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Essere per fare: il coaching

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Academic year: 2021

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(1)

INDICE

Introduzione

...4

Parte prima

Le condizioni che hanno favorito il sorgere di un nuovo modo

di intendere la formazione

Capitolo I

...6

Epistemologia della complessità: i cambiamenti che caratterizzano

la società della conoscenza

1.1 Un nuovo modello sociale ...6 1.2 L'impresa complessa ...8 1.3 Il pensiero complesso come metodo di apprendimento ...10 1.4 Apprendere ad apprendere. Essere attori della knowledge society....11

Parte seconda

Oltre l'aula: strumenti a supporto dell'uomo per una gestione

effcace delle risorse umane

Capitolo II

...15

La formazione one to one

2.1 Introduzione ...15 2.2 La leva formativa tra tradizione e presente ...16 2.3 L'approccio one to one. Il coaching come strumento di potenziamento della formazione manageriale ...19 2.4 Coaching, counseling e mentoring: metodi a confronto ...22

(2)

Capitolo III

... 25

Allenare il potenziale: il coaching

3.1 Origini e defnizioni del coaching …....3.1.1 Conosci te stesso ... 25

…....3.1.2 L'etimologia ... 27

…....3.1.3 Dallo sport al business ... 27

…....3.1.4 Una prima defnizione ... 30

3.2 Il coaching oggi …....3.2.1 Introduzione ... 32

…....3.2.2 ICF Global Coaching Study ... 33

3.3 L'essenza del coaching …....3.3.1 Accrescere la consapevolezza ... 36

…....3.3.2 La responsabilità ... 37

3.4 L’interdisciplinarità del metodo: tipologie di coaching …....3.4.1 Introduzione ... 38

…....3.4.2 Business coaching: quando l'esigenza nasce in azienda …... 39

…....3.4.3 Personal o life coaching: quando l'esigenza nasce in ambito privato...42

…....3.4.4 Sport coaching ... 43

3.5 Coaching e apprendimento ... 43


3.6 La relazione di coaching …....3.6.1 Aspetti metodologici del coaching ... 46

…....3.6.2 Come si svolge un percorso di coaching? ... 51

…....3.6.3 Il modello GROW ... 52

Parte terza

La mia ricerca sul coaching: l'impronta del coaching

sulle persone

Capitolo IV

...57

(3)

A contatto col coaching: un'esperienza diretta

4.1 Introduzione...57

4.2 Dalla parte del coachee …....4.2.1 G. ...57

…....4.2.2 M. ...62

…....4.2.3 V. ...65

4.3 Dalla parte del coach ... 68

Capitolo V

... 74

Valutare e massimizzare l'impatto del coaching: dal ROI al

cor-porate well-being

5.1 Considerazioni introduttive ...74

5.2 La valutazione dei programmi di formazione ...75

5.3 Il ROI del business coaching ...76

5.4 Il ROI è davvero un benchmark del coaching di successo? …...85

5.5 Felicità e produttività …....5.5.1 Introduzione ... 87

…....5.5.2 Quanto costa il coaching e quanto un dipendente infelice? …..89

…....5.5.3 La risposta delle imprese: sviluppare il potenziale …...91

Conclusioni

... 94

Bibliografa in ordine alfabetico

...98

Sitografa

... 101

(4)

Introduzione

Le millenarie certezze di un mondo stabile, armonioso, facilmente inqua-drabile secondo principi fssi e inalienabili, si sono progressivamente sfal-date nel corso dei millenni. La realtà si presenta complessa, reticolare, non lineare, in continuo cambiamento. In questo contesto il successo o l'insuccesso del singolo e dei sistemi sociali, in particolare delle aziende, dipendono soprattutto dalla capacità di riuscire a produrre, di volta in volta, le decisioni più adeguate per affrontare situazioni in costante evo-luzione. Con una sola certezza: le possibilità sono massimizzate se le energie del singolo o del gruppo confuiscono insieme verso l'obiettivo da realizzare. E questo è esattamente ciò che ci propone di realizzare il coa-ching. Aiutare a far emergere in noi stessi e nelle aziende il carico di po-tenziale di abilità, creatività, energia costruttiva a nostra disposizione; per creare un circolo virtuoso di intelligenza emotiva da indirizzare continua-mente verso le sfde che costantecontinua-mente la realtà ci impone.1

Il primo capitolo di questa tesi ripercorre le caratteristiche del mondo complesso, con particolare attenzione all'ambito aziendale e alle nuove prospettive di apprendimento che il mutevole contesto richiede alle orga-nizzazioni. Questa è, a mio avviso, la culla entro la quale ricollocare la formazione di uno nuovo spirito, di una nuova attenzione nei confronti delle risorse umane, che ha donato loro nuova dignità.

Il secondo capitolo propone nello specifco la soluzione della formazione one to one come evoluzione delle tradizionali ottiche di apprendimento e come modalità di sviluppo della Persona in azienda. La formazione di tipo one to one vuole andare oltre l'aula, oltre il tradizionale modo di con-cepire la trasmissione della conoscenza, personalizzare il processo, valo-rizzare le differenze, operare una rivoluzione nel concetto di apprendere ad

1 E. Gramatica, S. Tassarotti, Coaching. Strategie e segreti del manager di successo per valo-rizzare i talenti e motivare le risorse umane, Il Sole 24 ORE S.p.A, Milano, 2003.

(5)

apprendere. È la formazione one to one a porre le basi per la nascita del

coaching.

Il terzo capitolo approfondisce questo particolare strumento, ripercorren-done dapprima le origini e la storia per poi giungere alla descrizione di procedure, metodi e strumenti propri di questa singolare modalità di for-mazione.

Il quarto capitolo raccoglie quattro fondamentali testimonianze, utili a comprendere meglio quanto descritto nei precedenti capitoli. Tre coachee prima e una coach dopo rispondono alle mie domande, aiutandomi a de-lineare non solo lo svolgimento di una sessione di coaching, i suoi obietti-vi e le sue caratteristiche, ma anche i benefci raggiunti grazie a percorsi di questo tipo.

L'ultimo capitolo prosegue la ricerca andando a toccare il tasto più econo-mico del coaching, visualizzandolo come vero e proprio investimento del quale, di conseguenza, si rende necessario un sistema di valutazione. An-dando avanti nel capitolo si pone invece l'accento, più che su misure f-nanziarie, su aspetti per così dire intangibili di valutazione dell'impatto del coaching. Questo per poi arrivare a confrontare i costi del coaching con i costi della sua mancata predisposizione in contesti nei quali, invece, demotivazione e infelicità fanno suonare il campanello d'allarme di un'in-corretta gestione delle risorse umane; sono questi i costi del puro fare sen-za l'essere.

(6)

Parte prima

Le condizioni che hanno favorito il sorgere di un nuovo

modo di intendere la formazione

Capitolo I

Epistemologia della complessità: i cambiamenti che

caratteriz-zano la società della conoscenza

1.1 Un nuovo modello sociale

Il XX secolo ha scoperto la perdita del futuro, cioè la sua imprevedibilità. Questa presa di coscienza deve essere accompagnata da un’altra, retroattiva
 e correlativa: quella secondo cui la storia umana è stata e rimane un’avventura.

Una nuova coscienza comincia a emergere: il mondo umano, messo ovunque
 a confronto con le incertezze, è trascinato in una nuova avventura.
 (E. Morin)2

La complessità è esplosa come nuovo paradigma culturale, come modello trasversale tra i saperi, come sfda epistemologica, sotto la spinta sia di una revisione della logica della scienza sia di una trasformazione della so-cietà, sempre più variegata, plurale, fessibile, in divenire, interconnessa.3 Negli ultimi decenni infatti, abbiamo assistito al susseguirsi di rapidi e ri-voluzionari cambiamenti epocali, cambiamenti che in pochissimi anni hanno prodotto trasformazioni radicali per estensione, profondità, veloci-tà e capaciveloci-tà pervasiva, a livello economico, storico, politico e sociale. Quella in cui ci troviamo è l'epoca della complessità, del post-moderno,

2 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina Raffaello, Milano, 2001.

3 M. Sannipoli, Diversità e differenze nella prospettiva coevolutiva, FrancoAngeli, Milano, 2015.

(7)

del cambiamento. In un contesto ambientale di questo tipo, caratterizzato da una continua spinta tecnologica, da improvvise metamorfosi di scenari (economici, politici, scientifci e fnanziari) e ad elevata competitività e scarsità di risorse, l’uomo non può far altro che accogliere un senso di in-certezza crescente, una spiacevole sensazione d’incapacità di saper far

funzionare la propria vita ed il proprio mondo.

