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Dalla parte del coach

Nel documento Essere per fare: il coaching (pagine 68-75)

Il miglior modo per intraprendere il viaggio alla scoperta della pratica del coaching non poteva che essere mettermi all'ascolto di una coach profes- sionista. Nicoletta Quagliarella è una coach trainer specializzata in analisi transazionale e thetahealing; ha maturato la sua esperienza professionale lavorando come responsabile delle risorse umane focalizzata sulla valo- rizzazione dei talenti. È fondatrice di “Belight. Educare per la vita”, una realtà con la quale accompagna attraverso una propria metodologia le persone, sia individualmente che in gruppo, ad esprimersi nella propria unicità per la realizzazione personale e professionale.

Come è iniziato il tuo percorso da coach?

Ho iniziato la mia carriera in azienda, lavorando come responsabile delle risorse umane per 10 anni. Questo lavoro mi ha permesso di relazionarmi con gli altri e soprattutto lavorare su me stessa per trovare poi le modalità più idonee per en- trare in connessione con le persone. Col tempo ho sviluppato un interesse sempre

più introspettivo, sia per quanto riguardava la comprensione di me che delle altre persone. Ai tempi non conoscevo neanche il signifcato della parola coach, sempli- cemente il mio interesse veniva catturato da tutto ciò che permettesse di avvici- narsi all'essere umano e conoscerlo, quindi formazione, selezione, valutazione, comunicazione.

Poi cos'è sucesso?

Dopo 9 anni in azienda ho iniziato a sentire il bisogno di aggiungere più spesso- re, di portare il mio valore aggiunto ancora più in profondità nelle persone. Un giorno ricevetti una mail che proponeva un master in coaching; era un master improntato più sul lavoro interiore che sulla parte tecnica. Mi diede degli spunti molto interessanti: pensai che se avessi appreso e portato quell'approccio in azienda avrei sicuramente generato dei benefci, sia per me che per il contesto. Successivamente sentii il bisogno di accostarmi al coaching da un punto di vista più metodologico, fatto di processi e strumenti. Per questo frequentai un secondo master di respiro molto più tecnico nella mia terra lombarda, nonostante vivessi già in Toscana. Nel frattempo continuava a spingere in me la voglia di incidere di più, di uscire dalla dimensione aziendale: era come se una parte di me si fosse risvegliata. Da quel momento in poi non ho più smesso di lavorare su di me; cre- do che per poter trascinare gli altri sia necessario prima di tutto essere veri, au- tentici e puliti.

Che coach sei oggi?

Mi ritengo più una che educa, applicando il coaching nella sua accezione socrati- ca: tiro fuori dalle persone quello che sono, e le accompagno dove vogliono arriva- re. Non butto dentro niente, nessun giudizio, nessuna volontà. Come faceva Mi- chelangelo con il pezzo di marmo quando diceva che la statua era già all’interno e occorreva solo tirare via il marmo intorno, quello in eccesso.

Hai incontrato diffcoltà nella tua professione?

No. Non ho mai pensato “ma chi me l'ha fatto fare?” o cose così, non mi sono mai pentita di aver seguito me stessa. Ad oggi io mi sento a casa, in me stessa e

nella mia professione. Essere un tramite per la felicità delle persone mi riempie di gioia.

Cosa distingue il tuo coaching dal mentoring o dalla psicologia?

Sicuramente è un cammino più faticoso, richiede volontà e impegno costanti. È un cammino che non lascia spazio a giustifcazioni o alle scuse della mente, un cammino che ti sostiene mentre sei tu a camminare. Il mentor ti prende per mano e ti mostra come fare una cosa ma quello è il suo modo di fare quella particolare cosa. Lo psicologo ti ascolta ma diventa spesso anche un consigliere. Il rischio è di aggrapparsi e dipendere dalle sue risposte per sapere cosa fare. Spesso e volentieri inoltre viene dedicata troppa attenzione al problema, fnendo con l'ingigantirlo e renderlo ancora più solido e stabile di quello che già è. Il coaching è un percorso di crescita proiettato totalmente sul coachee ed ha una realizzazione più forte poi- ché regala un metodo per affrontare le situazioni, consapevolizza e dona autosti- ma. È un cammino da fare solo ed esclusivamente con le proprie gambe. Ovvia- mente poi dipende dai bisogni che uno ha; in certi casi si rende necessario un in- tervento di tipo diverso.

Che caratteristiche deve avere un coachee perché si possa intraprendere un percorso?

