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La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica della propria comunità

GLI ISTITUTI DI PARTECIPAZIONE POPOLARE NEGLI E NTI L OCAL

2.1. La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica della propria comunità

Una delle principali obiezioni alla possibile e concreta attuazione di forme di democrazia diretta è quella di non poter funzionare all'interno degli Stati odierni perché questi sarebbero troppo “grandi” rispetto alle poleis della Grecia classica. Si è correttamente osservato che, se ci si riferisce alla democrazia diretta nel suo senso più pieno83, è necessario, per il suo

funzionamento, che l'assemblea di cittadini sia a misura d'uomo, e cioè tale che ognuno dei suoi membri possa liberamente confrontarsi con ognuno degli altri84. Solo in questo modo, infatti, saremmo di fronte ad un'assemblea

deliberante, in grado di esprimere la volontà del popolo. Altrimenti ciò che ne risulterebbe non sarebbe altro che l'aggregazione di volontà individuali.

Proprio questa distorsione, rispetto al modello ideale di democrazia diretta, viene contestata sia alla cd. “democrazia elettronica” che alla “democrazia referendaria”. Ed infatti, lasciando a latere la diversa questione – che comunque rischia di essere meramente terminologica – se queste ultime possano correttamente qualificarsi come forme di democrazia diretta85, resta il fatto che i metodi impiegati in entrambe (il referendum ed il

voto elettronico) raccolgono ed aggregano preferenze escludendo, tuttavia, il momento assembleare o – con un'espressione più à la page – “deliberativo”. In altri termini: la “democrazia referendaria” e la “democrazia diretta elettronica”, potrebbero funzionare anche in ambiti di

83 Quello che comprende anche l'autogoverno dei cittadini e non la semplice assenza di “intemediari”. Cfr. G. Sartori, Democrazia: cosa è, cit.

84 La “compresenza fisica” dei cittadini deliberanti è l'elemento caratterizzante la democrazia diretta per M. Luciani, Il referendum. Questioni teoriche,cit., p. 158. 85 E con l'ulteriore precisazione che per “democrazia elettronica” ci si riferisce solo allo

strumento impiegato, senza alcuna indicazione del modello ideale di riferimento. Con la conseguenza che l'espressione comprende al suo interno sia modalità di voto elettronico per l'elezione di rappresentanti, sia agorà virtuali, sia consultazioni elettroniche.

dimensioni superiori alle poleis greco-antiche, ma a prezzo di tradire il modello a cui si ispirano e con l'effetto di produrre degli output decisionali potenzialmente meno validi. Infatti, l'assenza totale di dibattito e di confronto determina una minore consapevolezza (e preparazione) da parte dei decisori oltre che il rischio di maggiori conflitti successivi all'assunzione della decisione stessa86.

A tali obiezioni potrebbe replicarsi che il confronto tra idee può comunque essere favorito in un momento anteriore alla deliberazione finale, mediante l'impiego di metodi elaborati dai promotori della democrazia deliberativa87, che non richiedono necessariamente la partecipazione

dell'intero corpus decidente, ma solo di una sua frazione (selezionata mediante diverse possibili tecniche: rappresentazione degli stakeholders, sorteggio, tecnica della porta aperta, ma anche tramite elezioni). Inoltre, per impedire l'insorgere di effetti tipo “gioco a somma zero”, sarebbe possibile prevedere quesiti formulati in modo da consentire una pluralità di risposte, ad esempio con l'applicazione del sistema del “voto singolo trasferibile”88.

Ad ogni modo, negli Stati contemporanei, il tentativo di aggirare gli

86 V. sempre Sartori, cit. sul concetto di “democrazia referendaria”. Cfr. anche B. Caravita, I referendum locali, cit. pp. 42-43. L'A. evidenzia due dimensioni della conflittualità: “orizzontali, all'interno delle popolazioni interessate; verticali, fra i diversi soggetti istituzionali competenti”. Si rileva, peraltro, che proprio in ambito locale i conflitti potrebbero essere ancora più sentiti sia per l'immediatezza delle ricadute della decisione che per la diretta conoscenza tra gli appartenenti alle “fazioni”.