La complessità pervade l’esistenza degli individui. Complessità intesa non come complicazione, ma come disorientamento, incertezza, ambigui-tà, perdita della prevedibiliambigui-tà, incompletezza, carenza informativa. Di fat-to, la riconosciuta incapacità di rispondere con effcacia alle sollecitazioni del mondo esterno, crea nell'uomo un senso di inadeguatezza.

“Credo che si tratti di una presa di coscienza tanto più importante in quanto, fno a un’epoca molto recente, abbiamo convissuto con l’idea che noi avremmo portato la storia a compimento, che la nostra scienza avesse acquisito l’essenziale dei suoi principi e dei suoi risultati, che la nostra ra-gione fosse fnalmente a punto, che la società industriale stabilizzasse la sua rotta, che i sottosviluppati si sarebbero sviluppati, che gli sviluppati non fossero sottosviluppati.

Oggi non si tratta di sprofondare nell’apocalissi e nel millenarismo, si tratta di vedere che siamo forse alla fne di una certa epoca e, speriamo, agli esordi di tempi nuovi.”4

Questo passaggio, che si trova a conclusione del testo di Eugenio Morin, ci aiuta nel comprendere in cosa consista questa nuova presa di coscien-za. Il testo è attraversato da una critica costante a quella che viene defni-t a indefni-telligenza cieca, la quale ricalcherebbe essenzialmendefni-te il modo adefni-tdefni-tra- attra-verso il quale ha lavorato la scienza classica, defnita come pensiero

sempli-fcante, che conduce ad una debolezza teorica (l’impossibilità di

racchiu-dere la ricchezza della realtà), ad una parcellizzazione del sapere che non permette più di leggere le interconnessioni tra le discipline.

L’idea di una conoscenza costruita su solide basi scientifche rimanda al-4 E. Morin, Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfda della com-plessità, Sperling & Kupfer, Milano, 1993.

(8)

l'immagine di un osservatore neutro che cerca di apprendere e decifrare le inalterabili leggi della realtà esperibile.

Diversamente, scavalcare la riduzionistica dicotomia mente-corpo propo-sta da Cartesio oltre tre secoli fa, pone l'uomo al centro di una dinamica interazione con la rete vivente di cui è parte. A fondamento del pensiero

complesso si instaura piuttosto questa idea: la complessità ha sempre a che

fare con il caso, poiché comprende incertezze, indeterminazioni, fenome-ni aleatori; è di fatto “l’incertezza all’interno di sistemi altamente orgafenome-niz- organiz-zati.”5

L'uomo muove verso una nuova consapevolezza: il legame tra caso, ordi-ne e disordiordi-ne non è riducibile a ordi-nessuna regola defnitiva ed esauriente.6

Complexus (dal latino cum plexum, intrecciato, con nodi) rimanda

all'im-magine di qualcosa che è tessuto insieme: si ha complessità quando gli elementi che costituiscono un tutto sono inseparabili e allo stesso tempo interdipendenti, quando si crea una relazione tra il tutto e le parti, tra contesto e oggetto della conoscenza, in modo tale che per l'interpretazio-ne di un fenomeno si renda l'interpretazio-necessario un approccio olistico e sistemico. “La complessità è davvero una sfda. È una sfda ambivalente, a due fac-ce. Da una parte è l'irruzione dell'incertezza irriducibile nelle nostre cono-scenze, è lo sgretolarsi dei miti della certezza, della completezza, dell'e-saustività, dell'onniscienza che per secoli – quali comete – hanno indicato e regolato il cammino e gli scopi della scienza moderna. Ma d'altra parte non è soltanto un ordine che viene meno; è anche e soprattutto l'esigenza e l'ineluttabilità di un approfondimento dell'avventura della conoscenza, di una trasformazione dei giudizi di valore che operano nella selezione delle questioni legittime e dei problemi che è interessante porre, perfno di una nuova concezione del sapere.”7

5 Ibidem

6 V. De Angelis, La logica della complessità. Introduzione alle teorie dei sistemi, Bruno Mon-dadori, Milano, 1996.

(9)

1.2 L'impresa complessa

La complessità si impone sempre di più come termine di riferimento e chiave interpretativa della totalità dei campi di esperienza. Il punto di av-vio per calare il tema della complessità nel quadro della realtà aziendale prende spunto da alcune costruzioni concettuali preliminari.

In particolare: l'idea dell'impresa di per sé come un sistema complesso che esiste e sopravvive all'interno di un ambiente altrettanto complesso; l'azienda e il suo valore come prodotti dell'asse fondamentale strategia-struttura-gestione, ossia di idee, strumenti per la loro concretizzazione e loro effettiva materializzazione; l'azienda come un'entità in continua evo-luzione, tra requisiti di discontinuità e tendenza alla continuità, tra ordine e disordine, equilibrio e disequilibrio.

Sulla base di queste premesse, l'impresa si riconosce come una miscela di parti e di relazioni tra parti distinte, di trasformazioni sempre più rapide, di confni sempre più sfumati, meno defniti e permeabili, da meccanismi e contenuti caratterizzati da fussi di ogni tipo. Questa nuova impossibili-tà di generalizzazione tipica della scienza tradizionale, apre la strada a ti-pologie di complessità che hanno come comune denominatore il fattore cambiamento.

Di fatto l'azienda, oltre a confrontarsi con una molteplicità di sollecitudini esterne e misurarsi con l'indecifrabilità e l'imprevedibilità degli accadi-menti, con la compressione del tempo e con la crescente rapidità dei cam-biamenti (complessità ambientale), assorbe questo nuovo paradigma an-che attraverso le sue parti componenti, vedendo coinvolte risorse mate-riali, immateriali e umane, processi, attività e strutture (complessità ge-stionale) e, non di meno, le sempre più strette interdipendenze che si creano dentro e fuori l'azienda (complessità transazionale).

Le implicazioni della teoria si manifestano in concreto nelle diffcoltà di misurazione, decisione e governo, sia da parte del management azienda-le, sia da parte dei molteplici stakeholders.

(10)

Nel contesto dell'azienda la vera sfda consiste, non tanto nel descrivere il mondo in cui vive e sopravvive, quanto nel saperlo spiegare e soprattutto nello sviluppare l'abilità di prevederne risposte e reazioni a determinate scelte messe in atto.

Ma di fatto, in un'epoca simile, la prevedibilità degli eventi risulta oltre-modo ridotta. Nasce quindi l'esigenza continua di una certa predisposi-zione al cambiamento, al riadattamento, alla rimessa in discussione, così da non subire ma assorbire la turbolenza per trasformarla in fonte di van-taggio competitivo.

1.3 Il pensiero complesso come metodo di apprendimento

La complessità reclama anche uno spirito nuovo del conoscere, che renda la conoscenza eclettica, poliedrica, versatile ed in costante ridefnizione. Il migliore antidoto alla complessità restano le persone che lavorano nelle aziende, con le loro competenze e capacità. Morin denuncia però “un’ina-deguatezza sempre più ampia, profonda e grave tra i saperi, che appaio-no come disgiunti, frazionati, suddivisi in discipline, da una parte, e real-tà sempre più polidisciplinari, trasversali, multidimensionali, transnazio-nali, globali, planetari, dall’altra. In questa situazione diventano invisibili: gli insiemi complessi; le interazioni e le retroazioni fra le parti e il tutto; le entità multidimensionali; i problemi essenziali. (…) Effettivamente, l'in-telligenza che sa solo separare spezza il complesso del mondo in fram-menti disgiunti, fraziona i problemi, unidimensionalizza il multidimen-sionale.”8 Diventa allora basilare ripensare l'impresa come sistema viven-te, porre una nuova attenzione alla formazione delle menti e dei saperi che punti alla trasversalità e alla metacognizione. Herman Hesse in Narci-so e Boccadoro presenta i perNarci-sonaggi immaginando questo dialogo: “Non è il nostro compito quello d’avvicinarci, così come non s’avvicinano

8 E. Morin, La tête bien faite. Penser la réforme, reformer la pensée, Editions du Seuil, Paris,

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fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra mèta non è di trasformar-ci l’uno nell’altro, ma di conoscertrasformar-ci l’un l’altro e d’imparar a vedere ed a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemen-to.”9

È questa forse la migliore risposta al complesso: non tanto rincorrere un sapere che sia chiave di ogni porta conoscitiva, ma un sapere che sia ver-satile, in cui differenze e polarità possano esistere ed interagire, che rico-nosca le dualità per individuarne le complementarità. In altre parole, è necessario un sapere che riproduca la molteplicità, che invece di frazio-narsi si organizzi ecologicamente alla luce del principio di inclusione. Ri-sulta ancora una volta attualissima la sintesi di Morin: il problema è or-mai quello di trasformare la scoperta della complessità in metodo della complessità.10 In altri termini, conoscere e accettare la complessità piutto-sto che declassarla a problematicità, costituisce l'occasione di cogliere nuove e più effcaci possibilità di crescita e di creazione del valore.

