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NON QUOTATE

4.1 Patto parasociale e gestione nella s.p.a.

Come più volte detto, i patti parasociali, in quanto accordi fra due o più soci, presentano cause diverse secondo gli scopi pratici che i contraenti intendono raggiungere.

L’influenza che i soci intendono esercitare sulla società non necessariamente è diretta al miglioramento dell’efficienza dell’organizzazione, talora gli accordi relativi ad una particolare regolamentazione della circolazione delle azioni e delle quote o riguardanti specifici rapporti dei contraenti con la società

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potrebbero contrastare con norme inderogabili dell’ordinamento.

Nasce così il problema della legittimità di tali patti.

Nella pratica societaria si riscontrano spesso accordi fra i soci diretti non solo a governare il loro voto nelle assemblee, ma anche ad intervenire in spazi di competenza diversi da quello assembleare.

Un patto sul voto relativo alla scelta e nomina degli amministratori può anche contenere quello, considerato talora complementare, di esercitare, dopo quella nomina, una influenza sulle decisioni che gli amministratori dovranno assumere nell’esercizio delle loro funzioni. Si tratta di vedere in quale modo si vuole esercitare l’influenza. Di solito, coloro che stipulano il patto non sono soddisfatti delle regole che la legge o lo statuto pongono per disciplinare la condotta degli amministratori, e vogliono, grazie al peso che gli deriva dal contributo dato al capitale, aggiungere qualche regola in più da loro elaborata con l’intento di determinarne o indirizzarne l’attività.

Il recente ordinamento societario, a differenza di quello precedente, ha separato la funzione di gestione dell’impresa societaria da quella propria dell’assemblea, dichiarandola di esclusiva competenza degli amministratori.

Lo scopo che la legge ha inteso in questo modo realizzare, è stato quello di non consentire la separazione della

responsabilità dall’esercizio della gestione dell’impresa172.

In passato accadeva, invece, che l’assemblea, grazie al potere che lo statuto o la richiesta degli amministratori le attribuiva a norma dell’ art. 2364, n.4, c.c., talora decidesse atti di gestione

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Salafia, Esame di validità di alcuni patti parasociali relativi a società non

rimettendone l’esecuzione agli amministratori. Questa pratica era stata incentivata da un orientamento giurisprudenziale

consolidato173, che esonerava da responsabilità per i danni che

ne fossero derivati sia gli amministratori, salvo che fossero imputabili esclusivamente al loro negligente o inesperto comportamento esecutivo, sia i soci, che con il voto favorevole avevano determinato la decisione, in quanto la loro volontà si identificava con quella dell’ente danneggiato.

La recente riforma ha però realizzato il principio dell’esclusiva competenza degli amministratori nella gestione dell’impresa solo nella disciplina della società per azioni, non anche in quella della società a responsabilità limitata, secondo la quale gli statuti delle possono attribuire a determinati soci “particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società”.

Secondo dunque le richiamate regole dell’ordinamento societario vigente, laddove ai soci della società per azioni riunita in assemblea è inibita qualsiasi decisione diretta a condizionare o limitare la funzione gestoria propria dell’organo amministrativo, a quelli della società a responsabilità limitata gli statuti possono riconoscere un particolare potere riguardante l’amministrazione della società.

Queste differenti disposizioni devono essere tenute presenti nella valutazione dei patti parasociali riguardanti l’influenza che i contraenti intendono esercitare sugli amministratori.

Quella contenuta nella disciplina della società azionaria (cfr. art. 2380 bis c.c.) è certamente inderogabile, dato l’interesse generale che ne costituisce il fondamento. È, infatti, interesse generale che chiunque compia atti, che possano arrecare danni ad altri, ne risponda, soprattutto quando i danni

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coinvolgano indirettamente altri soggetti (quali ad esempio i creditori) diversi da quello direttamente colpito, cioè la società. In questo quadro normativo, un patto parasociale che vincoli i contraenti, agendo oltre tutto fuori dalla sede assembleare, a condizionare la gestione dell’impresa societaria mediante ordini o approvazioni o ancora autorizzazioni, non può non considerarsi nullo per illiceità della sua causa a norma dell’art.

1418 c.c.174.

Lo scopo del patto consiste, infatti, nel modificare

l’organizzazione tipica della società, così come voluta dalla

legge, per introdurvi elementi che, nella fattispecie,

derogherebbero alla esclusiva competenza gestionale degli amministratori, che la riforma ha introdotto anche per finalità di carattere generale, e consentirebbero di riversare la responsabilità sociale solo sugli amministratori escludendo quella di coloro che ne hanno indirizzato e determinando il comportamento.

Conclusione alla quale avrebbe dovuto pervenirsi anche nel vigore del precedente ordinamento, il quale consentiva, a certe condizioni, una modica attività gestionale all’assemblea, ma non ai soci che, agendo individualmente o in gruppo, avessero condizionato la condotta degli amministratori.

