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l’ultima circolare del DaP sulla realizzazione di circuiti regionali ai sensi dell’art. 115 d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230 ha il merito innanzitutto di sottolineare la necessità di dare attuazione a quel regolamento penitenziario, solo in minima parte attuato, che detta regole di vita all’interno degli istituti e la cui osservanza è ancora molto al di là da venire.

archiviata la circolare sui codici, che dovevano definire la pericolosità delle persone detenute determinandone la collocazione fisica e il regime penitenziario più o meno aperto e che aveva già determinato non pochi problemi, adesso si parte dalla constatazione che per gran parte dei detenuti è possibile individuare e progettare soluzioni caratterizzate da un ampliamento degli spazi utilizzabili per frequentare attività lavorative, culturali, scolastiche, ecc., destinando addirittura delle sezioni o anche istituti a “regime aperto”, con riferimento ai condannati che devono scontare meno di 18 mesi, in parallelo all’innalzamento del limite per ottenere la detenzione domiciliare speciale. nulla di nuovo, ma almeno è stato scritto, e vincola tutti i provveditorati a ripensare spazi, organizzazione, iniziative, e ogni direzione a fare lo stesso, valorizzando quanto di meglio ciascun istituto può dare come in alcuni casi è già stato fatto. e impone anche di pensare che incentivare i percorsi trattamentali, migliorare le condizioni di vita e le relazioni con l’esterno pone le premesse per un maggior ricorso alle misure alternative, certo oggi non massiccio con riferimento alle potenzialità dell’ordinamento penitenziario, rispetto alle quali il positivo percorso già avviato sarà un requisito utile alla magistratura di sorveglianza, come indica la circolare.

Sembra farsi avanti l’idea che davvero le celle sovraffollate e spesso indecorose dell’oggi, ma anche quelle migliori speriamo di un futuro molto vicino, diventino solo luoghi di pernottamento, come appunto prevede il regolamento penitenziario.

La sicurezza quindi non deve essere più considerata sotto l’aspetto della mera custodia, ma come premessa per realizzare le finalità del trattamento penitenziario, alla quale dovranno

concorrere molteplici attori, anche esterni, e non solo la polizia penitenziaria, il cui ruolo viene valorizzato (e non trascurato, come in alcune prese di posizione si tende ad enfatizzare) in nome di un presunto aumento di pericolosità della vita nelle carceri .

a ciò si dovranno aggiungere le sezioni attenuate per i tossicodipendenti, sempre previste dall’art. 115 co. 3 del regolamento, ancora realtà quasi di nicchia a fronte dell’imponenza del problema che richiede comunque una modifica dell’attuale legislazione punitiva per gli assuntori.

Certo, bisogna fare altro: intervenire con riforme organiche sulle leggi anche in tema di immigrazione, abolire la ex-Cirielli, riformare il sistema sanzionatorio, anticipare laddove possibile le misure alternative alla fase della cognizione, ridurre in modo significativo il ricorso alla custodia cautelare in carcere, varare provvedimenti di amnistia e indulto che facciano decollare le già indicate riforme normative e abbattano i numeri delle presenze in carcere.

ma cominciare a far pensare a tutti, opinione pubblica compresa, che le maggior parte delle persone in carcere possono vivere senza essere costrette a passare anche venti ore al giorno in una cella di pochi metri quadri e che è normale lavorare, studiare, avere relazioni con l’esterno può essere un buon segnale: soprattutto se a darlo è l’amministrazione penitenziaria.

ora, dopo le belle e condivisibili parole, attendiamo i fatti, nella consapevolezza che ogni mutamento richiede sforzo e comprensione reciproca.

Significa abbandonare il proprio particolare e pensare ad uscire dall’emergenza . ognuno, nel proprio ruolo, faccia la sua parte.

COMUNICATO STAMPA 20/02/2013

CARCERI. GARANTE REGIONALE DETENUTI: NO AL TAGLIO DEI DIRIGENTI PENITENZIARI ANCHE IN EMILIA-ROMAGNA

Una serie di sigle sindacali ha proclamato lo stato di agitazione dei dirigenti di istituto

penitenziario e di esecuzione penale esterna.

Sulla vicenda interviene Desi Bruno, garante regionale per le persone private della libertà personale.

