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Perequazione di comparto e perequazione di comparto discontinuo.

TIPOLOGIE DI PEREQUAZIONE URBANISTICA.

1. LE DIVERSE TECNICHE DI PEREQUAZIONE URBANISTICA.

1.2 Perequazione di comparto e perequazione di comparto discontinuo.

A fronte di una realtà frastagliata, ma avendo dato conto della struttura dei modelli perequativi, si ritiene ora utile organizzare concettualmente le diverse tecniche di perequazione urbanistica attorno ad alcuni ulteriori modelli.

Il primo, che prende spunto dall’impostazione fornita dall’art. 23 Legge 1150 del 1942, si basa sul comparto; di conseguenza, prevede l’identificazione di aree all’interno delle quali i proprietari sono trattati in modo identico.164

Il comparto è infatti considerato come unità minima di trasformazione e comprende suoli dotati di una stessa capacità edificatoria a prescindere dalla destinazione che, concretamente, si assegnerà ad un determinato terreno.

Questo modello è anche definito perequazione endoambito proprio perché si realizza all’interno di un settore determinato nel Piano Regolatore165 ed i diritti edificatori non possono essere trasferiti all’esterno; inoltre, sulla base delle definizioni fornite in precedenza, trattasi di un tipo di perequazione parziale ed a posteriori.

In quest’ottica, il comparto non si giustifica solo per l’esigenza di attuare le previsioni urbanistiche, ma anche con la necessità che tali scelte

164

T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 7 agosto 2003 n. 844.

165 P. Urbani, Urbanistica solidale, cit., p. 62: “Il Piano Urbanistico Comunale si sdoppia. Al P.R.G. come provvedimento unitario si sostituisce un doppio livello di pianificazione: il Piano Strutturale al primo livello, al secondo il Piano Operativo”.

realizzino un effettivo contemperamento delle posizioni dei proprietari coinvolti166.

Del resto è la stessa giurisprudenza a considerare il comparto come uno strumento attuativo del Piano Regolatore Generale167, utile per consentire l’applicazione di tecniche perequative168; i diritti edificatori possono essere distribuiti in misura identica tra tutti i proprietari di aree comprese nel comparto, indipendentemente dalla destinazione delle zone, siano esse a concentrazione volumetrica o destinate a servizi pubblici. Pertanto sovente, nei Piani Regolatori comunali di recente generazione, non si distinguono, nella previsione grafica, le aree destinate a servizi pubblici; i terreni facenti parte del comparto hanno un identico parametro quantitativo, ossia l’indice territoriale.

Ciò implica che, virtualmente, tutte le aree comprese nell’ambito perequativo siano edificabili, tuttavia può accadere che il diritto edificatorio non possa essere sfruttato nella zona in cui si è generato. La capacità edificatoria attribuita all’area, può essere suddivisa tra i privati in relazione a quella che è l’estensione della proprietà del singolo169, oppure in base al valore catastale del bene.

166 Sul tema si veda P. Stella Richter, Comparto edificatorio, in Enc. dir., VII, Milano,

1960, 1027.

167

Cons. Stato, sez. V, 7 dicembre 1979, n. 772.

168 P. Stella Richter, Il potere di pianificazione nella legislazione urbanistica, in Riv.

giur. edil. 1968, II, 114; E. Follieri, Rigidità ed elasticità degli strumenti di

pianificazione generale, in F. Pugliese – E. Ferrari (a cura di), Presente e futuro della pianificazione urbanistica, Milano, 1999, 101 ss.

T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 23 aprile 1997 n. 524, in Urbanistica e appalti, 1998, 190.

169 T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1043 del 2005: “È conforme agli obbiettivi ed alla tecnica della perequazione urbanistica, nonché ai principi costituzionali in materia di tutela della proprietà privata che, in applicazione del principio della perequazione, i benefici e gli oneri derivanti dalla pianificazione vengano distribuiti in modo rigidamente proporzionale alla consistenza ed estensione delle singole proprietà” in

Utilizzando tale tecnica, gli interventi di trasformazione sono sempre accompagnati dalla destinazione di aree a verde pubblico.170

Ciò perché si avranno zone in cui è materialmente possibile edificare e aree cosiddette “sorgente” inedificate o destinate ad essere assegnate all’Amministrazione comunale, la cui capacità edificatoria potrà realizzarsi altrove.

