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Percezione pubblica delle nanotecnologie ed ipotesi di democrazia deliberativa

CAPITOLO TERZO ANALISI PRECAUZIONALE DEL RISCHIO 

3.2   Percezione pubblica delle nanotecnologie ed ipotesi di democrazia deliberativa

Prima di procedere con l'approfondimento della recente normativa comunitaria in  tema di nanotecnologie, e al fine di caratterizzare in modo più efficace il ruolo del  principio   di   precauzione   nella   regolamentazione   di   aree   tecnologiche  caratterizzate   da   forte   incertezza,   è   molto   utile   prendere   brevemente   in  considerazione la questione della percezione pubblica delle nanotecnologie. Le  riflessioni teoriche su questo delicatissimo tema sono poche, e tra quelle esistenti  non è insolito rinvenire una preoccupazione ricorrente, in merito alla necessità che  il   settore   emergente   delle   nanotecnologie   non   commetta   i   medesimi   errori   di  valutazione,   gestione   e   comunicazione   del   rischio,   compiuti   nel   caso   delle  biotecnologie.   Questo   esempio   è   emblematico,   perché   evidenzia   benissimo   la  grave sottovalutazione   dell'impatto sociale di queste nuove tecnologie, tale da  generare le condizioni per il rallentamento e, in alcuni casi, addirittura il blocco  totale di questo settore della ricerca445. E' bene ricordare come, nel ripercorrere la 

produttori,   è   necessario   elaborare   una   definizione   uniforme   di   nanomateriali   a   livello   internazionale.   La   Comunità   dovrebbe   adoperarsi   per   pervenire   a   un   accordo   sulla  definizione nelle pertinenti sedi internazionali. Qualora fosse raggiunto un siffatto accordo, la  definizione   di   nanomateriali   nel   presente   regolamento   dovrebbe   essere   adattata   di   conseguenza”. 

445 Neresini F., Starting Off on the Wrong Foot: The Public Perception of Nanotechnologies and 

storia dello sviluppo tecnologico umano, almeno a partire dalla prima Rivoluzione  Industriale,   ogni   importante   innovazione   nel   modo   di   produrre   e   progettare  prodotti, oppure processi, abbia sempre indotto nell'opinione pubblica timori a  volte   giustificati   ed   altre   meno446.   In   alcune   occasioni   si   è   trattato   di   paure 

connesse   con   le   modifiche   che   le   nuove   tecnologie   comportavano  nell'organizzazione del lavoro, oppure di timori legati all'impatto che metodiche di  fabbricazione e prodotti innovativi potevano produrre sulla salute umana e sugli  equilibri   ambientali   del   pianeta447.   Tuttavia,   solo   con   le   bombe   sganciate   su 

Hiroshima e Nagasaki, la proliferazione degli arsenali nucleari ed il test di Bikini  viene segnata una frattura profonda ed insanabile con l'ottimismo incondizionato  nei confronti della scienza, svelando l'altra faccia della tecnologia umana ed i suoi  legami   con  i  poteri   politici,   militari   ed  economici448.  Inizia   progressivamente, 

anche   a   consolidarsi   una   differenza   piuttosto   netta   tra   il   ruolo   svolto   dallo  scienziato   e   quello   del   tecnologo,   in   particolare   laddove,   se   da   una   parte   la  446 Sturloni G., Le mele di Chernobyl sono buone – mezzo secolo di rischio tecnologico, Sironi  Editore, 2006, pp. 33 e ss.; si veda anche Haldane B. S., Russel B., Dedalo o la scienza ed il  futuro – Icaro o il futuro della scienza, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pg. 43, E' vero però  che l'ottimismo nei confronti della scienza viene messo seriamente in discussione solo dopo la  prima guerra mondiale e la grande depressione: si fa strada l'idea che dal progresso della  conoscenza scientifica possa non discendere necessariamente un avanzamento sociale, una  umanità migliore. L'idea che la tecnologia sia un bene in se, dominante fino agli anni venti,  inizia dunque ad apparire ingenua lasciando spazio ai primi timori che l'impresa scientifica  possa essere usata per promuovere il potere dei gruppi dominanti piuttosto che per fare gli  uomini felici. 447 Turney J., Sulle tracce di Frankenstein ­ Scienza, genetica e cultura popolare, Einaudi, 2000, 