1.4 Apprendere ad apprendere. Essere attori della knowledge

society

In un'epoca in cui l'unica certezza è l'incertezza, l'unica fonte sicura per il vantaggio competitivo è la conoscenza.

(I. Nonaka)

Dinnanzi al panorama appena delineato appare indispensabile che ele-menti quali conoscenza e apprendimento acquisiscano assoluta centralità. I concetti di learning society e lifelong learning rappresentano, non a caso, le metafore più diffuse per tratteggiare l’era della complessità. Quali che siano gli scenari futuribili che l'uomo dipinge di fronte a sé, infatti,

l'ap-9 H. Hesse, Narciso e Boccadoro, Mondadori, Milano, 1l'ap-978.

10 E. Morin,La méthode. Les Idées. Leur habitat, leur vie, leurs moeurs, leur organisation,

(12)

prendimento lungo l'intero corso della vita rappresenta uno dei temi più frequentemente trattati. I continui mutamenti pongono la questione del-l’obsolescenza dei saperi e delle conoscenze; di qui la necessità ineludibile di apprendere continuamente, durante tutta la vita, per vivere da prota-gonisti e non accontentarsi della semplice sopravvivenza.

Persino l'Unione Europea ha mostrato un forte interesse verso il lifelong learning, erigendolo a principio fondante delle politiche per l'istruzione e la formazione. Il Consiglio europeo tenutosi a Lisbona nel 2000 al fne di sostenere l'occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale nel contesto di un'economia basata sulla conoscenza, ha segnato infatti una tappa cruciale per l'orientamento della politica e dell'azione europea. Nelle sue conclusioni, infatti, si attesta l'indiscutibile entrata dell'Europa nella nuova era della conoscenza: nel cercare di fornire una risposta alla domanda di quali siano i caratteri intorno ai quali si siano snodate le rivo-luzioni sopracitate, emerge una lettura trasversale centrata sulla defni-zione di learning society. Essa tende infatti a sottolineare la pervasività dei saperi, delle competenze e della conoscenza in ogni dimensione della vita sociale ed individuale, nel lavoro, nell'economia, nelle politiche per lo sviluppo.

Defnire i caratteri della società contemporanea, o quantomeno di questo nuovo orizzonte, in termini di learning society non può non trascinare con sé implicazioni di ampio raggio sull'intero modo di concepire istru-zione e formaistru-zione: “Il buon esito della transiistru-zione ad un’economia e una società basate sulla conoscenza deve essere accompagnato da un orienta-mento verso l’istruzione e la formazione permanente.”11

Apprendimento durante il corso della vita e sviluppo della società che

ap-prende diventano concetti inscindibili.

È stato frequentemente ripreso il concetto di società dell'informazione in-tesa come villaggio globale dei media12, invasa dall'uso e dallo scambio di

in-11 Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, Consiglio Europeo di Lisbona, 2000.

12 A. Alberici, Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano, 2002.

(13)

formazioni nella vita sia individuale che sociale. Oggi, piuttosto, si fa at-tenzione a possibilità e capacità concrete di acquisire informazioni e com-petenze: l'uomo non è di per sé in grado di essere informato o istruito, di recepire informazioni dandogli un senso, né di ristrutturare e riorganiz-zare la propria conoscenza. La società dell'informazione non è necessaria-mente una società di individui caratterizzati da autonomia cognitiva o ca-pacità di rielaborare le informazioni in linguaggio. Ne segue che appren-dimento, acquisizione di conoscenze e insegnamento divengono questio-ni primarie e mediate.

La diffusione dell'idea della learning society è stata rapida, non come uto-pia ma piuttosto come “nuova condizione umana, in una società in cui vi-vono, lavorano, si organizzano, donne e uomini che incontrano ogni gior-no il sapere e le cogior-noscenze come nuovo capitale e come fondamento strutturale dell’economia e dello sviluppo sociale. In tale contesto e sulle capacità o incapacità di accedere ai saperi, alle competenze, in generale all’apprendimento, gli individui si giocano la loro maggiore o minore li-bertà, autorealizzazione e autonomia.”13

La metafora della learning society, pur non essendo riconducibile ad un unico signifcato, potendo essa assumere curvature ora più politiche ora più sociologiche, flosofche o pedagogiche, rinvia comunque ad un con-cetto di sistema come organizzazione che apprende.

Si tratta cioè di un orientamento di fondo che, al di là dell'utilizzo di una terminologia unifcante, vede la società non tanto come aggregato di ruoli o luogo di impiego di risorse umane, ma soprattutto come sistema cogni-tivo capace di articolare le conoscenze e i comportamenti di coloro che ne fanno parte.

In quest'ottica la learning society appare come una realtà che pone la co-noscenza e l'apprendimento rispettivamente come leva e condizione per lo sviluppo dei processi produttivi e per il funzionamento e la salute del sistema. Una concezione, questa, che valorizza sempre di più la compo-nente immateriale dei sistemi, il cui cuore sono appunto le risorse umane.

(14)

Non si tratta di trasmissione della conoscenza in azienda in sé per sé o di progressivo accumulo di contenuti, ma di porre le basi per rendere l'uo-mo soggetto attivo, protagonista del mutamento e responsabile della strutturazione del proprio sapere, saper fare e saper essere, muovendosi in uno spazio sociale e culturale in cui esplorare, scegliere, pianifcare e attingere alle possibilità che ha intorno per creare la propria esperienza.

(15)

Parte seconda

Oltre l'aula: strumenti a supporto dell'uomo per una

gestione effcace delle risorse umane

Capitolo II

La formazione one to one

2.1 Introduzione

“In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traduco-no in passività e le capacità in incapacità.

Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali con-dizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente. È incauto dunque trarre lezioni dall’esperienza e fare affdamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e, forse, imprevedibile).

Provare a capire come andrà in futuro sulla base di esperienze pregresse diventa sempre più azzardato e sin troppo fuorviante. Fare ipotesi atten-dibili diventa via via più diffcile, e le previsioni infallibili ormai sono fuori dal mondo: le variabili dell’equazione sono tutte, o quasi, incognite e non esistono stime delle loro tendenze future che si possano considerare completamente e realmente affdabili.”14

(16)

2.2 La leva formativa tra tradizione e presente

Fare formazione oggi signifca accompagnare qualsiasi realtà a crescere attraverso la crescita delle persone che la compongono.

(N. Quagliarella)15

Formare, nelle sue più varie accezioni, rappresenta un'azione che conferi-sce alla Persona e alla sua evoluzione soggettiva un ruolo preminente e centrale. Come spiega la stessa etimologia della parola, formazione signi-fca mettere in atto interventi che formano, che liberano il soggetto dai condizionamenti limitanti e lo accompagnano a realizzare il proprio po-tenziale.

Una società come fnora descritta, ossia una società a misura di apprendi-mento, richiede che formazione, comunicazione ed educazione siano coinvolti in una continua ricerca e messa a punto di nuove tecniche, me-todologie, ambienti, strumenti e applicazioni. Questo conferisce all'uomo la possibilità di trovare nuovi modelli interpretativi, che gli conferiscano un’angolazione completamente nuova ed inaspettata, per abbracciare la scelta della crescita e la volontà di allargare la propria griglia di osserva-zione, il proprio sapere, i propri schemi: cambiarne l’utilizzo, la metrica, o addirittura eliminarli e cercarne di nuovi. Per citare Salvatore Natoli, do-cente di flosofa: “La formazione deve puntare allo sviluppo delle capaci-tà di salto e di de-angolazione, il problema vero non è tanto quello di un cumulo continuo di notizie, ma l’attenzione all’estremo, all’improbabile, al paradossale.”16

Qualsiasi sia il punto di vista da cui prende il via l'analisi, la formazione resta sempre legata al cambiamento: senza tras-formazione, uso creativo della conoscenza, non c'è formazione ma solo insegnamento. Detto ciò ap-pare ovvio come le sfere d'intervento, per così dire, della formazione non

15 M. Giannini, G. Bellandi, La gestione integrata delle risorse umane nelle organizzazioni, Pisa University Press, Pisa, 2016.

16 S. Natoli, Comunicazione sociale, differenziazione delle competenze e modelli adattabili di formazione, in E. Baldini, F. Moroni, M.Rotondi, Nuovi alfabeti. Linguaggi e percorsi per ripensare la formazione, FrancoAngeli, Milano, 1995.

