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Il caso particolare di Iliade

Per concludere, uno spunto di riflessione interessante può giungere dal confronto tra queste traduzioni e quelle del periodo del confino, in particolare del già citato inizio del primo libro dell’Iliade. Come si vedrà questo canto presenta alcune peculiarità rispetto agli altri; ma forse proprio il fatto che l’autore potesse controllare una sua precedente traduzione gli offriva l’opportunità di curare la resa italiana. In ogni caso il confronto evidenzierà come, in queste traduzioni più recenti, Pavese comunque andò nella direzione di migliorare la fruibilità dei suoi testi.

Uno dei cambiamenti che giovano alla resa è la rinuncia a tradurre molte delle particelle greche che, invece di aggiungere sfumature di significato al testo italiano, lo appesantiscono senza grandi vantaggi.

Così al v. 6 ἐξ οὗ δὴ τὰ πρῶτα διαστήτην ἐρίσαντε: Pavese nel ’36 traduceva «da quando app. prima s’inimicarono altercati», ma nella seconda traduzione scompare l’«app.» (dhv) e si legge «da quando primamente si separarono altercanti»; il v. 56 κήδετο γὰρ Δαναῶν, ὅτι ῥα θνήσκοντας ὁρᾶτο è tradotto la prima volta con «si addolorava infatti per i Danai, qualora app. morenti vedeva», mentre la seconda volta rinuncia a tradurre rJa, e leggiamo quindi: «cared inf. dei Danai, poiché morenti vedeva». Lo stesso si verifica al verso successivo: οἳ δ’ ἐπεὶ οὖν ἤγερθεν ὁμηγερέες τε γένοντο: mentre nella prima traduzione Pavese include οὖν («ed essi dopoché dunque si radunarono e radunati furono»), nella seconda l’avverbio non compare («essi dopoché si radunarono e radunati divennero»). Così la critica che Calvino gli

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rivolge («perché anche tutto l’accanimento del P. non può giungere dove giunge il greco e non l’italiano: la sfumatura modale, le particelle -te ge è ignorato, mevn... dev spesso impossibile») coglie probabilmente nel segno, a giudicare da una delle poche rinunce volontarie di Pavese: senza tradire lo spirito di fondo dei suoi rapporti col testo omerico, sfoltisce la traduzione di tutte quelle particelle che da un lato non aggiungono molto al significato della frase italiana, e dall’altro non trovano un equivalente attendibile (la consapevolezza di Pavese della difficoltà di tradurre le particelle greche, è confermata anche dal ricorso al latino in alcuni casi già illustrati).

Troviamo poi una maggiore libertà nell’ordine delle parole: χρυσέῳ ἀνὰ σκήπτρῳ (v. 15) nel 1936 è tradotto «all’aureo intorno scettro», mentre nel 1947 «sull’aureo scettro». Al v. 60, εἴ κεν θάνατόν γε φύγοιμεν è tradotto la prima volta «se pure la morte fuggiamo» e la seconda «se fuggissimo la morte»; πάντων ἐκπαγλότατ’ ἀνδρῶν (v. 146) nella traduzione di Brancaleone Calabro diventa «di tutti terribilissimo gli uomini», mentre nella successiva «di tutti gli uomini terribilissimo74» e si potrebbero elencare altre piccole inversioni di questo genere.

Leggermente più curata (e di conseguenza anche più libera) risulta anche la resa di singoli termini. Così la faretra ἀμφηρεφέα non è più «doppiocoperta», ma «a due coperchi» e l’infinito aoristo ἐξαλαπάξαι (v. 129) non è più tradotto con l’infinito passato «aver distrutto», che nella frase non ha senso, ma con il presente «distruggere». Allo stesso modo l’insulto φιλοκτεανώτατε rivolto ad Agamennone al v. 122, mentre era stato reso la prima volta con l’espressione calco «amantissimo degli averi», nella seconda traduzione diventa un più semplice «avarissimo». Anche con i verbi in tmesi Pavese sembra seguire la stessa tendenza: ἐν δ’ ἐρέτας ἐπιτηδὲς ἀγείρομεν (v. 142) è tradotto in prima battuta con «e dentro rematori subito raduniamo», mentre poi diventa semplicemente «e rematori subito raduniamo».