pg.   161;  La   scienza   comincia   a   suscitare   atteggiamenti   ambivalenti:   da   un   lato   fiducia  nell'avvento   di   grandi   benefici,   dall'altro   apprensioni   per   gli   sviluppi   futuri   di   alcune  applicazioni dello sviluppo scientifico e tecnologico. Basti pensare per esempio al fatto che,  fino ai tardi anni trenta, prevale comunque un clima di sostanziale fiducia, al punto che i raggi  radioattivi,   considerati  salutari,   vengono   usati   nella   cura   di   cancro,   tubercolosi   e   cecità,  mentre il radio è prescritto come tonico e viene incluso nella preparazione di molti farmaci.  Alcune stazioni termali  proponevano addirittura ai  clienti  bagni  e persino acque minerali  radioattive per depurare pelle ed intestino. 448 Maccaro A. G., Talidomide ­ una tragedia dimenticata, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 45 e ss.;  in questo senso può essere utile ricordare il famoso caso relativo al farmaco calmante a base di  talidomide, commercializzato dal 1957 in tutto il mondo con diversi nomi (il più famoso è  Cantergan) dalla casa farmaceutica Chemie Grunenthal di Amburgo, e che sarà all'origine del  processo iniziato il 27 maggio 1968 e famoso come il più lungo dopo quello di Norimberga. Il  talidomide in realtà è alla base di una rara malformazione neonatale nota come focomelia, e la  casa   produttrice   ha   ignorato   tutti   i   campanelli   d'allarme:   inviando   ai   medici   lettere   di  rassicurazione;   impedendo   alle   riviste   specializzate   di   pubblicare   articoli   sfavorevoli  minacciando il ritiro delle inserzioni pubblicitarie; assumendo persino detective privati per  raccogliere informazioni sui medici più ostili.

tecnologia   (e   quindi   il   tecnologo)   tende   quasi   esclusivamente   a   soddisfare  incondizionatamente le continue e pressanti richieste del mercato, dall'altra lo  scienziato, cerca invece di perseguire una funzione civilizzatrice della scienza449

Proprio la sottovalutazione da parte di scienziati, politici e imprenditori, del ruolo  che   i   cittadini   (utenti,   consumatori,   o   semplicemente   pubblico)   giocano  nell’orientare   i   destini   dell’innovazione   tecnoscientifica,   ha   alimentato   la  crescente   opposizione   dell’opinione   pubblica   alla   ricerca   e   allo   sviluppo   di  applicazioni biotecnologiche, specie nell’ambito agroalimentare. Molti ricercatori,  ricorrono poi alla teoria del cd. deficit model per sottolineare come l’opposizione  alle tecnologie emergenti rappresenti il risultato dell’azione convergente di tre  ordini di fattori: una diffusa ignoranza in materia, una sempre più radicata cultura  antiscientifica   e   un’azione   disinformatrice   dei   mezzi   di   comunicazione450.   La 

soluzione   migliore,   dovrebbe   quindi   puntare   prima   di   tutto   alla   corretta  formazione dell'opinione pubblica mediante una maggiore e più efficiente attività  di divulgazione. Tuttavia, ci sono sufficienti evidenze empiriche per dubitare della  solidità di questo ragionamento, senza per questo ritenere che una maggiore e  migliore informazione non resti comunque un obiettivo auspicabile. Alcuni studi  hanno infatti evidenziato la necessità di aumentare l’impegno sul fronte della  comunicazione, investendo in partecipazione e riconfigurando la comunicazione  fra scienziati e cittadini come un dialogo fra pari piuttosto che come una strategia  di persuasione top­down451. La resistenza alle biotecnologie, è sembrata infatti  449 Veronesi U., Elkann A., Essere Laico, Bompiani, 2007, pg. 93.

450 Gregory  J.,  Miller  S.,  Science   in  Public:  Communication,  Culture  and  Credibility,  1998, 

Plenum   Trade,   New   York;   OPUS,  Optimising   Public   Understanding   of   Science   and 

Technology,   Final   Report,   capitolo   3.1  Media   and   the   communication   of   science   and  technology, University of Vienna, disponibile su www.univie.ac.at/virusss/opus/mpapers.html;  Lewenstein B., Science and the Media, in S. Jasanoff, G. E. Markle, J. C. Petersen e T. Pinch  (a cura di), Handbook of Science and Technology Studies, pp. 343­60, Thousand Oaks, SAGE  Publications, 1995, London, New Delhi.  La maggior parte delle persone secondo la teoria del  deficit model,  sarebbe contraria agli OGM ed alla relativa ricerca perché non dispone delle  conoscenze scientifiche necessarie a giudicare con competenza e perché sarebbe condizionata  da un irrazionale rifiuto della scienza, a sua volta sostenuto dall’ignoranza; irrazionalità   e  ignoranza a loro volta alimentate da mass­media quanto meno impreparati, se non addirittura  volutamente impegnati in campagne antiscientifiche. 451 Bucchi M., Scegliere il mondo che vogliamo – Cittadini Politica e Tecnoscienza, Bologna, 