(17)

si riducano solo al sapere e al saper fare, ma coinvolgano sempre di più il

saper essere. Il punto di rottura da attuare con la visione formalistica

pas-sata sta proprio qui: la formazione non può essere un punto di arrivo, un fne, ma uno strumento con cui allenare le competenze tecniche, compor-tamentali e valoriali della propria compagine aziendale. È quindi sia una fase di supporto propedeutico per lo svolgimento di una mansione asse-gnata, sia ogni fase successiva che arricchisca la specializzazione e la pre-parazione richiesta per allinearsi alle esigenze presenti e future dell'azien-da. È un prodotto da predisporre, confezionare ed erogare con attenzione poiché costituisce il presupposto per un atteggiamento proattivo e reatti-vo nei confronti delle continue ereatti-voluzioni dello scenario competitireatti-vo e per il perseguimento di obiettivi di eccellenza.

Il principale motore del cambiamento non è più la reingegnerizzazione di processo, che ha portato in passato a profondi ripensamenti della struttu-ra e dell'organizzazione delle attività produttive. Oggigiorno questa via non si presenta più suffciente, poiché promotrice di vantaggi competitivi piuttosto effmeri nel tempo. È ovvio, infatti, che nel tempo qualunque prodotto divenga emulabile; ad oggi essere innovativi signifca piuttosto investire su capacità e conoscenze, essere in grado di sfruttare al meglio il proprio potenziale di tipo intellettuale. Flessibilità ed eccellenza divengo-no auspicabili solo investendo nella crescita e nel potenziamento della componente umana.17

In questo quadro si pone la questione di operare un cambiamento di otti-ca per la formazione affnché vada oltre lo sotti-cambio di saperi, abilità, com-petenze tecnico-specialistiche, colga le opportunità d'innovazione e arric-chisca le competenze stesse creando delle metacompetenze rifessive, proattive, di pensiero critico. Si parla di lifewide learning, un apprendi-mento che spazia tra lavoro, impresa, occasioni di svago; che si spinge ol-tre la tradizionale aula. Più nel dettaglio, si assiste ad una perdita di rile-vanza entro le aziende sia della formazione tradizionale standardizzata,

17 M. Giannini, G. Bellandi, La gestione integrata delle risorse umane nelle organizzazioni, Pisa University Press, 2016.

(18)

sia delle iniziative di comunicazione/formazione a pioggia confnate al-l'aula, e una parallela espansione e maturazione delle azioni mirate one to

one, trainate da questioni e sfde specifche.

L'anello di congiunzione tra queste due flosofe è stata la diffusione, negli anni Novanta, di metodologie di outdoor training che hanno reso neces-saria, da parte dei partecipanti, l'attivazione di meccanismi che andavano oltre il puro esercizio intellettuale: rifessione, sperimentazione, feedback, cooperazione, fducia, rapporti di mentoring e coaching interpersonali, gestione dell'eccezionalità.

Si giunge in questo modo a una sorta di superblending fra comunicazione, attività d’aula, experiential learning, assistenza e supporto personalizzato (coaching, tutoring, mentoring).

Ferma restando l’importanza della dimensione plurale nei processi cogni-tivi, la formazione dovrà quindi sempre più privilegiare percorsi di indi-vidualizzazione dell’apprendimento fortemente orientati al soggetto e alle sue peculiarità. Tutto ciò nell'inequivocabile consapevolezza che tali approcci costituiscono utili ed essenziali declinazioni metodologiche e non pratiche contrapposte.

La seguente tabella riassume il percorso evolutivo del “fare formazione”, dagli anni Settanta ad oggi.

In aula

(anni settanta-ottanta) Fuori dall'aula (anni ovanta e primi anni duemila)

Oltre l'aula

(dai primi anni del due-mila ad oggi)

Sfde Verso la formazione

manageriale pull Verso l'empowermente la comunicazione Verso la produzione di capitale intellettua-le operativo e strategi-co

Metodolo-gia Monopolio dell'aula: casi, esercizi, discus-sione di casi, business game, ecc.

Unione di indoor e outdoor, cinema, ana-logie, computer based training, comunicazio-ne interna, ecc.

Partnership/ri-media-zione aula e fuori

dal-l'aula: combinazione

di diversi metodi: aula tradizionale, metodi attivi, utdoor, indoor, e-learnig, knowledge management, comuni-cazione interna, ecc.

(19)

Ruoli

operativi Back offce: progettistidi esercizi, casi, inci-dent, lucidi, slides, teaching notes. Front offce: docenti attivi

Back offce: progettisti di giochi, simulazioni, reperimento e mon-taggio di materiale trasversale, (ad esem-pio spezzoni cinema-tografci, brani di let-teratura, ecc.) costru-zione software. Front-offce: animato-ri, facilitatori

Back offce: account del team di progetto, ruoli specialistici, con-tent provider, pedago-gisti, tecnici, ecc. Front offce: docenti, coach, tutor, operatori desk, ecc.

Risultati

attesi La formazione è uno strumento di integra-zione e di supporto al sistema delle carriere

La formazione è un veicolo per la fessibi-lità e una leva per l'al-lineamento strategico delle risorse umane

La formazione è una componente fonda-mentale della catena del valore

2.3 L'approccio one to one. Il coaching come strumento di

po-tenziamento della formazione manageriale

Se tratti una persona come se fosse ciò che potrebbe essere, diventerà ciò che potrebbe essere. (J. W. Goethe)

Dai un pesce ad un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.

(Confucio)

Formare, nelle sue più varie accezioni, rappresenta un'azione che conferi-sce alla Persona e alla sua evoluzione soggettiva un ruolo preminente e centrale. E la formazione, soprattutto nella metodologia biunivoca one to one, deve rendersi responsabile dello sviluppo della persona, intervenen-do su elementi come:

• comportamenti; • capacità espresse; • capacità in potenza; • performances;

(20)

• senso di identità e di appartenenza organizzativa; • valori;

• fducia relazionale.

Questa tipologia di formazione è esplosa dapprima oltreoceano affondan-do le sue radici non nel contesto aziendale ma nel settore dello sport e del supporto in capo all’assistenza sociale. Tuttavia, nel nuovo secolo, ha gra-dualmente acquisito terreno e ampia legittimazione anche nell'ambito dell'impresa. Fare formazione one to one signifca propendere per un livel-lo di personalizzazione degli interventi tale che arrivi a privilegiare le esi-genze specifche del singolo individuo.

Seguendo questa linea, Gian Franco Goeta defnisce l’executive coaching come un’attività “mirata all’ambiente aziendale, che consiste in un lavoro concorde fra la persona e il coach, un vero e proprio allenamento, che ac-compagna l’individuo lungo il percorso di sviluppo di nuove o più fessi-bili forme di competenza, per una performance più effcace in momenti cruciali della carriera o del contesto strategico aziendale.”18

La rifessione che ne consegue ci spinge a pensare il coaching come estre-mo opposto dell’impalcatura rigida della formazione come tradizional-mente intesa. Qui si tratta di accompagnare il soggetto nella costruzione di una visione più completa sul problema di partenza, di una nuova stra-tegia d'azione da tentare, il più possibile libere dal bagaglio di condizio-namenti, precetti dogmatici, convinzioni assolute; in generale da linee d'azione interiorizzate come indiscutibili.

Il coach non ha volontà di aggiustare o migliorare né tantomeno di istrui-re, ma semplicemente orientare il soggetto verso un'esplorazione consa-pevole e responsabile di sé, della propria situazione, delle proprie risorse, potenzialità, dei propri impulsi, valori e bisogni.

Il coach non detiene una soluzione: non ha come compito quello di pre-scrivere un cambiamento ma quello di stimolare un potenziale tramite prove, verifche e messe a punto progressive e reiterate; seguire la

corren-18 G. F. Goeta, in R. Nacamulli, D. Boldizzoni, Oltre l'aula, Strategie di formazione nell'e-conomia della conoscenza, Apogeo, Milano, 2004.

(21)

te in un ciclo onnipervasivo e autoalimentantesi. Tutto questo mantenen-do fermo il presupposto fondamentale dell'azione di coaching: la crescita della Persona, nel suo senso più alto.

Ne deriva un'attività basata soprattutto sull’ascolto globale, sull’osserva-zione e sulla personalizzasull’osserva-zione della relasull’osserva-zione in funsull’osserva-zione agli obiettivi specifci che emergono dal cliente. In altre parole: il coach deve plasmare un intervento facilitatore tenendo conto che “il problema e la soluzione appartengono al cliente.”19

Il passaggio a questa nuova concezione ha forte impatto sulla predisposi-zione e la condupredisposi-zione del percorso formativo: il porre al centro il soggetto discente, ridefnisce sia le competenze richieste dal formatore, sia l'aspet-to dell'attività stessa che, da strutturata e prevedibile, diventa attività pla-smabile, in divenire, duttile, soggetta all'entrata in gioco di componenti relazionali ed emozionali.

