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Dal particolare al generale: le sintesi complessive e lo sdoganamento all’estero nel tornante

I. Il contesto storiografico: avvio e sviluppo di una storiografia ai margini

8. Dal particolare al generale: le sintesi complessive e lo sdoganamento all’estero nel tornante

Sul finire degli anni Novanta e, in particolare, a partire dal nuovo millennio, se da una parte le ricostruzioni microstoriche e di carattere locale hanno continuato a imperversare, dall’altra si è potuto assistere ad alcuni ottimi risultati dal punto di vista della ricostruzione complessiva dell’internamento dei civili durante il fascismo che hanno cominciato a coinvolgere anche alcune categorie di internati precedentemente ignorate – è il caso ad esempio degli studi di Giovanna Boursier sulla repressione degli zingari – e allo sviluppo di una certa attenzione nei confronti 386

Si vedano in particolare A. Kersevan, Un campo di concentramento fascista: Gonars. 1942-1943, Kappa Vu,

382

Udine 2003, Ead (a cura di), I campi di concentramento per internati jugoslavi nell'Italia fascista. I campi di Gonars e Visco, atti del convegno, Palmanova, 29 novembre 2003, Kappa Vu, Udine 2004. Si veda anche il documentario realizzato nel 2005 dall’autrice insieme a Stefano Raspa The Gonars memorial. Gonars 1942-1943 il simbolo della memoria italiana perduta, Kappa Vu, 2005. Sul campo di Gonars anche N. Pahor Verri (a cura di), Oltre il filo. Storia del campo di internamento di Gonars. 1941-1943, Arti grafiche friulane, Udine 1996.

A. Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi. 1941-1943,

383

Nutrimenti, Roma 2008.

È il caso di A. Martocchia, I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana. Storie e memorie di una vicenda

384

ignorata, con la collaborazione di S. Angeleri, G. Colantuono e I. Pavicevac, prefazione di D. Conti, introduzione di G. Scotti, Odradek, Roma 2011.

È il caso di M. Strazza, Giochi spezzati. I bambini slavi nei campi di concentramento italiani 1942-1943, EBK,

385

Sanremo 2015, M. Gombač, I bambini sloveni nei campi di concentramento italiani (1942-1943), in «Deportate, esuli, profughe», n. 3, 2005, pp. 49-63 e M. Gombač, B.M. Gombač, D. Mattiussi, Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943), Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale L. Gasparini, Gorizia 2004.

In particolare G. Boursier, La persecuzione degli zingari nell'Italia fascista, in «Studi Storici», n. 4, ottobre-

386

del fenomeno da parte di alcuni studiosi stranieri che hanno contribuito a sdoganare all’estero o, quantomeno, ad aprire ai lettori in grado di leggere l’inglese o il francese uno spiraglio sulla storia dell’internamento civile fascista, dimostrando un certo qual interesse sull’argomento anche oltralpe, oltremanica e oltre oceano negli specialisti di storia dell’Italia contemporanea, segno ulteriore della definitiva affermazione di questa tematica come storiograficamente rilevante nell’economia complessiva della storia dell’Italia fascista e dell’Italia nella Seconda guerra mondiale . 387

Uno dei primi contributi si deve a James Walston, docente di relazioni internazionali all’American University of Rome e attento osservatore della politica italiana . Walston, 388

constatando uno scarso interesse della ricerca nello studio degli «effetti negativi» del fascismo 389

al di fuori dell’Italia – pur nel pieno di un ampio dibattito su fascismo, antifascismo, guerra e resistenza, riacceso proprio a partire dalla metà degli anni Novanta – lasciando così delle zone d’ombra che mettono la storiografia italiana in una posizione per certi versi peggiore rispetto a quella francese sull’esperienza di Vichy, più avanzata grazie agli sviluppi del decennio precedente, si è posto nel 1997 l’obiettivo di fare luce su uno di questi aspetti ancora negletti dalla storiografia italiana e di provare a illustrare le motivazioni di queste negligenze. La sua riflessione parte dalla distinzione tra internamento «a scopo repressivo» (che ha colpito prima etiopi e libici e poi, durante la guerra, croati, montenegrini, albanesi e greci) e internamento «a scopo protettivo». Nel primo caso lo scopo era di neutralizzare reali o presunti partigiani ma anche quanti potevano dare loro sostegno, cosicché, in particolare nei Balcani, venivano anche internati anziani, donne e bambini: possibili ostaggi da colpire in caso di rappresaglia.

