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Aspetti produttivi ed economici dell'apicoltura: uno sguardo all'approccio della permapicoltura

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Academic year: 2021

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Indice generale

INTRODUZIONE……… 1

CAPITOLO I IMPORTANZA DELLE API………. 4

1.1 L’ape: il miglior pronubo………. 7

1.2 L’ape: ottimo bioindicatore………. 9

1.2.1 Monitoraggio dei pesticidi……….. 10

1.2.2 Monitoraggio dei metalli pesanti……… 11

1.2.3 Monitoraggio dei radionuclidi……….. 12

1.3 L’ape: esempio di società cooperante evoluta………. 13

CAPITOLO II MINACCE PER LE API……….. 16

2.1 Cementificazione e urbanizzazione ………. 17

2.2 Monocolture ……… 19

2.3 Pesticidi ……….. 20

2.3.1 Fonti di contaminazione ………. 23

2.3.2 Effetti sulle api ……….. 24

2.4 Cambiamenti climatici ... 29

2.5.1 Varroa: l’antagonista numero uno in apicoltura ………... 31

2.6 Apicoltura convenzionale ……….. 34

CAPITOLO III APICOLTURA CONVENZIONALE E PROBLEMATICHE RELATIVE ………. 37

3.1 Apicoltura razionale ……….. 38

3.1.1 Elementi essenziali per un’apicoltura razionale ……… 39

3.2 I limiti dell’apicoltura razionale ……… 41

3.2.1 L’ape: animale selvatico ……… 42

3.2.2 Equilibrio dell’alveare: omeostasi ………. 43

3.2.3 Approccio farmacologico: lotta alla varroa ……… 44

CAPITOLO IV L’APICOLTURA BIOLOGICA ………. 47

4.1 Come si definisce l’apicoltura biologica ……….. 47

4.2 Certificazione dei prodotti dell’apicoltura biologica ……….. 50

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CAPITOLO V APICOLTURA NATURALE ………. 57

5.1 Apicoltura biodinamica ………. 57

5.1.1 I proncipi dell’apicoltura biodinamica ……… 58

5.2 Apicoltura per tutti ……….. 60

5.2.1 Come si definisce un’apicoltura naturale ………. 61

5.2.2 Le arnie naturali ………. 62

5.3 La certificazione biodiversity friend ………. 66

CAPITOLO VI LA PERMAPICOLTURA ……… 68

6.1 Cos’è la permapicoltura ……….. 69

6.1.1 Il permapicoltore ………. 69

6.1.2 I presupposti della permapicoltura ……… 70

6.2 Apicoltura moderna e permapicoltura a confronto ……….. 71

6.2.1 Deduzioni teoriche errate secondo Perone ……… 72

6.3 L’arnia Perone ………. 84

6.3.1 Procedure da seguire nella gestione ……….. 85

6.4 Varroa e permapicoltura ………. 86

6.5 Permapicoltura in Italia ……… 88

CAPITOLO VII QUADRO ATTUALE DELLA PRODUZIONE DI MIELE ………. 91

7.1 La produzione di miele nel mondo e in Europa ………. 91

7.2 La produzione di miele in Italia ………. 93

7.3 Apicoltura italiana in calo ………. 95

7.4 Frodi relative al miele: cenni sull’adulterazione del miele ……… 98

7.5 Potenzialità e fattori limitanti dell’apicoltura in Italia ……….. 101

7.6 Cenno relativo ai canali di vendita del miele ……….. 103

CAPITOLO VIII ECONOMIA DELL’AZIENDA APISTICA ………. 108

8.1 Premessa ……… 108

8.2 Presentazione caso di studio italiano ……… 111

8.3 Uno studio messicano ……… 115

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8.4.1 Abbattimento dei costi e valorizzazione del prodotto ………….. 127

8.4.2 Un altro modo di smielare ……… 128

8.4.3 Valorizzare i sottoprodotti: diversificare la produzione ……… . 131

8.4.4 Altri modi di commercializzare ……… 132

CAPITOLO IX COMMERCIALIZZZIONE E MARKETING DEL MIELE ………. 137

9.1 Panoramica sulla situazione produttiva italiana……… 137

9.1.2 Il bilancio tra import ed export ……… 140

9.2 Uno sguardo ai consumi italiani ………. 142

9.3 Criteri di scelta dei consumatori ……… 144

9.4 Conclusioni ………... 150

BIBLIOGRAFIA ………. 153

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1

INTRODUZIONE

Il lavoro nasce dalla volontà di approfondimento della permapicoltura, un metodo di allevamento delle api ad oggi ancora poco conosciuto, ideato dall’apicoltore argentino Oscar Perone. Dopo un periodo di esperienza sul campo e di contatto con alcune realtà del settore, ho maturato la convinzione che un approccio che metta al centro l’insetto, salvaguardandolo, possa offrire un’alternativa perseguibile ai numerosi problemi con cui si scontra l’apicoltura oggi anche in termini produttività. Tale convinzione ha trovato un sostegno nella proposta di Perone, col quale ho intrattenuto contatti per alcuni mesi al fine di indagare le peculiarità di questo approccio. Tuttavia, il lavoro di studio si è scontrato con due ordini di problemi, il primo è la prematura scomparsa di Oscar Perone e, quindi l’interruzione di un passaggio di dati in grado di avvalorare la sostenibilità economica del metodo; il secondo riguarda l’emergenza nazionale legata al Covid-19, che ha costituto un ulteriore ostacolo, tanto al reperimento dei dati quanto alla possibilità di sperimentazione. A fronte di tali impedimenti, si è, comunque, cercato di tracciare un quadro dei vari aspetti dell’apicoltura ispirato ai fondamenti su cui si basa il metodo Perone: l’importanza della salvaguardia dell’insetto ape e la sostenibilità economica dell’attività apistica.

Nella prima parte della tesi si è voluta evidenziare la rilevanza del servizio ecosistemico di Apis mellifera: essa infatti per le sue caratteristiche morfologiche e comportamentali si rivela il miglior insetto pronubo nel meccanismo di impollinazione e, di conseguenza, nel mantenimento della biodiversità. Da anni, inoltre, è utilizzata come bioindicatore per monitorare la qualità dell’ambiente: se le api stanno bene, l’ambiente è sano e, di conseguenza, anche l’uomo sta bene.

Da decenni le ricerche hanno messo in luce un declino diffuso di quest’insetto così prezioso per l’uomo e l’ambiente: le cause, come esposto nel secondo capitolo, sono attribuibili ad una pressione di origine antropica, tra le quali assume particolare rilievo l’utilizzo degli agrofarmaci, impiegati in modo massiccio nelle pratiche

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2 agricole. Oltre all’ormai rinomato acaro varroa, che ha cambiato il volto dell’apicoltura, all’interno dell’apicoltura naturale, sono in molti a sostenere che l’indebolimento di apis mellifera sia legato alle tecniche d’intervento e produzione del sistema di allevamento attuale. L’apicoltura moderna o razionale, ha dato spazio ad un allevamento intensivo, col fine di accrescere la produzione dei prodotti dell’alveare, impiegando tecniche standardizzate che non hanno tenuto conto del rapporto delle api con l’ambiente, della complessità del super-organismo e che, quindi, ha portato ad uno stato di salute precario dell’ape, mostrando quindi i suoi limiti, che ho enucleato nel capitolo tre del mio lavoro, basandomi su diversi studi, tra cui il libro di Fontana (2017).

A partire dagli anni ’20 del secolo scorso, sono nati altri approcci più sostenibili e “bee-friendly”, atti a promuovere un allevamento più rispettoso dell’insetto: l’apicoltura biologica, descritta a sommi capi nel quarto capitolo, l’apicoltura biodinamica, l’apicoltura naturale, illustrata nel quinto capitolo, della quale fa parte anche la permapicoltura. Alla permapicoltura è dedicato il sesto capitolo, nel quale si mettono in luce gli aspetti più salienti del metodo di Perone, che si basano sul tentativo di creare un habitat il più possibile prossimo a quello naturale, inclusi gli aspetti tecnici inerenti alle modalità di allevamento, e alternative ai metodi tradizionali, fatta salva, come illustrato, la divisione dell’arnia. La permapicoltura offre un modello alternativo di allevamento incentrato sul riconoscere all’organismo alveare la capacità di sviluppare strategie di difesa, di esprimere al meglio il proprio potenziale, rispettando la loro biologia e garantendo alle api spazio, scorte e pace, le tre parole chiave della permapicoltura. In sintesi, il metodo si propone di cooperare con la Natura laddove l’apicoltura convenzionale mira ad assoggettarla.

