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Spazi pubblici della religione. Edifici e luoghi di culto

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Academic year: 2021

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Indice

Capitolo 1 ... 3

Nozione giuridica di edifici destinati al culto. ... 3

Il regime giuridico degli edifici di culto nel periodo liberale, della dittatura e della democrazia repubblicana. ... 21

Il periodo liberale. ... 21

Il periodo della dittatura ... 28

Il periodo dell’età contemporanea ... 37

Capitolo 2 ... 50

Supreme Court of the United States: ... 50

PLEASANT GROVE CITY, UTAH, ET AL . PETITIONERS V. SUMMUM ... 50

Il REFERENDUM SUI MINARETI IN SVIZZERA ... 64

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2 Capitolo 3 ... 82

RIFLESSIONI EDIFICIO DI CULTO_ LUOGO DI CULTO ... 82

Conclusioni ... 95

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Capitolo 1

Nozione giuridica di edifici destinati al

culto.

Definire che cosa si debba intendere per edifici di culto è molto problematico, nonostante a prima vista possa sembrare facile. Tra le diverse norme contenute nelle varie leggi, ciò che maggiormente colpisce è la moltitudine di termini riferibili ad uno stesso concetto, mentre altre ad una pluralità di concetti. Il legislatore, quando parla di edificio di culto per lo più si ispira al concetto derivante dal diritto canonico, che pure non presenta contorni ben definiti.

Il nostro lavoro non può quindi prescindere dalle ricerca nella pluralità di significati, del concetto unitario di edificio di culto in senso giuridico. In questo senso occorre innanzitutto esaminare l'art. 831 cod. civ., che si riferisce

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4 espressamente agli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico. Trattandosi di una norma generalissima, potrebbe indurre alla conclusione affrettata che il concetto unitario di edificio di culto cui si ispira il legislatore sia contenuto all’interno di questo. Si riscontra un rinvio al diritto canonico in quanto solo grazie a questo sarà possibile determinare quando un edificio sia destinato al culto cattolico. Questa norma si applica, inoltre, anche agli edifici che appartengono ai privati, questo significa il disinteresse nei confronti del proprietario, per cui la loro regolamentazione prescinde dal soggetto al quale appartengono, sia esso una persona giuridica ecclesiastica, un ente pubblico o un qualunque privato. tuttavia l'espressione rimane incompleta, poiché non viene specificato se in essa vadano compresi anche gli immobili che sono incorporati nell'edificio o semplicemente legati da un vincolo funzionale come, il campanile, la sagrestia e la casa

canonica.

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5 disposizioni dettate per gli edifici di culto cattolico, si potrebbe dubitare che nella materia sia proprio questo il concetto di base dell’ordinamento giuridico italiano, ma persino a domandarsi se sia possibile fissare un criterio che valga per la maggior parte dei casi; sebbene non unitario.

Fermandosi alla lettera dell'espressione, dovremmo affermare che il diritto prenda in considerazione che tutti gli edifici di culto cattolico siano destinati a soddisfare le esigenze religiose di tutti i fedeli, sia che si tratti di edifici aperti in qualsiasi periodo dell'anno, sia che si tratti di edifici di proprietà di enti pubblici o privati1. Le medesime espressioni si possono leggere in disposizioni legislative che si riferiscono indistintamente all’esercizio del culto cattolico o a quello di culto acattolico. Così, ad esempio, si parla semplicemente di «edifici destinati all'esercizio di culto» o di «edifici destinati ad uso di culto» o di «edifici destinati al culto» o, in maniera ancor più generica,

1 1 Cfr. Domenico Barillaro, Archivio Giuridico “Filippo Serafini”, Società

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6 di «luoghi sacri, luoghi destinati al culto, templi». Si adoperano, quindi, espressioni alquanto generiche, che richiedono una precisa interpretazione allo scopo di comprendere qual è il loro campo di applicazione. Per indicare gli immobili sia di culto cattolico sia di culto non cattolico, si usano le locuzioni «edifici serventi al culto pubblico» e «fabbricati destinati all'esercizio pubblico del culto», dalle quali emerge che la norma trova applicazione quando il locale sia effettivamente destinato alle necessità di culto della popolazione. Nella nostra legislazione ricorre spesso il termine «chiesa», che probabilmente è indice del tentativo di recepire nel diritto interno il concetto canonico di «Domus Ecclesia». Infatti, in varie norme si parla di «chiese aperte al culto», «chiese pubbliche aperte al pubblico», «chiesa conservata al pubblico culto», «chiese aperte al pubblico culto cattolico con le loro pertinenze», «chiese parrocchiali o assimilate a parrocchie».

Altre volte le disposizioni di legge non si limitano a trattare di edifici di culto o di chiese o di

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7 luoghi sacri, disponendo che la norma si applichi relativamente alle pertinenze in genere come le statue, i quadri, gli arredi sacri; altre volte stabiliscono in quali casi esse si estendono ad altri fabbricati a questi legati da un particolare vincolo funzionale come la sagrestia e la canonica.