Distinguendo sostanzialmente in campi «buoni» e «cattivi», Walston sottolinea come alla riscoperta dei campi del primo tipo, fiorita a partire dalla fine degli anni Ottanta – e interessata anche da una certa risonanza internazionale, grazie a una serie di iniziative proposta negli Stati

Si vedano in particolare J. Walston, History and Memory of the Italian Concentration Camps, in «The Historical

387

Journal», vol. 40, n. 1, marzo 1997, pp. 169-183, Foot, Fratture d’Italia. Da Caporetto al G8 di Genova. La memoria divisa del paese, cit. e L. Reale, Mussolini’s Concentration Camps for Civilians. An insight into the nature of fascist racism, Vallentine Mitchell, London 2011.

Walston, History and Memory of the Italian Concentration Camps, cit.

388

«[...] studies of the negative effects of fascism outside Italy have hardly begun. These are uncharted areas in the

389

period which makes the position of Italian historiography in many ways worse than that of Vichy France, where the situation has changed dramatically over the last 10 years». [studi degli effetti negativi del fascismo fuori dall’Italia sono appena cominciati. Si tratta di zone d’ombra di questo periodo, che rendono la posizione della storiografia italiana sotto molti aspetti peggiore rispetto a quella sulla Francia di Vichy, dove la situazione è radicalmente cambiata negli ultimi dieci anni. T.d.A.]. Walston, History and Memory of the Italian Concentration Camps, cit., p. 170.

uniti, come ad esempio la conferenza promossa dalla National Italian American Foundation – 390

non si sia accompagnato un pari avanzamento degli studi sul fronte opposto dei campi a scopo repressivo. Dopo alcuni accenni al campo di Ferramonti e all’umano trattamento riservato agli ebrei dalle autorità italiane soprattutto in Francia e in Jugoslavia dove le autorità italiane rifiutarono sistematicamente di consegnare gli ebrei ai nazisti sottraendoli di fatto alla soluzione finale, l’articolo si concentra sui campi a scopo repressivo, ripercorrendo sinteticamente le occasioni in cui il fascismo vi aveva fatto ricorso, dalla loro istituzione in Cirenaica – durante la campagna di pacificazione della Libia a partire dal 1923 come elemento della sanguinosa strategia repressiva messa in atto dal generale Rodolfo Graziani – e poi in Etiopia a partire dal 1936. Walston affronta poi la questione dei campi per slavi istituiti dopo l’invasione della Jugoslavia per spezzarne la resistenza e dell’eliminazione degli slavi dalle zone da italianizzare con un altissimo tributo di morti che si conta a decine di migliaia tra la popolazione dei campi a causa delle malattie e della malnutrizione. Inscritta la particolare violenza dell’occupazione italiana nel contesto repressivo di una guerra di guerriglia, Walston procede a tratteggiare rapidamente le motivazioni che hanno portato alla riscoperta di una parte della storia – quella consolatoria e coerente con il mito degli italiani brava gente del salvataggio degli ebrei rifugiati in Dalmazia tra il 1942 e il 1943 –, e all’oblio del rovescio spiacevole e vergognoso dell’esperienza italiana come forza occupante che ha visto tutti gli attori coinvolti, unanimi nella volontà di dimenticare: le vittime poco interessate a rivangare eventi potenzialmente imbarazzanti, gli Alleati non avevano nulla da guadagnare dall’enfatizzare i crimini di un paese che aveva immediatamente formalizzato la propria adesione al Patto atlantico, il governo Jugoslavo più propenso a creare un rapporto pacifico con l’Italia e, soprattutto dopo la rottura tra Tito e l’Unione Sovietica, timoroso di una pubblica denuncia di una condotta bellica non certo esemplare . 391

