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REGNO UNITO ED ITALIA: UN CONFRONTO

La presidenzializzazione di due democrazie parlamentar

LA FACCIA ELETTORALE

6. REGNO UNITO ED ITALIA: UN CONFRONTO

Nel periodo considerato, Italia e Regno Unito conoscono entrambi un processo di presidenzializzazione. In entrambe queste due democrazie parlamentari si assiste, infatti, ad un significativo aumento del potere e dell'autonomia del capo di governo in relazione a tutte e tre le facce della presidenzializzazione: esecutiva, partitica ed elettorale.

Come previsto da Poguntke e Webb, la presidenzializzazione di queste due democrazie avviene comunque all'interno dei vincoli della forma di governo parlamentare, comune ai due paesi. Un primo ministro/presidente del Consiglio non è certo un presidente di una repubblica presidenziale. In una democrazia parlamentare la presidenzializzazione dell'esecutivo deve pur sempre fare i conti con l'esistenza del carattere collegiale del Consiglio dei ministri, situazione ben diversa da quella ad esempio del presidente americano che è un primus solus (Sartori 1995). Dal punto di vista della presidenzializzazione del partito, la maggior autonomia del premier dal partito (o dai partiti) non può, comunque, prescindere dal fatto che la sua legittimità a governare e la stabilità della sua posizione dipendono dal consenso del partito o della coalizione di partiti che lo appoggiano in Parlamento. Dal punto di vista, infine, della presidenzializzazione del processo elettorale, per quanto la campagna elettorale e l'attenzione dei media e dei cittadini possano focalizzarsi sul candidato premier, rimane comunque il fatto che gli elettori, nell'urna, votano per i partiti e che non c'è l'elezione diretta del capo del governo.

Dai precedenti capitoli emerge anche che il processo di presidenzializzazione nei due stati esaminati in questa tesi avviene in modo diverso. Coerentemente con lo schema teorico della presidenzializzazione, il diverso modello di democrazia a cui sono iscrivibili i due paesi incide sulla dinamica del fenomeno qui studiato. Nel caso del Regno Unito, più vicino al modello maggioritario (sebbene durante i governi Blair ci sia un aumento degli elementi consensuali), il processo di presidenzializzazione trova meno ostacoli rispetto all'Italia, che nonostante l'introduzione del sistema elettorale maggioritario (poi sostituito con un proporzionale con forte premio di maggioranza), rimane ancorata ad un modello consensuale di democrazia. Nelle prossime pagine confronteremo il processo di presidenzilizzazione nei due paesi con

riferimento alle tre facce.

LA FACCIA DELL'ESECUTIVO

Prima di qualunque altra considerazione bisogna premettere che la posizione del capo del governo in Italia e nel Regno Unito è assai diversa, nonostante siano entrambi i due stati delle democrazie parlamentari. Abbiamo visto nel quarto capitolo che, già negli anni sessanta, numerosi osservatori definiscono la forma di governo inglese Prime ministerial government (governo del premier). Sebbene non tutti condividano questa tesi, già prima della Thatcher e di Blair si ritrova in vari autori la convinzione che il primo ministro stia al di sopra degli altri membri del governo. Per questa ragione Sartori (1995) definisce il premier inglese un primus super pares. Diversamente, in Italia il presidente del Consiglio è sovente definito nella letteratura politologica un primus inter pares (ad esempio Sartori 1995; Calise 2006; Cotta e Verzichelli 2008). A giustificare questa diversa posizione ci sono sia ragioni istituzionali che politiche. Dal punto di vista istituzionale il primo ministro britannico ha più poteri del presidente del Consiglio italiano. In particolare, mentre il primo ministro gode pienamente, almeno sul piano formale, del potere di selezionare i membri del governo, potendo sia nominare che licenziare i ministri, il presidente del Consiglio non ha, neppure sul piano giuridico, questa possibilità, dato che egli può sì proporre i ministri da nominare al presidente della Repubblica (il cui ruolo è meno <<notarile>> rispetto a quello della Regina), ma non ha il potere formale di chiederne la revoca dell'incarico. Inoltre il primo ministro ha anche il potere di sciogliere la Camera dei Comuni, sebbene tale potere si concretizzi nel poter fissare la data delle elezioni e non in un'arma di pressione nei confronti del Parlamento, come evidenzia Massari (vedi capitolo quarto). Dal punto di vista politico, il primo ministro è rafforzato dal fatto di essere il leader del partito di una maggioranza monopartitica, mentre in Italia sono pochi i casi di presidenti del Consiglio che abbiano ricoperto, contemporaneamente all'incarico, il ruolo di leader di partito ed anche quando ciò è avvenuto, è successo all'interno di governi di coalizione. In Italia rimane, inoltre, ancora irrisolto il problema della stabilità dei governi. Come osserva Pasquino (2007), diversamente dal Regno Unito non c'è nella democrazia italiano nessun segreto efficiente, anche se lo stesso studioso invita a non sottovalutare l'esperienza del governo Berlusconi nella stagione 2001-2006. In effetti si potrebbe dire che Berlusconi, tenendo unita leadership di partito di maggioranza relativa e leadership del governo e portando (o almeno tentando di portare) nel governo i leader dei