Il proprietario del terreno “sorgente”, se non possiede un'altra area compresa all’interno del comparto in cui poter concretizzare i propri diritti edificatori, potrà sempre cedere gli stessi, dietro pagamento, ad altro proprietario di una zona posta all’interno dell’ambito perequativo. Nelle aree così individuate dal Piano, quindi, i proprietari dovranno accordarsi per sfruttare compiutamente le volumetrie complessivamente assegnate. Le loro relazioni si basano sulla necessità di trasferire e distribuire le quote di edificabilità attribuite al comparto tra le aree destinate ad edificazione.

Inoltre, fino a che non vengano cedute al Comune le zone per realizzare opere pubbliche, i diritti edificatori attribuiti dal Piano non possono concretizzarsi per nessuno dei proprietari coinvolti171.

Pertanto, uno dei problemi connessi a tale modalità di perequazione è relativo al fatto che l’attuazione della pianificazione comunale è,

L. Piscitelli, Potere di pianificazione e posizioni soggettive, Padova, 1990.

170

T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 5 luglio 2002, n. 670 in Riv. giur. edil., 2003, I, 812.

171 E. Boscolo, Le perequazioni e le compensazioni, in Riv. giur. urb. n. 1, 2010, p. 32:

“Hanno ad oggetto la cooperazione tra proprietari (si potrebbero definire contratti

coalizionali) e sono tesi a coordinare finalisticamente le iniziative di tutti i soggetti coinvolti: da essi nascono quindi innanzitutto obbligazioni di comportamento in vista della presentazione del Piano Attuativo, previa redistribuzione dei benefici che deriveranno dalla possibilità di far concretamente “atterrare” i diritti edificatori sulla porzione destinata all’edificazione e di ripartire del pari equamente gli oneri legati alla cessione delle aree destinate alla città pubblica”.

sostanzialmente, lasciata alla determinazione dei proprietari delle aree comprese nel comparto.

Questo, sempre che non siano presenti indicazioni volte a identificare precisamente le zone in cui allocare servizi e opere di urbanizzazione primaria, oppure che sia già prevista la concentrazione della capacità edificatoria in aree determinate. Anche in questi ultimi casi, occorre specificare che non si tratta di vincoli espropriativi172; trattasi di indicazioni, che tuttavia sono vincolanti per i proprietari delle zone comprese nel comparto qualora decidano di applicare i meccanismi perequativi.

Il Comune verificherà che le indicazioni fornite dal pianificatore siano rispettate (compresa la cessione di aree all’Amministrazione comunale) nel momento in cui dovrà rilasciare i permessi di costruire.

Il ruolo dell’Amministrazione è infatti quello di controllo sull’operato dei privati. L’attuazione delle previsioni urbanistiche all’interno del comparto è lasciata alla libera “contrattazione” dei soggetti coinvolti. La perequazione di comparto, è utile soprattutto laddove si applichi in aree già parzialmente edificate. In tal modo si possono riqualificare gli immobili presenti, migliorare i servizi per la collettività e rimuovere eventuali vincoli urbanistici preesistenti.

Ai proprietari delle zone comprese nel comparto, quindi, risulta sostanzialmente indifferente la collocazione dei terreni all’interno dello stesso.

Detto modello, ovviamente, può operare solo in zone circoscritte; in altre parole, i diritti edificatori non possono essere spesi al di fuori dell’ambito stesso.

Proprio per questa caratteristica la perequazione di comparto è stata criticata, poiché creerebbe una disparità di trattamento tra i proprietari delle zone comprese nel comparto e quelli delle zone esterne.

Per supplire a tale problematica, è stato proposto che l’applicazione del modello appena descritto sia accompagnata da misure fiscali che eliminino la situazione di sperequazione esterna173.

Tuttavia, se da un lato la considerazione è corretta, dall’altro la pianificazione comporta inevitabilmente disuguaglianza174; ciò è insito nella tutela dell’interesse pubblico e, come sostenuto da autorevole dottrina175, “una certa dose di disuguaglianza è connaturale alla

pianificazione urbanistica chè altrimenti verrebbe meno la possibilità di differenziare, attraverso tale tecnica, le forme di utilizzazione, di trasformazione e di tutela del territorio”.

Esiste poi un modello di “comparto discontinuo o allargato”.