Un importante momento di riflessione che ha permesso di fare il punto sullo stato di avanzamento degli studi sull’internamento è stato il convegno nazionale dal titolo I campi di

concentramento in Italia: dall’internamento alla deportazione (1940-1945), promosso dalla

The Italian refuge. Rescue of Jews during the Holocaust,The Catholic University of America Press, Washington

390

1989, cit. In proposito Toscano, Ebraismo e antisemitismo in Italia. Dal 1848 alla guerra dei sei giorni, cit., p. 228. Si vedano anche M. Shelah, Un debito di gratitudine: storia dei rapporti tra l'esercito italiano e gli ebrei in Dalmazia. 1941-1943, Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, Roma 2009, (1ª edizione, 1991, edizione originale: Heshbon damim. Hazalath ieudei Kroatia aliedei ha-italkim 1941–1943, Sifriat Poalim, Tel Aviv 1986) e J. Steinberg, All or nothing. The Axis and the Holocaust 1941-1943, Routledge London-New York 1990 che descrive le operazioni di ostruzione prima occasionale poi sistematica della soluzione finale nazista in Croazia, Grecia e Francia dove gli ufficiali italiani rifiutarono di consegnare gli ebrei ai nazisti nelle zone da loro occupate nonostante la collaborazione ufficialmente dichiarata da Mussolini alla Germania.

Walston, History and Memory of the Italian Concentration Camps, cit., pp. 182-183.

Fondazione Ferramonti in collaborazione con l’Università di Teramo che si è tenuto a Teramo, sotto il coordinamento scientifico e organizzativo di un comitato composto da Enzo Collotti, Guido Crainz, Filippo Mazzonis e Costantino Di Sante, il 23 e il 24 marzo 1998 anche se, come purtroppo spesso avviene, per la pubblicazione degli atti, peraltro monchi dell’indice dei nomi, si è dovuto aspettare tre anni e questo, a giudizio di chi scrive, inibisce la carica innovativa e lo slancio di importanti iniziative come questa . 392

Il convegno si è posto l’obiettivo di considerare la cesura dell’8 settembre ’43 non come termine

a quo o ad quem, ma come momento di svolta alla luce del quale verificare elementi di

continuità e discontinuità nel funzionamento degli apparati repressivi del regime fascista . Per 393

questo la periodizzazione presa in esame copre tutto il periodo bellico, dal 1940 al 1945, salvo spingersi nell’analisi dei prodromi e delle forme repressive connesse con l’internamento fino al 1926, con la ricostruzione, a opera di Paola Carucci, dello sviluppo normativo del confino, passando poi al 1930-1933 con la ricostruzione, elaborata da Nicola Labanca, della storia dei campi di concentramento approntati nelle colonie in Cirenaica e giungendo al 1938 con l’intervento di Michele Sarfatti dedicato alla legislazione antiebraica fascista.

Un aspetto di grande interesse e connesso al più ampio tema del rapporto tra la Chiesa cattolica l’antisemitismo fascista e la Shoah in Italia, è il ruolo del Vaticano nell’attività di tutela degli internati, analizzato nel 2000 dalla storica americana Susan Zuccotti, in un lavoro di ricerca pubblicato per la Yale University Press e tradotto in italiano l’anno successivo, dedicato all’atteggiamento di Pio XI e, soprattutto, Pio XII in relazione alla persecuzione ebraica in Italia tra il 1938 e il 1945 . 394

Consistente è ormai la letteratura in merito, che ha reso possibile constatare i fatti di una percezione piuttosto chiara da parte della Santa Sede di quanto stava avvenendo agli ebrei nei territori occupati dai nazisti, anche in merito alla “questione finale”, non solo grazie alle fonti alleate ma anche alle informazioni che venivano dalla rete dei nunzi, dall’episcopato e dal clero della Germania e dei territori occupati e il fatto innegabile dell’assenza di una esplicita, pubblica condanna delle politiche razziste del regime nazista così come di quelle fasciste; silenzi su cui

C. Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940-1945),

392

premessa di F. Mazzonis, introduzione di E. Collotti, Franco Angeli, Milano 2001.

