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2.1 Vita e parola

2.1.1 La pluralità del linguaggio La parola assicurata

2.1.1.4 Parole e menzogna

«Fin dai primi doveri che gli si impongono, tutto lo sforzo tende a renderlo indifferente a quello che fa, perché pur lo faccia secondo le regole con tutta oggettività»87

Parola persuasa e rettorica sono gli estremi di un itinerario che hanno segnato sia la vita che la morte del giovane goriziano. La loro specularità bivalente ha lacerato la vita stessa del giovane filosofo; la via della persuasione non è stata una estemporanea scoperta intellettuale, ma una sofferta forma di illuminazione esistenziale nella quale Michelstaedter non è “ritornato alla via consueta”88 o “alle dolci e care cose”89, ma ha resistito «senza posa alla corrente

87 C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, op. cit., p. 187.

88 Cfr. C. Michelstaedter, I figli del mare (C. Michelstaedter, Poesie, op. cit., p. 82). 89 Ibidem.

della sua propria illusione»90 e «nell'oscurità» si è creato «da sé la vita»91; poiché

avverte Michelstaedter con vis evocativa e, in parte, attinta dalla sua esperienza di vita: «non c'è pane per lui [il persuaso], non c'è acqua, non c'è letto, non c'è famiglia, non c'è patria, non c'è dio – egli è solo nel deserto, e deve creare tutto da sé: dio e patria e famiglia e l'acqua e il pane»92.

Dunque, se persiste un paralisi del linguaggio in Michelstaedter è perché il filosofo non è sceso a patti con quella forma di accumulo di valore nel segno dell'equivalenza generale della rettorica. La differenza tra l'unicità della parola della persuasione e quella della rettorica non è una sfida nel senso di una opposizione netta e per sempre vinta; la parola della persuasione è cresciuta sulla difficile mortificazione di quella rettorica; se da un lato ha lasciato tutta l'architettura del linguaggio senza senso, senza nomi, senza identità, dall'altro lato ha dato alla parola stessa la possibilità di diventare il contro-senso, la strada alternativa a quella forma della rettorica che appare assoluta e inalienabile. In questa prospettiva si può leggere la difficile e intima relazione tra padre e figlio, due parole differenti ontologicamente: singolarità e pluralità che si raffrontano, muovendosi però su un terreno oltremodo insidioso che è quello del contesto famigliare e affettivo. Mobilitato dal sistema nel processo di appetizione-soddisfazione, a cui tutti i moti della vita e della società danno il loro contributo più o meno inconsapevole, le parole di Alberto Michelstaedter sono rinchiuse in quel santuario ideologico da cui emana il dovere, l'onore e la necessità93. A questa si contrappone, in una maniera del tutto originale e sofferta

poiché figliale ma, al tempo stesso, genitrice poiché autentica, la parola del persuasione che è anelata da Carlo; essa è vicina al peso del produttivismo e della

90 C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, op. cit., p. 71. 91 Ivi, p. 70.

92 Ibidem.

93 «Tuo padre» afferma Alberto Michelstaedter nel Sermone paterno «ha fatto base della propria esistenza l'onore, sua legge suprema l'onesto lavoro, sua religione il dovere» (G. A. Franchi, Una disperata speranza: profilo biografico di Carlo Michelstaedter, op. cit., p. 34).

logica dei valori e ne percepisce il temibile pericolo implicito: l'inautenticità. Così Michelstaedter, seppure con i sentimenti e le dinamiche di un giovane adolescente, non si vuol far sedurre da quello spazio in cui la parola è già detta, ma si dirige in quello spazio non geometrico in cui essa produce, crea. Ciò che ritengo veramente peculiare e che vorrei far risaltare in quest'analisi, dunque, non è tanto il contrapporsi tra una forma supposta autentica e inautentica di linguaggio, ma il contesto e la tragicità umana che l'attraversa: quello di uno scontro tra padre e figlio. Abitando il mondo, la parola del persuaso è esposta a uno spazio che non la ignora, tra cose e persone che dicono il suo vissuto, dove conoscere e parlare è anche riconoscere. La difficoltà del giovane goriziano consiste anche in questo; nel fatto, cioè, che una certa forma rettorica sottrae le cose al loro anonimato, per restituirle a gesti e contesti abituali che consentono di sentirsi assicurato fra questi. Il percorso è dunque doppiamente pericoloso; il primo rischio è che deve sfuggire all'assedio del mondo rettorico pur abitandolo; il secondo è che la parola autentica può diventare eccedente o eccessiva e il suo senso rischia di ridursi a un continuo contro-senso, rendendola incomunicabile nella sua radicale solitudine.

