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Il periodo dell’età contemporanea

Il presente paragrafo ha l’obiettivo di mettere in luce la complessità dei numerosi interessi che ruotano intorno al tema degli edifici di culto, e di evidenziare gli elementi più caratterizzanti ed innovativi di questo periodo. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale i danni riportati dall’edilizia di culto erano ingenti. L’interesse del legislatore si concentrò sulla ricostruzione e il restauro degli edifici di culto. Vennero quindi emanate alcune leggi e di decreti legislativi volti alla ricostruzione di questi edifici; la maggior parte delle leggi aveva ad oggetto edifici di culto cattolico poiché il cattolicesimo era la religione più diffusa.

Lo stato si caricò delle spese per la ricostruzione di chiese e cattedrali. L’opera di ricostruzione che non ebbe ad oggetto le sole chiese ma anche campanili, seminari, pertinenze e non teneva conto della differenza tra edifici di proprietà di privati o di enti ecclesiastici. Dopo l’entrata in vigore della

38 Costituzione, gli effetti prodotti da questa legislazione speciale in materia furono estesi alle confessioni diverse dalla cattolica, tuttavia per queste ultime rimasero presenti una serie di impedimenti e di ostacoli, come l’iter burocratico più complesso per accedere a determinati finanziamenti. Venne emanata la legge n. 2252 del 1952 concernente al concorso dello Stato nella costruzione di nuove chiese. Il percorso per l’applicazione di questa legge prevedeva il coinvolgimento sia di organi statali tra i quali il Ministero degli Interni sia di organi ecclesiastici tra cui la Pontificia Commissione per l’arte sacra. La legge riguardava le parrocchie come destinatari delle opere e incaricava le diocesi della loro esecuzione facendo riferimento ai parrocchiani come beneficiari dell’opera. Questa legge, che vista la sua importanza e il particolare momento in cui venne emanata, rimase in vigore per dieci anni senza che vi fossero apportate modiche.

Questa legge prevedeva l’aumento dei finanziamenti da parte dello Stato semplificando

39 l’iter amministrativo per ottenere tali finanziamenti. Essa inoltre, accanto alle opere di costruzione a carico dello Stato, prevedeva anche la distribuzione di contributi trentacinquennali per la costruzione di edifici di culto. La norma in esame ebbe quindi il merito sia di consolidare l’intervento statale in materia di ricostruzione degli edifici di culto sia di aumentare e rafforzare questo intervento conferendogli un aspetto più sistematico. Lo Stato riteneva che la concessione di questi finanziamenti alla Chiesa avesse lo scopo di garantire alla popolazione l’esercizio pubblico del culto. Considerare il concetto di popolazione coincidente con quello di parrocchiani era un retaggio del periodo precedente. La connotazione pubblicistica degli edifici di culto prevista dalla legge urbanistica del 1942 fu ribadita anche dalla legge n. 167 del 18 aprile del 1962. Essa prevedeva che i comuni con una popolazione superiore ai cinquantamila abitanti dovessero destinare determinate aree alla costruzione di reti stradali di altre opere di interesse pubblico tra cui gli edifici pubblici di culto.

40 Successivamente, la legge n 847 del 1964 stabilì la possibilità per i comuni di ottenere mutui con tassi agevolati per la costruzione di opere di urbanizzazione primaria: tra queste non rientravano gli edifici di culto, la cui realizzazione spettava ad enti istituzionalmente competenti tra cui l’autorità ecclesiastica. Di conseguenza gli edifici di culto erano edifici di interesse pubblico ma non potevano essere realizzati dalla mano pubblica perchè non rientranti nelle competenze delle amministrazioni comunali14. Solo la legge n. 765 del 1967 e il decreto ministeriale n. 1444 del 1968 stabilirono i rapporti tra le zone riservate alla realizzazione di abitazioni e le zone destinate alle attività collettive, tra le quali rientravano anche le strutture di interesse culturale, religioso, e sociale. Poiché gli edifici di culto erano inseriti tra le attrezzature di natura collettiva, possiamo affermare che il soddisfacimento di questi bisogni rientrava nelle competenze dell’amministrazione comunale.

Quindi il fenomeno religioso

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Cfr. Valerio Tozzi, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1990, pp. 132-148.