La volontà, nient'altro. Tutto il resto viene dopo, lo costruiamo insieme durante il cammino verso il suo obiettivo. Per volontà non intendo la volontà di presen- tarsi alle sessioni, ma il desiderio di lavorare a fondo su di sé, di andare oltre a ciò che siamo abituati a raccontarci per giustifcarci il nostro fare o non fare qualco- sa, la volontà di scegliere, di fare ciò che vogliamo fare: la volontà di essere felici.

Il coaching segue delle fasi?

Ogni esperienza di coaching ha una durata limitata a 10-15 sessioni. Le prime servono a instaurare un rapporto di compatibilità o, al contrario, a rendersi conto che questo rapporto non ha possibilità di crearsi. Una volta stretto il legame si innesca il vero e proprio lavoro sull'obiettivo di percorso che consiste nel fare chiarezza, nell'andare a togliere, a pulire la volontà da tutto ciò che si è sedimen-

tato sopra. Dopodiché ogni sessione inizia con la domanda “cosa vuoi portare via?” con la quale chiedo l'espressione di un micro obiettivo, funzionale al rag- giungimento dello stato desiderato fnale, e termina con “cosa porti via da questa sessione?”. Passo dopo passo inizio a intravedere il cambiamento, prima dal pun- to di vista fsico, nell'espressione, nell'atteggiamento, nel sorriso; poi da lì viene tutto il resto: si alza l'autostima e ci si vede piano piano per quello che si è davve- ro, a prescindere da tutto quello che negli anni ci è stato buttato addosso. Ed é così che si comincia ad agire per la realizzazione dei propri desideri profondi.

Quali sono le tecniche principali alle quali ricorri?

Prima di tutto l'intuito, non è una tecnica ma è alla base di tutto il resto, ancor prima dell'ascolto attivo. Sicuramente faccio riferimento al metodo GROW, uso la ruota della vita e poi di volta in volta creo degli esercizi, degli strumenti nuovi. Molto sta anche alla creatività del coach. Succede che il dialogo a volte si blocchi e che il confronto non vada avanti. Questo può accadere per due ordini di motivi: o non c'è volontà di approfondire e lasciarsi trascinare oppure il coachee sta su- bendo l'azione di blocchi granitici. In questi casi il coach deve agire, accompa- gnare il coachee a rimuovere ciò che si frappone fra se stesso e la sua meta, spo- stare l'attenzione dal problema. È qui che intuito, ascolto globale e creatività en- trano in gioco.

Ti succede di interrompere il coaching?

È successo in passato, quando probabilmente non avevo ancora maturato l'espe- rienza e l'intuito necessario a comprendere quale chiave usare per entrare in con- tatto col coachee e stimolarlo al lavoro. Mi è successo di interrompere un percorso perché non vedevo la volontà dall'altra parte, non c'era mai l'azione; questa per- sona vedeva il coaching come appiglio, ma non ci metteva del proprio.

È necessario che un coach abbia caratteristiche, doti o propensioni parti- colari per essere un buon coach?

No. È vero che non tutti sembrano avere quella propensione all'ascolto e all'in- tuito che è a fondamento di tutto. Ma in realtà io credo che ognuno di noi abbia

nel DNA questa dote, è solo necessario tirarla fuori. Come fa una donna quando ha un fglio, o quando una donna diventa moglie. Il mio no è quindi un no di sf- da: ogni essere umano dovrebbe avere le caratteristiche che il coach trova dentro di sé. Nessuno vive la propria vita senza intuito o senza ascolto, si tratterebbe di improvvisare! Sono doti che non si imparano, ma si ottengono andando a risco- prire la parte più vera di noi; ciascuno può diventare chi vuole essere: ciò che conta è la motivazione e la volontà di scoprirsi, andando oltre i propri condizio- namenti. Questa è la nostra palestra, il nostro corso di aggiornamento, il lavoro su di noi. Senza di questo ci si ferma al piano puramente tecnico, teorico, si resta distanti e distaccati. In questo modo invece possiamo praticare un coaching puro, pulito. Per dare coerenza occorre coerenza. Per far riscoprire bellezza occorre bel- lezza. Per accendere la luce occorre luce.

E invece come può il coach esimersi dal giudicare ciò che sente?

Una volta che hai imparato ad accogliere te stessa, ad essere neutrale con te stes- sa, impari anche a portare quest'approccio fuori da te, riesci a osservare in ma- niera neutra, ad accogliere anche gli altri. Non occorre essere perfetti, ma impa- rare a posizionarsi in uno stato di neutralità e di silenzio mentale che ci permetta di vedere, accogliere e rispettare le altre persone nella loro autenticità. Per lavora- re con persone diverse da noi ed avere fducia nelle loro capacità è necessario so- spendere il giudizio. Un coach sa essere un osservatore attento, un amico spietato e gentile allo stesso tempo, consapevole che le persone hanno la facoltà di cambia- re ma che spesso dimenticano come farlo.