Tuttavia, nonostante questi piccoli cambiamenti, risulta evidente come lo “stile” delle traduzioni non cambi sostanzialmente dal primo al secondo periodo, e che l’esigenza dell’interlinearità rimanga il fattore che caratterizza maggiormente le versioni di Pavese. Per altro le innovazioni evidenziate nel primo libro dell’Iliade del ’47 in realtà non sono affatto un elemento costante di tutte le traduzioni dell’ultima fase della vita di Pavese: si trovano, anzi, molti casi (alcuni dei quali già riportati) in cui l’atteggiamento dell’autore si avvicina più alle traduzioni di Brancaleone che a quella di Iliade I appena analizzata. In generale la traduzione di questo canto si discosta da quella degli altri per una serie di piccoli accorgimenti che rendono il testo leggermente più fruibile. Il fatto è interessante anche perché si tratta dell’unico canto che Pavese stesse ritraducendo davvero75, e quindi potrebbe rappresentare una sorta di secondo livello di elaborazione: tenendo presente il lavoro già fatto dieci anni prima, poteva curare gli altri aspetti della traduzione. Questo potrebbe spiegare l’uso di termini poetici e l’inversione nell’ordine delle parole, decisamente più frequenti che nei rimanenti canti. Ad avvalorare questa ipotesi sono soprattutto le marcate somiglianze tra la

74 A questo proposito si può notare come Pavese rendesse i superlativi greci sempre con superlativi assoluti

italiani, anche quando è presente un partitivo. Anche qui avrà giocato un ruolo l’analogo comportamento del latino.

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Pavese aveva iniziato a tradurre anche Odissea XI mentre era al confino, ma il lavoro si era fermato dopo i primi 203 versi.

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traduzione del ’36 e quella del ’47: si trovano interi versi identici, anche se si potrebbe trattare di un caso, dal momento che l’impostazione rigida di Pavese non permetteva molte variazioni.76 Pare dunque davvero improbabile che l’autore non ricordasse la sua precedente versione: in ogni caso è certo che il primo libro dell’Iliade presenta un maggior grado di libertà, e per questo si può supporre che Pavese vi avesse dedicato una maggior cura, e avesse preso in considerazione la possibilità di raggiungere un risultato con qualità poetiche. Il fenomeno più evidente è senza dubbio la disponibilità a non rispettare l’ordine originale delle parole, considerata la rigidezza con cui invece si comporta di solito Pavese. Qui si riportano alcuni esempi (che vanno ad aggiungersi a quelli elencati nel confronto con la precedente traduzione), dove è chiaro che l’inversione viene compiuta per facilitare la comprensione del testo italiano:

Il. I 16 Ἀτρεΐδα δὲ μάλιστα δύω E specialmente i due Atridi

Il. I 26 μή σε γέρον κοίλῃσιν ἐγὼ παρὰ νηυσὶ

κιχείω. Non te, vecchio, io presso le concave navi colga77

Il. I 35 πολλὰ δ’ ἔπειτ’… E poi molte cose78

Il. I 63 καὶ γάρ τ’ ὄναρ ἐκ Διός ἐστιν Anche inf. il sogno è da Zeus79

Il I 94 ἀλλ’ ἕνεκ’ ἀρητῆρος ὃν ἠτίμησ’

Ἀγαμέμνων Ma per il sacerdote che Agamennone sfregiò80

Il. I 125 ἀλλὰ τὰ μὲν πολίων ἐξεπράθομεν Ma le cose (che) predammo delle città81

Il. I 203 ἦ ἵνα ὕβριν ἴδῃ Ἀγαμέμνονος Ἀτρεΐδαο; Forse perché vedessi la tracotanza di Agam. Atride?82

Il. I 222 δώματ’ ἐς αἰγιόχοιο Διὸς μετὰ δαίμονας

ἄλλους

Alle case dell’egioco Zeus con gli altri démoni83

Il. I 354 νῦν δ’ οὐδέ με τυτθὸν ἔτισεν· Ora nemmeno un poco pagò a me84

Per quanto minime, esse rivelano l’intento di rendere il testo più leggibile, intento che sembrava del tutto estraneo a Pavese in altri brani. Inoltre traduce il v. 67 (βούλεται ἀντιάσας ἡμῖν ἀπὸ λοιγὸν ἀμῦναι): «vuole accettando da noi la peste allontanare», ma poi indica con