In questo caso, “il piano regolatore individua aree che contengono sì

diritti edificatori, i quali però non possono essere espressi in loco (aree di decollo), bensì in altre aree, ove appunto tali diritti si vanno a trasferire (aree di atterraggio), e nel contempo individua appunto le aree deputate ad ospitare i diritti edificatori generati altrove” 176.

Nel momento in cui i diritti sono effettivamente trasferiti, le zone di decollo vengono assegnate al Comune, o gravate da vincoli.

173 V. Cerulli Irelli, Le prospettive di riforma urbanistica in Italia nel mutato quadro dei rapporti tra stato centrale e autonomie territoriali, in P. Urbani (a cura di), La disciplina urbanistica in Italia. Problemi attuali e prospettive di riforma, Torino,

Giappichelli, 1998, 50; V. Caianiello, La riforma urbanistica come attuazione della

Costituzione, in L. Fusco Girard (a cura di), La perequazione urbanistica: esperienze e questioni, in Urbanistica, 109, 1997, 88 ss.

174 Si veda capitolo III.

175 P. Urbani, Urbanistica solidale, Bollati Boringhieri 2011, p. 141 176 G. Morbidelli, Della perequazione urbanistica, in www.giustamm.it

In merito alla legittimità di un tale tipo di perequazione, si sottolinea come, in dottrina, vi siano posizioni differenti.

Secondo alcuni autori177 il ruolo del pianificatore deve essere limitato, poichè “il Piano (…) non deve vincolare eccessivamente il ventaglio delle

possibilità di negoziazione tra i proprietari (non deve cioè predeterminare rigidamente l’ambito di possibile atterraggio di ciascun diritto edificatorio), onde scongiurare il manifestarsi delle tipiche patologie del mercato (monopolio, dipendenza)”.

Altri, invece, ritengono opportuno identificare con chiarezza durante le procedure di pianificazione (ed in particolare già nel Piano Strutturale) quali dovranno essere le aree di atterraggio; cosicché le capacità edificatorie assegnate possano essere assorbite dal territorio complessivamente inteso.

Tale modalità è quella che, in linea generale, viene preferita qualora l’Amministrazione comunale abbia necessità di realizzare politiche urbane qualificate sotto il profilo ambientale178.

Tipico esempio è quello relativo alla creazione di parchi; in questo caso è frequente che i terreni in cui si vuole creare il parco e le aree oggetto di trasformazione non siano contigui.

In entrambi i modelli di perequazione sopra illustrati, è fondamentale considerare il diritto di edificare, che gli strumenti urbanistici assegnano ai terreni, come un “bene immateriale” che si genera in quanto connesso ad un’area ma può circolare indipendentemente dal terreno179.

177 E. Boscolo, Le perequazioni e le compensazioni, in Riv. Giur. Urb. n. 1, 2010, p. 25 178

Si veda quanto accaduto nel comune di Ravenna che ha realizzato, tramite questa tecnica di perequazione urbanistica, una “cintura verde” attorno alla città e la riqualificazione della zona Darsena (cap. I).

Sia che la tecnica perequativa si applichi nei limiti del comparto, sia che si estenda all’esterno, ruolo decisivo è svolto dall’approvazione dei proprietari delle aree interessate.

Il problema di questi modelli è infatti, ancora una volta, connesso alla necessità di ottenere il consenso dei privati. A tal fine è essenziale che, comparando i vantaggi ritraibili dalla trasformazione dei fondi eccipienti e i costi connessi alla cessione al Comune delle aree sorgente, il soggetto possa valutare l’adesione all’accordo come economicamente vantaggiosa. Per superare il problema dell’accordo delle volontà dei privati coinvolti, alcuni Comuni hanno scelto di creare una riserva di aree pubbliche da utilizzare sia per collocarvi attrezzature urbane, sia per ricavare lotti edificabili da cedere ai proprietari dei terreni in concreto non edificabili. La difficoltà è che, per fare ciò, si dovrà ricorrere all’espropriazione; e questo è esattamente quello che le Amministrazioni pubbliche vorrebbero evitare tramite l’uso di tecniche perequative.

Tuttavia, analogo risultato può essere perseguito anche tramite l’applicazione di tecniche premiali che hanno lo scopo di “spingere” i soggetti a prestare il loro consenso rispetto alle scelte stabilite nel Piano Regolatore.