Se l’obbligazione di indirizzare la gestione dell’impresa fosse assunta in base ad una clausola secondaria del patto, avente per oggetto principale l’accordo per l’espressione di un voto concordato nella scelta degli amministratori, l’intero patto

dovrebbe essere considerato nullo a norma dell’art. 1419 c.c.175.

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Monelli, Sintesi dei risultati del convegno, AA. VV., Sindacati di voto e di

blocco, 481; Schlesinger, Oggetto delle clausole dei sindacati di voto, in Giur. Comm., 1992, I, 419; Semino, Il problema della validità dei sindacati di voto,

Milano, 2003, 144.

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Il fatto che nel patto la clausola in esame abbia una funzione apparentemente secondaria non toglie che, nell’intera economia dell’accordo, il condizionamento della funzione propria dell’organo amministrativo rappresenta uno scopo senza la realizzazione del quale l’accordo tra i soci nella nomina degli amministratori apparirebbe frustrato.

Naturalmente, potrebbe in concreto accertarsi che i contraenti sono stati mossi anche dall’interesse di contribuire in misura determinante nella scelta degli amministratori al solo fine di proporre all’organo amministrativo persone competenti ed affidabili. In questo caso il giudizio di nullità dovrebbe riguardare solo quella parte del negozio che contrasta con la sopra citata norma dell’ordinamento.

Nelle società per azioni, che ricorrono al mercato del capitale di rischio, i patti parasociali che, come quello che si è assunto in esame, hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto, devono essere pubblicati, a norma dell’art. 2341 ter c.c., mediante loro dichiarazione in apertura di ogni assemblea. Ovviamente la dichiarazione non può limitarsi ad una parte del patto, ma deve comprendere tutte le clausole che lo9 connotano.

Nel caso in esame deve anche comprendere la clausola diretta a condizionare l’attività di gestione dell’impresa, perché, a prescindere dalla sua complementarietà all’accordo sul voto, riguarda il comportamento dei contraenti, successivo al voto, diretto ad esercitare un’influenza dominante sulla società. Si tratta all’evidenza di un accordo che, nell’economia del contratto, serve da corollario a quello che apparentemente ha il ruolo principale e, in quanto tale, deve essere comunicato alla società e agli altri soci. L’omessa comunicazione comporta, quindi, l’applicazione della sanzione prevista dalla legge,

consistente nella sterilizzazione del voto dei soci contraenti in assemblea.

Sanzione che non elimina il comportamento che di fatto i contraenti potrebbero mettere in atto, nonostante la nullità dell’accordo. Questo comportamento non viene colpito direttamente dalla legge, perché la dissuasione dalla sua osservanza viene assicurata, soprattutto, con il coinvolgimento degli autori, che lo avessero attuato, nella responsabilità degli amministratori, che il condizionamento avessero subito e rispettato. Sembra infatti che del comportamento degli amministratori debbono rispondere solidalmente anche coloro che lo hanno determinato, concorrendo così, come sostanziali amministratori di fatto, nella gestione dell’impresa.

Questa conclusione riguarda il patto che ha per oggetto la determinazione della condotta degli amministratori, non anche quello che avesse per oggetto l’elaborazione di piani e strategie da sottoporre all’attenzione degli amministratori, senza che se ne preveda alcun vincolo per la loro osservanza.

La riforma esclude dalla competenza dell’assemblea anche l’elaborazione di piani e strategie, che sono riservati agli ammi8nistratori, cfr. art. 2381, comma 3, c.c.; nel modello tradizionale di amministrazione, il consiglio di amministrazione li esamina e li valuta, quando fossero elaborati dagli

amministratori delegati;. Nel modello dualistico,

eccezionalmente il consiglio di sorveglianza (cfr. art. 2409

terdecies, lett. f, bis c.c.) può deliberare su di essi, se previsto

dallo statuto, quando fossero predisposti dal consiglio di gestione.

Ciò nonostante, si ritiene in contrasto con norme inderogabili l’iniziativa che due o più soci assumessero di prestare una

collaborazione agli amministratori, prescindendo da specifici atti di gestione e fosse limitata alla indicazione di linee generali di amministrazione.

È naturale pensare che l’assunzione di iniziative di questo genere hanno l’ambizione di suscitare l’interesse dei destinatari, specialmente se esse provengano da un centro che, per l’entità di partecipazione al capitale, costituisca punto di riferimento.

Tuttavia, l’eventuale interesse degli amministratori non potrà scambiarsi con atteggiamento di soggezione.

Un patto di questo tenore, data l’importanza del centro dal quale proviene, potrebbe essere considerato idoneo a produrre una influenza dominante sulla società e, in quanto tale, andrà sottoposto alla disciplina pubblicitaria prevista dall’art. 2341 ter c.c.