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PATOLOGIE PER LE QUALI ESISTONO EVIDENZE

Nel documento Cannabis (pagine 62-69)

Il punto sulle conoscenze attual

A. PATOLOGIE PER LE QUALI ESISTONO EVIDENZE

INCONTROVERTIBILI

A1. Trattamento della nausea e del vomito nei pazienti in che- mioterapia

Ogni anno in Italia circa 300 mila pazienti affetti da tumore si sot- topongono a trattamenti di chemioterapia. Si tratta di terapie talo- ra molto debilitanti e che si accompagnano a numerosi effetti col- laterali sgradevoli. Molti dei farmaci chemioterapici comunemen- te utilizzati causano spesso nausea e vomito. Il problema non è di secondaria importanza, considerato che questi pazienti spesso sono già molto debilitati e, non riuscendo a mantenere un regolare apporto di cibo, deperiscono ulteriormente. I cosiddetti farmaci antiemetici, comunemente utilizzati per combattere la nausea e il vomito, non sempre risultano efficaci e possono a loro volta avere effetti collaterali, ad esempio sul sistema nervoso centrale. A partire dagli anni settanta, anni in cui il consumo “voluttuario” della cannabis iniziò a diffondersi in ampie fasce della popolazio- ne, cominciarono ad emergere le prime testimonianze di pazien- ti, i quali riferivano che l’inalazione di derivati della cannabis li aiutava a controllare la nausea e il vomito causati dalla chemiote- rapia (per alcune di queste testimonianze v. il Capitolo 7). Queste esperienze aneddotiche, divenute via via più numerose, die- dero impulso ad alcune verifiche sperimentali, nelle quali l’efficacia antiemetica del delta-9-tetraidrocannabinolo, ossia il THC (v. Capi- tolo 5), veniva messa a confronto, con rigorosa metodologia scien- tifica, con quella dei farmaci convenzionali o di un placebo. I risul- tati di questi studi (Chang, 1979; Frytak, 1979; Herman, 1979; Kluin, 1979) erano tutti concordi nel confermare che i cannabi- noidi risultavano più efficaci delle terapie convenzionali. Il dato è stato confermato nei successivi anni ottanta in numerosi altri studi. Una revisione sistematica pubblicata recentemente sull’autorevole

rivista medica British Medical Journal (Tramer, 2001) ha passato in rassegna tutti gli studi pubblicati sull’argomento e ne ha seleziona- ti almeno trenta che rispondono a criteri di estremo rigore scienti- fico, coinvolgenti circa millequattrocento pazienti. In tutti questi studi l’efficacia antiemetica dei cannabinoidi è risultata superiore a quella dei farmaci “convenzionali” (come: proclorperazina, meto- clopramide, clorpromazina, tietilperazina, aloperidolo, domperido- ne e alizapride).

Sulla base di queste incontrovertibili evidenze, la severissima Food and Drug Administration (FDA), l’organo statunitense deputato al controllo sui farmaci, ha autorizzato, a partire dal 1985, l’immissio- ne in commercio di un analogo sintetico del THC, il dronabinol (nome commerciale Marinol ®), con questa specifica indicazione. Un altro cannabinoide sintetico, il nabilone (nome commerciale

Cesamet®), fu di lì a poco autorizzato al commercio in Gran Breta-

gna. Attualmente, tali farmaci sono comunemente reperibili anche in Belgio, Canada, Germania, Israele, Olanda e Svizzera.

Dronabinol e nabilone sono commercializzati sotto forma di capsule, disponibili in differenti dosaggi, da assumere per via ora- le. Man mano che il loro uso si è andato diffondendo, si è visto che l’assunzione per via orale presentava qualche inconveniente. In primo luogo l’assorbimento per via orale è lento, pertanto le capsule vanno assunte da una a due ore prima del pasto. Questo comporta che i pazienti con nausea e vomito spesso non riescano a trattenerle per il tempo sufficiente all’assorbimento. Inoltre, l’as- sunzione per via orale comporta una metabolizzazione del farma- co a livello del fegato (cosiddetto first-pass epatico), con produ- zione di derivati metabolici meno attivi. Questo comporta spesso la necessità di somministrare dosaggi elevati di THC per riuscire ad ottenere l’effetto terapeutico, il che si traduce inevitabilmente in una maggiore incidenza di effetti collaterali (v. Box Effetti col-

laterali dei cannabinoidi sintetici).