Ritengo che l'ira e la tristezza di Carlo, la schizofrenia del suo tempo, i rocamboleschi eventi che segnano il destino della sua stessa opera non siano un preludio a una liberazione dal linguaggio, al giorno in cui verrà estinta la sua espressione come repressione. Il valore testamentario e unico della parola michelstaedteriana se, per un lato è silenzio vuoto, dall'altro indica una via differente; distante dalla produttività dei codici, in essa e attraverso essa Michelstaedter invita a far attenzione all'ambivalenza necessitante con cui la parola si esprime nei persuasi e l'equivalenza a cui tutt'oggi è stata ridotta nella società dei codici che la governano, in conformità alla logica e alla struttura dei vari saperi. Alla periferia dei codici strutturali, Michelstaedter continua ad esortare al rivolgimento per ciò che di fondamentale rimane inavvertito

nell'ambivalenza della parola.

Non più l'imposizione: «gli si impongono le determinate parole […] che per lui saranno sempre privi di significato in sé ed avranno sempre soltanto tutti quel costante senso […]: la sufficienza e il calcolo»94. Ma una parola indivisa che si

raccoglie in un punto, nell'eterno presente, senza per questo tendere all'univocità. Parola e linguaggio che siano espressivi e non semplicemente indicativi e assoggettati allo stesso de-nominatore, in cui gli individui si limitano a recitarne il nome. Una parola però anche cosciente di sé, del taglio con cui si è divisa dalla sua forma rettorica, così come la sofferta distanza tra figlio e padre si è poi risolta in un distacco definitivo. Su quest'ultimo aspetto c'è una testimonianza interessante che aiuta a mostrare questa doppia valenza del linguaggio in Michelstaedter e le difficoltà e i richiami biografici che l'hanno marchiato. Mi riferisco al già citato interesse del padre per i discorsi pubblici e la scrittura.

Alberto Michelstaedter, infatti, è anche un «conferenziere apprezzato»95.

Scrive Campailla: «Non perde una ricorrenza né privata né pubblica […]. Di particolare risonanza Per Giosuè Carducci, il discorso tenuto al Gabinetto di Lettura di Gorizia il 31 maggio 1901 e […] spedito dalla direzione del Gabinetto stesso al “bardo d'Italia”, il quale fece l'onore di rispondere e ringraziare. In un fuoco d'artificio di dichiarazioni rettoriche, un motivo di successo personale»96.

La serie degli interventi si rivolge principalmente verso i quattro figli. L'opuscolo titolato Un'oretta di divagazioni, è del 1902 ed è dedicato al matrimonio della figlia Elda che si sposa con Silvio Morpurgo. Segue un discorso per il matrimonio di Gino riciclato da una conferenza del 1893, titolato Un amico

dell'uomo (Il letto), «un centone di freddure sul “quadrupede” amico dell'uomo,

che non è il cane ma il letto appunto, ignaro di eventuali implicazioni maliziose

94 Ivi, p. 187.

95 Cfr. S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 11 e segg..

sul tema»97. Sempre nel 1905, si colloca un documento che mette in evidenza

alcuni aspetti del rapporto tra Carlo e il padre Alberto, il cosiddetto “Sermone paterno” datato 21 ottobre, vigilia della partenza per Firenze del giovane goriziano. Alberto lascia al figlio la lettera come viatico per il figlio: «Stai per lasciarci e te vai giovialmente nella radiosa Firenze a fare un bagno d'arte e di lettere, ad ornarti lo spirito delle nozioni più attraenti e poetiche. Niente di più legittimo della letizia del tuo animo in questo momento. Hai fatto qui i tuoi studi con onore e ora vai in un ambiente gajo ed artistico a nutrirti la mente di discipline piacevoli e utili»98. Poi ammonisce: «Spero che la tua coscienza

t'avvertirà sempre che non vai a godere soltanto, che hai doveri da compiere […]. Guardati Carlo da ogni eccesso, ricordati che nella misura sta il segreto d'ogni benessere, d'ogni buona riuscita... In tutto la misura, anche nella bontà e nella generosità»99. Il discernimento che il padre invita a fare nei confronti di Carlo

emerge dall'intero corpo del sermone; le linee guida di questo percorso educativo hanno come obiettivo finale il culto più degno dell'uomo del sapere: il lume del dovere100. Infatti, sono l'onore e il dovere la base dell'esistenza per Alberto; in

merito a ciò, Campailla osserva: «traspare la mentalità di Alberto: una concezione etica che pretende di essere intransigente, perché la società tiene in rispetto l'uomo dabbene inserito»101.