Alcune norme ancora si riferiscono poi esclusivamente a quelli edifici di culto di proprietà degli enti ecclesiastici. Questa moltitudine di termini non solleva la dottrina dall'onere della ricerca dell'unità alla base del regime giuridico degli edifici di culto. Non basta tener conto di una singola disposizione, ma è necessario metterla in correlazione con le altre che formano l'intero istituto giuridico2, e confrontare l'istituto in esame sia con altri istituti analoghi sia con i principi fondamentali dell’ordinamento in quanto le varie norme non sono isolate.

Il concetto di edificio di culto dovrà quindi essere ricavato per astrazione e generalizzazione a partire dal dato fornito dalle varie norme giuridiche

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8 che ad essi si riferiscono.

Per quanto la varietà dei termini implichi certamente un difetto di tecnica legislativa, non si può parlare di illogicità del sistema che si verifica solo quando due norme si contraddicono e non possono essere applicate contemporaneamente. Anzi, non di rado, nelle disposizioni di diritto positivo si riscontrano elementi che non collimano con i criteri di massima osservati nella suddetta materia, si ha quindi inorganicità del sistema ma non contrasto ineliminabile. Peraltro, a prescindere da questa considerazione, è indubbio che questo processo di sintesi non solo è lecito, ma si impone per la migliore comprensione, la sistemazione e la classificazione dell'istituto.

La varietà di termini in tema di edifici di culto indica come non sempre il legislatore abbia posto la giusta attenzione alla materia, per questo si ritiene che la dottrina dovrebbe riferirsi quasi esclusivamente al criterio fissato dal codice civile, cioè alla nozione di edificio di culto cattolico.

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9 legislativi sono norme di diritto particolare che non possono interessare l'istituto per come si profila nel codice civile, quindi la nozione di edificio di culto nel nostro ordinamento dovrebbe essere desunta dall'articolo 831 del codice civile. Si ritiene che il criterio indicato nel codice civile possa valere come direttiva di per la ricostruzione di tutto l'istituto. Tuttavia al fine di fissare questo concetto, è importante capire cosa intenda per edificio di culto il diritto della Chiesa, poiché a questo diritto, entro certi limiti, si rifà l'ordinamento interno.

Tale affermazione va recepita nel senso che non si vuol affatto asserire che vi sia correlazione ed identità tra l'istituto fissato dal Codex Iuris Canonici e quello desumibile dal diritto interno: il concetto può non coincidere completamente tanto che non si può dire che ogni edificio che il diritto canonico considera destinato al culto lo sia anche per il diritto interno; è comunque certo che per determinare quando un locale sia sacro, è necessario riferirsi all'ordinamento della Chiesa. La qualificazione dell'edificio di culto è data nell'ambito del diritto

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10 canonico ma non tutti quei locali che questo ritiene sacri vengono in considerazione per l'ordinamento statale 3 . La teoria secondo la quale per poter determinare quando un locale possa definirsi destinato al culto, è necessario rifarsi al diritto canonico, può dar luogo ad equivoci. Questa, infatti potrebbe essere intesa nel senso che per il diritto italiano le norme canoniche infatti non hanno una rilevanza diretta poiché nessuna norma statale fa rinvio alla materia, anzi, è opinione comune che la rilevanza del diritto della Chiesa debba sempre essere ricondotta ad un riconoscimento da parte del diritto dello Stato.

Se un tale rinvio non si verificha, tali canoni restano privi di qualunque valore ed efficacia rispetto al diritto statuale. Il diritto canonico non è valido ed efficace nell'ordinamento italiano ma lo diviene in quanto lo Stato si richiami ad esso. Lo Stato italiano non riconosce la qualificazione che il diritto canonico dà di un edificio di culto come atto

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11 giuridico, ma lo assume solo come fatto giuridico per farne derivare conseguenze giuridiche diverse. In ogni caso, è la valutazione operata dal diritto della Chiesa che assume rilievo ai fini di determinare quando un locale possa dirsi destinato al culto, anche se non vi è perfetta coincidenza fra il concetto canonico e quello civile di edificio di culto.

Nell'ambito del diritto canonico, la difficoltà maggiore che si prospetta all’interprete, è data dal fatto che nell'ordinamento giuridico della Chiesa manca l'espressione edificio di culto. Anzitutto il

Codex Iuris Canonici parla solo di chiese e di oratori.

Inoltre, la Chiesa si interessa del carattere sacro che gli edifici di culto assumono con la consacrazione o benedizione; è il carattere della sacralità a rendere un edificio adibito al culto.

