• Non ci sono risultati.

La “partecipazione popolare” dalla legge sull'Ordinamento delle autonomie locali al TUEL

GLI ISTITUTI DI PARTECIPAZIONE POPOLARE NEGLI E NTI L OCAL

2.5. La “partecipazione popolare” dalla legge sull'Ordinamento delle autonomie locali al TUEL

Fu dunque con la nota L. 8 giugno 1990, n.142 (Ordinamento delle

autonomie locali), che il Legislatore statale decise di introdurre una prima,

seppur scarna, disciplina degli strumenti di partecipazione negli enti locali, in un apposito capo (il III) dell'articolato normativo, significativamente denominato “Istituti di partecipazione” e costituito da tre articoli rubricati, rispettivamente, “Partecipazione popolare” (art. 6), “Azione popolare, diritti d'accesso e di informazione dei cittadini” (art. 7) e “Difensore civico” (art. 8). Le stesse disposizioni hanno successivamente subito poche ma significative130 modifiche (di cui si darà conto nel testo) ad opera della L. 3

agosto 1999, n. 265 e furono in seguito trasposte integralmente nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti

locali, noto come TUEL), all'interno della Parte I “Ordinamento

istituzionale” al Titolo I “Disposizioni generali”.

Rispetto alla ricostruzione giurisprudenziale che, come visto, fondava l'ammissibilità dei referendum comunali sulla base di una loro supposta funzione integrativa dell'istruttoria amministrativa, il legislatore privilegia, invece, l'aspetto “partecipativo” delle consultazioni popolari.

Può osservarsi, però, la disomogeneità degli istituti di partecipazione voluti dal legislatore del 1990, i quali fanno riferimento, a ben vedere, a diverse accezioni del termine “partecipazione”. In particolare, solo il primo dei tre articoli si riferisce, coerentemente con la sua rubrica, alla “partecipazione popolare”, intesa come contributo alla formazione dell'indirizzo politico dell'ente locale. Anche all'interno dello stesso art. 6 (i cui contenuti sono ora stati incorporati nell'art. 8 del TUEL), tuttavia, sono presenti disposizioni non del tutto inquadrabili nella definizione di istituti di partecipazione popolare.

In particolare, il primo comma dell'articolo (applicabile, per espressa

130 A. Zucchetti osserva che “le modificazioni apportate dalla l. 265/1999 e riproposte all'art. 8 t.u. appaiono ben più rilevanti in quanto sono dirette ad estendere notevolmente il concetto stesso di partecipazione sia sotto il profilo soggettivo (cioè di

chi può partecipare), sia sotto il profilo oggettivo (come si può partecipare)”. V. A.

Zucchetti Articolo 8, in V. Italia (a cura di) Testo unico degli enti locali – Volume

menzione nel testo, ai soli Comuni) è dedicato al riconoscimento dei corpi sociali intermedi, mediante la la valorizzazione di “libere forme associative” accanto alla promozione di “organismi di partecipazione dei cittadini131

all'amministrazione locale”. Tali previsioni sembrano espressione, a ben vedere, del principio di sussidiarietà amministrativa.

Al secondo comma, invece, si dispone che l'amministrazione debba prevedere forme di “partecipazione” per i soggetti le cui posizioni soggettive possano essere direttamente incise da un atto amministrativo in corso di adozione132. Si tratta, in questo caso, di uno strumento afferente alla

cd. “partecipazione amministrativa”, ovverosia la partecipazione al procedimento amministrativo da parte dei soggetti direttamente interessati dagli effetti dello stesso. Un meccanismo che si discosta dallo schema concettuale della partecipazione popolare, in quanto attiene a diritti la cui titolarità spetta a singoli individui e non all'insieme degli elettori residenti. Si tratta, in sostanza, di un sistema per integrare l'istruttoria nell'ambito di un procedimento amministrativo133, di attuazione, quindi, piuttosto che di

formazione, dell'indirizzo politico. Come si è detto, la giurisprudenza amministrativa precedente alla L. 142/1990 aveva riconosciuto una funzione analoga a questa per le consultazioni popolari, nell'ambito delle quali, tuttavia, i soggetti chiamati ad esprimere il proprio parere sono tutti i cittadini elettori, come portatori di interessi “diffusi”. Mentre le forme di partecipazione a cui si riferisce la disposizione in parola, sono riferite ai soli portatori di interessi specifici e differenziati, individuabili a priori.

A maggior ragione, come si accennava, non costituiscono stricto

sensu strumenti di partecipazione, quelli disciplinati agli art. 7 ed 8 della

131 L'art. 3 della L. 3 agosto 1999, n. 265, ha modificato la disposizione sostituendo il riferimento alla “partecipazione dei cittadini”, con l'espressione più comprensiva di “partecipazione popolare”

132Art. 6, secondo comma, L. 142/1990: “Nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto”. Si noti che, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 3, della legge 3 agosto 1999, n. 265 è stato aggiunto, infine, l'inciso “nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n.241”.