Il metodo Perone è incentrato su una filosofia dai risvolti etici e idealistici e nondimeno pratici: si tratta di una tecnica che assicura una buona produzione e fornisce soluzioni concrete per abbattere i costi, applicando tecniche estensive. Inoltre, l’invito rivolto all’apicoltore è quello di farsi promotore lui stesso del proprio prodotto, cercando di valorizzarlo il più possibile e diversificando la produzione.

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3 In tal senso, premesso che gli studi economici sull’analisi costi-ricavi delle aziende apistiche sono scarsi, nel capitolo otto, si è cercato di avviare un confronto tra la situazione dell’apicoltura razionale italiana e messicana, e quella della permapicoltura, basandosi sugli studi di Cavicchioli, Tesser (2015), M.A Magaña e Lleyva Morales (2010) e su quelli messimi a disposizione dallo stesso Perone.

Un capitolo a parte, il nono, in parte anticipato dal settimo, è dedicato alla situazione italiana, mediante una panoramica della produttività e della posizione della penisola nel commercio mondiale di miele, tenendo conto dei limiti e delle problematiche che il settore ha e che sta attraversando, e delle sue indiscusse potenzialità. L’Italia, infatti, è terra vocata all’apicoltura, poiché offre una grande varietà di ambienti e, quindi, un’incredibile varietà di mieli, che non aspettano altro che essere valorizzati sul mercato interno e all’estero. Si è, pertanto, analizzato il consumo di miele nel Paese, riponendo attenzione sui fattori che influenzano la scelta del miele da parte del consumatore italiano, in modo tale da riflettere sulle strategie a sostegno dei produttori, in un momento di particolare crisi del settore.

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CAPITOLO I L’importanza delle api

Gli organismi pronubi forniscono un servizio ecosistemico fondamentale nel promuovere la biodiversità favorendo la riproduzione di oltre l’80% della flora naturale esistente, erbacea, arbustiva e arborea, oltre a garantire la sicurezza alimentare derivante dalla produzione di molte colture. Secondo alcuni studi l’84% delle spp botaniche coltivate in Europa trae beneficio dalle api e il 78% dei fiori selvatici nelle aree temperate ha bisogno di impollinazione (Dusi 2015). Fontana a questo proposito asserisce:

La sopravvivenza dell’ape mellifera non è importante solo per l’apicoltura, anzi, questo insetto impollinatore svolge un ruolo di assoluto rilievo economico nelle produzioni agricole in tutto il mondo e ancor di più è responsabile della conservazione di gran parte della flora spontanea dell’Europa, dell’Africa e del Medio Oriente (Fontana 2017:p 61) Da alcuni decenni ormai, numerosissime ricerche hanno messo in luce un declino diffuso e generalizzato delle specie pronube e hanno individuato le cause in specifiche pressioni di origine antropica. Osservazioni condotte con metodo scientifico testimoniano la progressiva diminuzione di alcune specie pronube. Le principali minacce sono dovute alle attività umane che modificano il loro habitat: sottrazione di suolo, l’uso sconsiderato di agrofarmaci, la modificazione dell’habitat naturale. Tra gli organismi pronubi, gli apoidei selvatici (Hymenoptera, Apoidea, Apiformes) e quelli oggetto di allevamento come l’ape domestica (Apis mellifera Linneus, 1758) e i bombi (Bombus Latreille, 1802) costituiscono il gruppo tassonomico di gran lunga più importante, in quanto obbligati alla raccolta del polline per nutrire le larve e dunque per la continuazione della specie. In tal modo contribuiscono in modo decisivo alla riproduzione delle piante. Secondo i dati FAO delle 100 specie coltivate che forniscono

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5 il 90% di prodotti alimentari nel mondo 71 dipendono dalle api per l’impollinazione (Carpana E. Lodesani 2014: p.6)

Fino al 35 per cento della produzione di cibo a livello globale dipende dalle api: solo

in Europa oltre 4000 tipi di verdure1.

Senza dubbio le colture più nutrienti e apprezzate della nostra dieta - molta frutta e verdura (come mele, fragole, pomodori e mandorle) - sarebbero duramente colpite da un calo numerico degli insetti impollinatori. Se questi preziosi insetti sparissero, le conseguenze sulla produzione alimentare sarebbero devastanti. Ciò è vero non solo a livello economico: ricordiamo che il lavoro degli impollinatori è stato stimato dalle Nazioni Unite in 160/500 miliardi all’anno, 15 miliardi in Europa, ma anche a livello di qualità del prodotto. I frutti impollinati dagli insetti hanno una qualità non paragonabile agli stessi impollinati a mano dall’uomo! Come accade in paesi come la Cina dove già si è ricorsi all’impollinazione artificiale: una pratica faticosa, lenta e costosa.

La diffusione dell'ape domestica in tutti gli ambienti antropizzati, in quanto specie allevata, ne ha fatto per millenni il principale agente impollinatore delle specie vegetali coltivate. Con il declino drammatico di questa specie si è avuta testimonianza concreta, per la prima volta, di diminuzioni di produzione agricola dovute a deficit di impollinazione. Negli Stati Uniti il numero di api è diminuito del 23 per cento lo scorso inverno, motivo per cui la Casa Bianca ha creato la “Pollinator Health Task Force” il cui compito è quello di trovare una strategia per difendere questi preziosi insetti.

Ci sono anche altri insetti impollinatori preziosi per la produzione delle nostre colture: tra questi anche le farfalle, a forte rischio estinzione a causa dei pesticidi. Come rileva infatti, l’ultimo rapporto dell’European Enviroment Agency, la presenza delle farfalle si è ormai ridotta del 50 per cento, con 8 delle 17 specie che vengono considerate a rischio estinzione secondo l’European red list. La realizzazione di una

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6 Lista Rossa per gli Apoidei ha lo scopo di realizzare un focus su un gruppo di specie di grandissima importanza per la conservazione del nostro patrimonio agricolo e naturale. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione per la Protezione della Natura e del Mare, in quanto Autorità Nazionale dell’IUCN in Italia, ha quindi inteso proseguire il lavoro dedicato alle Liste Rosse nazionali con la predisposizione della Lista Rossa Nazionale per gli Apoidei, redatta con l’applicazione della metodologia IUCN e con il coinvolgimento degli esperti. Il lavoro svolto, punto di arrivo di un importante processo di analisi, costituisce la base per le future attività di aggiornamento della valutazione e un tassello importante per le necessarie iniziative di conservazione, nel contesto dell’iniziativa di conservazione degli impollinatori recentemente lanciata dalla Commissione Europea a seguito di un lungo lavoro di preparazione e consultazione.

La Lista Rossa contribuisce, quindi, anche ad una migliore classificazione di queste specie presenti nel nostro paese, oltre a metterne in luce i principali fattori di rischio. Dal rapporto emerge che su 151 specie valutate in base ai rigorosi criteri dell’IUCN, sono 34 quelle con diversi livelli di minaccia: 5 sono in pericolo critico di estinzione e non sono state ritrovate di recente (pertanto sono considerate potenzialmente estinte), 2 specie sono in pericolo critico, 10 specie sono in pericolo, 4 specie sono vulnerabili (in totale sono quindi 21 le specie a rischio di estinzione) e altre 13 sono prossime ad uno stato di minaccia.

E anche l’Italia, nel 2010, per rispondere a quanto previsto dalla Convenzione internazionale per la Biodiversità (CBD) e dalla Strategia europea 2020, ha adottato la Strategia Nazionale per la Biodiversità. Un documento che riconosce ufficialmente l’importanza di salvaguardare la biodiversità in quanto “ La biodiversità e i servizi ecosistemici, nostro capitale naturale, sono conservati, valutati e, per quanto possibile, ripristinati, per il loro valore intrinseco e perché possano continuare a sostenere in modo durevole la prosperità economica e il benessere umano nonostante i profondi cambiamenti in atto a livello globale e locale” (Strategia

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7 nazionale per la biodiversità 2010: p. 13) .La strategia ha tra i suoi obiettivi, per il decennio 2011-2020, l’approfondimento delle conoscenze sullo stato di

conservazione degli habitat e delle specie su tutto il territorio nazionale e nei nostri mari, nonché l’identificazione delle cause che determinano i fattori di rischio ed i principali fattori di minaccia.