E. Collotti, Introduzione, in Di Sante, I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione

393

(1940-1945), cit., p. 11.

S. Zuccotti, Il Vaticano e l'Olocausto in Italia, traduzione di V. Lo Faro, Bruno Mondadori, Milano

394

2001, (edizione originale: Under His Very Windows: The Vatican and the Holocaust in Italy, Yale University Press, New Haven 2000), il capitolo “Gli ebrei stranieri nei campi di internamento italiani. 1940-1943”, alle pp. 95-107.

pesarono molti, diversi ordini di cause e considerazioni di opportunità legate alla tutela dei cattolici tedeschi e la posizione della chiesa cattolica in Germania e nei paesi occupati nel contesto di un già delicato rapporto con il regime, il riconoscimento della funzione antibolscevica della Germania nazista e il tradizionale antisemitismo cattolico, per quanto si trattasse di un antisemitismo di matrice non razzista . 395

L’autrice si concentra su quanto il Vaticano ha fatto e non ha fatto per il salvataggio degli ebrei concludendo che se episodi di salvataggio ci furono – e furono molti e rimarchevoli –, questi non risposero a una direttiva centrale del Pontefice che non operò all’altezza del proprio ruolo e della propria autorità.

Nel capitolo dedicato agli ebrei stranieri nei campi di internamento italiani, Zuccotti puntualizza sulle attività espletate dal Vaticano nei confronti degli internati in Italia, inviando nunzi e rappresentanti del clero a visitare i campi e tentando di organizzare un servizio di informazioni – che doveva appoggiarsi alla rete di nunzi e vescovi presenti capillarmente nei paesi belligeranti e che potevano dunque facilmente trasmettere le lettere; iniziativa però pesantemente limitata dal rifiuto del governo tedesco di collaborare – per consentire agli internati e ai prigionieri di

Sulla questione si vedano S. Zuccotti, Il Vaticano, la Chiesa e il salvataggio degli ebrei in Italia,

395

traduzione di P. Vitale, in M. Flores, S. Levis Sullam, M.-A. Matard-Bonucci, E. Traverso (a cura di),

Storia della Shoah in Italia. Vicende, memorie, rappresentazioni. Vol. I. Le premesse, le persecuzioni, lo sterminio, UTET, Torino 2010, pp. 602-640, M. Phayer, Pius XII, The Holocaust, and the Cold War,

Indiana University Press, Indianapolis 2008, Id., Il papa e il diavolo. Pio XII, Hitler e l'Olocausto: la

posizione della Chiesa dall'ascesa del nazismo alla condanna ufficiale dell’antisemitismo, Newton

Compton, Roma 2008, (edizione originale: The Catholic Church and the Holocaust, 1930-1965, Indiana University Press, Indianapolis 2000), G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII. Vaticano, Seconda

guerra mondiale e Shoah, nuova edizione aggiornata, Rizzoli, Milano 2007 (1ª edizione, 2000), L.

Picciotto, Pio XI e la persecuzione antiebraica, in A. Chiappano, F. Minazzi (a cura di), Il paradigma

nazista dell’annientamento. La shoah e gli altri stermini. Atti del quarto Seminario residenziale sulla didattica della shoah, Bagnacavallo, 13-15 gennaio 2005, Giuntina, Firenze 2006, pp. 175-188, S.

Zuccotti, Papa Pio 12 e il salvataggio degli ebrei in Italia. Esistono prove di una direttiva papale?,

ibidem, pp. 189-208, anche in S. Zuccotti, Pope Pius XII and the Rescue of Jews in Italy: Evidence of a Papal Directive?, in «Holocaust and Genocide Studies», vol. 18, n. 2, 2004, pp. 255-273 e in S. Zuccotti, Pius, XII and the Rescue of Jews in italy: Evidence of a Papal Directive, in J.D. Zimmermann (a cura di), Jews in Italy under fascist and nazi rule. 1922-1945, Cambridge University Press, Cambridge 2005, pp.

