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Popolazioni a cui porre particolare attenzione

PAZIENTE DONNA

Circa il 50% delle persone con infezione da HIV sono donne e la predominante modalità di trasmissione di HIV risulta essere quella eterosessuale. Pur tuttavia, tale popolazione è penalizzata rispetto a quella maschile sia per condizioni economico-sociali sia per aspetti correlati più propriamente all’infezione da HIV (prevenzione e counselling, ritardo nella diagnosi e nell’accesso alla cure, mancanza di studi di genere). Occorre predisporre, laddove possibile, un circuito integrato di gestione delle problematiche assistenziali per le donne con infezione da HIV che comprenda non solo il trattamento dell’infezione stessa, ma anche specifici programmi di screening e prevenzione che riguardano la donna in generale.

Inizio del trattamento antiretrovirale e risposta alla terapia antiretrovirale: differenze di genere Non vi sono differenze di genere su quando iniziare la terapia antiretrovirale e sulla risposta immunovirologica. Infatti, sia studi clinici che studi di coorte [1-5], pur con il limite della scarsa numerosità di donne incluse (<30%), hanno dimostrato una sostanziale equivalenza di risposta sia per genere sia per età [6]. Numerosi studi invece indicano che le donne, rispetto al sesso maschile, accedono alla terapia antiretrovirale più tardivamente soprattutto se questa comprende un inibitore delle proteasi [7, 8]. E’ controverso invece se le donne presentino minor aderenza alla terapia. E’ necessario quindi che nuovi studi clinici, rivolti alla sperimentazione di nuove molecole o a nuove strategie terapeutiche, arruolino un adeguato numero di donne per evidenziare meglio tali problematiche. Quindi:

- Non vi sono differenze significative di genere nella risposta complessiva alla terapia antiretrovirale.

- Sono auspicabili studi clinici controllati che arruolino un adeguato numero di donne per meglio valutare se esistono delle differenze di accesso e di aderenza alla terapia antiretrovirale nei due sessi.

Le considerazioni sulla terapia antiretrovirale nella donna HIV-positiva sono riportate in Tab.1. Le tossicità correlate alla terapia antiretrovirale: differenze di genere

Molti studi confermano che le donne HIV positive modificano o interrompono la terapia antiretrovirale più frequentemente rispetto alla popolazione maschile per effetti collaterali: i più significativi sono i sintomi gastroenterici, rash e acidosi lattica [1]. Gli eventi avversi associati agli NRTI più comuni nelle donne includono acidosi lattica, epatotossicità ed anemia legata all’uso di zidovudina [9]. Per quanto riguarda gli NNRTI è controindicato l’uso di nevirapina nelle donne naive con CD4+ > 250 cellule/µL per un possibile sviluppo di epatotossicità [10]. Nelle donne in età fertile che prevedono una possibile gravidanza è invece controindicato l’uso di EFV per i riconosciuti effetti teratogeni sul feto durante l’organogenesi [11]. Anche per gli inibitori delle proteasi gli eventi avversi sono maggiori nelle donne, soprattutto quelli gastroenterici e molto spesso legati a ritonavir [4]. Considerato che la terapia antiretrovirale può aumentare la “resistenza ovarica” con possibile menopausa precoce, occorre un monitoraggio sulla funzionalità ovarica soprattutto nelle donne in età fertile con desiderio di maternità.

Dopo l’inizio della HAART sono le donne rispetto agli uomini che sviluppano maggiormente cambiamenti antropometrici con lipoatrofia periferica e lipoaccumulo centrale [12]. Il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari è più alto nella popolazione maschile che in quella femminile HIV positiva. Tuttavia nelle donne HIV positive rispetto alla popolazione generale è più alta la

prevalenza di patologie cardiovascolari, con più alti valori di trigliceridi, leptina, colesterolo LDL [13]. Non ci sono studi che indichino in tale popolazione un maggior rischio di insulino resistenza anche se donne con sindrome lipodistrofica in terapia con inibitori delle proteasi possono essere considerate a rischio [14]. La relazione tra osteopenia e osteoporosi, infezione da HIV e terapia antiretrovirale è ancora controversa [15]. Se si considerano i fattori di rischio tradizionali, quali epoca delle menopausa e peso, comunque le donne HIV positive rispetto alla popolazione generale femminile sono a maggior rischio di bassi livelli di densità minerale ossea (BMD) e di vitamina D [16-17].

Sulla base di queste osservazioni viene raccomandato di:

- Iniziare una terapia antiretrovirale che tenga conto degli effetti collaterali e delle tossicità (es. intolleranza gastroenterica, lipodistrofia) in modo da ridurre il rischio di sospensione o mancata aderenza [AII].

- Il non utilizzo di una terapia d’esordio con NVP nelle donne con CD4+ > 250 cellule/µL per l’elevato rischio di epatotossicità, a meno che non vi siano altre alternative possibili o il beneficio da suddetta terapia superi i rischi ad essa correlati [AII].

- Controindicare l’uso di efavirenz nelle donne che prevedono una possibile gravidanza per l’elevato rischio teratogeno del farmaco [AIII].

- Controllare la BMD con Densitometria Assiale a Raggi X (DEXA) e dosaggio di vitamina D in tutte le donne in menopausa e nelle donne in premenopausa con ≥ 1 fattore di rischio comuni per osteoporosi [AI].