A livello mondiale si stanno diffondendo diverse certificazioni “bee friendly” che coinvolgono le associazioni di apicoltori, coltivatori, ricercatori e cittadini. Queste consentono l’utilizzo di un marchio di identificazione dei prodotti che rispettano protocolli di regolamentazione della difesa, attivano misure di preservazione della biodiversità, regolano le tecniche di raccolta e creano dei partenariati tra apicoltori e produttori al fine di trasferire le conoscenze e gestire i servizi di impollinazione. Eppure gli apoidei svolgono una funzione di primaria importanza per l’intero ecosistema. La continua raccolta del nettare e del polline usato come cibo per le loro larve costituisce un formidabile contributo alla funzione riproduttiva della flora. La fauna italiana di api selvatiche viene consideratacome una delle più ricche del mondo anche se non vi sono dati aggiornati

1.1 L’ape: il miglior pronubo

“La Natura è cosi grande che in questa minuscola parvenza di animale ha ricavato qualcosa di incomparabile” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia).

Le api sono organismi straordinari: in realtà le conoscenze sulla vita delle api sono oggi sommerse da una montagna di informazioni scientifiche o tecniche legate all’aspetto produttivo o alle minacce per la sua sopravvivenza. Ma le api vanno messe al primo posto sia quando si fa apicoltura sia quando si considerano gli impatti di molte attività

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8 umane. L’ape svolge nei nostri ecosistemi naturali ed agricoli un ruolo insostituibile ed è considerata un bioindicatore straordinario. Se in un luogo le api stanno bene, tutto l’ambiente è in salute e lo è dunque anche l’uomo.

È l’insetto pronubo più importante e gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento della biodiversità e nella conservazione dei diversi ecosistemi grazie alle sue caratteristiche biologiche e comportamentali:

- Ha un comportamento generalista: impollina cioè un’ampia varietà di flora spontanea anche agli albori della primavera quando altri impollinatori non sono ancora al lavoro.

- Rappresenta nel ciclo riproduttivo di molte piante una fonte di riproduzione insostituibile: nel kiwi per esempio non potrebbe esserci fecondazione senza impollinatori.

Se a questo lavoro prezioso e fondamentale si aggiungono le caratteristiche dell’ape, si comprende a fondo perché proprio l’ape sia il miglior insetto pronubo rispetto ad altri:

- È un insetto che si autoproduce il cibo

- Le bottinatrici con il loro lavoro soddisfano il fabbisogno alimentare dell’alveare e al contempo portano a compimento la fecondazione delle angiosperme

- Le api, attraverso la loro capacità di scambiarsi le informazioni (la famosa “danza”) riguardo alla quantità di nettare ed alla locazione della fonte alimentare, ottimizzano il loro lavoro

- La loro conformazione fisica, il corpo coperto di peluria e il loro apparato boccale fa si che durante la visita ai fiori, questi ultimi risultino non danneggiati dal prelievo di polline e nettare

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9 Quindi le api rivestono un’importanza ecologica poiché mantengono la biodiversità: fanno si che non vadano scomparendo piante selvatiche.

Le api rivestono però un’importanza agraria: sono molte le specie coltivate che hanno bisogno di impollinazione dalle piante da frutto (melo, susino ecc) alle orticole per finire alle foraggere (erba medica, trifoglio). Si è visto che un’efficiente impollinazione assicura un buon raccolto con frutti migliori ed in maggiore quantità.

1.2 L’ape: ottimo bioindicatore

Le api sono degli ottimi indicatori biologici perché segnalano il danno chimico dell'ambiente in cui vivono, attraverso due segnali: il tasso di mortalità – che indica presenza di pesticidi- e i residui che si possono riscontrare nelle larve, o nei prodotti dell'alveare che indicano presenza di antiparassitari, metalli pesanti e i radionuclidi (Celli;Maccagnani 2003).

Molte caratteristiche etologiche e morfologiche fanno dell'ape un buon rivelatore ecologico:

- grazie agli apicoltori vi è una costante presenza; - è un organismo quasi ubiquitario;

- non ha grandi esigenze alimentari;

- ha il corpo relativamente coperto di peli che la rendono particolarmente adatta ad intercettare materiali e sostanze con cui entra in contatto;

- è altamente sensibile alla maggior parte dei prodotti antiparassitari che possono essere rilevati quando sono sparsi impropriamente nell’ambiente (per esempio durante la fioritura, in presenza di flora spontanea, in presenza di vento, ecc.); - l’alto tasso di riproduzione e la durata della vita media, relativamente corta, induce una veloce e continua rigenerazione nell’alveare;

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10 - ha un’alta mobilità e un ampio raggio di volo che permette di controllare una vasta zona;

- effettua numerosi prelievi giornalieri;

- perlustra tutti i settori ambientali (terreno, vegetazione, acqua, aria);

- ha la capacità di riportare in alveare materiali esterni di varia natura e di immagazzinarli secondo criteri controllabili; necessità di costi di gestione estremamente contenuti, specialmente in rapporto al grande numero di campionamenti effettuati.

L’ape è impiegata per il biomonitoraggio dal ’62 quando fu utilizzata per rilevare un aumento del radionuclide Stronzio 90.

Ci sono stati successivi studi volti a dimostrare la tossicità di molecole di erbicidi al fine di ottenere una normativa più restrittiva sul loro utilizzo (anni’ 70). In Nord italia si è fatto il primo esperimento di biomonitoraggio su larga scala dal 1983 all’86 attraverso il quale fu evidenziata la presenza importante di alcune molecole tossiche.

Da circa venti anni, il gruppo di ricerca dell’Università di Bologna studia l’uso delle api come bioindicatori degli antiparassitari, dei metalli pesanti e dei radionuclidi in molte Regioni d’Italia. Recentemente ha esteso la ricerca anche agli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) ed ai microrganismi fitopatogeni (batteri) (Porrini 1999).

1.2.1 Monitoraggio pesticidi

Come detto precedentemente, le api sono estremamente sensibili agli antiparassitari. Il numero di api morte davanti l'alveare è quindi la variabile più importante da considerare per questi agenti inquinanti (Celli 1996) e varia secondo un certo numero di fattori: la tossicità (per le api) del principio attivo usato, la presenza e l'estensione

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11 delle fioriture delle piante coltivate o spontanee, la presenza delle api durante il trattamento chimico, i mezzi usati per la distribuzione del prodotto, la presenza o meno di vento, ecc. Molte api direttamente investite dall’insetticida in campo, mentre visitavano i fiori per raccogliere il nettare ed il polline, morirà in campo o durante il loro volo di ritorno, mentre altre api colpite soltanto marginalmente moriranno nell'alveare. In questo caso l'ape funge da indicatore diretto.

Nel caso invece di prodotti che non sono particolarmente pericolosi, l'insetto funge da indicatore indiretto, cioè non sensibile ma esposto e ci fornirà le informazioni sotto forma di residui. Con questa strategia è possibile ottenere parecchi dati: il livello di mortalità settimanale, i principi attivi responsabili dell’apicidio, i periodi e le zone ad alto rischio, le colture trattate e gli errori degli agricoltori nella gestione fitoiatrica. È inoltre possibile valutare, con specifici indici, il grado inquinamento ambientale (Porrini 1999). Alcune classi di agrofarmaci, di recente immissione sul mercato, non inducono mortalità osservabili ma possono ugualmente essere causa di spopolamenti e danni all’alveare.

1.2.2 Monitoraggio metalli pesanti

Una delle caratteristiche fondamentali che differenziano i metalli pesanti da altri contaminanti come i pesticidi, è il tipo di immissione nel territorio e il loro destino ambientale. I fitofarmaci vengono diffusi in maniera puntiforme, sia nel tempo che nello spazio e, a seconda del tipo di molecola chimica, della sua stabilità e affinità con l’organismo bersaglio e l’ambiente circostante, sono degradati dai diversi fattori ambientali in tempi più o meno lunghi.

I metalli pesanti, invece, sono emessi in continuazione dalle varie fonti, naturali e antropiche e, non subendo degradazioni, vengono continuamente rimessi in “gioco” entrando nei cicli fisico-biologici. I metalli pesanti possono essere captati dalle api nell’atmosfera tramite il loro corpo peloso e portati nell’alveare insieme al polline, oppure assunti suggendo il nettare dei fiori, l’acqua di pozzanghere, fossi, fontane e ruscelli o insieme alla melata degli afidi. Le variabili da considerare per utilizzare le

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12 api, o i prodotti dell’alveare come il miele, in tal senso sono parecchie, come ad esempio gli eventi meteorologici (la pioggia e il vento sono in grado di ripulire l’atmosfera o di trasferire i metalli pesanti in altri comparti ambientali), la stagionalità (il flusso nettarifero, di solito maggiore in primavera che in estate-autunno, potrebbe, a parità di emissione, diluire o meno il contaminante) e l’origine botanica del miele (la melata degli afidi, come il nettare dei fiori a morfologia aperta, è molto più esposta ai contaminanti rispetto al nettare dei fiori a morfologia chiusa).