Altri sono i discorsi e gli interventi che Alberto Michelstaedter farà102, ma ritengo

97 S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 11.

98 A. Michelstaedter, Sermone paterno, Gorizia 21 ottobre 1905, in AA.VV. Dialoghi intorno a Carlo Michelstaedter, a cura di S. Campailla, Biblioteca Statale Isontina, Gorizia 1988, p. 10.

99 Alberto Michelstaedter, Il Sermone Paterno op. cit. S. Campailla, A ferri corti con la vita, Biografia ad introduzione della Mostra antologica “testimonianza per Carlo Michelstaedter”, Gorizia, Comune di Gorizia, 1974, p. 25.

100«Il dovere è il faro, la guida che “mena dritto altrui per ogni calle”, il culto più degno dell'uomo superiore, che accanto ad ogni sacrificio» afferma Alberto Michelstaedter nel cosiddetto Sermone Paterno (G. A. Franchi, Una disperata speranza: profilo biografico di Carlo Michelstaedter, op. cit., p. 34).

101S. Campailla, A ferri corti con la vita, Biografia ad introduzione della Mostra antologica “testimonianza per Carlo Michelstaedter”, op. cit., pp. 25-26.

che, assieme a quelli poc'anzi citati, occorra menzionarne un ultimo di particolare rilevanza che aiuta a comprendere perché e fino a che punto il legame tra vita e opera e il rapporto conflittuale tra Alberto e Carlo siano inscritti nella problematica del linguaggio. Si tratta di una conferenza del 13 aprile 1894103

dedicata104 ad Ada, morta nel 1895: «È la figlia di Girolamo Luzzato Coen e di

Carolina Sabbadini […]: è suicida, per via di veleno»105; precisa Campailla: «è

quindi una parente»106. In questa conferenza, Alberto sostiene che la verità sia

l'ideale dell'anima e l'uomo mira a questa. Afferma quindi l'assicuratore goriziano: «Dal conflitto d'interessi fra uomo e uomo è sorta la necessità di creare una regola, da questo è nato il vivere sociale, la società: la grande menzogna»107.

Parole che suonano straordinariamente familiari e simili a quelle del figlio che, più tardi, Alberto vorrà cancellare: «La società mi prende, m'insegna a muover le mani secondo regole stabilite […]. Mi dà tutto ciò che m'è necessario e non solo il puro sostentamento ma tutti i raffinati prodotti del lavoro altrui; mi dà la

sicurezza di fronte agli altri»108. Arrivato a questo punto, però, Alberto non

demolisce i pilastri della società, ma capovolge il giudizio finale a favore del “mondo della rettorica”: «se guardiamo il fenomeno non preoccupati dal punto di vista del vero e del falso, vi scorgiamo tutt'altra cosa. Allora seguiamo ammirati

op. cit., pp. 7-19.

103A. Michelstaedter, La menzogna, Conferenza tenuta al Gabinetto di Minerva di Trieste la sera del 13 aprile 1894, op. cit..

104«Ada / alla tua memoria / incacellabile / cara e dolorosa / consacro / queste pagine / che ti piacevano» Conferenza tenuta presso il Gabinetto di Minerva di Trieste; data alle stampe presso la tipografia di Domenico Del Bianco di Udine in un primo tempo nei fascicoli di ottobre e novembre di “Pagine friulane”, e poi in un opuscolo separato nel 1895.

«Se ne conservano due copie nel Fondo Carlo Michelstaedter della Biblioteca Civica di Gorizia. Una con dedica autografa a Enrico Maionica, l'altra a Gilberto Senigaglia, in date successive del novembre 1895»

(S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 12).

105S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 13.

106Ibidem.

