La presidenzializzazione di due democrazie parlamentar
LA FACCIA DEL PARTITO
Secondo l'ex premier conservatore John Major "ogni leader è leader solo con il supporto del proprio partito" (citato in Heffernan e Webb 2005: 43). Tale asserzione è del resto ampiamente confermata dalle vicende politiche di Margaret Thatcher. Considerata uno dei primi ministri più potenti dalla fine della seconda guerra mondiale, è però costretta a lasciare il proprio incarico politico non per una sconfitta elettorale ma perché forzata alle dimissioni anticipate dal proprio partito politico. Questo elemento rappresenta un elemento di differenza cruciale tra una democrazia parlamentare nella quale, appunto, il premier può essere rimosso e sostituito dal Parlamento nel corso della legislatura, ed una democrazia presidenziale, in cui il presidente rimane al sicuro nel suo ufficio fino allo scadere del mandato.
Il rapporto tra il premier ed il proprio partito è dunque fondamentale per comprendere il funzionamento della democrazia inglese ed in particolare i rapporti tra esecutivo e legislativo. Come già scritto in precedenza, esiste uno stretto legame tra Cabinet government e party government: il bipartitismo inglese, unito alla disciplina dei gruppi parlamentari, fa sì che il governo sia formato principalmente dai capi del partito vincitore che dal governo danno così la linea al gruppo parlamentare (Massari 2005).
Mackintosh (1977) nell'avanzare la tesi del prime ministerial government osserva che la forza del premier non poggia soltanto sui poteri istituzionali, ma anche sulla solidità della propria leadership di partito. Infatti le procedure di selezione per la guida dei partiti principali tutelano il premier in carica, rendendone difficoltosa (ma non impossibile) la sostituzione da parte di rivali interni.
Il partito risulta essere così al tempo stesso, per il premier, sia la fonte del proprio potere, che la principale costrizione alla propria libertà d'azione. Nella logica del modello di presidenzializzazione elaborato da Poguntke e Webb, è lecito attendersi un'evoluzione dei rapporti tra leader e partito nel senso di una maggiore autonomia del primo rispetto al secondo. Nel prosieguo del capitolo vedremo se la presidenzializzazione opera, nel periodo esaminato, nei due principali partiti politici britannici: il Partito Laburista ed il Partito Conservatore. Nel periodo preso in esame in questa tesi, il primo partito è per la gran parte del tempo al governo, il secondo all'opposizione ma questo non esclude che sia stato anch'esso interessato al processo di presidenzializzazione, poiché la presidenzializzazione del partito, nello schema teorico proposto da Poguntke e Webb, riguarda non solo i partiti di governo, ma anche i partiti d'opposizione che aspirano a governare.
Il Partito Laburista
Heffernan (2007) sottolinea come Tony Blair, oltre ad essere un predominante primo ministro, sia stato anche un dominante capo di partito. Sotto la sua leadership il Partito Laburista conosce un cambiamento profondo che non riguarda solo l'organizzazione del partito, ma anche la sua identità.
Blair enfatizza molto il proprio ruolo di "modernizzatore", tanto da farne il vero carattere distintivo della sua esperienza politica. Rievocando nelle sue memorie i successi politici del partito negli anni della sua leadership, Blair scrive:
"Quelle vittorie erano il risultato di un gruppo di persone che pensava della Gran Bretagna quello che penso io: che è un grande Paese, con un popolo che sa essere coraggioso, determinato e avventuroso, ma a cui serve un progetto, un'idea, la consapevolezza della posizione che occupa nel mondo di oggi e di domani. E che deve anche costantemente ricordare il suo passato . È questo il motivo per cui ero e rimango, più di ogni altra cosa, non tanto un politico della destra o della sinistra tradizionale, quanto un innovatore" (Blair 2010: XV).
In verità, comunque, il tentativo di modificare il carattere e l'immagine del Partito Laburista per farlo uscire dalla condizione di inferiorità in cui era caduto di fronte all'affermarsi, negli anni ottanta, del predominio dei conservatori di Margaret Thatcher, inizia prima della leadership di Blair.