Il monitoraggio della qualità ambientale è generalmente eseguito utilizzando strumentazioni ad alto contenuto tecnologico, con costi elevati. Recenti studi hanno cercato di dimostrare che è possibile mettere in relazione i dati ricavati da queste strumentazioni con le concentrazioni di metalli pesanti misurabili nel miele prodotto dalle api.

1.2.3 Monitoraggio dei radionuclidi

L’emergenza di Chernobyl (aprile - maggio 1986) ha fornito la prova inequivocabile di come l’ape possa funzionare egregiamente anche per il rilevamento dei radioisotopi. Numerosissime sono state, e continuano ad essere, le sperimentazioni condotte da molti ricercatori con le api dopo Chernobyl, sia per quanto riguarda la valutazione degli elementi radioattivi contenuti nei prodotti dell’alveare e la loro dinamica di trasferimento, sia per l’impiego della colonia di api come indicatore biologico. In una ricerca nell’ambito di Chernobyl, è stato messo in evidenza, attraverso l’analisi di numerosi campioni di miele, api, cera e polline, come quest’ultima matrice risulti la migliore per indicare la contaminazione atmosferica da radionuclidi in quanto riflette fedelmente quella dell’aria.

Nel maggio 1998, ad esempio, nei campioni di api prelevati dalle stazioni di monitoraggio ambientale dislocate nella provincia di Bologna è stata rilevata la presenza anomala di Cesio 137.

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1.3 L’ape: esempio di società cooperante evoluta

Fino a qui è stata usata la parola ape ma ormai è termine inappropriato in riferimento a questo insetto dal momento che in ogni testo di apicoltura si parla di Superorganismo. L’idea di superorganismo riferita agli insetti sociali è stata proposta da due naturalisti-filosofi ai primi del’900: M.Maeterlinck e E.Marais. Il termine superorganismo fu però coniato nel 1911 dal biologo americano W.M Wheeler per promuovere una visione del tutto innovativa delle api, nella quale l’ alveare viene considerato nel suo complesso e non come un insieme di individui.

L’alveare va considerato come un organismo (come un corpo o come un animale) le cui cellule sono rappresentate dalle api operaie. La regina va vista come l’apparato riproduttivo femminile e l’insieme dei fuchi come l’apparato riproduttivo maschile. L’insieme dei favi è da considerarsi lo scheletro dell’essere alveare (Campero,2016,I mille segreti dell’alveare, FAI Apicoltura srl, Roma)

Tradotto con altre parole “Una apis nulla apis”: un’ape da sola non spiega cosa sia un’ape, ovvero osservare un’ape al microscopio o intenta a raccogliere acqua o resina da una gemma non ci serve a capire cosa sia. Per capirlo dobbiamo inseguirla fino all’alveare e li vedremo che questa ape fa parte di una società, di un superorganismo.

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14 Superorganismo dal dizionario è definito come: “un gruppo di organismi o di comunità che sembrano avere proprietà, come omeostasi e riproduzione, simili a quelle di un singolo organismo”. Comprendere il concetto di superorganismo è seppur complicato, l’unico modo per avvicinarsi alle api in modo corretto ed è il leitmotiv che accompagna anche la visione dell’apicoltore argentino O.Perone che più avanti verrà esposta. Le proprietà del favo sono parte integrante del superorganismo e contribuiscono a definire la sociofisiologia della colonia d’api. Il nido delle api mellifere svolge un ruolo fondamentale in quanto espressione materiale del superorganismo della colonia d’api. L’importanza che ricopre per il funzionamento della colonia è molto maggiore di quella che può venire in mente quando si pensa in generale a un nido, visto come un riparo che gli animali costruiscono con materiali forniti dall’ambiente. Il favo del nido di api è, in un certo senso, parte delle api stesse. Nemmeno considerare il favo “un’immagine congelata del comportamento delle api” è una maniera del tutto adeguata per descrivere la realtà.

Il favo, invece, visto come “l’impronta delle api”, determina la natura e la vita stessa delle api. Il nido è una combinazione di favi costruiti con la cera in cavità già esistenti, almeno nelle zone a clima temperato; ma non è soltanto uno spazio dove abitare, una dispensa per il cibo e una culla per i piccoli, ma è anche parte integrante del superorganismo: scheletro, organo sensoriale, sistema nervoso, memoria e sistema immunitario. I favi e la cera di cui è costituito sono prodotti interamente dalle api, ma sono anche una parte indissolubile della loro vita, strettamente interconnessa al funzionamento del superorganismo.

Materia, energia e informazione sono i tre pilastri sui cui si costruisce qualsiasi forma di vita. La fisiologia degli organismi individuali descrive l’organizzazione nello spazio e nel tempo di questi fattori fondamentali. I fisiologi, infatti, si occupano dello studio approfondito delle forze e dei meccanismi che controllano e regolano questi tre fondamenti della vita. Il favo è parte integrante della colonia di api in quanto la sua struttura presenta molte caratteristiche che hanno un ruolo essenziale per la gestione di

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15 materia, energia e informazione nell’alveare. Il nido non è un semplice ambiente in senso tradizionale, a cui le api si sono adattate nel percorso dell’evoluzione. Al contrario, si tratta di un ambiente che le api stesse hanno costruito, assoggettato alle forze dell’evoluzione, così come qualsiasi altro organo o attributo delle api. Persino le bottinatrici, che hanno il compito di volare verso le sorgenti di cibo, passano più del 90% della propria vita entro il favo o su di esso. Questo tempo è fonte di infinite possibilità di interazione tra le api e la loro casa, che insieme costituiscono il superorganismo (Tautz.J, 2009)

E’ la colonia che si evolve e vince la sfida con l’ambiente e gli organismi con cui interagisce. Senza la consapevolezza che per allevare le api bisogna sapere che stiamo operando con dei superorganismi che devono farcela, affinchè la specie intera possa continuare a vivere e quindi produrre, la sopravvivenza delle api e quindi anche dell’apicoltura è destinata a collassare prima o poi. E il “poi” sta bussando alle porte. Se vogliamo che l’ape, questo organismo assolutamente strategico per la nostra vita sopravviva l’unica cosa che possiamo fare è permettergli di rientrare a pieno titolo nella lotta per l’esistenza, rispettando le sue esigenze biologiche ed ecologiche e sfruttando proprio le sue caratteristiche comportamentali, che lo hanno posto all’apice di un percorso evolutivo durato 100 milioni di anni e che in un secolo stiamo contribuendo a distruggere.

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CAPITOLO II Minacce per le api

Dalla fine degli anni ’90, molti apicoltori (soprattutto in Europa e Nord America) hanno iniziato a segnalare un’anomala e repentina diminuzione nelle colonie di api. Questo calo è senza dubbio il prodotto di molteplici fattori, che agiscono singolarmente o in combinazione fra loro. Fra i più importanti l’uso di pesticidi, certe pratiche agricolturali, la perdita di habitat naturali, le malattie e parassiti ed i cambiamenti ma, viene da chiedersi, se una concausa potrebbe essere rappresentata dai trattamenti con farmaci antiparassitari e dalle molteplici tecniche di intervento e produzione adottate in apicoltura convenzionale. Da una recentissima ricerca è emerso che il 40-50% delle api selvatiche sia scomparso. L’estinzione degli insetti corre ad un ritmo di 8 volte superiore a quello dei mammiferi. Da un report della CIA risulta che negli ultimi 5 anni siano scomparse 10 milioni di arnie nel mondo: in Italia più di 200 mila. Già nel ’99 in Francia apicoltori denunciavano la perdita del 90% delle loro colonie. In Germania, a Krefeld, per 27 anni hanno raccolto dati sulla biomassa degli insetti volanti utilizzando, invariata, la tecnica di cattura attraverso trappole a rete site in 60 zone in aree protette e circondate da campi agricoli. Ciò che è emerso è che in 27 anni si è assistito ad un crollo del 75% della biomassa degli insetti volanti.

Attraverso altri studi statistici gli stessi scienziati hanno affermato che tale collasso non sia in diretto collegamento col cambiamento climatico. Negli scorsi anni l’IUCN (International Union for Conservation of Nature) ha fatto una ricerca sullo stato di

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17 conservazione delle specie di apoidei nella Comunità Europea con lo scopo di assegnare ad ognuna delle specie di apoidei europei una delle categorie di rischio (estinta, minacciata ecc). Riguardo all’ape mellifera la ricerca si è arenata in quanto “carente di dati”. Questo perché non si sono potuti ottenere sufficienti dati relativi a colonie selvagge:

La specie è nota per essere autoctona in gran parte d’Europa con numerose sottospecie descritte nel suo areale originario. Tuttavia non è noto se in Europa la specie sia ancora presente in natura a causa dell’introgressione delle colonie gestite e ferali con colonie selvagge e del fatto che le popolazioni selvatiche potrebbero non essere autosufficienti (Lista Rossa delle api italiane minacciate).