Tutto ciò spiega come mai molti pazienti trovino preferibile il ricorso ai derivati naturali assunti per inalazione, i quali risultano più efficaci e gravati da una minore incidenza di effetti collatera- li sgradevoli (Randall, 1989). L’effetto della cannabis inalata è infatti assai più rapido. Il paziente, inoltre, riesce a raggiungere l’effetto terapeutico con dosaggi minori, e questo comporta una minore incidenza di effetti collaterali.

A ciò si aggiunge il fatto che i derivati naturali contengono, oltre al THC, anche molti altri principi attivi (solo i cannabinoidi sono cir- ca una sessantina; v. Capitolo 5). Tra questi, il cannabidiolo (CBD) sembra possedere interessanti proprietà. Si tratta di un cannabinoi- de non psicotropo, che è tuttavia in grado di modulare l’azione del THC, limitandone gli effetti collaterali e prolungandone la durata di azione (Karniol, 1975; Hollister, 1975). In parole povere, una “miscela” di THC e CBD è, al tempo stesso, più efficace e meglio tollerata rispetto al THC “in purezza” presente nei derivati sintetici. A cosa è dovuto l’effetto antiemetico dei derivati della cannabis? Un gruppo di ricercatori statunitensi ha recentemente chiarito i presup- posti razionali di questa proprietà dei cannabinoidi. Gli autori di que- sto studio hanno dimostrato che il sistema cannabinoide endogeno (v. Capitolo 5) ha un ruolo di primo piano nella modulazione delle aree del cervello deputate al controllo del vomito. I derivati della can- nabis, sia quelli naturali che quelli sintetici, agiscono stimolando i recettori CB1 presenti in queste aree (Darmani, 2001).

A2 - Stimolazione dell’appetito nei pazienti con sindrome da deperimento AIDS-correlata

Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo esistono circa 36 milioni di persone che hanno contratto l’infezione da virus HIV. Grazie alle moderne terapie l’evoluzione

della storia clinica dei pazienti sieropositivi si è radicalmente modificata e il numero dei pazienti che sviluppano la sindrome da immunodeficienza (AIDS) è fortunatamente diminuito. In Italia, stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2000 sono sta- ti diagnosticati 1.426 casi di AIDS (nel 1996 erano 5.048, nel 1999 sono stati 2.083). Anche il numero dei decessi è in sensibi- le diminuzione (2.134 nel 1996, 333 nel 1999, 131 nel 2000). È noto che il mantenimento di un adeguato apporto calorico e peso corporeo è di importanza critica nel determinare la progno- si dei pazienti con infezione da HIV. Quando, per la presenza di infezioni dell’apparato digerente, non si riesce a garantire un ade- guato apporto di cibo, possono comparire segni di malnutrizione. Se il peso corporeo scende oltre una certa soglia si instaura il qua- dro della cosiddetta wasting syndrome (sindrome da deperimento), che è spesso associato ad una prognosi infausta.

La maggior parte dei farmaci studiati quali stimolanti dell’appeti- to nei pazienti con sindrome da deperimento ha dato risultati insoddisfacenti. L’unico stimolante di una qualche efficacia risul- ta essere il megestrol acetato (Megace ®), un derivato del progeste- rone che ad alte dosi (320-640 mg/die) ha prodotto qualche risul- tato in termini di aumento di peso, dovuto però prevalentemen- te ad un aumento del grasso corporeo.

La capacità dei derivati della cannabis di stimolare l’appetito è nota da tempo e costituisce un’esperienza comune per i molti che ne fan- no un uso “ricreativo”. Alcune evidenze aneddotiche suggeriscono che tale proprietà possa essere utilizzata a fini terapeutici nei pazien- ti HIV positivi (Grinspoon, 1993). Verifiche sperimentali, con- dotte su volontari sani, hanno confermato che il fumo di marijua- na aumenta l’appetito e l’assunzione di cibo, incrementando il peso corporeo (Foltin, 1988). Le basi razionali di tale proprietà dei can- nabinoidi sono state recentemente chiarite da un gruppo di ricer-

catori italiani e americani che hanno dimostrato che il sistema dei cannabinoidi endogeni (v. Capitolo 5) ha un ruolo centrale nella regolazione dell’apporto di cibo (Di Marzo, 2001).