107Testo cit. in S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, p. 14.

la marcia trionfale della civiltà»109. L'ultima parte del discorso del conferenziere

goriziano entra nella dimensione pedagogica del problema. Riassume così Campailla l'idea di fondo: «Il bambino […] cresce facendosi una ragione della necessità di non poter perseguire i suoi ideali e sostenere le sue convinzioni e un poco alla volta le sacrifica sull'altare dell'interesse e del profitto»110.

Infine, ed è questo il punto su cui si concentra la mia riflessione, Alberto afferma: «La rettorica cangia nome alle cose». Sicuramente, la frase presuppone la realtà di ciò che va cercando, la quale sussiste in riferimento allo scopo e al contesto in cui il conferenziere si trova. Ma, nonostante la circostanza dell'affermazione di Alberto, permane in essa un doppio riferimento che, più o meno profeticamente, questa rivela: il primo biografico, il secondo relativo al linguaggio.

Dunque, un primo riferimento è di tipo biografico. Infatti, come s'è visto in precedenza nel carteggio tra Formiggini e Alberto, l'uomo rettorico cambia le parole delle cose, le omette o le modifica a proprio piacimento. Sempre da un punto di vista, per così dire biografico, sono impressionanti le parole che il conferenziere esprime oscuramente poco più avanti:

«La morte stessa non è più un fenomeno esclusivamente naturale, ma c'è la morte procurata ad arte che le fa purtroppo una grande concorrenza: la tremenda piaga del suicidio. - La menzogna

ci perseguita dovunque!»111

Alberto definisce così, inconsapevolmente, un contrasto crudele e umanissimo che si amplierà non solo con l'atto estremo del figlio Carlo, ma persino nelle sue ultime parole in punto di morte112, quando dirà: «Ma tu mi dai tempo col

109Testo cit. in S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 14.

110S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 14.

111Testo cit. in. S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 15.

112Cosi commenta Gian Andrea Franchi la morte di Alberto: «Nel 1929 Alberto Michelstaedter fu sepolto vicino ai due figli nel cimitero ebraico di Valdirose. Sulla “morte del cav. Michelstaedter”, “degno figlio di Gorizia patriottica”, L'Isonzo, periodico della federazione

contagocce»113. Di fronte al chiudersi dell'orizzonte del tempo, il tempo e le

parole sono sempre incombenti come speranza e possibilità d'apertura. «La realtà è per lui le cose che attendono il suo futuro»114 gli ricorda il figlio. Proprio tempo

e parole sono i termini conflittuali e vissuti al rovescio d'un rapporto tra padre e figlio che è scavato a fondo dalle vie della persuasione e della rettorica. Un'eredità e un insegnamento paradossalmente rovesciati ma che, al tempo stesso, si co-istituiscono proprio come la dinamica tra rettorica e persuasione; esse non rimangano espressioni cogitative o forme di sapere che si estraniano intellettualisticamente dal vortice a cui sono rimesse, ma vibrano di quell'abissalità che le espone.

Oltre a quello biografico, il fatto che “la rettorica cangia il nome alle cose” può avere anche un secondo riferimento, quello della potenza autoimmune della rettorica e del suo linguaggio. La rettorica attua una forma d'equivalenza rispetto al linguaggio della persuasione; parla le parole della persuasione come uno specchio, ma senza considerar tali immagini come reali. Lo stesso Carlo scrive nel Dialogo della salute:

fascista di Gorizia scrive: “Con la scomparsa del venerando patriota, scrittore e poeta, la nostra città perde una delle figure più caratteristiche per indomito amor patrio della vecchia generazione […]. Ebbe per maestra Carolina Luzzato, luminosa patriottica personalità e chiara scrittrice irredentista. […] Fu si può dire un vero apostolo dell'italianità e della liberazione dell'amata città”. Ebbe funerali solenni con la partecipazione della Autorità. Anche il pomposo necrologio del giornale fascista ricorda tuttavia che “la morte del figlio Carlo, decesso in modo repentino nel 1910, autore di un originale libro […] filosofo pessimista, geniale e profondo, gli fu causa di indimenticabile e duro dolore”. L'accenno all'“originale libro” ci fa intravvedere come per il padre e i famigliari, ma anche per un'opinione pubblica colta goriziana, la pubblicazione della tesi di laurea fosse un motivo di orgoglio, malgrado il contenuto “pessimistico” ma pur sempre filosofico, che vuol dire innocuo». Aggiunge poco dopo lo studioso: «Non mi sembra banale osservare che la moglie e la figlia di quest'“israelita” […] furono inviate a morire nei lager da quella stessa parte politica». Quindi conclude: «Se Alberto è l'ebreo che cerca d'integrarsi nella cultura locale dominante al punto di diventare un significativo patriota italiano e un rappresentante qualificato della cultura di lingua ladina, Emma ed Elda Michelstaedter mostrarono il fallimento di questo tentativo, percorrendo fino in fondo, quattordici anni dopo, la strada degli ebrei d'Europa sotto il nazifascismo» (G. A. Franchi, Una disperata speranza: profilo biografico di Carlo Michelstaedter, op. cit., pp. 42-43).