L’ape mellifera in Europa è molto presente negli apiari ma è praticamente scomparsa in natura. Questo significa che le sottospecie europee di Apis mellifera sono minacciate di estinzione e quindi si stanno perdendo il patrimonio genetico di adattamento a climi e ambienti diversi, le peculiarità etologiche e biologiche acquisite in migliaia di anni. Secondo alcuni apicoltori, gli apicoltori stessi avrebbero contribuito a questo processo attraverso la selezione di api regine che ha contribuito ad intaccare il patrimonio genetico delle singole sottospecie.Vediamo quali sono i fattori che hanno contribuito all’attuale situazione di declino.

2.1 Cementificazione e urbanizzazione

Se è vero che la sottrazione dell’ambiente naturale, a causa di una sempre più elevata cementificazione delle aree rurali, è sicuramente una perdita di habitat per gli insetti è vero anche che ultimamente -essendosi diffusa una maggior sensibilità sul ruolo delle api- sono nati diversi progetti all’interno delle città per la loro salvaguardia. Paradossalmente è proprio nelle città che le api possono trovare un habitat alternativo alla campagna. L’inquinamento urbano risulta infatti meno dannoso per la

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18 loro sopravvivenza rispetto all’utilizzo massivo di pesticidi e di fertilizzanti chimici utilizzati nelle campagne. Inoltre la presenza di una variegata flora cittadina garantirebbe il nutrimento ed un maggior supporto all’impollinazione urbana, permettendo alle api di contribuire al mantenimento della biodiversità, quale elemento indispensabile per il benessere e per la vita nelle nostre città.

Il Miel Béton

Il progetto di Impollinazione urbana di Olivier Darné. E' miele che nasce dal cemento, Béton viene proprio da betoniera, il macchinario per impastare il cemento ma in argot — lo slang parigino — significa anche "super". E il progetto del trentottenne artista e apicoltore Olivier Darné che ha fondato le Parti Poétique e ha iniziato a installare arnie sui tetti di Parigi è davvero "super". Ora a Parigi ci sono arnie davanti alla cattedrale di Saint-Denis, sul pazzale del Centre Pompidou, nel parco della Vilette. Il progetto si chiama "Impollinazione urbana". Ognuna delle arnie dislocate nella metropoli è un mini-centro di osservazione su un raggio di 3 km equivalente all’area di impollinazione delle api. Un modo per portare la natura in città ma anche stimolare il dibattito culturale su temi legati all'ecologia. In campo sono scesi artisti, botanici, urbanisti, antropologi, apicoltori, commercianti, abitanti grandi e piccoli che in alcune giornate sono anche stati invitati a liberare in aria dei palloncini contenenti dei semi che una volta scoppiati sono andati a impollinare il verde urbano.

Altro esempio esempio è il progetto UrBees, ideato da Barletta, che si pone come obiettivo il rendere questa nuova pratica di uso comune. Ma in che modo? Inanzitutto attraverso la raccolta di sciami e la gestione degli apiari urbani che vengono messi a disposizione della cittadinanza. Secondo la legge attualmente vigente in Italia ed i regolamenti condominiali, installare un alveare in balcone è possibile! Chiunque può aderire ad UrBees e la procedura è davvero semplice: si tratta di mettere a disposizione uno spazio sul proprio balcone o nel proprio giardino per installare l’arnia, affidandone la gestione ad esperti. Come afferma il fondatore: “Nella città si rifugia la biodiversità che una volta era presente in tutti i territori coltivati ed incolti. Tale ricchezza

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19 rappresenta un baluardo importantissimo che è necessario mantenere e preservare nel migliore dei modi. Si rende quindi necessario puntare sulle aree urbane per dar vita ad una dimensione ambientale ormai compromessa”. A tal proposito si cita, l’esito di un esperimento condotto in Germania, all’università di Al, da cui risulta che il numero di semi per fiore della stessa pianta collocata in aree urbane o in campagna, sia maggiore in città. Cioè attualmente l’impollinazione sembra essere più efficace in città che non in campagna: a denuncia di una situazione delle campagne da risanare.

(L'ultima Ape - PresaDiretta 03/02/2020 RaiPlay)

2.2 Monocolture

Dopo la seconda guerra mondiale sono cambiate le pratiche agricole ed è iniziata un’agricoltura di tipo intensivo. Fino ad allora era presente un’agricoltura diversificata. Quest’ultima garantiva lo sviluppo di più specie vegetali e fioriture differenziate nel tempo, permettendo alle api di avere sempre un fiore dal quale nutrirsi. Nelle monocolture le erbe “infestanti”, fonte di nutrimento per le api, vengono eliminate con gli erbicidi. Le vaste monocolture dopo il periodo di fioritura diventano dei cimiteri per le api, poiché prive di fonti di cibo. Nella maggior parte dei voli le api bottinatrici coprono dai 2 ai 4 km dal nido, con dispendio energetico tollerabile. Solo in caso di estremo bisogno di nettare le api raggiungono i 10 km di distanza utilizzando per il volo un’energia pari quasi a quella derivante dal raccolto (Tautz 2009): si intuisce quanto dispendio energetico dovranno affrontare per trovare fiori in monocolture deserte. Le monocolture, per l’assenza di biodiversità vegetale sono molto vulnerabili ai patogeni (parassiti, funghi) e la loro sopravvivenza dipende molto dall’utilizzo di pesticidi.

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2.3 Pesticidi

Tra 100 anni potrebbero scomparire del tutto gli insetti dal nostro Pianeta e una delle cause principali di questo declino è l’uso massiccio di pesticidi in agricoltura. L’impiego di diserbanti ed antiparassitari ha portato ad un profondo e irreversibile cambiamento degli ecosistemi con ripercussioni sulla popolazione degli insetti pronubi. Dagli anni ’90 si è diffuso l’utilizzo di insetticidi sistemici: la molecola viene assorbita dalla pianta ed attraverso la linfa, trasportata in ogni sua parte fiori compresi. Questi prodotti sono nati per la concia dei semi e l’ipotesi era che non fossero nocivi per le api poiché presenti solo sui semi nel suolo. Negli stessi anni ’90 in Europa sono state segnalate forti mortalità di api e spopolamenti di alveari imputabili all’utilizzo di sementi di mais conciate con neonicotinoidi, le cui polveri si disperdono durante le operazioni di semina.

Gli episodi di mortalità sono stati segnalati in Francia a partire dal ’95 ed in seguito registrati in altri Paesi, Italia compresa.

A partire dal 2007, negli Stati Uniti, sulla base della denuncia degli apicoltori che avevano subito spopolamenti e mortalità è stata formulata la diagnosi di questo fenomeno della scomparsa delle api, già descritto in altre parti del mondo. Successivamente le segnalazioni sono arrivate da Nord America ed Europa meritandosi

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21 l’appellativo di fenomeno globale. Le cause scatenanti della cosiddetta CCD (Colony Collapse Disorder) sono probabilmente più di una ed ognuna porta ad indebolire la famiglia di api. Tra queste un rilievo importante è costituito dai pesticidi che attualmente costituiscono motivo di intenso dibattito a livello europeo. I neonicotinoidi sono un particolare gruppo di insetticidi che hanno preso piede cosi rapidamente da rappresentare oggi più del 40% del mercato globale dei pesticidi e sono numerosi i dati scientifici che ne attestano la pericolosità.