287-307, in proposito nello stesso volume si veda anche F.J. Coppa, The Papal response to Nazi and

fascist Anti-Semitism: From Pius XI to Pius XII, pp. 265-286. Si veda inoltre S. Zuccotti, The Rescue of Jews in Italy and the Existence of a Papal Directive, in D. Bankier, I. Gutman (a cura di), Nazi Europe and the Final Solution, Yad Vashem, Jerusalem 2003, pp. 519-539. Per una lettura di segno opposto,

assolutoria nei confronti dell’operato vaticano e di Pio XII in particolare, ci si limita qui a citare i lavori di Antonio Spinosa e Margherita Marchione, in particolare M. Marchione, Il silenzio di Pio XII, Papa

Pacelli di fronte al Nazismo e alla persecuzione degli Ebrei: accuse, controversie e verità storica,

prefazione di A. Spinosa, Sperling e Kupfler, Milano 2002, Ead., Pio XII. Architetto di pace, Piemme, Casale Monferrato 2002, Ead., Pio XII e gli ebrei, Piemme, Casale Monferrato 2002, A. Spinosa, Pio XII,

un papa nelle tenebre, Mondadori, Milano 2004, (1ª edizione Pio XII. L’ultimo papa, Mondadori, Milano

1992) e la nuova introduzione a A. Spinosa, Mussolini razzista riluttante, prefazione di F. Perfetti, Mondadori, Milano 2000 (1ª edizione, Bonacci, Roma 1994), saggio già apparso in forma di articoli pubblicati nella rivista «il Ponte» di Calamandrei tra il 1952 e il 1953, A. Spinosa, Le persecuzioni

razziali in Italia, in «il Ponte», luglio-agosto-novembre 1952, luglio 1953; nella nuova introduzione il

mantenere i contatti con le famiglie. Sul primo punto in particolare, dalla ricostruzione di Zuccotti non emerge un’attività di vigilanza sulle condizioni di vita degli internati che in nessun caso furono in qualche modo criticate o denunciate dal Vaticano, evidenziando una certa discrezione e cautela nell’uso dei canali ufficiali, mancando la possibilità di fare pressione sul governo per chiedere un maggiore impegno nel garantire delle migliori condizioni di vita per gli internati e, in generale, dimostrando una chiara inadeguatezza nel portare avanti un’efficace politica di aiuto umanitario. Nel giudizio dell’autrice la Chiesa cattolica romana si dimostrava così «un’istituzione chiusa, senza inventiva e flessibilità e ripiegata su se stessa; sicura e abile nel proteggere i propri interessi istituzionali, essa era ben lontana da un impegno per scopi umanitari» . Interessanti in questo senso le parole del vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo 396

Mario Besson che il 23 novembre 1940 scrisse un appello a Pio XII: «Tutte le grandi organizzazioni che si occupano delle vittime della guerra e che hanno sede centrale a Ginevra sono protestanti o neutrali. Con rarissime eccezioni gli agenti che visitano i campi di prigionia e di concentramento sono estranei al cattolicesimo. I non cattolici ci precedono dovunque. Solo loro, meglio accolti di noi, questo è vero, dalle autorità di certi paesi belligeranti, hanno intrapreso azioni significative. La nostra missione cattolica svizzera a favore delle vittime della guerra è cosa minima in confronto a così tante istituzioni. […] Al momento, innumerevoli disperati si rivolgono a coloro che potranno prestare loro aiuto e, tra coloro che li aiutano, i cattolici sono solo un numero esiguo» . Tale appello, fu inoltrato al pontefice dal nunzio 397

apostolico in Svizzera Filippo Bernardini che confermò il giudizio del vescovo: «quasi ovunque le associazioni non cattoliche, umanitarie o filantropiche, abbondantemente fornite di mezzi e animate da indiscutibile zelo, ci hanno preceduti e arrivano là dove noi non abbiamo saputo o non possiamo arrivare» . 398