113Testo cit in S. Campailla et. al., Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, op. cit., p. 19.

«Essi considerano i loro simili come specchi compiacenti, - che raddoppino la vita. Ma il nulla non si raddoppia... e gli uomini s'affannano a palare, e colla parola s'illudono d'affermare l'individualità che loro sfugge […]. Non importa loro che la cosa sia detta, ma ad ognuno

importa d'esser lui ad averla detta»115

La parola rettorica ha il valore negativo di un'esplicita affermazione che si rappresenta attraverso il linguaggio. Il dire rettorico è verosimiglianza che, a differenza della verità, non conosce la verità della persuasione ma è ambivalente nella permanente infrazione dell'onestà del dire e incessante incremento del suo fine. In altre parole, la parola rettorica in sé e per sé non esiste – non dice nulla – se non come il frutto di una prassi progressiva, che mantiene aperto – gelosamente custodendo – lo spazio del possibile dove la società si costituisce. La rettorica, dunque, arriva addirittura ad ammettere la sua stessa sufficienza ma lo fa per preservare il linguaggio al suo proprio livello: quello superficiale, piatto, mancante di vita. Ciò che viene conosciuto attraverso parole riflesse sfugge al sostrato della persuasione, senza lasciarvi impressa una propria traccia: rimane solo un «ronzio colossale» che dice le stesse parole della persuasione riducendole a «termini tecnici»:

«La senti la voce della società? È come un ronzio colossale – ma se porgi l'orecchio a seguire i singoli suoni, udirai voci d'impazienza, d'eccitamento, voci di gaudenti senza gioia, di comando senza forza, di bestemmiare senza scopo. E se li guardi negli occhi, vedrai in tutti, nel lieto e nel triste, nel ricco e nel povero – lo spavento e l'ansia della bestia perseguitata. Ma dove vanno, e che vogliono? E perché si difendono così l'uno dall'altro e si combattono? La senti come cigola

la macchina in tutte le commessure? Ma non temere – non si sfascia – è questo il suo modo d'essere – e non c'è mutamento per questa nebbia, - poiché la sua vita è il piccolo e continuo

mutamento d'ogni atomo»116

La parola rettorica nella sua massima visibilità non si dà a conoscere in senso proprio: la sua estrema lucentezza osservabile, la parola, è ad un tempo suo oscuramento come termine. La parola della rettorica è un effetto prodotto da

115C. Michelstaedter, Dialogo della salute e altri scritti sul senso dell'esistenza, op. cit., p. 153. 116Ivi, p. 165.

quell'immaginario che considera come vera realtà, il compromesso. Quest'ambivalenza della parola che diviene “ronzio colossale” subentra come equivalente generale nella persuasione stessa, contaminando il valore del linguaggio. Michelstaedter filosofo è chiarissimo e disarmante a tal proposito quando afferma:

«Ma aperta così la porta a rispondere alle opposizioni con dire: “ma io l'avevo inteso in altro senso”, il dire è assicurato contro ogni contraddizione, poiché ha in sé implicito il non-dire; ma

è ούδέν λέγειν [non dire nulla]»117

Solo nell'intimo, la via della persuasione riprende la potenza della parola conducendola alla verità del suo significare. La rettorica, al contrario, opera malignamente: non un semplice ribaltamento, ma un cortocircuito tra negativo e positivo, vero e falso. Assorbimento degli opposti che non rilancia più il valore in sé della parola, ma che lo inscrive nell'ordine del suo codice, facendone uno strumento.

Nel suo discorso, Alberto sostiene che i meccanismi del nostro interno