Le specie animali in assoluto più vulnerabili ad essi sono gli invertebrati terrestri- come i vermi- seguiti dagli insetti impollinatori- come farfalle e api- esposti ad altissimi livelli di contaminazione attraverso il polline e l’aria ed infine gli invertebrati acquatici. Un esempio ed il primo ad essere stato messo sotto accusa è il glifosato, un diserbante non selettivo sintetizzato per la prima volta negli anni 50 del XX secolo, commercializzato dalla Monsanto Crop Protection con il nome di Roundup, dal 1974. Ancora oggi è l’erbicida più usato nel mondo e ci sono pareri contrastanti o nebulosi sulla sua dannosità per l’uomo, anche se per gli insetti è tutta un’altra cosa, evidentemente. Negli Stati Uniti, Canada e resto del mondo, dove Bayer (multinazionale presente in 120 Paesi e che nel 2016 ha assorbito Monsanto, detiene il primo brevetto per i neonicotinoidi (’85) e vede 1/3 del proprio fatturato provenire dai fitofarmaci) e Syngenta stanno facendo lobbying per continuare a usare questi veleni, miliardi di api muoiono e la salubrità del cibo e dell’ambiente risultano compromesse. Sono molte le associazioni ambientalistiche e gli scienziati che stanno lottando nei vari Stati, per far mettere al bando questi prodotti chimici dannosi per le api, che portano vantaggio economico solo a chi li produce e lasciano molte preoccupazioni tra i consumatori e gli operatori agricoli, per i potenziali rischi. Greenpeace, il 27 aprile 2018, è riuscita a far approvare una moratoria di due anni da 27 Paesi Ue, per tre dei sette pesticidi ‘neonicotinoidi’ più pericolosi per le api come l’Imidacloprid e il Clothianidin e il Tiamethoxam della Syngenta (precedentemente vietati dall’Unione Europea nel 2013 per due anni). Ma solo per lo spargimento all’aperto, dato che nelle

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22 coltivazioni in serre permanenti è ancora ammesso. Ma sono anche altri gli insetticidi potenzialmente pericolosi sia per le api che per gli altri insetti impollinatori – ricorda ancora Greenpeace -. Come Acetamiprid, Thiacloprid, Sulfoxaflor e Flupyradifurone e altre sostanze quali Cipermetrina, Deltametrina, Clorpirifo e, in ultimo, il Sivanto, il nuovissimo pesticida della Bayer appena arrivato sul mercato e pubblicizzato dalla multinazionale come sicuro per api, bombi e coccinelle. Ma un team di ricercatori ha però rivelato che anche questo pesticida è in realtà letale per le api, se combinato con altre sostanze.

Nel 2018 sul “Journal of apicultural research” è stato pubblicato uno studio ad opera dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie che ha rilevato la presenza, in campioni di api morte, di residui di pesticidi e di alcuni virus delle api. Lo studio è stato effettuato su 94 campioni, provenienti dal Nord-est dell’Italia e raccolti durante la primavera 2014, prendendo in considerazione 150 principi attivi e 3 virus delle api. I ricercatori hanno riscontrato la presenza di almeno un principio attivo nel 72,2% dei campioni (api morte). Gli insetticidi sono i più abbondanti (59,4%), principalmente quelli appartenenti alla classe dei neonicotinoidi (41,8%), seguiti da fungicidi (40,6%) e acaricidi (24,1). Gli insetticidi più frequentemente rilevati sono rappresentati da Imidacloprid, Chlorpyrifos, Tau-fluvalinate e Cyprodinil. Sono poi state rilevate le infezioni virali (virus della paralisi cronica (Cbpv) e virus delle ali deformi). A conferma che le patologie dell’alveare (varroasi, nosemiasi, virosi ecc..) assieme alla contaminazione da pesticidi ed unite a pratiche talvolta stressanti per la colonia contribuiscono sinergicamente ad un collasso della colonia.

“La presenza di una possibile relazione tra la mortalità primaverile delle api e l’impiego di trattamenti antiparassitari in agricoltura potrebbe contribuire a comprendere meglio fenomeni complessi come la moria delle api e lo spopolamento degli alveari, che negli ultimi dieci anni hanno colpito questo settore”, scrivono sul sito dell’Izs delle Venezie.

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23 Il professore Bonmatin presso il CNRS ha analizzato i 1121 studi pubblicati dal 2010 al 2015 sulle molecole dei neonicotinoidi arrivando a dire che sono 7000 volte più tossici del DDT. L’EASAC (organo di ricerca scientifica indipendente) ha condotto per 1 anno una ricerca sull’impatto dei neonicotinoidi affermando che essi sono dannosi anche a piccolissime dosi e che pur non portando a morte gli insetti questi ultimi subiscono effetti subletali ovvero sono malati. Questo perché, dichiara EASAC, i test che si fanno attualmente si basano su dosi di mortalità cioè quanta sostanza si deve somministrare ad un organismo prima che muoia, senza considerarne tutti gli altri effetti. Altri ricercatori ed enti sono concordi nel dire che i test attuali non sono affidabili: sono test sulla tossicità acuta ma dovrebbero esser fatti test sulla tossicità cronica (organismi sottoposti più volte a più dosi di sostanza durante la loro vita). Inoltre, denuncia il Prof. Bonmatin chimico e viceprisedente della Task force internazionale, anche una volta vietati vengono rimpiazzati da nuove molecole che talvolta hanno un effetto peggiore: sono molecole cioè con la stessa architettura chimica e le stesse modalità di azione. L’EFSA nel 2013 ha affermato che i pesticidi hanno effetti cronici ed aggravati per la sopravvivenza delle api e nello stesso anno ha proposto nuovi test alla Commissione Europea ma non sono mai stati implementati. Che sia un problema politico legato alle forti pressioni dell’industria agrochimica o un problema economico, ad oggi il comitato ( Scopaf) che si occupa di valutare le proposte dell’Efsa in tema di agricoltura e pesticidi non ha dato risposta alcuna. Intanto in Francia i nuovi prodotti come Flupyradifurone e Sulfloxafor sono stati vietati grazie all’attività di ricerca del Prof.Bonmatin.

2.3.1 Fonti di contaminazione

Le fonti di contaminazione possono essere sia interne che esterne. Esposizione all’esterno:avviene per

- Contatto diretto o indiretto con trattamenti spray: avviene in campo quando le bottinatrici vengono a contatto col trattamento fitosanitario irrorato o vengono a contatto con superfici precedentemente contaminate.

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24 - Contatto con polveri contaminate: si ha quando le api sorvolano in concomitanza con l’azione della macchina seminatrice di sementi conciate (diretto). La flora spontanea, i suoli, le acque di falda contaminate, per effetto deriva, dalle molecole ad azione insetticida diventano fonte di contaminazione indiretta.

- Ingestione di prodotti sistemici: è una modalità secondaria attraverso cui le api possono assorbire residui che si trovano nelle gocce di guttazione emesse dalla pianta trattata.

- Ingestione di prodotti sistemici attraverso polline e nettare: essendo gli insetticidi ad azione sistemica tutti gli organi della pianta ne sono protetti per cui anche questi due elementi.

Esposizione all’interno: dovuta a

- Polline e nettare immagazzinati nel favo che possono contenere residui. Sul polline sono stati fatti vari studi in Florida, California, Spagna e Germania che hanno confermato la contaminazione. Il nettare è stato ancora poco indagato ma è stata dimostrata la contaminazione nel girasole trattato con Imidacloprid.

- Contatto con residui di principi attivi attraverso la cera: un’indagine statunitense ha confermato la presenza di p.a nella cera soprattutto di acaricidi utilizzati contro la varroa.

- Esposizione attraverso l’acqua di irrigazione contaminata.

2.3.2 Effetti sulle api

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25 Gli effetti possono essere divisi in effetti letali e effetti subletali.

Gli effetti letali dipendono dalla tossicità, dalla concentrazione con cui il principio attivo è somministrato. A ciò si aggiunge la modalità di esposizione e la durata dell’esposizione che determinano l’effetto acuto o cronico.

Effetti letali acuti in laboratorio e in campo:

Per testare un prodotto fitosanitario e valutarne la tossicità si fa riferimento ad un parametro (DL-50) che misura la tossicità acuta cioè quella che si manifesta entro le 48h. Tale tossicità dei principi attivi ad azione insetticida ed usati in agricoltura è andata aumentando ed in particolare nei neonicotinoidi risulta elevata seppur variabile in funzione della modalità di esposizione. In campo è stata osservato che l’utilizzo di sementi conciate sia causa di mortalità soprattutto nella stagione primaverile.

Effetti letali cronici in laboratorio:

L’intossicazione di tipo cronico è dovuta all’esposizione ripetuta nel tempo a basse dosi, spesso subletali, che si verifica sia in campo sia all’interno dell’alveare. La maggior parte degli studi si riferisce alla tossicità cronica dei piretroidi e neonicotinoidi che si verifica somministrando alle api soluzioni zuccherine contaminate.

Gli studi sulla tossicità cronica ha dato risultati contraddittori ma alcuni studi hanno permesso di fare ipotesi a sostegno del ruolo che questo tipo di intossicazione può aver avuto nel fenomeno della Colony Collapse Disorder.

Gli effetti subletali dei pesticidi:

Sono gli effetti che non portano alla morte dell’organismo e sono catalogati considerando: effetti di disturbo sul comportamento e perturbazione delle funzionalità fisiologiche.

Effetti sul comportamento: provocano alterazioni delle capacità cognitive in quanto i prodotti fitosanitari esplicano un’azione di tipo neurotossico.