partiti alleati, si è avvicinato a riprodurre, nel contesto di una democrazia multipartitica, il segreto efficiente della democrazia inglese.

In entrambi i paesi, comunque, assistiamo ad un aumento del potere e dell'autonomia del capo del governo nel periodo considerato.

In entrambi i paesi la presidenzializzazione della politica passa attraverso un aumento delle risorse del capo del governo. Nel caso inglese il premier ricorre in maniera più incisiva rispetto al passato all'uso di consiglieri speciali che acquistano nel governo uno status per certi versi superiore a quello di alcuni ministri del Cabinet. Blair, inoltre, utilizza Downing Street ed il Cabinet Office per costruire un ufficio personale, il Whitehall Center, come già aveva fatto, in parte e prima di lui, la Thatcher. In Italia una serie di interventi legislativi, a partire dalla legge 400 del 1988, organizzano l'ufficio della presidenza del Consiglio dotando così il presidente stesso di maggiori risorse umane e finanziarie. Un ruolo centrale, nel nuovo assetto organizzativo è svolto dal segretario generale, scelto generalmente tra persone di elevata professionalità giuridico-economica.

Nel Regno Unito, tra i consiglieri speciali, spicca la figura di Alistair Campbell, che organizza un vero e proprio ufficio della comunicazione del premier. Tra le attività degli esperti di comunicazione di Blair c'è quella di dare ai ministri la linea sulla comunicazione , in modo che i membri del governo parlino una sola voce. Anche in Italia Prodi e Berlusconi operano per far parlare il governo con una voce unica ma i risultati sono meno efficaci. In un governo di coalizione i singoli partiti sentono comunque l'esigenza di distinguersi per raccogliere consensi elettorali. A differenza di quanto avviene nel Regno Unito, non è insolito che un ministro si schieri apertamente contro le scelte del presidente del Consiglio, senza essere per questo tenuto a dare le dimissioni. Le difficoltà del secondo governo Prodi dimostrano quanto sia difficile uniformare la voce del governo.

Un aspetto comune ai due stati è la maggiore presenza, nei governi, di soggetti privi di un distintivo curriculum politico. Nominare soggetti di questo tipo va nel senso di favorire la presidenzializzazione, poiché i ministri di scarso peso politico hanno più dificoltà ad opporsi alla volontà del capo del governo e sono maggiormente dipendenti da chi li nomina. Nel Regno Unito l'obbligo di selezionare i membri dal Parlamento è aggirato tramite la nomina dei Pari, che è favorita dalla riforma della Camera dei Lord. Si è visto nel capitolo quarto come i governi laburisti di Blair e Brown siano ricorsi a questo espediente per portare nel governo soggetti non eletti alla Camera dei Comuni, in maniera più significativa di quanto avvenisse in passato. In Italia la presenza nel governo di outsiders (intesi come soggetti privi di esperienze

parlamentari e di incarichi di partito nazionale) diventa più frequente nella Seconda Repubblica. Superata la stagione dei governi tecnici, dove la presenza di outsiders risponde molto alla delegittimazione dei partiti a seguito di Tangentopoli, i successivi governi della Seconda Repubblica mantengono una significativa presenza di outsiders rispetto alla Prima. Nel secondo governo Berlusconi, in particolare, i ministri tecnici sono, assieme ai ministri di Forza Italia, quelli più propriamente selezionati dal presidente del Consiglio, ad eccezione del ministro degli Esteri Renato Ruggiero, che è di fatto suggerito al governo dal senatore a vita Agnelli (Campus 2002). La maggiore debolezza dei ministri tecnici nei confronti del presidente del Consiglio è confermata dal fatto che, nella legislatura 2001-2006, sono due ministri tecnici a dover lasciare il governo per contrasti con Berlusconi: Renato Ruggiero e Domenico Siniscalco.