Oltre all'intelligenza razionale si rende necessaria ed indispensabile quel-la che Pascal chiamava spirito di fnezza, quel-la nostra intelligenza emotiva. La conoscenza che ne deriva è ogni volta nuova, non scritta a priori e, per certi versi, anche imprevedibile, poiché nasce dal soggetto e prende forma attraverso le sue rifessioni, sperimentazioni ed occasioni di feedback da sviscerare di volta in volta. Un po' come avviene nello sport, sulla scena teatrale, sul palco di un concerto d'orchestra.

Il principale aspetto al quale dare rilievo, a questo punto, è la necessità per il coach di mantenere un costante spirito di curiosità e apertura al nuovo, all'inesplorato, all'ignoto, parallelamente ad un incessante lavoro su di sé teso ad andare oltre le dimensioni intellettuali e professionali e coltivare quella sfera intima e spirituale che consente di mantenere la con-nessione col mondo dentro e fuori di sé.20

19 E. H. Schein, La consulenza di processo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011.

20 M. I. Giangiacomo, Formazioni one to one. Indagine sulle pratiche di auto-tras-for-mazione della persona, FrancoAngeli, Milano, 2012.

(22)

2.4 Coaching, counseling e mentoring: metodi a confronto

Volendo delimitare il campo di analisi a pratiche di formazione one to one che abbiano l'obiettivo ideale di formare il proprio sé nell'ambito di un contesto aziendale, restano da citare altre due pratiche: il mentoring e il counseling. Spesso risulta diffcile separare il campo d'azione di coa-ching, mentoring e counseling; è la persona o il formatore a scegliere il re-gistro più adatto alla situazione specifca. Essere un coach, un counselor o un mentor, prima ancora del possesso di competenze tecniche e teoriche, richiede la condivisione di un preciso atteggiamento: considerare il sog-getto come capace di sfruttare le risorse che già detiene in potenza per au-to-comprendersi, costruire signifcati funzionali e agire di conseguenza su atteggiamenti, orientamenti e comportamenti. Il punto di avvio non sta nel fornire giudizi, consigli o prescrizioni dettati da una teoria esterna, ma nell'instaurare un clima di atteggiamenti psicologici facilitanti.21

Secondo Carl Rogers, vi sono tre condizioni per instaurare un clima di

questo tipo, condizioni che restano valide in ogni situazione il cui obietti-vo sia la crescita della persona: autenticità e congruenza, accettazione come incondizionata considerazione positiva e comprensione empatica. “Sulla base delle mie esperienze, ho notato che se posso contribuire a creare un clima contrassegnato da genuinità, apprezzamento e compren-sione, allora avvengono cose molto stimolanti. Gruppi e persone si muo-vono, in un clima simile, dalla rigidità verso la fessibilità, da un esistere statico a un vivere dinamico, dalla dipendenza verso l’autonomia, dalla difensività verso l’autoaccettazione, da un essere ovvio e scontato verso una creatività imprevedibile. Diventano in tal modo una prova vivente di una tendenza alla realizzazione.”22

Di conseguenza, metodologie e tecniche non fanno del formatore un esperto né tantomeno fanno dell'altro l'oggetto di un'analisi; sono solo gli strumenti per porre in essere una relazione.

21 C. Rogers, Un modo di essere, Martinelli, Firenze, 1983. 22 Ibidem

(23)

Il counseling nasce come modalità di aiuto psicologico negli anni Trenta dagli studi di Rollo May e Carl Rogers e si concentra su problematiche emotive come diffcoltà di inserimento in ambito lavorativo o interperso-nale, situazioni di crisi e disagio in seguito a perdite o cambiamenti. Tut-tavia è possibile rintracciarvi delle aree comuni di intervento con coa-ching e mentoring:

• sviluppo della leadership

• diffcolta di lavoro nel team

• cambiamenti di struttura e cultura organizzativa

• comunicazione

• preparazione a nuovi ruoli

Ciò che cambia è la posizione del formatore: il counselor è colui che guida un'attività volta a sostenere e sviluppare le potenzialità del cliente in pro-blemi non specifci e contestualmente circoscritti.

Il mentor è un formatore che, in veste di parte con più esperienza, predi-spone un percorso di apprendimento guidato che punta allo sviluppo e alla crescita personale e professionale del mentee. È un rapporto nato e consolidatosi per ragioni di ordine pratico. Generalmente il mentoring è rivolto a risorse aziendali che si trovano inserite in contesti nuovi. C'è in-fatti un numero sempre crescente di persone chiamate a rispondere a cambiamenti organizzativi, acquisire nuove competenze e perfezionare le vecchie, sia professionali che strettamente tecniche che relazionali. Non-dimeno, il mentoring è utile per assicurare all'azienda una certa continui-tà di trasmissione di competenze, dati, impostazioni di lavoro e conoscen-ze. Il mentor, più frequentemente rispetto a counselor e coach, è una fgu-ra interna all'azienda, forte di un maggiore background.

Per ripercorrere e comprendere appieno le differenze tra coaching e le al-tre discipline, è risultata utile per me la metafora della bicicletta tratta da un brano dal Coaching Master Cycle:

(24)

pedalare ma non ci riesce. Sta in mezzo alla strada e qualcuno si avvicina, lo sostiene, accoglie i suoi problemi, lo fa parlare, gli dà consigli; un altro gli spiega il funzionamento, verifca che la bici sia a posto, dà suggerimenti sul metodo per pedalare meglio;

un altro magari molto esperto del mezzo, prende la bicicletta e gli dà una dimostrazione pratica di come si guida la bici;

un altro indagherà se per caso da bambino il fratello gli rubava la bici o se il padre per punizione non gliene ha mai comprata una; un altro ancora chiederà dove vuole andare, chiederà che cosa lo attrae laggiù, cosa signifca raggiungere quella meta. Verifcherà se la bici è il mezzo più appropriato, che cos’altro serve per partire, ecc.

Chi ha incontrato, in ordine, il potenziale ciclista?

Un counselor, un consulente, un mentor, uno psicoterapeuta, un coach”.23

(25)

Capitolo III

Allenare il potenziale: il coaching

3.1 Origini e defnizioni del coaching

Se vuoi un anno di prosperità fai crescere il grano, se vuoi dieci anni di prosperità fai crescere gli alberi, se vuoi cento anni di prosperità fai crescere le persone.

(Proverbio cinese)

3.1.1

Conosci te stesso

Per comprendere appieno cosa sia il coaching, è utile addentrarsi breve-mente nella sua storia. La cornice culturale di riferimento è senza dubbio la maieutica socratica. L'idea di una guida capace di sprigionare nel sin-golo consapevolezze, conoscenze, risorse, soluzioni e nuove elaborazioni che in potenza egli già possiede, non può che far pensare all'approccio so-cratico. Socrate intese la ricerca flosofca come un esame incessante di se stesso e degli altri; a questo esame dedicò l'intero suo tempo, senza nes-sun insegnamento regolare. Eppure quest'uomo, che ha dedicato alla flo-sofa l'esistenza intera, non ha scritto nulla. Ciò fu dettato dal suo princi-pio cardine: la sapienza non sta solo nella conoscenza delle nozioni e non può essere fermata, per così dire, dalla scrittura; deve piuttosto essere ri-cerca continua, mobile, dinamica, che si può esplicare solo col dialogo. Per questo Socrate fece suo il motto dell'oracolo delfco conosci te stesso, vedendo in esso la motivazione ultima del flosofare e la missione stessa del flosofo. E poiché non si è uomini se non fra gli uomini, in quanto ciò che ci rende tali è proprio il rapporto con gli altri, la sua flosofa assunse i caratteri di un dialogo interpersonale in cui ognuno, con-flosofando con il prossimo in un colloquio incessante e in una ricerca senza fne, scava nel valore stesso dell'esistenza, convinto che “una vita senza esame non è

(26)

degna di essere vissuta.”24 Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo flosofco è la coscienza della propria ignoranza; il sapiente è soltanto chi sa di non sapere. Tuttavia non esclude la possibilità di una ri-cerca, anzi la incoraggia, costituendosi come condizione preliminare, poi-ché solo chi sa di non sapere cerca di sapere, mentre chi si crede già in possesso della verità non sente l'impellente bisogno interiore di affannarsi a cercarla. Di conseguenza, la tesi socratica del non sapere non si identif-ca con una professione di scetticismo, poiché se da un lato funge da ri-chiamo ai limiti della ricerca, dall'altro funziona come un invito all'inda-gine. Socrate, dopo aver fatto il vuoto nella mente del discepolo tempe-standolo di domande, non vuole impartire dall'esterno una propria dot-trina, ma soltanto stimolare l'ascoltatore a ricercarne dall'interno una sua propria. Da ciò la celebre maieutica o arte di far partorire di cui ci parla Pla-tone, intesa come la capacità di tirar fuori dagli intelletti il loro genuino punto di vista sulle cose.