“esprimo solidarietà alle oo.SS. del personale della carriera dirigenziale penitenziaria che hanno proclamato lo stato di agitazione in riferimento alle problematiche della categoria, con particolare riguardo alla prossima emanazione di un decreto del governo volto ad operare una riduzione del numero dei dirigenti penitenziari.

già nei mesi scorsi, insieme ai garanti dei diritti dei detenuti, in un’apposita lettera a firma congiunta indirizzata alla ministra Severino, avevo stigmatizzato il riesame della spesa dell’amministrazione penitenziaria, e oggi ribadisco con forza la contrarietà a provvedimenti che abbiano ad oggetto la riduzione del numero dei dirigenti penitenziari, paventando, in particolare, che in quelle carceri dove è assente la titolarità della direzione possa prevalere un’organizzazione della vita dell’istituto caratterizzata in termini di contenzione. in verità, già allo stato c’è una carenza di personale direttivo, tanto in emilia-Romagna quanto su tutto il territorio nazionale, il che comporta attribuzioni plurime delle direzioni. anche nella nostra regione è in atto l’accorpamento di più istituti sotto una direzione unica. Ciò comporta disagi per chi riveste ruolo direttivo nell’organizzare la vita dell’istituto e assicurare la fondamentale presenza all’interno. non va dimenticato che è il direttore che svolge funzione di sintesi e di coordinamento tra le varie aree (della sicurezza, educativa, contabile) che si occupano del carcere.

nell’attuale momento storico in cui l’amministrazione penitenziaria si accinge ad effettuare la sua “rivoluzione normale” – così come è stata definita dal Capo Dipartimento la realizzazione dei circuiti regionali -, consistente in una razionalizzazione del sistema della detenzione per implementarne l’efficienza e l’efficacia, con un auspicato miglioramento delle iniziative trattamentali per la popolazione detenuta, appare privo di logicità un intervento orientato a privare alcuni istituti penitenziari della figura di un direttore titolare, la cui funzione fondamentale è di propulsione, controllo e coordinamento dell’istituto, venendosi così, di fatto, a rendere non attuabile la riorganizzazione”.

Desi Bruno conclude così la sua presa di posizione: “Si ritiene che il governo, ad una manciata di giorni dal finire della legislatura, non possa ulteriormente provare un sistema penitenziario ridotto ai minimi termini, riducendo anche il numero dei direttori, ma debba prioritariamente valutare l’opportunità politica di bandire un nuovo concorso per l’assunzione di figure direttive, risalendo l’ultimo ad oltre 20 anni fa”.

(rg)

BENE  L’INTRODUZIONE  DELL’ISTITUTO  DELLA    MESSA  ALLA  PROVA  E  PENE  DETENTIVE  NON  CARCERARIE    MA  SERVIRA’  AD  EVITARE  NUOVI  INGRESSI    NON  A  RIDURRE  LE  ATTUALI  PRESENZE.  SERVONO INSIEME AMNISTIA INDULTO E RIFORME.    Ristretti Orizzonti, 21 Agosto 2012    Tra le recenti proposte all’esame del Parlamento, tra cui il disegno di legge “Delega al governo in  materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive  non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili”, presentato  dal  ministro  di  Giustizia  Severino  già  nel  febbraio  2012,  ed  ancora  in  esame,    va  condiviso  l’inserimento   dell’istituto della sospensione del processo con messa  alla prova, di cui si parla da 

anni  e  anche  nella  passata  legislatura  era  stato  oggetto  di  un  tentativo  fallito  di  introduzione  nell’ordinamento, così come condivisibile l’introduzione di pene detentive non carcerarie, anche  se  con  qualche  timidezza  quanto  a  limiti  edittali.  Ciò  che  però  è  importante  è  che  si  tratta  di  misure che anticipano, almeno si spera, una riforma più completa del sistema sanzionatorio e del  sistema  penale  nel  suo  complesso.  Non  a  caso  le  misure  che  si  vogliono  introdurre  erano  già  previste nei progetti ultimi di riforma del codice penale Nordio e Pisapia.  

In  questo  senso  si  muove  anche  la  prevista  depenalizzazione  di  tutti  i  reati  puniti  con  pena  pecuniaria. 

