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Una peculiare forma di “abuso della giurisprudenza”: il contenzioso Poste

Come è noto, il datore di lavoro che più di ogni altro ha fatto uso (abuso) dello strumento contrattuale in questione è l’Ente Poste Italiane S.p.A.

L’origine di tale fenomeno è da ricondurre al processo di privatizzazione dell’Ente, ad opera del d.l. n. 487/1993 (conv. con modificazioni nella l. n.

216 Angelidaki, cit., punto 156; Adeneler, cit., punti 84 e 85; Vassilakis, cit., punti 107 e 108. 217

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71/1994) che ha trasformato l'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni in Ente Pubblico economico, sotto la denominazione di Ente Poste Italiane.

Ai sensi dell'art. 6, comma sesto, d.l. n. 487/1993, i rapporti di lavoro con l'Ente Poste Italiane dovevano ritenersi privatizzati con un regime transitorio sino alla stipulazione del nuovo contratto collettivo. Quest’ultimo è stato stipulato il 26 novembre 1994. Pertanto, quanto meno a partire da tale data, i rapporti di lavoro con l’Ente Poste si sarebbero ritenuti sottoposti al regime privatistico. Le assunzioni a termine trovavano, quindi, diretta regolamentazione nella contrattazione collettiva, alla quale, ai sensi dell’art. 23, l. n. 56/1987, era stata riservata la possibilità di prevedere ipotesi ulteriori rispetto a quelle tassativamente indicate dalla l. n. 230/1962. Nella specie, le ipotesi previste dall’art. 8, comma 2, Ccnl Poste del 26 novembre 1994 riguardavano: «necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre»; «incrementi di attività in dipendenza di eventi eccezionali o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo che non sia possibile soddisfare con il normale organico»; nonché «punte di più intensa attività stagionale». Il successivo accordo del 25 settembre 1997 ha aggiunto il riferimento alle «esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse». Il Ccnl del 11 gennaio 2001 ha poi previsto, all’art. 25 l’ipotesi di «sostituzione di lavoratori partecipanti a corsi di riqualificazione professionale» ed ha reso attuale la clausola introdotta con l’accordo del 25 settembre 1997.

Sfruttando tali “causali”, sono stati stipulati migliaia di contratti a termine, tutti ritenuti illegittimi e trasformati in contratti a tempo indeterminato, ai sensi della l. n. 230/1962. Tale situazione, insostenibile per le finanze dell’Ente, ha portato al primo intervento legislativo c.d. «salva-Poste»218. Si fa riferimento alla disposizione di cui all’art. 9, comma 21, secondo capoverso, d.l. n. 608/1996: «Le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'ente "Poste italiane", a decorrere dalla data della sua

218

Cfr. MISCIONE M., Il diritto del lavoro dopo il d.l. n. 112 del 2008 su sviluppo economico e semplificazione, in Lav. giur., 2008, 976.

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costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto». Si trattava, in altri termini, di una «deroga transitoria» ma «anche retroattiva che ha annullato gli effetti di numerose

sentenze di condanna alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro»219.

Tale norma, com’era prevedibile, ha sollevato numerose questioni di legittimità costituzionale, tutte respinte dal giudice delle leggi, con pronuncia n. 419/2000220. Secondo la Corte, «L'assoluta eccezionalità di tale situazione, a

prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alle eventuali responsabilità degli organi dell'ente, consente di individuare agevolmente la ratio della norma denunciata nella esigenza, avvertita come prioritaria, di salvaguardare l'interesse generale al buon esito del processo di privatizzazione del servizio postale. Il legislatore - come emerge con chiarezza anche dai lavori preparatori - ha cioè ritenuto che l'imprevista assunzione coattiva con rapporto a tempo indeterminato di migliaia di lavoratori potesse gravemente ed irreparabilmente pregiudicare il risanamento finanziario dell'ente, costituente ineludibile presupposto per la sua trasformazione in una società per azioni, destinata ad operare sul mercato in regime di parziale concorrenza e con criteri di economicità». Inoltre, «l'attribuzione di efficacia retroattiva alla norma impugnata appare giustificata dalla esigenza di porre rimedio ad una situazione del tutto eccezionale e tale da compromettere irreparabilmente l'equilibrio finanziario e lo stesso processo di privatizzazione dell'ente».

