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2.1 Vita e parola

2.1.2 Parola e vita come pensiero

«Colui che ha compreso non cogita più»193

Fabrizio Meroi introduce il suo saggio Persuasione ed esistenza scrivendo: «Ciò che, a mio parere, costituisce il tratto veramente distintivo della figura, del pensiero e dell'opera di Carlo Michelstaedter è il continuo, costitutivo intreccio tra il piano della filosofia e il piano della vita»; poi specifica: «È senz'altro vero che una simile osservazione potrebbe essere fatta […] a proposito di molti altri autori […]. Ed è altrettanto vero che la centralità, in Michelstaedter, del nesso 'filosofia-vita' non è affatto – per così dire – una 'scoperta' […]. Senonché, tale centralità appare, nel caso di Michelstaedter, davvero caratterizzante, in termini sia quantitativi che qualitativi, al punto che essa sembra valere per questo più che per qualsiasi autore»194. Ciò che risulta

interessante, dunque, è che questo continuo rimando vita-pensiero risulta esser “davvero caratterizzante”195, come afferma Meroi. Se questo è vero, la riflessione

sulla vita di Michelstaedter può aiutare l'interprete perché essa diventa momento non trascurabile in cui lo stesso pensiero filosofico non può non imbattersi e soffermarsi, incontrando, per così dire, il suo elemento fondamentale. Il ruolo della vita in Michelstaedter non scade in un becero vitalismo, ma gode di un particolare statuto; se inizialmente si pone nell'ordine dei risultati e delle

193C. Michelstaedter, L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, op. cit., p. 87. 194F. Meroi, Persuasione ed esistenza: filosofia e vita in Carlo Michelstaedter, op. cit., p. 1. 195Ciò che desta ulteriore interesse è sottolineare come non fosse negli intenti di Michelstaedter

l'esser originale, inteso come esser “davvero caratterizzante”. Egli è stesso lo dichiara quando si fa portavoce di altri nella prima pagine della Persuasione: «Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle […] Lo disse l'Ecclesiaste […] Lo disse Cristo […] Lo dissero Eschilo e Sofocle e Simonide […]. Lo proclamò Petrarca […] Lo ripetè con dolore Leopardi […]. Ai nostri tempi le creature di Ibsen lo fanno vivere su tutte le scene […]. Beethoven lo canta […]. Se ora io lo ripeto per quanto so e posso […] lo faccio da povero pedone che misura coi suoi passi il terreno […]» (C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, op. cit., pp. 35-36).

conseguenze derivanti da un pensiero che lo pone a oggetto (si pensi, ad esempio, tutte le interpretazioni che riducono rigidamente il lascito ultimo del suo pensiero all'atto suicida196), poi esclude o riprende la forza di tale riflessione e la ripensa

come focolaio della nascita, facendo collidere quella divergenza grammaticale tra soggetto e oggetto che è spesso oggetto di critica dello stesso Michelstaedter. In altre parole, questa forte connessione tra vita e filosofia può essere interpretata non solo come come indicazione metodologica o contenutistica, ma come un ulteriore lascito filosofico del giovane goriziano. L'autentico soggetto grammaticale del pensiero di Michelstaedter, dunque, è la vita che investe il nucleo teorico del pensiero. Vita e pensiero si deformano reciprocamente, ripudiando parabole lineari che le possano ridurre l'una all'altra. In questo senso, si comprendono le motivazioni che conducono Vladimirio Arangio-Ruiz a ritrarre l'amico con l'immagine di un «incrementatore di vita»197. O le ragioni che

portano Erasmo Silvio Storace ad assegnare come titolo al suo libro Carlo

Michelstaedter: L'essere come azione198, opera che raccoglie una lunga serie di

saggi a circa un secolo dalla morte del goriziano. Commenta Meroi: «È infatti, quella di Michelstaedter, una filosofia che appunto esorta […] all'attività, all'impegno, alla dedizione»199; «la filosofia di Michelstaedter, che pure è senza

dubbio, per molti versi, una filosofia sulla morte […] non è affatto una filosofia

della morte […]; essa è invece, costitutivamente, una filosofia della vita»200.

Insomma, validità e verità di un pensiero che interroga alcuni fatti salienti del giovane filosofo non dovrebbe risolvere il manifesto nello splendore di un monogramma esistenziale, ma dovrebbe immettersi in questo gioco. Il nesso tra

196Commenta Campailla: «Va detto […] che fu proprio il suicidio a suscitare un primo interesse per un personaggio che, sin che visse, rimase uno studente in tutto e per tutto sconosciuto» (S. Campailla, A ferri corti con la vita, Biografia ad introduzione della Mostra antologica “testimonianza per Carlo Michelstaedter”, op. cit., p. 7 (Corsivi miei)).

197Cfr. F. Meroi, Persuasione ed esistenza: filosofia e vita in Carlo Michelstaedter, op. cit., p. 3.

198M. Cerrutti – M. Fortunato – A. Gallarotti – C. La Rocca – E. S. Storace – R. Visone, Carlo Michelstaedter: l'essere come azione, op. cit., 2007.

199F. Meroi, Persuasione ed esistenza: filosofia e vita in Carlo Michelstaedter, op. cit., p. 3. 200Ibidem.

filosofia e vita di Carlo non è solo commento asettico che rivela ciò che caratterizza storicamente il suo pensiero. Piuttosto, è esso stesso testimonianza viva, domanda del pensiero stesso che chiede che senso avrebbe tutto questo interrogare l'elemento biografico e contestuale, se non quello espresso dal fatto che la vita stessa dell'interprete in questa interrogazione sarebbe diventata cosciente a se stessa come problema. Il pensiero di Michelstaedter è soprattutto, e consapevolmente, “provocazione”; chiunque lo affronti ne viene ammonito come uomo, in quanto non sono permessi accomodamenti o sufficienti imparzialità. Chi si accosta al pensiero della persuasione è portato a far «forza alla [sua] erudizione»201, a scoprire nella sua operazione di pensiero quel pensiero più

fondo che rimedita e discerne la sua contemporaneità e condizione. Il messaggio di vita e pensiero del goriziano hanno portata e peso specifico nella stessa ipotesi esistenziale svolta nello scritto accademico del goriziano202; ovvero, non

dovrebbero rimaner pretesti corroboranti per riaffermare le proprie posizioni, ma disincagliandosi dalla “scientificità” rettorica, porsi in sintonia e in ascolto della voce della persuasione.

In conclusione, la spirale del nesso vita-pensiero, dunque, è esperienza di pensiero in quanto permette al soggetto che si conosce, di superarsi come soggetto; o meglio, di infrangere la “giustizia” della sua conoscenza. La vita e il pensiero di Michelstaedter non vengono così irretiti in un dialettico gioco di prestigio che tanto più è pervasivo tanto più è, “retoricamente”, persuasivo. Questo perché, come afferma Michelstaedter:

«Il contenuto sostanziale del pensiero non è un lavoro che l'uomo come essere a parte fa sulle cose, ma è un λεύσσειυ [guardare, vedere], un essere compenetrati, un coessere […]. La verità,

l'essere non è altro che la mia vera vita, la ragione della mia vita»203

201C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, op. cit., p. 46 nota 1. 202Mi riferisco a La persuasione e la rettorica.