Diversi studi clinici controllati (Gorter, 1992; Struwe, 1993; Beal, 1995) hanno saggiato, in pazienti HIV positivi, l’efficacia nella sti- molazione dell’appetito di un cannabinoide sintetico, il dronabi- nol (v. Capitolo 5). La FDA ne ha autorizzato l’uso quale «stimo- lante per l’appetito nei pazienti con perdita di peso AIDS-correla- ta» a partire dal 1992; il farmaco è stato successivamente registra- to, con questa specifica indicazione, anche in alcuni paesi europei. L’Italia non è ovviamente fra questi.

Tra i pazienti HIV positivi statunitensi e, supponiamo, anche tra quelli italiani, l’uso terapeutico dei derivati della cannabis sembra essere piuttosto diffuso. Secondo dati della casa farmaceutica ame- ricana Unimed, i sieropositivi sono la categoria di pazienti nume- ricamente più rilevante tra gli utilizzatori di dronabinol. Molti pazienti comunque continuano a preferire ai cannabinoidi sinte- tici i derivati naturali, che sono a loro dire più efficaci e meglio tollerati (riguardo agli effetti collaterali dei cannabinoidi sinteti- ci vedi quanto detto nel precedente paragrafo Trattamento nausea

e vomito in chemioterapia).

La diffusione dell’uso terapeutico dei cannabinoidi tra i pazienti HIV positivi ha fatto sorgere qualche timore nel mondo medico. Una preoccupazione diffusa riguardava le possibili interazioni negative della cannabis con il sistema immunitario. È stato solle- vato, inoltre, il problema di possibili interazioni dannose tra i far- maci antivirali e i derivati della cannabis, dal momento che gli ini- bitori delle proteasi e il THC utilizzano, a livello epatico, analo- ghe vie metaboliche. Tali timori sono stati dissipati da due recen- ti studi, entrambi condotti presso l’Università di San Francisco, che hanno fornito al riguardo conclusioni molto rassicuranti. Il pri-

mo studio ha coinvolto 67 pazienti in terapia con inibitori delle proteasi (Abrams, 2001). I pazienti sono stati suddivisi in 3 grup- pi di trattamento: alcuni assumevano cannabis per inalazione, altri capsule di dronabinol e altri ancora un placebo. A conclusione del periodo di osservazione non ci sono state differenze statisticamen- te significative tra i tre gruppi per quanto riguarda l’andamento dei livelli del virus nel sangue (che anzi sono risultati leggermente più bassi nei pazienti che assumevano derivati della cannabis). Nei pazienti trattati con derivati della cannabis (naturali o sintetici che fossero) si è osservato un guadagno medio di 2.2 kg di peso cor- poreo, contro 0.6 kg di quelli trattati con placebo.

Con analoga metodologia sono state quindi valutate le possibili interazioni negative tra i cannabinoidi e due farmaci antivirali, nel- finavir e indinavir, attualmente utilizzati nei pazienti con AIDS (Kosel, 2002). È risultato che i cannabinoidi, sia naturali che sin- tetici, non hanno avuto alcun impatto negativo sull’efficacia del- le terapie antivirali.

Molti pazienti riferiscono che i cannabinoidi, oltre a stimolare l’appetito, sono efficaci anche nel ridurre la nausea e altri effetti collaterali dei farmaci antivirali. Alcuni riferiscono di trarre gio- vamento anche dagli effetti analgesici, antidepressivi e ipnoindut- tori. Per l’insieme di queste proprietà, unite al buon profilo di tol- lerabilità di queste sostanze, i derivati della cannabis sono stati definiti dalla British Medical Association un utile strumento nel- la terapia delle infezioni da HIV, sul quale puntare l’attenzione per ulteriori approfondimenti (Robson, 1998).

Nel documento Cannabis (pagine 62-69)