Farmacocinetica degli antiretrovirali: differenze di genere

Diversi studi hanno dimostrato che esistono differenze nei due sessi riguardo la bio-disponibilità, distribuzione ed eliminazione dei farmaci antiretrovirali [18-23]. Al momento non esiste una terapia antiretrovirale basata sul peso corporeo della paziente mentre è ben noto come vi siano delle interazioni farmacocinetiche tra farmaci antiretrovirali e contraccettivi orali capaci di compromettere l’effetto contraccettivo di questi ultimi [24-26]. Si prega di riferirsi alla parte specifica dedicata al Monitoraggio Farmacologico e Interazioni.

Viene pertanto raccomandato:

- Utilizzare indicatori quali Therapeutic Drug Monitoring (TDM), laddove è possibile, quando si sospetta che la comparsa di eventi avversi o una ridotta efficacia possano essere dovuti ad una minore biodisponibilità del farmaco antiretrovirale [CIII].

- Valutare attentamente ed informare la paziente sulle possibili interazioni tra contraccettivi orali e farmaci antiretrovirali [AI].

La sindrome depressiva nella donna HIV positiva

La depressione rappresenta una della co-morbidità con maggiore prevalenza tra i soggetti con infezione da HIV (4,9-17,9%) [27, 28] e le donne mostrano un rischio elevato di sviluppare depressione [29], significativamente maggiore rispetto alla popolazione maschile [30, 31]. Non ci sono studi clinici che abbiano valutato l’efficacia della terapia antidepressiva nelle donne HIV- positive; è comunque stato dimostrato che l’aderenza alla terapia antidepressiva correla con l’aumento dell’aderenza alla terapia antiretrovirale e ad una migliore risposta immunovirologica [32].

- Riconoscere e trattare la depressione nelle donne con infezione da HIV è di prioritaria importanza [AIII].

Carcinoma della cervice uterina e altre patologie oncologiche nelle donne HIV-positive Nella donna HIV positiva il rischio neoplastico è destinato ad aumentare nel tempo sia per l’aumento della sopravvivenza che per l’elevata esposizione a carcinogeni virali ed ambientali. Pertanto la prevenzione e la diagnosi precoce delle patologie tumorali devono riguardare non solo patologie AIDS correlate, ma anche le comuni neoplasie che colpiscono la popolazione generale. Si prega di riferirsi alla parte relativa ai tumori delle presenti linee guida.

Malattie sessualmente trasmesse e altre coinfezioni

La presenza di infezioni sessualmente trasmesse o di lesioni genitali possono amplificare il rischio di trasmissione e di acquisizione dell’infezione da HIV. E’ dimostrata l’associazione tra l’infiammazione della mucosa genitale, l’infezione da Herpes genitalis di tipo 2, l’immunoattivazione e lo shedding di virus HIV [33-36]. La valutazione del rischio sessuale, la diagnosi e la cura delle infezioni genitali è raccomandata per ridurre il rischio di trasmissione e di acquisizione di virus HIV [CIII]. La diagnosi e il trattamento delle infezioni sessualmente trasmesse non differiscono nelle donne HIV positive rispetto alla popolazione generale [AII]. In considerazione dell’aumentato rischio di accessi tubo-ovarici infiammazione pelvica con conseguente possibile occlusione tubarica bilaterale e relativa infertilità, si raccomanda uno screening con infezione da Clamidia e Mycoplasma [AII]. Alcune evidenze dimostrano come la menopausa induca una più rapida progressione della fibrosi epatica nelle donne con epatite cronica C rispetto agli uomini [37-39]. Non vi sono dati che possano confermare questo trend nelle donne con coinfezione HIV/HCV.

Viene pertanto raccomandato:

- Il trattamento dell’epatite cronica C deve essere effettuato il prima possibile per ridurre il rischio di fibrosi epatica soprattutto in donne in menopausa [CIII].

Tab. 1 - Raccomandazioni terapeutiche per la donna HIV-positiva

- Sull’inizio della terapia antiretrovirale e sulla risposta immunovirologica da raggiungere non vi sono differenze rispetto la popolazione maschile [AI]

- Non vi sono differenze significative con la popolazione maschile per quanto riguarda la risposta virologica ed immunologica [AI]

- Nelle donne con CD4+ > 250 cellule/µL non è raccomandato l’inizio di una terapia con NVP per l’elevato rischio di epatotossicità, a meno che non vi siano altre alternative possibili o il beneficio da suddetta terapia superi i rischi ad essa correlati

- Nelle donne che prevedono una possibile gravidanza o che non possono/non vogliono utilizzare efficaci metodi contraccettivi non è raccomandato l’utilizzo di efavirenz per l’elevato rischio teratogeno del farmaco durante il primo trimestre di gravidanza [AIII]

- Le donne in terapia antiretrovirale con farmaci che interagiscono con i contraccettivi orali devono usare metodi contraccettivi supplementari per prevenire il concepimento [AIII]

- La selezione di un regime antiretrovirale deve tenere in considerazione i rischi di specifiche complicazioni (elevato rischio cardiovascolare, osteopenia, ecc.) che possono compromettere la durata e l’aderenza alla terapia [AIII]