Una questione ritenuta cruciale dalla dirigenza del Partito Laburista, dagli anni ottanta in poi, è stata quella di rendere il partito più indipendente dai sindacati. Al riguardo, Heffernan e Webb osservano come il Partito Laburista abbia conosciuto una serie di riforme interne volte a rafforzare l'autonomia del vertice nell'elaborazione delle scelte politiche. Questo processo inizia sotto la leadership di Neil Kinnock. Eletto come esponente della sinistra del partito, dopo la scissione del Partito Socialdemocratico (che in seguito è confluito con il Partito Liberale nel Partito Liberaldemocratico) si sposta su posizioni di centro, trovando una convergenza con quella parte della Old right che era rimasta nel Labour (Heppell 2010). Sotto la leadership di Kinnock viene dato maggior peso ai consiglieri ed ai funzionari di partito, mentre viene sempre più marginalizzato, nel processo di elaborazione delle politiche, il
National Executive Committee ed il suo sistema di sub-commissioni, giudicate troppo influenzate dal sindacato (Heffernan e Webb 2005).
Kinnock si dimette da capo del partito dopo la sconfitta alle elezioni del 1992. Gli succede John Smith, che porta avanti il processo di cambiamento iniziato dal suo predecessore. Sotto la sua breve leadership si afferma il principio "one-member-one-vote" (OMOV), cioè la regola per cui ogni membro del Collegio Elettorale29 ha solo un singolo voto (superando così il trade unions block vote), ed è ridotto il peso dei sindacati nella conferenza annuale, che passa dal 90 al 70%30 (Faucher-King 2009). Con Smith iniziano intanto a farsi sempre più spazio nuovi
leader politici, espressione di una nuova generazione di laburisti più propensa a cambiare l'immagine e l'identità del partito. Nel governo ombra di Smith spiccano così le figure di Gordon Brown (vicepremier ombra e responsabile ombra del Tesoro) e di Tony Blair (ministro ombra dell'Interno). Nelle sue memorie, Blair rivendica di aver iniziato da quel ruolo il lavoro di "modernizzazione", operando per cambiare la tradizionale immagine del Labour in materia di sicurezza e legalità (Blair 2010).
L'improvvisa morte di Smith nel 1994 per un attacco di cuore apre a Blair la strada della leadership del partito. La successiva elezione del leader è la prima ad avvenire con l'OMOV. Con il 57% Tony Blair sconfigge i due avversari interni, Margaret Beckett (capo del partito pro-tempore dopo la morte di Smith) e John Prescott (poi eletto viceleader). Il risultato è ancor più significativo se si considera che Blair ottiene una forte investitura da tutte le componenti del Collegio Elettorale: il 60.5% tra i parlamentari, il 58.2% nel CLP, il 52,3% tra i sindacati (Heppell 2010).
Diventato leader, Blair fa una riforma radicale del processo di formazione delle politiche. Ciò avviene nel 1997 attraverso l'avvio di un processo di riforme denominato Partnership in Power: ispirate dalla volontà di coinvolgere maggiormente i membri individuali e le formazioni locali del partito nella formulazione delle politiche, di fatto queste riforme hanno rafforzato la leadership del partito rispetto al precedente sistema, togliendo al National Executive Committee il ruolo di protagonista nell'elaborazione delle politiche pubbliche. Nel nuovo sistema, il processo di formazione delle politiche ruota attorno al National Policy 29 Il Collegio Elettorale (Electoral College), che ha il compito di selezionare il leader ed il viceleader del Partito Laburista, è composto da tre componenti: i parlamentari laburisti (nazionali ed europei), i rappresentanti dei sindacati, gli affiliati riuniti nel Constituency Labour Party (CLP). Introdotto agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso, fu voluto dalla New Left per ridurre il peso del gruppo parlamentare (tradizionalmente più orientato a destra) a cui in precedenza spettava, da solo, la selezione del leader. È invece finito per diventare lo strumento che ha consentito alla nuova leadership, di promuovere il cambiamento del partito in direzione opposta a quella auspicata dalla sinistra del partito. Sull'argomento Heppell (2010).