È proprio sulla scia di questi forti spunti che il fenomeno del coaching co-struisce la sua intelaiatura: il coach accompagna il coachee (o cliente) ver-so lo sviluppo di una nuova consapevolezza di sé, consapevolezza che lo renderà poi unico e vero artefce della propria crescita individuale, sia essa di stampo professionale o personale. Di fatto fornisce l'aiuto che ser-ve per orientarsi e liberarsi da condizionamenti, idee e convinzioni limi-tanti, per poi trovare gli strumenti per compiere i passi desiderati. Il vero apprendimento è l'auto-apprendimento.

Sempre nel bacino della flosofa greca troviamo altri importanti spunti: dal “diventa ciò che sei” di Pindaro, passando da Parmenide e il suo “ba-sta trovare il coraggio di percorrere la via”, per arrivare ad Eraclito, “l'u-nica cosa permanente è il cambiamento”. Queste piccole pillole di floso-fa ci aiutano a ricondurre l'essenza stessa del coaching e della sua affer-mazione e tre principali categorie di bisogni:

• realizzare la propria missione, il proprio progetto, personale o pro-fessionale che sia;

(27)

• superare le situazioni di stallo o di perdita di motivazione; • affrontare il cambiamento, e tutto quello che porta con sé.

3.1.2 L'etimologia

Dal punto di vista etimologico il termine coach deriva da Koks, villaggio ungherese che nel quindicesimo secolo era noto per la produzione delle cosiddette kocsi szekèr, le carrozze di qualità con sospensione a molla. Nel-la letteratura inglese il termine compare per Nel-la prima volta nel sedicesimo secolo su derivazione dal Middle English coche, che signifca appunto car-rozza, vagone. Non a caso il concetto moderno di coaching si lega indis-solubilmente a quello di cambiamento, ponendosi come strumento a sup-porto dell'evoluzione e della crescita da un dato stato presente ad uno fu-turo, attraverso un percorso che per sua natura prevede un inizio e una fne.

Questa immagine25, seppur semplice e basilare, è molto utile per avere una chiara percezione sin da subito sia della natura del metodo sia dei ruoli delle parti coinvolte.

3.1.3 Dallo sport al business

Il termine coach viene poi utilizzato nella prima metà dell’Ottocento dal

25 M. Cardani, Business coaching. Una tecnica per migliorare le performance aziendali, Ipsoa, Milano, 2008.

(28)

Consiglio Universitario della Oxford University, che coinvolge per la pri-ma volta un tutor per accompagnare gli studenti verso livelli più alti in termini di risultati accademici. In maniera del tutto innovativa, questa f-gura viene chiamata coach e lo studente assegnatogli coachee.

Grazie ai risultati ottenuti dalla prestigiosa università inglese, nel 1849 il coaching prende piede e diventa una pratica utilizzata non solo biente accademico, ma anche nello sport e nel secolo successivo nell’am-bito corporate.

Con un salto di poco più di 130 anni arriviamo nel 1974 negli Stati Uniti, dove Timothy Gallwey, professore universitario di Harvard nonché gio-catore e maestro di tennis, pubblica il suo celebre The inner games of tennis che, stravolgendo ogni tradizionale concezione, parla di determinanti del successo puntando i rifettori sull'io interiore del giocatore piuttosto che sull'avversario. Messaggio trasversale e fondante di questo libro è l'idea secondo la quale l'avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che troviamo dall'altra parte della rete.

“Every game is composed of two parts, an outer game and an inner game. The outer game is played against an external opponent to overco-me external obstacles, and to reach an external goal. (…) The inner gaoverco-me is the game that takes place in the mind of the player, and it is played against such obstacles as lapses in concentration, nervousness, self-doubt and self-condemnation. In short, it is played to overcome all habits of mind which inhibit excellence in performance.

We often wonder why we play so well one day and so poorly the next, or why we clutch during competition, or blow easy shots. And why does it take so long to break a bad habit and learn a new one? Victories in the in-ner game may provide no additions to the trophy case, but they bring va-luable rewards which are permanent and which contribute signifcantly to one's success thereafter, off the court as well as on.”26

26 T. Gallwey, The inner games of tennis: the ultimate guide to the mental side of peak perfor-mance, Random House, New York, 1974.

(29)

Il temine si diffonde così nel linguaggio comune come riferito principal-mente all'ambito sportivo e, nello specifco, alla fgura che allena e valo-rizza un atleta o una squadra, col fne ultimo della vittoria. Ma è ovvio quanto in realtà il pensiero di Gallwey abbia piena potenzialità di andare oltre: la validità dell'approccio del tipo PRESTAZIONE = POTENZIALE

– INTERFERENZE si rivela presto universale. Scrive John Whitmore,

pi-lota inglese di automobilismo divenuto poi consulente aziendale: “Gall-wey, in effetti, aveva messo in luce l'essenza stessa del coaching: liberare le potenzialità di una persona perché riesca a portare al massimo il suo rendimento; aiutarla ad apprendere piuttosto che limitarsi ad impartirle insegnamenti.”27

Dalla fne degli anni Ottanta il coach inizia, negli USA, ad essere associato al mondo delle aziende come la nuova personalità che affanca i manager nella gestione delle varie e diverse vicende della quotidianità professiona-le e lavorativa, e soprattutto come supporto nella gestione del cambia-mento nelle realtà organizzative. Nonostante siano sempre esistiti diri-genti in piena sintonia con i presupposti del pensiero socratico, i modelli di applicazione pratica del coaching tardavano ad arrivare. Non a caso Gallwey era spesso invitato a tenere conferenze e lezioni per manager più che per sportivi. Il passo decisivo venne dall'unione professionale tra que-st'ultimo e John Whitmore; insieme organizzarono veri e propri corsi di formazione. Coaching for performance di Whitmore è considerato la pietra miliare di questa disciplina. Nell'adattamento del metodo dal mondo del-lo sport a queldel-lo del business, l'autore trova nell'uso delle domande, e nel-lo specifco di quelle effcaci, la forma principale di interazione verbale tra un coach ed il suo allievo. Contributo fondamentale di Whitmore fu l'ela-borazione del metodo GROW, nel quale fornisce una sorta di sequenza ideale delle domande che un coach dovrebbe porre nel corso dell'inter-vento di coaching. Ulteriore arricchimento per il coaching, soprattutto dal punto di vista teorico, venne da Martin Seligman, co-fondatore alla fne

27 J. Whitmore, Coaching for performance: growing people, performance and purpose, Nicho-las Brealey Publishing, Londra, 2002.

(30)

degli anni Novanta della Psicologia Positiva, quella prospettiva teorica ed applicativa che pone al centro dei propri studi la felicità umana ed il be-nessere soggettivo, ispirandosi alla rivoluzione teorica introdotta da Ma-slow sulla natura umana, sul rapporto tra bisogni e felicità, sull'autorea-lizzazione. La psicologia positiva offre un modello della psiche umana as-sai più ottimistico di quello offerto dalla teoria comportamentista. Il nuo-vo modello propone l'idea dell'uomo come ghianda, che racchiude in sé tutte le potenzialità per trasformarsi in quercia, piuttosto che un conteni-tore vuoto nel quale riversare tutto. Per procedere nel nostro cammino abbiamo dunque bisogno di nutrimento, incoraggiamento e luce, ma la nostra essenza è già in noi. Si confgura così come la “scienza che va al cuore del coaching e che fornisce una base robusta, dal punto di vista teo-rico ed empiteo-rico, alla pratica del life ed executive coaching.”28

3.1.4 Una prima defnizione

L'International Coaching Federation, organismo che, con i suoi 20.000 as-sociati presenti in oltre 100 Paesi, si occupa di favorire il progresso del-l’arte, della scienza e della pratica del coaching professionale, ne fornisce una prima utile defnizione:

“Partnering with clients in a thought-provoking and creative process that inspires them to maximize their personal and professional potential, whi-ch is particularly important in today’s uncertain and complex environ-ment. Coaches honor the client as the expert in his or her life and work and believe every client is creative, resourceful and whole.”29 Il risultato auspicato è la conquista, da parte del coachee, di tutta una se-rie di risposte che non gli vengono imposte dall'alto o da altri, ma sono il naturale frutto della sua stessa personale e consapevole presa di coscien-za.