41 non è più di sola competenza dell’amministrazione centrale, ma anche di quella amministrativa. Uno dei problemi che emerge da questa analisi deriva dalla pluralità di sostantivi e di soggetti che sono stati usati nelle diverse leggi. Ad esempio la legge n.167 del 1962 fa riferimento agli edifici pubblici di culto, mentre la legge n. 765 del 1967 si riferisce ad attrezzature religiose e la legge n. 865 del 1971 usa le espressioni chiese ed altri edifici per servizi religiosi. Si nota un richiamo agli edifici del culto pubblico cattolico in questi termini, ma il riferimento alle amministrazioni comunali fa si che esse specifichino il soggetto delle singole disposizioni in modo da poter rispondere meglio alle singole esigenze manifestate. È importante sottolineare il carattere assunto dall’ edilizia di culto che rientra nelle competenze delle amministrazione periferiche dello Stato.

Mentre da un lato lo Stato pretendeva i fondi dagli enti locali i quali dovevano garantire e soddisfare l’interesse religioso della popolazione, senza distinzione tra le varie confessioni religiose in

42 ambito di costruzione di edifici di culto, l’onere era di fatto vigente solo nei confronti della Chiesa Cattolica. Si arriva ad un’azione combinata tra la Chiesa e lo Stato secondo quel modello vigente anche nel periodo fascista e mantenuta durante il

periodo repubblicano.

I comuni ricevevano somme destinate alla costruzione delle opere di urbanizzazione tra le quali le chiese cattoliche, assistendo ad un decentramento del potere: e quindi in questo un netto distacco col il periodo precedente. Lo stato guarda a quelli che sono gli interessi delle comunità locali. È inoltre indispensabile che le autorità locali e civili si muovano in sincronia con l’autorità ecclesiastica che è l’unica che può conferire il carattere sacro all’edificio di culto, perché in assenza di questo l’edificio non sarebbe idoneo a svolgere le sue funzioni15.

La legge n 865 del 1971 determinò il nascere «degli enti istituzionalmente competenti del servizio religioso». Tale legge finì per assumere una valenza

43 generale anche se per molti aspetti era confusa e generica, infatti non regola i rapporti tra autorità civile ed ecclesiastica. sia per quanto riguarda la costruzione dell’edificio sia per la sua amministrazione e gestione lasciando un elevato margine di dubbio.

Gran parte della normativa emanata aveva ad oggetto solamente la Chiesa Cattolica ed di conseguenza i suoi edifici di culto. Dovremmo aspettare circa quarant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione per vedere attuata la prima intesa fra lo Stato e la Tavola valdese contenuta nella legge n. 449 del 1984. Successivamente furono poste in essere anche intese con altre confessioni religiose, ad esempio l’intesa con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane approvata dalla legge n.101 del 1989. Con la legge n.121 del 1985, di esecuzione del nuovo accordo concordatario furono introdotti una serie di elementi innovativi che modificarono gli articoli 9 e 10 del Concordato lateranense. Il comma 1 dell’articolo 5 riprende quanto enunciato negli articoli 9 e 10 in materia di divieto di demolizione,

44 di sequestro di edifici di culto, in apparenza riportando elementi già presenti in detti articoli, ma in realtà ponendo in essere una serie di significative differenze.16 La norma fa riferimento innanzitutto ad un soggetto più ampio di quello contenuto nell’articolo 831 del codice civile in quanto si riferisce a edifici aperti al culto. Accanto ai riferimenti inerenti la demolizione degli edifici di culto, troviamo anche il concetto di espropriazione dell’edificio aperto al culto. C’è quindi un richiamo esplicito all’espropriazione che invece veniva data per implicita all’interno del concordato. Inoltre, la norma fa un riferimento all’autorità ecclesiastica come soggetto abilitato ad intervenire nella procedura di espropriazione senza però indicare gli interessi che è chiamata a tutelare. Questo era ciò che si verificava anche nel periodo precedente caratterizzato da una posizione privilegiata della Chiesa Cattolica in quanto religione di Stato. Ma con il nuovo assetto Costituzionale ciò che assume un carattere di privilegio è il fatto che l’autorità

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45 ecclesiastica possa intervenire direttamente facendo valere i propri interessi nel procedimento di espropriazione. E questo sembrerebbe ledere i principi stabiliti dall’art 8 della Costituzione.