133 Analogo, appunto, quello previsto al capo III della L. 7 agosto 1990, n. 241, denominato “Partecipazione al procedimento amministrativo”.

citata legge 142/1990. L'art. 7, infatti, introduce diritti individuali connessi ai principi di trasparenza e buon andamento dell'amministrazione (in attuazione, quindi, dell'art. 97 Cost.) che possono, tutt'al più, essere propedeutici – come nel caso del diritto di accesso agli atti amministrativi – ad una partecipazione popolare più consapevole134. Gli stessi diritti sono

oggi garantiti, per gli enti locali, dagli artt. 9 e 10 del TUEL, ma trovano riconoscimento più ampio, anche nei confronti delle amministrazioni statali (e regionali, quali “livelli essenziali delle prestazioni livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m” Cost.) negli artt. 22 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, che, per l'appunto, disciplina il procedimento amministrativo.

Neppure l'istituto del difensore civico, mutuato dall'ombudsman scandinavo135, previsto per la prima volta in Italia dall'art. 8 della L.

142/1990 (ed oggi regolato dall'art. 11 del TUEL), può essere ricondotto alla categoria degli strumenti di partecipazione. Esso, infatti, rappresenta, nelle prime attestazioni, uno strumento di controllo del potere amministrativo ed esecutivo da parte del Parlamento, per divenire, nel corso del '900 “un organo collegato alla rappresentanza politica nazionale, dotato di attribuzioni ispettive nei confronti delle amministrazioni dipendenti dall'esecutivo e prevalentemente destinato a operare come istanza di tutela di interessi collettivi e individuali compromessi dall'inerzia della amministrazione o dai suoi comportamenti attivi illegittimi o inopportuni”136

ovvero un organo amministrativo di seconda istanza al quale i cittadini possono rivolgersi per ottenere tutela rispetto ad un cattivo uso, in senso lato, del potere amministrativo. D'altra parte, lo stesso art. 8 della L. 134 Anche rispetto all'esercizio del diritto di voto. Tali fattispecie “non sono di per loro stesse forme di partecipazione, bensì indispensabili presupposti”. A. Zucchetti,

Articolo 8, cit, p. 87.

135 Fu previsto per la prima volta nella Costituzione svedese del 1809, ma trova un precedente nel “cancelliere della giustizia” istituito, sempre in Svezia, nel 1718. Parte della dottrina, tuttavia, ne fa risalire l'origine ad omologhi organismi del diritto islamico del VII secolo, nonché alla ancora precedente magistratura romana del defensor civitatis (istituita nel 368 d.C). Cfr. G. Lombardi, “Il Difensore civico

comunale”, in Pace, diritti dell'uomo, diritti dei popoli, 1990, fasc. 2, pp.59-73. Ivi, a

pag. 61.

142/1990, lo definisce quale “garante dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale” con il compito di segnalare “anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell'amministrazione nei confronti dei cittadini”.

La stessa formulazione è stata conservata – nei medesimi termini – dall'art. 11 del TUEL, ancora in vigore. Giova tuttavia segnalare che l'art. 2, comma 186, della L. n.191/2009 (Legge finanziaria 2010), ha disposto l'abolizione del difensore civico comunale, le cui funzioni – a seguito della modifica intervenuta con il D.L. 2/2010 – possono essere trasferite, mediante convenzioni, al difensore civico provinciale, ora denominato “difensore civico territoriale”

Gli unici istituti effettivamente qualificabili come strumenti partecipativi, sono invece quelli previsti ai commi terzo e quarto del citato art. 6 della L. 142/1990137. Tali disposizioni introducono, per i Comuni e le

Province, l'obbligo di prevedere, nei propri statuti, “forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi” oltre a modalità per garantirne il “tempestivo esame”. Viene inoltre prevista la possibilità (non, dunque, l'obbligo) di disciplinare “referendum consultivi138” senza particolari

specificazioni dei limiti e delle caratteristiche che gli stessi avrebbero dovuto avere, salva l'indicazione che l'indizione di un referendum possa

137 Si riportano le disposizioni citate, nel testo originario: “3. Nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere altresì determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere previsti referendum consultivi anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini

4. Le consultazioni e i referendum di cui al presente articolo devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono aver luogo in coincidenza con altre operazioni di voto”.

138 La legge n.265/1999 modificò la disposizione, cancellando la qualificazione “consultivi”. Ne consegue un'espansione della libertà degli enti locali di prevedere, nei propri statuti, anche altre forme di referendum. La versione novellata della disposizione è stata mantenuta all'interno del TUEL.

essere preceduta (ma la scelta è rimessa allo Statuto139) alla richiesta di “un

adeguato numero di cittadini”.

Gli unici limiti previsti, in via generale, sia per i referendum che per le “consultazioni” attengono al loro contenuto (che deve riferirsi a “materie di esclusiva competenza locale”) ed al divieto di contestuale svolgimento con operazioni di voto140. Mentre la ratio del primo limite può rintracciarsi

nell'evitare che i cittadini di una comunità potessero pronunciarsi su questioni di interesse nazionale o, comunque, relative ad un'area più ampia, il che avrebbe favorito il formarsi di dinamiche nimby (“Not in my

backyard”), il divieto di svolgere consultazioni e referendum durante le

tornate elettorali, persegue la finalità di garantire la libertà di voto ed impedire l'influenza reciproca delle diverse operazioni di voto, nonché il verificarsi di strumentalizzazioni da parte delle forze politiche141.