28 C. Kauffman, Positive psychology: The science at the heart of coaching in D. R. Stober & A. M. Grant, Evidence based coaching handbook: Putting best practices to work for your clients, Hoboken, New York, 2006.

(31)

L'ICF inoltre, fa luce sulle cosiddette responsabilità del coach: “ (…) Standing on this foundation, the coach's responsibility is to:

•Discover, clarify, and align with what the client wants to achieve •Encourage client self-discovery

•Elicit client-generated solutions and strategies •Hold the client responsible and accountable

This process helps clients dramatically improve their outlook on work and life, while improving their leadership skills and unlocking their po-tential.”30

Sostanzialmente il coaching si confgura come uno metodo che permette di esprimere la naturale propensione dell'uomo ad estrinsecare tutte le proprie potenzialità, quella che Carl Rogers defnisce tendenza

attualizzan-te, e canalizzarla effcacemente verso uno o più obiettivi.

“Abbiamo a che fare con un organismo che è sempre motivato, è sempre

intento a qualcosa, che cerca sempre qualcosa. La mia opinione è che c’è nell’organismo umano, una sorgente centrale di energia, e che tale sor-gente è funzione di tutto l’organismo, non solo di una sua parte. Il modo migliore per esprimerla con un concetto è di defnirla tendenza al comple-tamento, all’attualizzazione, alla conservazione ed al miglioramento del-l’organismo.”31

Defnire il coaching come metodo anziché tecnica non è casuale. La parola greca methòdos sta ad indicare una via, una direzione, che va oltre la meta: una ricerca per giungere ad un determinato luogo o scopo.32 Resta da chiarire un ultimo importante concetto: il coach è un esperto di metodo, non di contenuti. Ecco perché il suo contributo non si estrinseca in risposte né indicazioni, ma piuttosto nelle giuste domande, che stimoli-no nel coachee l'innescarsi di un percorso del tutto interiore e personale.

30 Ibidem

31 C. Rogers, The formative tendency, Journal of Humanistic Psychology, n. 18, 1978. 32 www.treccani.it

(32)

3.2 Il coaching oggi

3.2.1 Introduzione

Oggi il coaching si confgura come una realtà in continua espansione, gra-zie anche alla sua estrema fessibilità e varietà del ventaglio di applicazio-ni che consente: esso si declina con facilità dall'ambito privato, a quello professionale, sportivo e organizzativo. I principi base restano i medesi-mi, ciò che si adatta di volta in volta è la prospettiva nella quale questi principi vengono veicolati. Nel 1995, con la nascita della prima associa-zione di coach al mondo, la International Coach Federation (ICF), il servizio professionale di coaching viene standardizzato con la pubblicazione delle 11 core competencies.33

Contemporaneamente, in ambito formativo nascono i primi corsi per ap-prendere il metodo del coaching e nel 2002 l’Università di Sidney attiva il primo Master in Coaching Psychology all’interno della facoltà di Psicolo-gia.

In Italia è approdato sicuramente tardi rispetto agli altri paesi e nel suo affermarsi ha trovato molta diffdenza da parte delle imprese italiane che spesso vedono la formazione più come un costo che come un investimen-to. Oggigiorno tuttavia assistiamo ad una prepotente espansione anche nel nostro Paese, dove il numero di società che offrono questo servizio e le scuole che erogano formazione nel campo stanno avendo una crescita esponenziale. A seguito di una semplice consultazione della Legge 14 Gennaio 2013 n. 4 “Disposizioni in materia di professioni non organizza-te”, che disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi nel ri-spetto dei principi dell’Unione Europea, si evince la possibilità di certif-care la professionalità dei coach solo attraverso la defnizione di norme tecniche a cura dell’UNI.34

33 www.icf-italia.org

(33)

Un ulteriore passo verso la regolamentazione della pratica professionale del coaching in Italia è stato fatto il 12 Novembre 2015, con la pubblica-zione della prima norma italiana sul tema, che racchiude defnipubblica-zione, ter-minologia, classifcazione, caratteristiche del servizio di coaching e indica i requisiti per il suo effettivo espletamento così da:

• orientare e guidare i fornitori dei servizi;

• favorire la scelta informata e consapevole da parte degli utilizzatori dei servizi di coaching (persone, gruppi, organizzazioni proft e no-proft).35

La certifcazione di conformità alla norma UNI verrà effettuata esclusiva-mente da Organismi certifcatori indipendenti (ossia accreditati presso l’Ente nazionale di accreditamento Accredia), i quali verifcheranno che il professionista da certifcare raggiunga gli standard previsti dalla suddetta norma. È importante precisare che questa certifcazione riguarda la quali-tà del servizio di coaching e non le competenze dei coach professionisti. Questa norma verrà, infatti, auspicabilmente integrata da una seconda pubblicazione, attualmente in fase di defnizione presso il tavolo UNI di concerto con le associazioni di coaching più importanti, che defnirà le competenze dei coach professionisti.

3.2.2 ICF Global Coaching Study

Il Global Coaching Study, basato su una ricerca condotta nel 2015 da Pri-cewaterhouseCoopers LLP e commissionata dall'International Coach Fe-deration, riporta l'analisi e la rielaborazione di informazioni e dati prove-nienti da più di 15000 esponenti del coaching professionale, managers e leaders, con lo scopo di fornire un quadro aggiornato del coaching di oggi e delinearne l'evoluzione nell'ambito di aziende ed organizzazioni. Du-rante il periodo della vera e propria ricerca sul campo (condotta grazie a questionari online disponibili in nove lingue differenti), PwC ha raccolto

35 Norma 11601/2015, Coaching. Defnizione, classifcazione, caratteristiche e requisiti del servizio.

(34)

15380 risposte da 137 paesi del mondo, non necessariamente da membri dell'organizzazione.36

Il raffronto con i precedenti studi dell'ICF del 2007 e 2012, condotti nella medesima ottica, non solo conferma ancora una volta la massiccia diffu-sione della profesdiffu-sione del coach, ma aggiunge anche un altro interessan-te dettaglio: l'uso di coaching skills and approaches ha investito fgure come managers, risorse umane e CEO che hanno applicato queste competenze nel quotidiano svolgimento della loro missione.

“The term coaching continuum accounts for a wider range of modalities in which coaching approaches and competencies may be applied. On one side of the continuum are managers and leaders who apply coaching skills and approaches in the workplace. The type and extent of training that these individuals receive may vary dramatically. On the other end of the continuum are trained professional coach practitioners, most of whom derive or have derived a portion of their annual income from their work as an internal or external coach.”37

Alcuni punti salienti della ricerca:

36 www.coachfederation.org

(35)

• Ci sono circa 53300 professionisti che praticano coaching in tutto il mondo;

• L'Europa Occidentale ne ricomprende la maggior parte (36%), se-guita dal Nord America col 33% dei professionisti;

• Il 42% di managers e leaders fa proprie le competenze di coaching; • Quasi la metà del campione attribuisce il principale ostacolo alla

pratica del coaching alla presenza di persone non adeguatamente formate che si dichiarano coach, seguito dal problema della satura-zione del mercato e della presenza di servizi alternativi e concor-renti;

• Per quanto riguarda invece le maggiori opportunità previste per i 12 mesi successivi, una su tutte si staglia sulle altre: l'accrescimento della consapevolezza dei benefci del coaching, seguita da un vero e proprio rifesso sugli indicatori ROI/ROE aziendali.

• La metà dei coach professionisti e dei managers/leaders sostengo-no che il coaching sia in grado di infuenzare il cambiamento socia-le.

Lo studio si pone l'ulteriore obiettivo di identifcare le posizioni assunte dai diversi coachees, pervenendo al risultato riportato nella seguente ta-bella e mantenendo proporzioni molto simili a quelle rilevate nel 2012.

(36)

3.3 L'essenza del coaching

Creare consapevolezza e responsabilità è l'essenza di un buon coaching.