Comune ad entrambi i paesi è inoltre il fatto che il capo del governo invochi il mandato personale per tentare di imporre la propria volontà alla propria maggioranza. Nel Regno Unito Blair trova nel consenso popolare la forza per poter imporre al partito ed al governo scelte di rottura con la tradizione politica del Partito Laburista. In Italia è soprattutto Berlusconi ad enfatizzare il fatto di aver ricevuto un mandato dagli elettori. La personalizzazione del mandato, comunque, avviene anche nel centrosinistra: per Prodi invocare il mandato popolare ricevuto dagli elettori è il modo per cercare di compensare la propria debolezza di leader della coalizione senza un partito. Nel 2005, infatti, nonostante una convergenza unanime dei partiti del centrosinistra che lo indicano come leader, Prodi richiede, come condizione per il proprio impegno e per dare maggiore forza alla propria leadership rispetto ai partiti, di ricevere l'investitura dalle primarie. Solo Berlusconi comunque si spinge ad intepretare il forte mandato popolare alla stregua di un'elezione diretta, dando però un'interpretazione delle elezioni non suffragata dal testo costituzionale. Nel Regno Unito sia laburisti che conservatori convergono nel ritenere che un premier possa essere sostituito nel corso della legislatura (Calise 2006).

L'attenziona alla popolarità del leader comporta, in entrambi i paesi, un maggior riguardo ai sondaggi per misurare il consenso e la popolarità del capo del governo. Nel Regno Unito i laburisti si affidano al lavoro di Philip Gould per monitorare l'opinione pubblica. Il professionismo dei laburisti diventa fonte di ispirazione per gli avversari, tanto che i libri di Gould vengono studiati anche dai conservatori (Kavanagh 2007). In Italia, la Seconda Repubblica vede una particolare attenzione alla popolarità del presidente del Consiglio e del governo e vi è un maggiore impiego di sondaggi e rilevazioni d'opinioni. Come osserva

Bellucci (2006), anche questo è indicativo della crescente importanza dei governi nella Seconda Repubblica.

LA FACCIA DEL PARTITO

Il sistema partitico dei due paesi presenta notevoli differenze. Il Regno Unito è caratterizzato da un sistema bipartitico, l'Italia è un sistema multipartico, seppur caratterizzato nella Seconda Repubblica da una competizione di tipo bipolare.

Ma a differenziare i sistemi dei due paesi è anche la diversa stabilità dei soggetti. Nel Regno Unito i due principali partiti sono rimasti gli stessi da quasi un secolo: il Partito Laburista ed il Partito Conservatore. Nel corso del tempo hanno cambiato aspetti organizzativi ed identitari, ma sono rimasti i protagonisti della politica britannica. Ben diversa è la situazione italiana, nella quale il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica vede la scomparsa dei partiti storici e la formazione di nuovi partiti dalla radici fragili, spesso destinati a scomparire nel giro di pochi anni. Tutto ciò ha delle conseguenze sul modo in cui nascono e si affermano le leadership politiche. Nel Regno Unito Tony Blair si è dovuto far strada all'interno di un partito già esistente, con strutture ed identità ben definite. Nelle proprie memorie (Blair 2010) l'ex premier ricorda come si sia trovato per molti anni, da parlamentare laburista, a sostenere, per opportunità politica, posizioni di cui non era veramente convinto. Ben diversa la situazione di Berlusconi che inventa dal nulla una nuova formazione politica ed ha quindi ampi margini di manovra nel definirne l'identità (sebbene con l'entrata nel partito di uomini politici della Prima Repubblica sia anch'egli costretto ad accettare qualche compromesso).

Comunque, sia nel Regno Unito che in Italia aumentano l'autonomia ed il potere del leader rispetto al partito.