Quali sono gli obiettivi più ricorrenti?

Imparare a scegliere, a gestire il cambiamento e ad attirare invece che andare sempre a rincorrere qualcosa o qualcuno. Realizzarsi, nel lavoro e nella vita, di- ventare un manager leader. Sviluppare capacità comunicative, relazionali e di la- voro in team.

Ogni volta che vedo una persona liberarsi da ciò che è diventata e avvicinarsi a se stessa. Quando vedo crescere l'autostima senza che si trasformi in arroganza. Quando vedo la realizzazione dei miei clienti attraverso la luce nei loro occhi. Quando percepisco la loro felicità perché stanno realizzando i propri desideri più profondi.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Desidero rivolgermi sempre di più agli adolescenti perché avverto il loro bisogno di avere dei punti di riferimento in questa fase delicata della loro vita; voglio tro- vare la strada per avvicinarmi alle coppie quando decidono di diventare genitori perché è lì che posso fare il lavoro vero di educazione: genitori liberi da condizio- namenti e consapevoli che si muovono per la loro felicità generano a loro volta f- gli liberi di essere loro stessi e quindi felici. Allo stesso tempo voglio dedicarmi al- l'azienda per percorsi di coaching individuale e aule di coach training, in quanto oggi più che mai l'azienda cresce se crescono in autenticità le persone che la com- pongono. Desidero continuare con i miei seminari nelle università per accompa- gnare i manager di domani a mettere il cuore nella professione che decideranno di intraprendere, qualunque essa sia. In tutti questi ambiti il comune denominatore é quello di accompagnare le persone ad esprimere il loro Essere perché quando siamo allora facciamo in nome della bellezza che da sempre ci contraddistingue e la felicità diventa l'unica conseguenza.

Capitolo V

Valutare e massimizzare l'impatto del business coaching:

dal ROI al corporate well-being

5.1 Considerazioni introduttive

Proft and growth are stimulated by customer loyalty. Loyalty is a direct result of customer satisfaction. Satisfaction is largely infuenced by the value of service provided to customers. Value is created by satisfed, loyal and productive employees. Employee satisfaction, in turn, results primarily from high-quality support services and policies that enable employees to deliver results to customers.46 Sempre più aziende riconoscono l'importanza strategica dell'investire in programmi di formazione, sebbene non tutte conoscano o comprendano il reale benefcio che può derivare da un percorso di coaching. Questo in uno scenario in cui il successo delle politiche aziendali è sempre più de- terminato dalla qualità della gestione, del coinvolgimento e della valoriz- zazione delle risorse umane; risorse intangibili, non vendibili né acquista- bili, che non si deteriorano col tempo ma che anzi rappresentano per l'a- zienda un patrimonio in continuo sviluppo. L'esigenza di considerare la formazione come un vero e proprio investimento non può essere elusa. Resta da chiedersi, al termine di questa analisi, quale sia il costo di un percorso di coaching in azienda e quale sia, al tempo stesso, il costo intan- gibile del non predisporre affatto uno strumento di questo tipo, in termini di performance, motivazione, benefci e clima di lavoro. Risulta ovvio quanto sia fondamentale a questo scopo monitorare l'azione formativa, quale che sia, prima, dopo e durante il suo svolgimento e pervenire ad una valutazione il più possibile puntuale e multidimensionale, scongiu- rando l'errore di una valutazione ex-ante, ossia del progetto per quello che dovrebbe essere, per le sue caratteristiche e obiettivi, piuttosto che per

46 J. L. Heskett, T. O. Jones, Putting the Service-Proft Chain to Work, in Harvard Business Review, 2008.

i suoi risultati effettivi. Emerge, in sostanza, la necessità di concepire la valutazione della formazione non tanto in termini operativi bensì strate- gici: riuscire cioè ad apprezzare se, come e quanto processi di questo tipo possono contribuire al perseguimento di obiettivi aziendali di diverso tipo. Muovendo da questa necessità, l'analisi sviluppata nei prossimi pa- ragraf è volta ad ipotizzare i possibili ambiti di applicazione dei principi generali della valutazione della formazione nello specifco scenario di un programma di coaching.

Nel documento Essere per fare: il coaching (pagine 68-75)

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