Forum (NPF), i cui membri sono eletti annualmente dalle sezioni del partito e che opera tramite delle commissioni (controllate dai membri del governo o del governo-ombra) incaricate di elaborare proposte su specifiche tematiche da discutere nel Forum. I risultati dei lavori del NPF sono successivamente sottoposti alla conferenza annuale del partito che può approvarli o respingerli (Faucher-King 2009). Il nuovo sistema è pensato per evitare di fare della conferenza annuale il luogo di aspri scontri e consente alla leadership del partito di guidare il dibattito, di nascondere l'articolazione delle posizioni politiche, di interpretarne i risultati e le proposte (Heffernan e Webb 2005: 47). Faucher-King (2009) osserva come, al di là delle affermazioni di voler stabilire un contatto diretto tra la base ed il vertice, le riforme abbiano inizialmente soprattutto una valenza "pedagogica": l'élite del partito "educa" i membri ad accettare le ricette del New Labour, creando più consenso per il nuovo corso.
Oltre a ciò, Blair utilizza strumenti di leadership plebiscitaria ricorrendo a consultazioni tra gli iscritti. La consultazione diretta dei membri del partito è utilizzata per far passare la modifica della Clausola IV dello statuto del partito (che poneva tra gli obiettivi la nazionalizzazione delle imprese), per ratificare il manifesto elettorale per le elezioni del 1997 e per altre modifiche minori (Faucher-King 2009).
Come abbiamo visto nella prima parte, il ricorso a strumenti di democrazia plebiscitaria all'interno dei partiti politici è controverso, poiché in nome di una maggiore democratizzazione si finisce per rafforzare invece la posizione della leadership che utilizza il consenso dei più passivi e moderati iscritti ordinari per superare le resistenze degli attivisti. La democratizzazione è stata estesa anche alla selezione dei candidati (Heffernan e Webb 2005). Nonostante quest'opera il Partito Laburista conosce durante gli anni di governo di Blair un forte calo degli iscritti: dopo il picco di 405000 raggiunto nel 1997 (erano 265000 nel 1994) gli iscritti crollano a 198026 nel 2005 (Heffernan 2007).
La riduzione della dipendenza dai sindacati e dagli attivisti viene perseguita anche sul piano finanziario. Il New Labour si dota di professionisti del fundraising per la raccolta di fondi, guardando soprattutto alle aziende private e ai soggetti benestanti; ciò è evidente dal 1996, con la nomina di Amanda Delew a consulente per la raccolta fondi di Tony Blair, in seguito diventata direttrice di un'apposita sezione del partito dedicata a tale scopo (Webb e Fischer 2006). Dei quasi 66 milioni di sterline donati al Partito Laburista tra il 2001 ed il 2005 il 64% viene dai sindacati, mentre il 25% proviene dalle tasche di trentasette individui benestanti, tra cui Bernie Eccleston (Heffernan 2007).
gruppo parlamentare. Dopo le elezioni del 1997, è rilasciato ai parlamentari un cercapersone, con il quale potevano essere convocati e si poteva comunicare loro la linea da seguire. Ai parlamentari vengono anche forniti, via fax, comunicati stampa personalizzati da inviare ai giornali locali (Heffernan e Webb 2005).
Ancora una volta però si può costatare come tutti gli strumenti messi in atto dalla leadership per controllare il partito ed il gruppo parlamentare non siano tali da impedire "l'insopprimibile dialettica" di cui parla Massari (vedi sopra). La prova più evidente è la clamorosa rivolta di 138 deputati laburisti che nel 2003 votano, nella Camera dei Comuni, contro l'intervento militare in Iraq; intervento che così passa solo grazie al voto determinante del Partito Conservatore. Secondo Benedetto ed Hix (2007) gli episodi di ribellione tra i parlamentari laburisti, nella legislatura 2001-2005, sono dovuti a fatti quali la lunga permanenza al potere del partito (con il conseguente allargarsi degli ex ministri e dei parlamentari senza prospettive di promozione), la speranza coltivata da molti che un cambio nella premiership potesse determinare equilibri più favorevoli e la relativa sicurezza dei parlamentari nel proprio ufficio (difficilmente, infatti, possono non essere ricandidati se godono dell'appoggio del loro collegio elettorale). Di sicuro queste ribellioni, unite al calo di consenso personale nel paese indeboliscono notevolmente Tony Blair, rendendolo politicamente sempre più dipendente dal sostegno del collega di partito e di governo Brown, che può sfruttare la debolezza dell'altro per imporgli la staffetta a cui aveva a lungo aspirato. Nel 2004 Blair è allora costretto ad annunciare per la prima volta la possibilità di un suo ritiro ma solo nel 2006, a seguito del susseguirsi di ribellioni nel Parlamento e nel governo, si deve impegnare a lasciare il governo entro i successivi dodici mesi. La successione tra i due avviene nel 2007 in maniera "indolore": Brown è l'unico candidato alla leadership nel Collegio Elettorale, il che conferma che l'alternanza tra i due non comporta un cambio nella coalizione dominante nel partito (Faucher-King 2009).