Nel Regno Unito sia il Partito Conservatore che il Partito Laburista conoscono una maggiore democratizzazione nel processo di selezione del leader, con un maggior coinvolgimento degli iscritti. Come si è detto nella prima parte, tali processi di democratizzazione assumono spesso una valenza ambigua poiché finiscono per rafforzare il leader che appellandosi agli iscritti ordinari “scavalca” i più fastidiosi attivisti di partito. Nel caso del Partito Laburista l'aspetto cruciale è la diminuzione dell'influenza dei sindacati, sia nella selezione del leader che nell'elaborazione delle politiche. Forte della sua notevole popolarità, Blair riesce a superare le resistenze interne, rimodellando l'identità del Labour.

modalità diverse. Come sottolianeato da Bardi et al. (2007b) la differenza cruciale è tra partiti con assetto organizzativa bottom-up e partiti con assetto top-down. Nei primi il rafforzamento del leader avviene ampliando la platea d'elezione, rafforzandone la legittimità democratica e aumentandone le risorse. Nei secondi il leader nomina gran parte degli organismi di partito e la democrazia interna è limitata. Vale la pena notare che il primo tipo di organizzazione si ritrova prevalentemente nel centrosinistra, mentre il secondo è decisamente più presente nel centrodestra. Il caso più emblematico resta quello di Forza Italia, il partito personale per eccellenza: l'intero partito è un'espressione del leader e si identifica interamente con la volontà del capo. Una situazione ben diversa da quella inglese dove i leader, per quanto popolari e carismatici possano essere, sono sempre un'espressione del partito, dal cui consenso e sostegno dipende, in ultima analisi, il successo della loro parabola politica.

Il discorso diventa più complesso se si considera per il caso italiano anche la leadership delle coalizioni. In Italia, infatti, a competere per la guida del governo non sono i capi dei singoli partiti, come nel Regno Unito, ma i leader delle coalizioni pre-elettorali. Ci si può allora chiedere quale sia il rapporto tra il leader della coalizione e lo schieramento che lo sostiene. Emerge a riguardo una netta differenza tra fase elettorale e fase post-elettorale (o se si preferisce tra il sistema partitico elettorale e il sistema partitico parlamentare). Nella fase pre- elettorale prevalgono in entrambi gli schieramenti le spinte centripete ed il leader dispone di una certa autonomia rispetto ai partiti che lo sostengono. Nella fase post-voto, dato il prevalere delle spinte centrifughe, la capacità del leader dello schieramento di mantenere la propria posizione è molto legata alle proprie risorse personali. In caso di vittoria dello schieramento rimandiamo a quanto scritto sulla faccia dell'esecutiva nel capitolo 5. In caso di sconfitta vediamo che, mentre Berlusconi, forte della leadership indiscussa del primo partito del centrodestra, riesce sempre a resistere agli attacchi degli alleati che ne mettono in discussione la guida dello schieramento, nel centrosinistra i leader sconfitti vengono drasticamente ridimensionati. È il caso ad esempio di Francesco Rutelli che, dopo una campagna elettorale dell'Ulivo fortemente incentrata sulla sua persona, vede di fatto ridurre il proprio ruolo a capo della sola Margherita.

LA FACCIA ELETTORALE

In entrambi i paesi esaminati appare evidente che le campagne elettorali tendono sempre più a configurarsi come uno scontro tra leader.

Dal punto di vista dello stile, le campagne elettorali dei partiti politici, inglesi come italiani, appaiono incentrate sul leader. Nel caso inglese, il Partito Laburista sviluppa, a partire dagli anni ottanta, una strategia di comunicazione in tal senso producendo filmati dedicati al proprio leader Kinnock. Significativamente, Kinnock lascia il ruolo di leader dopo le elezioni del 1992 attribuendo alla propria immagine la sconfitta. L'enfasi sul leader diventa ancora maggiore con Tony Blair. La sfida tra Blair e Major alle elezioni del 1997 è fortemente incentrata, dai due partiti, sull'immagine dei candidati. Per i laburisti la gioventù e il dinamismo di Blair sono il veicolo per trasmettere il cambiamento d'identità del partito, un'operazione che verrà replicata dai conservatori con il loro ultimo leader, David Cameron. In Italia è soprattuto dall'entrata in politica di Berlusconi che le campagne elettorali assumono uno stile fortemente incentrato sul candidato. Fin da subito, infatti, Berlusconi imposta la campagna elettorale del proprio partito sulla propria persona, attribuendo alla campagna stessa uno stile presidenziale. Questo stile è poi imitato dal centrosinistra. In entrambi i paesi gli staff elettorali dei due candidati si ispirano alle campagne presidenziali americane, riprendendone alcune tecniche.