Con la nuova disciplina di cui all’art. 1, d.lgs. n. 368/2001, L’Ente Poste ha continuato a reiterare un numero sempre maggiore di contratti a termine illegittimi, in tal caso generati dall’assenza di specificità delle causali adottate221 (il caso ricorrente era il ricorso alle “ragioni di carattere sostitutivo” senza indicare il nominativo del lavoratore da sostituire)222.

219 G

ENTILE G., Il contratto a tempo determinato nel contenzioso Poste Italiane, in FERRARO G. (a cura di), Il contratto a tempo determinato. Aggiornato al d.l. n. 112/2008 conv. in legge n. 133/2008, Torino, 2008, 235 ss.

220 Corte Cost., 13 ottobre 2000, n. 419, in Riv. giur. lav., 2001, II, 33. 221 Per una casistica in tal senso, cfr. D

I CORRADO G., Riforma del contratto di lavoro a termine nel privato e nel pubblico impiego, Napoli, 2010, 82 ss.

222

Cfr. DE MICHELE V., La sentenza "Houdini'" della Corte Costituzionale sul contratto a tempo determinato, in Lav. giur., 2009, X, 1006 ss.

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Dall’inarrestabile susseguirsi di sentenze favorevoli per i lavoratori, volte al riconoscimento della trasformazione del contratto, è derivato il secondo intervento «salva-Poste», ossia l’art. 1, comma 558, l. n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), che ha introdotto il comma 1-bis, art. 2, d.lgs. n. 368/2001, per cui è consentita l’apposizione del termine al contratto di lavoro «quando l'assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale, riferito al 1° gennaio dell'anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente comma». In sostanza, tale disposizione ha introdotto la possibilità, per l’Ente Poste, di stipulare contratti a termine privi della causale prevista dall’art. 1, d.lgs. n. 368/2001. Anche in questo caso, la questione di legittimità costituzionale sollevata è stata risolta in senso favorevole per il datore di lavoro «speciale».

Con sentenza n. 214/2009, la Corte ha infatti ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Roma con

ordinanza del 26 febbraio 2008223, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 101,

102 e 104 Cost., sul presupposto per cui non sarebbe ravvisabile alcuna disparità di trattamento rispetto ai lavoratori di altri settori. La norma censurata costituisce, secondo il giudizio della Corte, la tipizzazione legislativa di un’ipotesi di valida apposizione del termine, basata su una valutazione, operata una volta per tutte in via generale ed astratta, delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di una quota sicura di organico flessibile, funzionale all’onere di svolgimento del c.d. servizio universale (raccolta, trasporto e distribuzione della corrispondenza), che l’Italia è tenuta a rispettare in esecuzione degli obblighi di fonte comunitaria derivanti dalla direttiva 1997/67/CE. Inoltre, la norma non esclude affatto il controllo giudiziale circa l’effettiva giustificazione del contratto a termine: «la norma censurata si

limita a richiedere, per la stipula di contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli

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valevoli in generale (…). Pertanto il giudice ben può esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza in concreto di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale».

Con tale pronuncia la Corte ha evidentemente deluso le aspettative di chi, fra l’altro, aveva ravvisato nella clausola finanziaria un «abusivo sfruttamento di posizione dominante», grazie alla quale l’impresa che la detiene (Poste Italiane) sarebbe addirittura in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato ed avrebbe la possibilità di tenere comportamenti

indipendenti nei confronti delle imprese concorrenti224.

4. L’interpretazione della giurisprudenza costituzionale e