Di  rilievo è anche la proposta di sospendere i processi a carico degli irreperibili con le modalità  previste nel disegno di legge, che risolve un problema ripetutamente portato anche all’attenzione  della  Corte  europea  per  la  mancata  conoscenza  dell’esistenza  di  un  procedimento  a  carico  da  parte di molte persone poi condannate.  

Queste  riforme  sono  importanti  ma  deve  essere  chiaro  che  non  incideranno  sull’attuale  perdurante  sovraffollamento,  ma  influiranno    positivamente  sulla  diminuzione,  in  futuro,  degli  ingressi in carcere. E certamente non è poco, ma non basta.  

Si  deve  ancora  consolidare  fino  in  fondo  l’idea  che  la  risposta  punitiva  nella  forma  della  carcerazione dovrebbe riguardare solo quei casi in cui vengono lesi beni di primaria importanza,  con  una  diversa  tipologia  di  sanzioni,  più  efficaci  e  al  contempo    idonee  a  ridurre  la  sanzione  detentiva,    a  fronte  di  una  popolazione  carceraria  che  attualmente  è  costituita  da  cosiddetta  detenzione sociale nella misura del 80%, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio,  disagio o marginalità (immigrati irregolari, tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una  risposta  penale  o  carceraria,  sarebbero  più  opportune  politiche  di  prevenzione  e  sociali  appropriate,  e  ancor  prima  che  è  intollerabile  la  presenza  di  persone  in  custodia  cautelare  per  oltre il 40% della popolazione detenuta. 

 I segnali in questi mesi si sono manifestati,  come la confermata  apertura del  Ministro Severino  all’amnistia, e la lettera firmata dal Prof. Pugiotto e da 120 docenti universitari indirizzata al Capo  dello  Stato,  a  sostegno  di  provvedimenti  di  amnistia  e  indulto  che  devono    accompagnare    un   percorso complesso e articolato di riforme nel settore giustizia,  capace di risolvere il dramma del  carcere senza gli errori del passato quando, a inevitabili e condivisibili provvedimenti di clemenza,  nulla è stato affiancato in termini di riforme strutturali. 

Oggi si deve cambiare, e quindi sì ad amnistia e indulto,  accompagnati  davvero dalla riforma del  codice  penale;  dalla  revisione  della  legislazione  in  tema  di  stupefacenti,  immigrazione,  recidiva;  dalle modifiche al codice di rito. Le proposte  sono ormai studiate e articolate da tempo.  

 

Solo così si  potrà ripartire con molte  migliaia di presenze in  meno,  risolvendo  anche in  parte il  problema  dell’organico  della  Polizia  Penitenziaria,  e  ridimensionare  fortemente      quel  Piano– carceri  che  ha  previsto,  anche  in  Emilia  Romagna,  la  costruzioni  di  padiglioni  per  affrontare  il  sovraffollamento. Le risorse a ciò destinate, almeno in parte,   potrebbero essere utilizzate  alla  ristrutturazione  e  alla  messa  a  norma  delle  strutture  esistenti  e  reimpiegate  per  finalità  di  reinserimento delle persone detenute.     Avv. Desi Bruno  Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per la Regione Emilia‐Romagna            

COMUNICATO STAMPA:  15.2.2013    SI’ AI PROVVEDIMENTI DI CLEMENZA,   MA POI SI PROCEDA CON LE RIFORME STRUTTURALI.    Prosegue incessantemente la battaglia contro le condizioni disumane delle carceri italiane. E non  potrebbe essere altrimenti.   La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella recente sentenza “Torreggiani ed altri contro l’Italia”  ha condannato il nostro Paese al risarcimento dei danni morali subiti da sette detenuti italiani per  il  “trattamento  inumano  e  degradante”  delle  nostre  carceri,  lasciandoci  un  anno  di  tempo  per  fronteggiare il problema con provvedimenti strutturali. 