Sul piano della copertura mediatica, in entrambi i paesi è evidente che i media tendono a focalizzare l'attenzione sui candidati premier. Nel Regno Unito i leader di partito ottengono più spazi televisivi rispetto agli altri politici. In Italia i leader delle due coalizioni ottengono, nei periodi elettorali, più spazio dei capi dei partiti che compongono i rispettivi schieramenti. Più dibattuto è invece l'impatto del leader sul risultato elettorale ed è questo, comunque, l'aspetto più controverso del framework della presidenzializzazione. Gli studiosi sono in genere divisi sul fatto che vi sia un effetto leader sul voto (Barisone 2006). Su questo punto gli studi in materia sembrano ridurre l'importanza di un effetto diretto della personalità del leader sul risultato elettorale, ma non si può negare che il leader sia importante per l'immagine complessiva del partito, specie nel caso dei partiti personali italiani.

LE CAUSE

Nello schema teorico della presidenzializzazione proposto da Poguntke e Webb, l'aumento di potere ed autonomia dei capi di governo non è tanto dovuto all'affermarsi di leadership straordinarie quanto a cause strutturali.

Sia nel caso del Regno Unito che dell'Italia, gli studiosi ritrovano molte delle cause strutturali individuate da Poguntke e Webb.

Internazionalizzazione della politica: la maggior importanza del contesto internazionale rafforza il capo del governo sia nel Regno Unito che in Italia. Nel Regno Unito di Tony Blair e nell'Italia di Berlusconi la crescente importanza dei rapporti diretti tra i leader rafforza il potere ed il prestigio del premier rispetto agli altri membri dell'esecutivo.

Crescita e complessità dello Stato: in entrambi i paesi la crescita della complessità dello Stato favorisce l'aumento di potere del premier.

Cambio nella struttura dei media: la crescente importanza della televisione favorisce una maggior enfasi del partito nei confronti del leader. In Italia e nel Regno Unito si dà maggior rilievo alle caratteristiche personali del candidato che acquista così più autonomia nei confronti del proprio partito.

Erosione delle tradizionali fratture sociali della politica: nel Regno Unito la sinistra così come la destra rispondono alla crisi delle ideologie puntando su nuove leadership che trasmettano la capacità del partito di adattarsi ai cambiamenti in corso e di superare i tradizionali steccati ideologici. In Italia tramontati i grandi partiti storici proliferano i partiti personali.

Oltre alle cause strutturali hanno importanza le cause contingenti, tra le quali rientra certo la presenza di leader politici notevoli. Mentre in Inghilterra l'aumento di potere ed autonomia del capo di governo ha riguardato sia i governi conservatori che quelli laburisti, in Italia il processo di presidenzializzazione appare evidentemente molto più incisivo negli anni dei governi Berlusconi che in quelli del centrosinistra. Rimane comunque il fatto che certi cambiamenti hanno preceduto l'entrata in politica di Berlusconi e che sono state le cause strutturali elencate in precedenza, in particolare l'erosione delle tradizionali fratture sociali della politica, a favorire la rivoluzione nel sistema partitico degli anni novanta e a consentire l' affermazione politica di Berlusconi stesso.

CONCLUSIONE

Al termine del loro studio Poguntke e Webb osservano che la presidenzializzazione rende più forte il leader nelle vittoria e più debole nella sconfitta. Ciò effettivamente sembra avvenire nel

Regno Unito ma non in Italia.

Nel Regno Unito Tony Blair (ma prima di lui Margaret Thatcher) è stato molto forte nei periodi di maggior consenso, tanto da poter imporre al proprio partito scelte controverse, come nel caso delle guerra in Iraq. Nel momento in cui, però, il leader ha perso il consenso dell'opinione pubblica, il partito ha ripreso al sopravvento imponendogli una maggiore condivisione delle scelte e di fissare un termine alla carriera politica.

In Italia assistiamo a leadership di partito politico lunghissime, con leader che rimangono a

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