87 Su focus groups e agorà virtuali, v. L. Bobbio, I dilemmi della democrazia, cit. 88 Si tratta di un meccanismo per mezzo del quale ogni votante esprime più preferenze

“graduate”, assegnando un valore, o un ordine di priorità, a ciascuna delle alternative indicate. In un primo scrutinio vengono prese in considerazione le sole risposte, per ogni scheda votata, che sono poste nel più alto livello di preferenza, o priorità. In seconda battuta, se nessuna delle proposte ha ottenuto, in questo modo, la maggioranza assoluta delle preferenze, si passa ad un secondo conteggio che consiste in una sorta di ballottaggio tra le alternative che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze: in questa fase vengono escluse le schede “già assegnate” e conteggiate, sulle restanti, le opzioni che hanno ottenuto il livello di gradimento immediatamente più basso. Il procedimento va avanti fino a quando sarà individuata l'opzione più gradita. V. A. Sterpa, L’introduzione del voto alternativo e del voto trasferibile in Italia: riflessioni

ostacoli dovuti all'esistenza di un corpo elettorale troppo cospicuo, potrebbe comunque portare ad esiti non soddisfacenti, in quanto richiederebbe comunque un eccessivo dispendio di tempo da parte di tutti i cittadini (in quanto le decisioni da assumere richiedono competenze maggiori quanto più è complessa la società) ed una conseguente possibile disaffezione alla partecipazione dei singoli, con la formazione di un'élite meno democratica che in una democrazia rappresentativa.

Il problema, tuttavia, si offre a soluzioni potenzialmente diverse qualora focalizziamo l'attenzione non sugli Stati, bensì sulle autonomie territoriali di piccole dimensioni, quali possono essere, in Italia, i Comuni.

In questo caso, ci troveremmo di fronte a società molto meno complesse, con un più ristretto ambito di competenze e, soprattutto, con un numero di cittadini in alcuni casi paragonabile a quello delle città-Stato della Grecia antica.

Non si intende, qui, riproporre il modello rousseauiano delle “pievi”, che in realtà mira all'instaurazione di una democrazia diretta in grado di governare l'intero Stato frazionando i momenti decisionali.

L'interrogativo – molto meno ambizioso – consiste nel domandarsi se se il potere politico all'interno dei Comuni, e per le esclusive competenze assegnate agli stessi, possa essere esercitato mediante sistemi decisionali alternativi a quelli della democrazia rappresentativa e, in particolare, ispirati alla democrazia diretta.

Fino agli anni '80 del secolo scorso, diversi studiosi si sono posti il problema della previsione di possibili forme di autogoverno almeno per i piccoli Comuni89.

Tuttavia, con l'approvazione del testo unico sull'ordinamento degli enti locali (L. 142/1990), si è optato per una forma di governo che riproducesse in piccolo quella configurata dalla Costituzione per lo Stato. Le successive modifiche a quell'impianto, lungi dal consentire aperture a forme di democrazia diretta (in senso stretto), sono andate nella direzione di razionalizzare il sistema rappresentativo – ad esempio con l'elezione diretta del Sindaco. Ciò ha portato al delinearsi – per tutte le autonomie territoriali

89 V. E. Rotelli, Il referendum deliberativo comunale in Italia, in Amministrare, n. 2 del 1999, in particolare pp. 229 e ss.

minori, cioè Regioni90, Province e Comuni – di forme di governo

riconducibili al modello cd. “neoparlamentare”.

Cionondimeno, residuano spazi per la partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche di competenza degli organi politici comunali. Tale partecipazione, tuttavia, può assumere una veste informale – attraverso forme di associazionismo, quali sono i comitati civici – oppure avere una rilevanza istituzionale laddove avvenga nelle forme previste normativamente.

L'attenzione, qui, sarà rivolta soprattutto a queste ultime forme di partecipazione popolare in ambito comunale ed in particolare alle diverse tipologie di referendum che coinvolgono le popolazioni dei Comuni.