Il Partito Conservatore
Quando nel 1997 John Major è sconfitto da Tony Blair, il Partito Conservatore viene da una lunga stagione di potere che è iniziata nel 1979. Per tornare al governo, la destra dovrà attendere le ultime elezioni del 2010.
Negli undici anni che sono stati all'opposizione, i conservatori hanno ripensato se stessi, sotto vari aspetti, ideali come organizzativi. A proposito dei secondi (che sono quelli che
interessano in questa tesi), la sconfitta del 1997 porta il partito a ripensare il rapporto con la base, nell'ottica di una maggiore democratizzazione.
Heffernan e Webb sottolineano come nel Partito Conservatore la leadership abbia sempre avuto una notevole autonomia dalla base, soprattutto nella formulazione delle politiche. I due studiosi ricordano come, dopo la sconfitta del 1997, il leader conservatore William Hague, presenti un programma di riforme, ispirate ai principi di democrazia e partecipazione, per l'organizzazione del partito, con un documento dal titolo Fresh Future. La conseguenza più importante di questo clima di cambiamento è l'approvazione, nel maggio del 1998, di un unico e codificato statuto del partito. Tra le novità del nuovo statuto, i due politologi sottolineano l'assoggettamento delle Constituency Associations (le organizzazioni di supporto dei candidati nei distretti elettorali) all'autorità del partito centrale, un ruolo maggiore delle conferenze e dei concili di partito nell'influenzare le politiche del partito stesso (ma resta il ruolo predominante della leadership), maggiori diritti agli iscritti nella selezione dei candidati alle elezioni europee, gallesi e londinesi. Ma per Heffernan e Webb il cambiamento più importante riguarda la selezione del capo del partito. Se le vecchie regole prevedevano l'elezione da parte del gruppo parlamentare, le nuove regole lasciano al gruppo parlamentare solo il compito di fare una selezione preliminare riducendo a due i possibili pretendenti, poi gli iscritti scelgono (anche con voto postale) tra i candidati rimasti. La prima applicazione del nuovo sistema, nel settembre del 2001, non è però un vero e proprio esempio di democratizzazione. Il gruppo parlamentare di fatto priva gli iscritti della possibilità di scegliere, dato che si verifica una convergenza quasi unanime dei notabili del partito sulla persona di Duncan Smith. L'unico aspirante rivale è Michael Howard, che cerca inutilmente di convincere il partito della necessità di una competizione reale.
Comunque Heffernan e Webb rilevano come le nuove regole sulla selezione del leader non mettano molto in discussione la solidità del leader conservatore nel suo ufficio. Con le nuove regole la rimozione del leader deve passare da un voto di sfiducia da parte del 1922 Committee (che riunisce i parlamentari conservatori); la richiesta di sfiducia deve essere sostenuta da almeno il 15% dei parlamentari, mentre con le precedenti regole bastava il 10%. Questa procedura trova comunque una sua applicazione nel 2003 quando viene utilizzata per rimuovere Smith dall'incarico.
In ultima analisi, il processo di democratizzazione non ha realmente intaccato il dominio dell'élite parlamentare e si può dire che "la strategica autonomia del leader del Partito Conservatore – sempre relativamente grande – (...) rimane intatta" (Heffernan e Webb 2005:
46).
La conclusione finale di Heffernan e Webb è comunque che i leader dei partiti inglesi godono di notevole autonomia. Nel caso dei laburisti ciò è particolarmente vero dagli anni ottanta del novecento, per i conservatori era così anche prima. Nel complesso i leader sono dunque assai tutelati rispetto a possibili ribellioni anche in virtù della disciplina che caratterizza i partiti britannici.