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Si possono citare alcuni esempi di versi identici: il primo («L’ira canta, o dea, del Peleiade Achille»), il v. 4 («di eroi, ed essi preda fece ai cani»), il v. 7 («l’Atride re di uomini e il divo Achille»), il v. 14 («le bende av. nelle mani del lungisaettante Apollo»), i vv. 17-18 («Atridi e (voi) altri bengambierati Achei,/ a voi gli dèi diano le case olimpie abitanti») ecc. ecc. Si trovano poi numerosi versi molto simili e divergenti solo per particolari minimi.

77 La prima traduzione manteneva invece l’ordine originario delle parole: «Non te, o vecchio, presso le cave io

navi trovi».

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La traduzione del 1936 era invece: «e molte (cose) dopoché».

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Prima traduzione: «e infatti il sogno da Giove è».

80 In questo caso l’inversione era già presente nella prima traduzione: «ma a causa del sacerdote, che

Agamennone maltrattò».

81 Prima traduzione: «ma ciò (che) della città predammo».

82 Prima traduzione: «forse perché la tracotanza vedessi di Agamennone Atride?».

83 Qui le due inversioni erano già presenti nella prima traduzione: «alla casa dell’Egioco Giove, con gli altri dei». 84

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delle frecce che «vuole» e «accettando» devono essere lette con un’inversione di ordine: si tratta chiaramente di un accorgimento per favorire la comprensione della frase. Inoltre i verbi in tmesi vengono qui tradotti sempre come verbi unici, il che giova senza dubbio alla chiarezza delle proposizioni. Anche leggermente più libera (rispetto alla precedente traduzione e rispetto alla rigida osservanza della corrispondenza tra termine greco e termine italiano) è la resa del v. 70 (ὃς ᾔδη τά τ’ ἐόντα τά τ’ ἐσσόμενα πρό τ’ ἐόντα). Mentre la traduzione del confino suonava «che sapeva le essenti e le future e le prima essenti» (con il participio presente del verbo “essere” reso alla lettera), la seconda traduzione è «che sapeva le presenti, le future e le prima presenti». Il verbo “essere” viene tradotto qui con il più comprensibile aggettivo «presente» (derivato comunque dal participio latino di un composto del verbo essere: ancora una volta Pavese fa riferimento all’etimologia dei termini nel momento in cui vuol ricalcare il greco), ma Pavese non rinuncia a rendere conto del rapporto tra ἐόντα e πρό ἐόντα, evitando la traduzione più ovvia «le passate». Piuttosto libera (sempre rispetto ai suoi canoni) è anche la traduzione del v. 108: ἐσθλὸν δ’ οὔτέ τί πω εἶπας ἔπος οὔτ’ ἐτέλεσσας, che diventa «il buono non ancora dicesti né procurasti». Potrebbe trattarsi di una distrazione, ma anche della deliberata scelta di non tradurre ἔπος, perché ridondante nella frase italiana85.

L’insieme di queste caratteristiche, il ricorso a termini tratti dal lessico aulico possono far intuire l’orientamento di un’eventuale elaborazione di queste prove, se mai Pavese avesse inteso renderle pubbliche: aiutare la comprensione dell’italiano dando un ordine più naturale alle parole, evitare elementi che appesantiscano la sintassi, tentare un miglioramento artistico con qualche termine di natura letteraria, senza però mai alterare significativamente la struttura della frase greca. Questa impostazione, in generale, non si discosta poi molto dalle linee-guida che Pavese diede alla traduzione di Rosa Calzecchi Onesti.

85 Anche al di fuori di Iliade I si trovano alcuni esempi di piccole libertà rispetto al greco. Ad esempio a Od. XI

379 ὥρη μὲν πολέων μύθων, ὥρη δὲ καὶ ὕπνου Pavese traduce : «C’è l’ora di molte parole, c’è l’ora del sonno», inserendo di sua iniziativa il doppio «c’è» e rinunciando a tradurre il καὶ a vantaggio di una resa evocativa del verso.

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Parte terza

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