(J. Whitmore)

3.3.1 Accrescere la consapevolezza

Possiamo controllare solo ciò di cui siamo consapevoli, mentre siamo controllati da ciò di cui non siamo consapevoli. La consapevolezza ci rende potenti. (J.Whitmore)

Il primo elemento chiave del coaching è la consapevolezza, vale a dire il frutto di un'attenzione estremamente focalizzata, di un atteggiamento vi-gile nell'osservazione e interpretazione di ciò che si vede, si sente, si pro-va. Il frutto di concentrazione e chiarezza di vedute. Riprendendo la me-tafora di Whitmore, possiamo vedere la consapevolezza come un qualco-sa che, equalco-sattamente come vista e udito, può assumere diverse gradazioni:

(37)

“Una maggiore consapevolezza – spiega Whitmore – signifca una perce-zione più chiara del normale, proprio come avviene quando ci serviamo di una lente di ingrandimento o di un amplifcatore di suoni.”38

Nel lavoro la consapevolezza diventa chiara percezione dei fatti, di infor-mazioni ed elementi più importanti, di comprensione di dinamiche, sche-mi comportamentali e relazioni che si instaurano tra persone. La consape-volezza è la conoscenza di ciò che accade attorno a noi. Un insegnante, un formatore o un manager sono portati a spiegare come una cosa andrebbe fatta riportando insegnamenti che a loro volta hanno recepito in passato oppure nozioni apprese sui manuali, perpetuando le tecniche e le applica-zioni prevalenti in ambito formativo. Il risultato in termini di performan-ce sicuramente arriverà ma lasperforman-cerà talmente soffocate inclinazioni e sog-gettività dei diversi interlocutori da renderli totalmente dipendenti dalla fgura dell'esperto e da non innescare nessun miglioramento futuro o vo-lontà di migliorarsi. Il coaching sceglie invece di accrescere la consapevo-lezza portando in superfcie, tramite l'allenamento, le caratteristiche asso-lutamente individuali del singolo, generando non solo le capacità richie-ste dalla circostanza, ma anche quella sicurezza di sé necessaria per mi-gliorarsi senza aver bisogno di “ricette”. La consapevolezza di sé genera nel coachee la convinzione che il cambiamento scaturisca da dentro, ren-dendolo motivato e sempre più focalizzato sul raggiungimento dell'obiet-tivo.

3.3.2 La responsabilità

La possibilità di scelta e la responsabilità possono fare miracoli.

(J. Whitmore)

Secondo concetto chiave del coaching, la responsibilità è la volontaria, piena e onesta accettazione di un impegno che la persona si assume nei

38 J. Whitmore, Coaching for performance: growing people, performance and purpose, Nicho-las Brealey Publishing, Londra, 2002.

(38)

confronti di una sua azione, pensiero, decisione o compito. Implica la congruenza con un impegno assunto o con un comportamento, in quanto sottintende l'accettazione di ogni conseguenza.

Quando assumiamo la responsabilità di ciò che facciamo aumenta di con-seguenza anche il nostro impegno e quindi la nostra prestazione poiché inevitabilmente esercitiamo una scelta. Se percepiamo invece la responsa-bilità come una richiesta o un'attesa nei nostri confronti ma non svilup-piamo una piena accettazione, svolgiamo un compito solo per scongiura-re una minaccia senza migliorascongiura-re il nostro risultato.

Ad alimentare la responsabilità concorre anche la fssazione di tempisti-che speciftempisti-che. Questo permette al coatempisti-chee di avere chiaro fn da subito il progetto e di impegnarsi di conseguenza, partecipare attivamente al coa-ching e non lasciarsi semplicemente trasportare.

3.4 L'interdisciplinarità del metodo: tipologie di coaching

3.4.1 Introduzione

La ricerca della fgura di aiuto come supporto di fronte a particolari acca-dimenti o esigenze personali, accompagna la storia dell'essere umano. Il coach si inserisce in questa cornice e, per riprendere la metafora della carrozza che accompagna da un luogo all'altro, entra in gioco ogniqual-volta si verifca la condizione tipica secondo la quale le persone non rie-scono a fare chiarezza, a maturare consapevolezza, a trovare la giusta mo-tivazione e la necessaria perseveranza nel continuare a migliorarsi in vista del cambiamento desiderato. Coloro i quali richiedono un intervento di questo tipo sono accomunati da un senso interno di potenziale non realizzato. Da quanto detto, si capisce quanto vasta possa essere l'applicazione del coaching: di fatto investe tutti gli ambiti in cui desideri di crescita posso-no trasformarsi in obiettivi concretizzabili. È corretto affermare che esista

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un percorso di coaching unico e specifco per ogni situazione e persona, ma possiamo comunque ricondurci a delle macroclassi.

Di seguito è presentato uno schema riassuntivo.39

3.4.2 Business coaching: quando l'esigenza nasce in azienda

È il coaching applicato al mondo degli affari, della carriera e dell'impresa. Si svolge all'interno del contesto lavorativo e professionale, ramifcandosi a sua volta in numerose tipologie quante sono le diverse fgure professio-nali alle quali può indirizzarsi o all'obiettivo professionale che intende perseguire.

• Executive coaching: coaching rivolto al top manager e alla sua pri-ma linea, nato per rendere le persone chiave all'interno dell'azienda dei leader di successo, permettendo loro di acquisire piena consa-pevolezza dei propri punti di forza e debolezza, di attuare inter-venti e pianifcare strategie. Dal punto di vista pratico, il coach af-fanca il manager nel quotidiano, accompagnandolo nell'esame di problematiche, comportamenti attuati e diffcoltà riscontrate.

• Corporate coaching: coaching rivolto all'organizzazione nel suo in-sieme e destinato nello specifco alle fgure aziendali appena sotto al livello executive. Prevede quindi l'integrazione tra coaching indi-viduale e di gruppo e nasce spesso dall'esigenza di cambiamenti

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nel clima e nella cultura aziendale o in seguito a fasi di riorganizza-zione o fusioni. Focus principale è la gestione della crescita delle competenze e la valorizzazione del lavoro in team.

• Small business coaching: coaching destinato ad imprenditori e di-pendenti delle piccole e medie imprese, alle start-up e ai liberi pro-fessionisti. Come è noto, in Italia le PMI rappresentano l'ossatura, l'elemento trainante della nostra economia.

• Career coaching: coaching fnalizzato allo sviluppo di carriera lavo-rativa e realizzazione professionale sia di giovani risorse che si af-facciano sul mondo del lavoro, sia di fgure che devono interfac-ciarsi con condizioni depotenzianti interne (inappagamento) o esterne (andamento del mercato, trasferimento).

• Team coaching: coaching dedicato a piccole squadre funzionali o interfunzionali, spesso team di progetto coordinati da un project manager. Si parla di coaching verticale se coinvolge un team ed il suo responsabile; orizzontale se è diretto a persone di pari livello gerarchico, anche se di settori diversi.

Sottoclassi del business coa-ching

Esigenze espresse dal coachee Possibili outcomes

Executive coaching

Gestire nuove sfde con sicu-rezza; potenziare performance ed effcacia personale; identif-care gli obiettivi; acquisire maggiore consapevolezza nel-la propria leadership e raffor-zare la propria capacità di de-cision making.

Sviluppo di un effcace stile di leadership e di comunicazio-ne; miglior gestione dei pas-saggi generazionali, del cam-biamento; miglior governo di stress, tempo e responsabilità; creazione di una cultura azien-dale aperta e dinamica e basa-ta sull'apprendimento conti-nuo.

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Corporate coaching

Sviluppare le competenze del middle management in modo da stimolarne e facilitarne il percorso professionale nonché il raggiungimento degli obiet-tivi, a livello funzionale ed in-terfunzionale; risolvere confit-ti, incomprensioni e ostacoli all'emergere di una team vi-sion.

Perfezionamento della cultura e del clima aziendale; consoli-damento del team manageria-le, agevolazione della comuni-cazione tra funzioni e dell'inte-grazione tra culture e approcci diversi.

Small business coaching

Defnire la missione e stimola-re la rifessione su come pro-gettare strategie effcaci di me-dio-lungo periodo.

Sviluppo delle potenzialità or-ganizzative; crescita dei talen-ti; gestione dell'espansione nell'ambito di un progetto di start-up.

Career coaching Costruire un bilancio

profes-sionale, analizzare lo stato at-tuale e lo stato desiderato; ascoltare l'insoddisfazione, esplorare le motivazioni che spingono verso un cambia-mento o orientano verso nuovi progetti; gestire momenti di transizione; affrontare sfde imprenditoriali.

Acquisizione di maggior con-sapevolezza del proprio baga-glio culturale, fatto non solo di competenze ma anche di po-tenzialità, e della capacità di comunicarlo all'esterno.

Team coaching Abbandonare la visione

indi-viduale per abbracciarne una condivisa; creare un'immagine chiara del progetto e di obietti-vi, ruoli e responsabilità.

Creazione di un'identità di squadra e gestione positiva dei confitti; potenziamento delle sinergie di gruppo e del pro-blem solving del team; svilup-po della creatività.

In sostanza, possiamo affermare che il coaching mostra la sua utilità so-prattutto in contesti legati a problematiche organizzative e di gestione

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