Dopo il brevissimo contributo di Romain Rainero, pubblicato nel 1995 tra le appendici di un volume dedicato al sistema concentrazionario nazista , anche in Francia si è cominciato, 399

timidamente, a parlare di internamento fascista, innanzitutto in Le siècle des camps di Kotek e Rigoulot, pubblicato a Parigi nel 2000 e tradotto in italiano l’anno successivo . 400

Zuccotti, Il Vaticano e l'Olocausto in Italia, cit., p. 104.

396

Cit. in Zuccotti, Il Vaticano e l'Olocausto in Italia, cit., p. 103.

397

Ibidem, p. 104.

398

R. Rainero, Les camps de concentration en Italie, in La déportation. Le système concentrationnaire nazi, sous la

399

direction de F. Bédarida et L. Gervereau, Bibliothèque documentaire internationale contemporaine, Paris 1995, pp. 275-281.

Kotek, Rigoulot, Le siècle des camps. Détention, concentration, extermination. Cent ans de mal radical, cit.

Il lavoro di Rainero si apre con l’immagine del forno crematorio della Risiera di San Sabba e la critica al silenzio degli storici – anche quelli che si sono occupati nello specifico degli ebrei – sul fenomeno concentrazionario italiano, definendo “curioso” o “rivelatore” il fatto che anche nell’opera di Renzo De Felice, la più nota sulla storia degli ebrei in Italia durante il fascismo, il problema dei campi di concentramento sia relegato in una posizione decisamente marginale . 401

Rainero divide opportunamente la storia in due parti ben distinte e separate dall’8 settembre, inserendo la prima fase dell’internamento degli ebrei nella giusta prospettiva di una misura di guerra nei confronti degli elementi pericolosi nelle contingenze belliche. Dopo una panoramica dedicata alla geografia dell’internamento, ai numeri sulle strutture e la composizione degli internati e alle condizioni di vita nei campi Rainero affronta la fase successiva alla caduta di Mussolini e alla firma dell’armistizio che, con l’avanzata delle truppe alleate da sud, imprime alle vicende dell’Italia settentrionale e di quella meridionale due pieghe completamente diverse anche in merito all’evoluzione della politica razziale e dell’internamento. L’ultima parte del contributo è quindi dedicata alla fase della deportazione dall’Italia, quando la legislazione antisemita si fa più “efficace” e la rete concentrazionaria nel territorio della Repubblica sociale fu riorganizzata e affiancata ai campi di transito istituiti dalle forze d’occupazione in cui risalta il caso eccezionale della Risiera di Sabba: campo di transito dotato di forno crematorio, in territorio Italiano sottratto all’autorità italiana ma costruito e gestito con la collaborazione fascista.

Il volume di Kotek e Rigoulot, che riprende il lavoro di Rainero, propone invece una rassegna delle forme concentrazionarie che si sono susseguite nel corso del Novecento a partire dalla genesi del “campo di concentramento” con la reconcentraciòn della popolazione civile dei distretti rurali cubani proposta da Arsenio Martinez Campos, comandante della guarnigione spagnola a Cuba nel 1895 e messa in pratica dal suo successore Valeriano Weyler y Nicolau negli anni immediatamente successivi, per affamare gli insorgenti e stroncare le loro aspirazioni indipendentiste. Passando per l’analoga tattica applicata poco dopo dagli inglesi in Sud Africa per contrastare la guerriglia boera e, ancora in un contesto coloniale, per la concentrazione degli Herero nell’Africa tedesca del sud-ovest, che consente agli autori di sottolineare alcuni punti di contatto con la successiva esperienza nazista, come le contestuali ricerche sul campo a opera di due dei maestri di Joseph Mengele – Theodor Mollison e, soprattutto, Eugen Fischer – sul