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26 - Apprendimento e memoria olfattivi: Attraverso il P.E.R o riflesso estensione ligula si effettuano test presentando all’ape uno stimolo odoroso in concomitanza con una soluzione zuccherina che riceve come “ricompensa”. Quando l’ape riannusa lo stimolo, estroflette la ligula e questa memoria persiste per giorni. Somministrando Imidacloprid si modifica il tempo di risposta allo stimolo. La minor reattività allo stimolo può danneggiare la capacità di rintracciare fonti di cibo migliori.

Lo stesso effetto sull’apprendimento è stato riscontrato anche nel caso di stimolo odoroso rappresentato da feromone reale, essenziale per la vita e l’aggregazione della famiglia.

Un recente esperimento condotto al laboratorio di neurofisica

dell’Università di Trento sul cervello delle api: per 3 giorni sono stati fatti ingerire pesticidi (Imidacloprid) alle api. Si è passati a tracciare il senso olfattivo-una sorta di TAC- con un biomarcatore inserito nel cervello delle api. Il risultato è che le api hanno una gran confusione in testa e non

distinguono più gli odori pur continuando a percepirli. Riportiamo l’esito della “tac”:

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27 Il primo grafico mostra una tac fatta ad un’ape sana: i 4 colori distinti indicano che l’ape percepisce e ben distingue i 4 odori. Il secondo è il risultato con un’ape contaminata: si nota la confusione che ha in testa ovvero percezione di odori ma senza saperli distinguere

- Apprendimento e memoria visivi: indagati aspetti sull’apprendimento spaziale e la memoria legata ai colori essenziali per l’orientamento in volo, per individuare le fonti di cibo e ritrovare il percorso verso l’alveare.

Un esperimento effettuato somministrando Thiacloprid mostra che qualche ape non riesce più a “rincasare”, altre rientrano all’alveare ma se normalmente impiegano una ventina di minuti, intossicate dalle molecole in questione impiegano più di un’ora.

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28 In blu è riportato il tragitto normale di un’ape per tornare all’arnia di origine. In rosso quello dell’ape contaminata

Recentemente è stato dimostrato che l’imidacloprid agisce negativamente anche su altri due aspetti: l’uno legato alla sensibilità verso l’alimento zuccherino, l’altro legato alla capacità di comunicare alle compagne la fonte di cibo (minor numero di danze ).

Effetti sulla fisiologia

- Termoregolazione: le api hanno bisogno di mantenere la temperatura, oltre che corporea, interna dell’alveare sui 35° per assicurare un corretto sviluppo della covata. Lo fanno con la contrazione dei muscoli del volo e il successivo contatto del torace con gli opercoli cerosi. Ci sono ancora pochi studi ma quelli effettuati riguardano i piretroidi che indurrebbero ipotermia ostacolando la contrazione dei muscoli delle ali quindi inibendo la produzione di calore.

- Fertilità e fecondità: poche ricerche sono state fatte sull’influenza nei confronti della fecondità dell’ape regina. Alcuni però evidenziano disturbi a seguito del trattamento con acaricidi che interferiscono col normale sviluppo

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29 morfologico delle regine. Due piretroidi aggiunti nell’alimentazione hanno indotto una diminuzione delle uova deposte e neonicotinoidi somministrati a dosi subletali hanno mostrato un effetto sulla fecondità dei bombi.

- Sviluppo larvale: Uno studio dimostra che le larve allevate su favi contaminati da residui di pesticidi nella cera, si sviluppino con una longevità inferiore ad altre allevate su favi sani. Inoltre si è notato uno sfarfallamento ritardato.

2.4 Cambiamenti climatici

Recentemente ci sono stati inverni caldi e primavere stravaganti, con repentini sbalzi di temperatura. Questo innalzamento di temperature, il mutuato andamento delle precipitazioni e degli eventi metereologici, potrebbero causare problematiche sempre maggiori agli insetti pronubi. Il ciclo biologico delle api ne risulta stravolto. Il professor Solimene del centro di ricerche di bioclimatologia dell’università degli studi di Milano, dopo una ricerca sulle variazioni metereologiche condotto dal 1880 sino ad oggi afferma che: “L’attuale fase di cambiamento climatico denota un progressivo riscaldamento su scala globale, accelerato negli ultimi 20 anni, che sta influenzando i sistemi biologici terrestri in particolare l’anticipo degli eventi primaverili tra i quali la fioritura, la migrazione degli uccelli e la deposizione delle uova e gli spostamenti delle specie vegetali e animali verso latitudini più alte. Il cambiamento climatico è quindi protagonista nella genesi del fenomeno della moria delle api” (Solimene 2011)

All’arrivo del freddo le api attuano il blocco di covata: questo non avviene più con regolarità. La regina continua a deporre uova che per essere nutrite hanno bisogno di scorte alimentari che l’alveare non ha a sufficienza e l’apicoltore è costretto ad una nutrizione artificiale, che, come vedremo in seguito, nello specifico, è considerato veleno per le api. Altro possibile problema legato a questa covata precoce (prima della ripresa primaverile) è legato all’acaro parassita varroa il cui ciclo biologico è legato

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30 alla covata: la presenza della covata in periodi più lunghi potrebbe permettere al parassita di compiere più cicli biologici divenendo più aggressivo. Da studi condotti fino ad oggi però, quello del cambiamento climatico non sembra essere in diretto collegamento con la drastica riduzione degli impollinatori benché influisca sul benessere dell’organismo alveare.

2.5 Nemici naturali

Le colonie di Apis Mellifera sono luoghi invitanti e ricchi di risorse alimentari per non attirare una nutrita schiera di predatori, commensali, saccheggiatori, parassiti e patogeni. La biologia delle api comprende anche questi organismi perché la loro presenza nella maggior parte dei casi spiega alcune caratteristiche comportamentali e fisiche delle api. Lepidotteri, uccelli, ragni e rettili comunque comportano un danno misurato sia che predino le api adulte sia che saccheggino la loro casa. Tra gli insetti che attualmente preoccupano di più gli apicoltori si ricordano:

- Vespa velutina: originaria dell’India settentrionale e dela Cina e giunta in Francia nel 2004 con un carico di legname cinese. Ha poi varcato le Alpi Marittime ed è stata segnalata in Italia nel 2012 in provincia di Imperia. E’ tra i predatori il più temibile perché ha una affinata ed efficace tecnica di caccia ed è in grado di sterminare alveari interi

- Aethina tumida: coleottero originario dell’Africa meridionale. Le femmine depongono le uova nell’alveare e le larve che ne fuoriescono si nutrono voracemente di ciò che incontrano.

Specie invasiva e invadente che ha resistito al tentativo di eradicazione finora messo in atto.

Ci sono poi malattie della covata e malattie delle api adulte ma non è questa la sede per approfondire l’argomento. Piuttosto vale la pena soffermarsi sull’attuale “piaga” dell’apicoltura poiché vedremo qui e più avanti è tema dibattuto nella scelta di un metodo apicolturale.

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2.5.1 Varroa: l’antagonista numero uno in apicoltura

Endemica dell’Asia e diffusasi in Europa occidentale dagli anni 70 è considerata l’antagonista in apicoltura, la bestia nera che si riproduce nella covata delle api e fa giungere i suoi effetti sulle api adulte. Questo acaro parassita è un parassita fuori controllo. Si è coevoluto con alcune specie del genere Apis dell’Asia con cui ha un rapporto non cosi drammatico come avviene con le sottospecie europee di Apis mellifera.

Questo deriva dal fatto che i rapporti tra ospite e parassita si evolvono gradualmente nel tempo al fine di mantenere in equilibrio la situazione e permettere all’ospite di vivere e prosperare dando al parassita altrettanta possibilità. Le api asiatiche cioè hanno più di qualche trucchetto per non soccombere a questo acaro. Ape cerana ad esempio ha un ciclo di sviluppo delle operaie troppo corto, solo 19 gg, per garantire alla femmina di varroa un successo riproduttivo. Inoltre è molto incline alla sciamatura grazie alla quale si lascia alle spalle gran parte della varroa. Il trasferimento della varroa dalle api asiatiche alla mellifera è avvenuto perché queste ultime sono state trasportate in diverse parti dell’Asia per sfruttare, attraverso un’attività apistica produttiva, le ingenti risorse nettarifere di quelle regioni. Quindi nel 1960 la varroa è stata segnalata su Apis Mellifera in Giappone e nell’ex Unione Sovietica poi in Jugoslavia, Brasile, altri paesi finché nel 1981 è stata segnalata in Italia. L’acaro ha fatto unna cavalcata transcontinentale che denuncia come le api siano trasportate “come caschi di banane del ‘900” (Fontana 2017), generando gravi problemi sanitari. Infatti oltre al danno diretto provocato con la sua alimentazione, l’acaro è responsabile della trasmissione di

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32 nuove virosi come il Virus delle ali deformi, quello della paralisi acuta ed altri ad oggi identificati. “Potrebbe essere stata proprio l’assenza di questo parassita ad aver garantito il grande successo dell’Ape mellifera e ad aver permesso la nascita di una apicoltura stabile e avanzata come quella quella che conosciamo almeno dagli egizi” (Fontana 2017:p. 213 ). La varroa ha trasformato l’apicoltura, facendola diventare un’attività complessa, poiché il controllo di questo acaro non è facile. L’arrivo di questo parassita, ad oggi presente in tutte le colonie nelle aree ad apicoltura specializzata, ha reso necessario l’utilizzo di sostanze ad azione acaricida. Le prime usate erano sostanze di sintesi poi si è passati a sostanze organiche (acidi e oli essenziali) abbinate in alcuni casi a tecniche apistiche. C’è da dire che negli anni i formulati proposti per la lotta alla varroa hanno perso di efficacia cioè l’acaro ha sviluppato una farmaco-resistenza verso tali preparati. La lotta abbattente non è stata una efficace strategia e, dagli anni 90, si sono affiancati metodi biomeccanici che richiedono una certa professionalità.