2006,   pp.   149   e   ss.,   “il   parere   dell'esperto   non   dovrebbe   contrapporsi   al   ruolo   della  

partecipazione democratica, come avviene sulla scorta di quella doppia delega (delega agli  scienziati di professione della conoscenza sul mondo naturale; delega ai politici di professione 

derivare in particolar modo dalla diffusa percezione della mancanza di procedure  pubbliche e affidabili, a garanzia dell’innovazione tecnoscientifica. Alla luce di  queste   considerazioni   però,   il   caso   delle   nanotecnologie   sembra   suggerire   il  bisogno   di   investire   tanto   sul   piano   della   ricerca,   quanto   su   quello   della  riflessione.   Le   nuove   modalità   di   coinvolgimento   del   pubblico   nei   processi  decisionali  devono  essere  sostenute   con  analisi  in   grado  di  valutarne   appieno  potenzialità,   limiti,   e   prospettive   di   sviluppo.   Le   esperienze   di   democrazia  deliberativa   finora   realizzate   per   affrontare   le   problematiche   poste  dall’innovazione   tecnoscientifica   hanno   mostrato   anche   i   propri   limiti,   pur  aprendo   interessanti   prospettive452.   Il   fatto   che   quote   considerevoli   della 

popolazione   risultino   ancor   oggi   del   tutto   estranee   alla   discussione   sulle  nanotecnologie,   indica   che   la   discussione   pubblica   non   è   ancora   pienamente  decollata, nonostante la copertura da parte degli organi di informazione risulti in  costante   ascesa:   secondo   i   dati   disponibili   si   tratta   di   almeno   il   45%   della  popolazione europea, e di almeno il 55% di quella statunitense, 453. Sicuramente 

però, una larga maggioranza di individui attualmente lontani dal dibattito sulle  nanotecnologie e priva di informazioni, si formerà rapidamente un’opinione solo  quando   dovrà   in   qualche   modo   prendere   una   posizione,   e   lo   farà   facendo  affidamento su metafore, immagini e schemi cognitivi acquisiti in precedenza.  Come documentano i numerosi studi sulle rappresentazioni sociali, la vicenda  della conoscenza del collettivo sociopolitico), riscontrabile nelle democrazie contemporanee,  ma   dovrebbe   integrarsi   con   l'opinione   pubblica,   permettendo   così   una   vera   e   propria   diffusione delle conoscenze e conseguentemente la possibilità di compiere scelte democratiche  responsabili e pienamente consapevoli”.  452 Farrelly C., Deliberative Democracy and Nanotechnology, in Nanoethics: The Ethical and  Social Implications of Nanotechnology by Fritz Allhoff, Patrick Lin, James Moor, and John  Weckert, 31 Aug 2007, pp. 215 e ss., “Deliberative democrats endorse a principle of inclusion  which maintains that legitimacy depends on the degree to which those affected by it have been   included in the decision­ making processes and have had the opportunity to influence the  outcomes . (...) The public should have the opportunity to participate in the larger deliberation  concerning the regulation of nanotechnology. So responsible law­making requires the input of  various   deliberative   bodies,   including   the   general   public,   legislatures,   policy   experts,  scientific associations, etc., each of which play an important role in helping us find a reasoned   negotiated compromise when finessing the competing values often at stake with regulating  nanotechnology. (...) I hope I have made a compelling case for taking seriously the contention   that deliberative democracy is a normative ideal worth taking seriously if we hope to be   prepared to meet the challenges that lay ahead as nanoscience progresses”.  453 Fabbri F., Il pubblico e le nanotecnologie, in  http://www.consigliodirittigenetici.org/new/sciesoc/abstract/sondaggionanotecnologie.pdf .

delle   biotecnologie   rappresenta   da   una   parte,   un   caso   emblematico   da   cui  ricercatori   e   politici   possono   trarre   insegnamento,   dall'altra   un   precedente  importante   a   cui   le   persone   faranno   riferimento   per   adottare   modalità  interpretative e criteri di valutazione già sperimentati. Anche per questa ragione,  lo studio della percezione pubblica delle nanotecnologie potrebbe non solo trarre  grande   beneficio   dall’analisi   degli   apparati   interpretativi   utilizzati   quando   il  dibattito   pubblico   sulle   nanotecnologie   decollerà,   ma   anche   fornire   un   valido  supporto nell'analisi di tematiche precauzionali strettamente connesse alla fase di  comunicazione del rischio.

3.3.     Europa   e   Nanotecnologie:   legislazione   precauzionale   e