Un altro elemento degno di attenzione riguarda l’eliminazione del potere discrezionale dell’autorità civile circa la considerazione del parere e delle ragioni dell’autorità ecclesiastica, infatti nella nuova norma l’autorità civile non può procedere senza il parere di quella ecclesiastica, sorge quindi un impedimento, un divieto nel procedere senza un accordo precedente e non più un potere discrezionale. E questo crea un enorme vantaggio in capo all’autorità ecclesiastica, vantaggio di cui nessuna autorità civile gode dinanzi alla potestà ablativa. Si ha un vero e proprio potere di veto. Al contrario, nei confronti della confessioni religiose diverse dalla cattolica, la normativa non prevedeva disposizioni a tutela degli edifici di culto. Durante il periodo fascista questi edifici sono considerati di scarso interesse per lo Stato, erano sottoposti e disciplinati dal diritto comune. I loro templi erano

46 soggetti a demolizione, agli espropri, senza il minimo intervento da parte dell’amministrazione pubblica, la quale non si interessava al problema. In seguito all’approvazione degli articoli 3 ,8 e 19 della Costituzione, questa situazione avrebbe dovuto cessare in favore del riconoscimento della pari libertà religiosa nei confronti delle altre Confessioni religiose.

Gli edifici di culto in questo periodo erano tutelati nei confronti della forza pubblica da una serie di vincoli e di limitazioni. Il Codex Iuris

Canonici garantiva una piena autonomia e libertà da

parte dell’autorità ecclesiastica all’interno degli edifici di culto, ad esempio esisteva una particolare normativa era prevista per il reo che decideva di rifugiarsi in una chiesa chiedendo il diritto asilo: questi non poteva essere arrestato senza il permesso dell’ordinario diocesano. Durante il periodo in esame si è assistito ad una espansione dei privilegi in origine propri della Chiesa cattolica anche alle altre Confessione religiose17.Rimangono tuttavia ancora

47 esistenti alcuni privilegi della Chiesa Cattolica. La tutela degli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico così come riporta l’art. 831 2 comma, è rimasta fondata sul codice del 1942 che attribuisce all’autorità ecclesiastica la potestà sulla gestione dei beni necessari a soddisfare i bisogni religiosi della popolazione. Un esempio di ciò è il problema dell’eccessivo numero delle Chiese in un contesto territoriale, o l’eccessiva spesa per la ristrutturazione dell’edificio sproporzionata per l’uso al quale l’edificio è destinato. L’equiparazione tra le due tipologie di interessi non è piena in quanto quest’ultimi sono subordinati ai primi. Un importante elemento di innovazione contenuto nell’articolo 5 della legge n. 121 del 1985 introduce una nuova materia rispetto al concordato, ossia la costruzione di nuovi edifici di culto.

Cessato il periodo in cui la Chiesa faceva erigere i suoi edifici attraverso opere di beneficenza, si viene a creare un sistema in cui Stato e Chiesa collaborano per il medesimo scopo ma con vincoli,

48 oneri ed obblighi differenti. Per l’autorità civile vi è il compito di soddisfare le esigenze della popolazione di carattere religioso, mentre l’autorità ecclesiastica dovrà rappresentare dinanzi all’autorità civile gli interessi propri e quelli della popolazione.

Nella bozza di revisione si prevedeva un organo con il quale l’autorità civile doveva instaurare i rapporti e cioè l’ordinario diocesano. Essa prevedeva anche una enunciazione più sistematica degli oneri di cui doveva farsi carico l’autorità civile. Ma la norma lasciava maggiori oneri all’amministrazione civile: ad esempio, se essa agiva senza un preventivo accordo con l’autorità ecclesiastica ne conseguiva l’illegittimità della disciplina. Quindi la norma fa coincidere le esigenze dell’autorità ecclesiastica con quelle della popolazione e non fornisce un quadro limpido circa gli impegni che l’autorità civile deve assumere. La disposizione della legge n.121 del 1985 è stata integrata dalla legge n. 206 del 1985. Un’importante innovazione è costituita dall’abolizione dell’intervento diretto dell’amministrazione centrale

49 nella costruzione di nuovi edifici di culto, favorendo l’intervento della autorità ecclesiastica. Dopo agli anni ’90, è terminato ogni finanziamento per tali scopi. È stato previsto soltanto un finanziamento alla Conferenza Episcopale Italiana per far fronte alle esigenze della popolazione. Con la legge n. 222 del 1985 la costruzione degli edifici di culto diviene oggetto di una disciplina bilateralmente contrattata. La suddetta legge all’articolo 53 2° comma determina un vincolo per gli edifici di culto che non potevano essere distolti dalla loro destinazione fino al ventesimo anno dalla erogazione del contributo. Altro elemento innovativo è la creazione del Fondo edifici di culto il quale ha il compito di tutelare gli edifici di culto garantendone la conservazione, il restauro ecc…18.

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Capitolo 2

Supreme Court of the United States:

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