Tali metodi che in alcuni casi riescono a limitare od eliminare i trattamenti farmacologici richiedono però tempo e pazienza: tempo non facile da trovare in un’azienda apistica che conta molti alveari. Le tecniche come il blocco di covata, indotto artificialmente per effettuare trattamenti contro la varroa, l’eliminazione della covata maschile o l’inibizione della sciamatura sono pratiche che alterano in maniera importante il ciclo naturale dell’organismo alveare. Così come l’eliminazione dei fuchi comporta l’inconveniente di perdere parte del materiale genetico delle api. L’uso di acaricidi di sintesi ha avuto la conseguenza di una grave contaminazione della cera usata in apicoltura, problema ancora oggi molto forte. Grandi problemi di inquinamento dei prodotti apistici derivano proprio dall’uso da parte degli apicoltori di certe sostanze. Molti apicoltori riconoscono la pericolosità dei principi attivi di sintesi usati negli alveari e sono consapevoli dell’invasività di certe tecniche di intervento per cui è cresciuto l’interesse verso metodi alternativi di allevamento.

Testimonianza di Natalino Trincheri: apicoltore ligure, tratta dal libro di Mauro Grasso, La rivoluzione dell’alveare (2015).

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33 “ …. sono convinto che le api non siano riuscite a trovare una strategia efficace contro la varroa perché troppo impegnate a trovare risposte al nostro continuo cambiare l’equilibrio all’interno dell’arnia.

La varroa ci ha trovati impreparati: ci è servito del tempo per capire che tecnica usare dal momento che non volevamo dare acaricidi per non intaccare il sapore del miele ed abbiamo iniziato ad intervenire meccanicamente sulla covata maschile.

Ad oggi pratico questo intervento con buoni risultati: non uso sciami o regine artificiali, non nutro il mio apiario e mi limito a eliminare la covata maschile una volta alla settimana per i due mesi in cui la varroa prolifica. Mi muoiono 2/3 famiglie su 20 in media, secondo me queste morti non dipendono sempre dall’indebolimento causato dalla varroa.

La buona salute del mio apiario è dovuta senza dubbio ad un fattore in particolare: nelle vicinanze non ci sono i veleni dell’agricoltura intensiva, come quelli usati per la concia del mais in Piemonte. A quanto pare altri apiari hanno un moria elevata ed usano acaricidi: questo mi fa pensare che non siano una garanzia. Osservo molto le piante intorno a me, e ho notato che- quando in una determinata area si inserisce un insetto, un fungo o un’altra patologia- si tende ad intervenire subito con un prodotto chimico per salvare il raccolto senza chiedersi “ E dopo?”. Ho capito che il risultato non è il raccolto di quel momento quanto riuscire ad assicurare al terreno un buon equilibrio.

Capisco che un’apicoltore che deve gestire 100 famiglie, che pratica questa professione per reddito, debba trovare una soluzione immediata e usa gli acaricidi..altrimenti deve cambiar mestiere. Ma per quanto tempo può ancora durare? Le api sono un indicatore ambientale e credo sia possibile che trovino una soluzione da sé ai loro problemi”.

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2.6 Apicoltura convenzionale

Slide tratta dalla relazione di un seminario del 2016 promosso da Apav

Questa slide racchiude il pensiero di molti apicoltori: senza la loro professione, le api sarebbero già al collasso. Da una recente intervista fatta ad apicoltori francesi anch’essi affermano che è grazie a loro se in Francia a partire dagli anni ’90, le api continuano a sopravvivere. Molti apicoltori sostengono che la loro sia un’attività sostenibile, da cui

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35 anzi dipende la sopravvivenza delle api e che sia l’unica forma di allevamento in cui non si uccide l’animale per ricavarne cibo. Ma altri apicoltori tra cui l’argentino Oscar Perone, di cui parleremo più avanti, tra le concause della moria delle api esaminano l’attuale sistema di allevamento. In sintesi cosa dice Perone:

- Legata al nostro sistema economico, l’apicoltura convenzionale, ha fatto si che si siano sviluppate tecniche di produzione non appropriate al mantenimento dell’equilibrio dell’organismo alveare.

- Le tecniche di intervento attuali indeboliscono il sistema immunitario dell’organismo.

Contrariamente alla maggior parte degli apicoltori per i quali l’ape sopravvive grazie all’apicoltura, Perone è convinto che tra le problematiche legate allo stato di salute delle api ci sia proprio la gestione dell’insetto perpetuata per decenni da parte di apicoltori poco attenti alla conoscenza dell’ape e proiettati al solo ritorno economico. L’organismo alveare si regge su una programmazione antica milioni di anni, è lecito chiedersi se le pratiche attualmente utilizzate interferiscano in modo negativo con la biologia e la fisiologia di tale organismo. Pratiche come la selezione di api docili che rende alla lunga queste razze meno aggressive anche nei confronti di eventuali parassiti o la produzione di pappa reale che uccide le regine o l’uso sconsiderato di antibiotici che avvelena ed indebolisce l’alveare. Nel Quaderno della collana editoriale di Veneto Agricoltura, tra le cause di mortalità delle api scientificamente individuate -oltre a malattie e parassiti, cambiamenti climatici e ambientali, pratiche agricole e uso sostanze chimiche- si fa riferimento a pratiche dell’apicoltura, in particolare l’importazione di regine di sottospecie non adattate alle aree di impiego.

L’apicoltura convenzionale, legata al nostro sistema economico ha dato spazio ad allevamenti intensivi per accrescere la produzione di miele e di altri sottoprodotti dell’alveare. Ciò ha portato a sviluppare tecniche di produzione come il nomadismo, la vendita di pacchi d’api, sciami artificiali o api regine, che contribuiscono a

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36 diffondere più velocemente l’avanzata di virus e patologie. L’Italia da anni esporta regine in tutto il mondo ed importa da tutto il mondo.

La domanda è: l’approccio convenzionale tutela le api?

Dati che confermino la tesi secondo cui senza l’intervento umano la sopravvivenza delle api sarebbe in pericolo non ce ne sono, ci sono però buoni motivi per pensare che noi stessi possiamo esser responsabili dell’attuale situazione.

Ed è proprio questo che Perone col suo manuale e la sua esperienza vuol comunicare: aldilà delle sopracitate cause che comunque vedono l’uomo come artefice di distrutti equilibri, anche l’approccio convenzionale di allevamento rappresenta da tempo una minaccia per le api.

Per concludere, dalle ricerche condotte negli ultimi anni sulle cause di mortalità delle api sembra emergere una spiegazione multifattoriale del fenomeno: gli

avvelenamenti, con esiti letali o subletali costituiscono un importante elemento di rischio.

Esposizione a pesticidi, cambiamenti climatici, patologie e parassiti, pratiche apistiche contribuiscono in misura diversa a causare l’indebolimento di un alveare che può portare al collasso.

L’incidenza dei fattori sembra variare a seconda del luogo, del tipo di apicoltura, delle condizioni meteo ecc..

Attraverso gli studi si è evidenziato lo stretto rapporto tra patogeni e prodotti fitosanitari: diverse indagini hanno mostrato come la compresenza di questi due fattori aumenti la mortalità rispetto a quella provocata singolarmente dal patogeno e dal pesticida.

Dato che il problema Varroa è quello che ha condizionato e condiziona la moderna apicoltura varrebbe la pena di minimizzare la presenza del fattore “pesticidi” sul quale l’uomo può direttamente agire. (Maini;Porrini;Renzi 2014).

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