In  questo  contesto,  l’amnistia  può  costituire  solo  la  premessa  –  e  non  certo  l’esito  –  di  un  programma di riforme imprescindibili per l’affermazione dei più elementari diritti dei detenuti.   Dal  1975  (anno  della  sua  introduzione),  l’Ordinamento  Penitenziario  è  stato  ripetutamente  “martoriato” da interventi legislativi ispirati alle più diverse esigenze (correzionali, deflattive, …).  Questa continua esigenza di “aggiustare il tiro” deriva da alcune ragioni strutturali: ancora oggi, si  tende a dislocare verso il “basso” (ovvero verso il momento dell’esecuzione penale) la soluzione di  problemi che non si riesce (o non si vuole veramente ) risolvere “a monte”.  

Questo accade perché, quando si supera qualunque soglia di tollerabilità nel numero di presenze  negli  istituti,  volenti  o  nolenti  qualcuno  se  ne  deve  occupare.  Se  il  carcere  non  regge  più,  è  lo  stesso sistema complessivo della giustizia penale che rischia di precipitare: per questo motivo, le  esigenze “burocratiche” di governo del carcere vengono ad assumere un’importanza decisiva e il  legislatore è chiamato a tamponare l’emergenza.   Ma, per affrontare strutturalmente il problema (come ci chiede la CEDU), questo non può bastare.  La questione va affrontata alla radice, senza attendere ulteriormente: in primo luogo sostenendo  con forza la fin troppo rinviata riforma del codice penale, con un programma ispirato ad un diritto  penale minimo, “bloccato” da una riserva di codice e soprattutto con la previsione di un sistema  sanzionatorio  diverso  e  maggiormente  articolato,  che  preveda  la  pena  detentiva  solo  come  una  delle  opzioni  possibili  (e  solo  per  i  reati  molto  gravi),  accanto  alle  pene  pecuniarie,  interdittive,  prescrittive e l’avvio ai lavori socialmente utili.  

L’altro  intervento,  peraltro  comunemente  auspicato,  riguarda  un  diverso  utilizzo  della  custodia  cautelare in carcere: e, da questo punto di vista, non c’è nulla da inventare perché – per impedire  a  migliaia  di  persone  di  transitare  dal  carcere  per  pochissimi  giorni  –  basterebbe  farne  un  uso  coerente con la normativa vigente. 

Non  c’è  dubbio:  negli  ultimi  tempi  sono  stati  messi  in  campo  alcuni  interventi  legislativi  condivisibili, come quella particolare tipologia di detenzione domiciliare che consente di scontare  l’ultimo anno e mezzo della pena a casa propria o in altra idonea dimora.  

Altri  sono  rimasti  in  sospeso  con  l’interruzione  anticipata  della  legislatura,  come  l’istituto  della  messa alla prova nel processo penale a carico degli adulti. 

Ma questi provvedimenti, da soli, non possono bastare. Occorrono riforme di ampia portata per  incidere  sulle  molteplici  questioni  aperte  dalla  giustizia  e  dal  carcere  in  un’ottica  che  non  sia   meramente emergenziale. 

Solo  a  queste  condizioni  sarà  possibile  riattivare  quel  virtuoso  percorso  delle  misure  alternative  previsto dalla legge Gozzini del 1986, che – nonostante i continui interventi normativi che tendono  a ridurne l’operatività – continuano a sopravvivere nella legge ma che non vengono pienamente  applicate nella prassi. 

Altre  soluzioni  che  occorre  mettere  in  campo  riguardano  la  riscrittura  della  normativa  sugli  stupefacenti e sull’immigrazione, nonché l’abrogazione della legge cd. Ex‐Cirielli sulla recidiva.  

Si  tratta  di  scelte  politiche  che  richiedono  la  disponibilità  a  valutazioni  ponderate,  lontane  da  quella  logica  del  legiferare  in  via  di  emergenza,  che  tende  sempre  ad  inasprire  le  pene  e  aumentare le figure di reato.  

E’  necessaria  un’inversione  di  tendenza  radicale,  che  accolga  l’idea  di  una  pena  detentiva  appannaggio esclusivo di quei comportamenti che ledono beni giuridici di primaria importanza e  che  annoveri  tra  le  proprie  opzioni  anche  modalità  di  esecuzione  ispirate  a  finalità  riparative  e  restitutorie nei confronti delle vittime dei reati e della collettività.    Desi Bruno  Garante dei diritti delle persone private della libertà  Regione Emilia‐Romagna   

I TRATTI COMUNI DI CHI ABITA LE CARCERI E I CIE