Il CIC, dopo aver disposto circa i luoghi sacri in generale, definisce le chiese nel can. 1161, prevedendo che «intelligentur aedes sacra divino cultui dedicata eum positissimum in finem ut omnibus Christifidelibus usui sit ad divinum cultum publice axercendum». Il Codex Iuris Canonici

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12 disciplina anche gli oratori che si differenziano dalle chiese (stando alla letterale dei cann. 1161 e 1188) per il fatto che, pur essendo destinati al culto divino, non sono direttamente destinati all'esercizio del culto di tutti i fedeli. Essi possono essere pubblici, semi-pubblici o privati. Tale classificazione e le relative definizioni non eliminano, tuttavia, le difficoltà che sorgono ogni qualvolta si tratti di determinare in quale delle diverse categorie debba farsi rientrare un determinato oratorio. La differenza tra edificio pubblico di culto, sia questo una chiesa o un oratorio pubblico, e edificio privato di culto si fonda unicamente sul fatto che nel primo vi è un soggetto che si occupa dell’organizzazione della Chiesa, mentre nel secondo, vi è un soggetto titolare della proprietà dell'edificio, ma manca chi provveda all'attuazione dello scopo di culto. Pertanto l'elemento distintivo tra oratorio pubblico e oratorio semi-privato rimane quello fissato dal CIC al can. 1188. Alla luce di quanto esposto, è da escludere che nell'ordinamento giuridico canonico sia possibile individuare un concetto unitario di edificio di culto

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13 che serva quale presupposto per il diritto interno4. Si è posto in rilievo come la categoria degli edifici di culto trovi una diversa regolamentazione nei due ordinamenti giuridici.

Delineato il sistema di norme che regolano la condizione degli edifici di culto nel diritto canonico, é opportuno individuare ora i punti di intersezione dei due ordinamenti. Come già detto in precedenza il codice civile sembra indicare il criterio legislativo attraverso cui è possibile definire il concetto giuridico di edificio di culto che valga come direttiva di massima per la ricostruzione di tutto l'istituto; e ciò non solo per la prevalenza delle disposizioni di quel codice sulle altre, ma anche per il motivo che l'espressione «edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico», usata all'art. 831, è quella che maggiormente si attaglia all'istituto per come questo è regolato dall'intero complesso di norme dettate nella materia. La nozione di edificio di culto che emerge nell'art 831

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14 necessita tuttavia di qualche ulteriore specificazione.

Innanzitutto, occorre stabilire quando un edificio di culto possa dirsi «destinato all'esercizio pubblico del culto cattolico». Il vincolo sorge dall’autorità ecclesiastica che imprime la destinazione, per la quale è sufficiente la dichiarazionee di volontà di un organo della Chiesa che può costruirsi come atto costitutivo della dichiarazione stessa.

Bisogna considerare come il processo di questa

deputatio ad cultum sia del tutto irrilevante per il

diritto italiano, così come lo sono gli effetti che esso determina nel diritto canonico. Conseguentemente trattandosi di un atto esclusivo dell'autorità ecclesiastica, non sembra esatto affermare che la nascita del vincolo di destinazione sia indipendente dalla volontà del proprietario dell'edificio. Sembra, infatti, da escludere che un simile provvedimento dell’autorità ecclesiastica possa determinare da solo l'effetto costitutivo del vincolo della deputatio ad

cultum, senza che a quel momento vi sia stato un

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15 partecipare alla formazione del vincolo.

La necessaria concorrenza di un atto canonico di destinazione di un locale al culto e di una volontà del privato proprietario dell'immobile, diretta a consentire che l'edificio serva per un tempo indefinito all'esercizio pubblico del culto cattolico, induce a considerare la connessione o l'interdipendenza di questi due distinti atti. Essi tendono al medesimo scopo per quanto operino in due ordinamenti giuridici nettamente distinti. Quindi si avranno due atti interdipendenti, fra loro distinti:

la deputatio ad publicum dell'ordinamento

canonico;

un atto del proprietario dell'immobile di

destinazione dell'edificio al culto cattolico.

Concludendo, si potrebbe affermare che un edificio è «destinato all'esercizio pubblico del culto cattolico» quando concorrano la deputatio ad

publicum e l'effettiva destinazione del proprietario. É

importante sottolineare come la celebrazione deve avvenire a porte, aperte potendo accedere chiunque

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16 senza dover giustificare un titolo di ammissione. Il legislatore ritiene che di massima l'ordinamento giuridico dà rilievo alla destinazione dell'edificio del culto quando essa sia a tempo indefinito. Tale principio è desumibile dall'articolo 831, 2° comma, che prevede che «gli edifici... non possono essere sottratti alla loro destinazione... fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano». La peculiarità più rilevante dell'istituto giuridico in esame è quella fissata dall'articolo 831 del codice civile che stabilisce l'impossibilità per il proprietario di distrarre l'immobile dalla destinazione fissata.

Con la destinazione al pubblico culto, l'interesse del proprietario dell'immobile è quindi contrapposto l'interesse della collettività dei fedeli. Da un lato si riconosce la più ampia facoltà per il privato di disporre del bene attraverso gli atti di alienazione, dall'altra questa facoltà si comprime notevolmente, fino quasi ad escludere il godimento del bene. Si nota come la cessazione di fatto dell’apertura del tempio al culto pubblico non

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17 comporta di per sé la cessazione del regime giuridico fissato per quei locali. Non sarà la cessazione di ogni funzione o cerimonia religiosa che farà mancare all'immobile la qualifica di edificio di culto, bensì occorrerà che la chiesa abbia perduto la consacrazione o la benedizione. In nessun caso, il vincolo della destinazione all'esercizio pubblico del culto cattolico potrà ritenersi cessato per effetto del decorso del tempo, nemmeno di fronte ad una prescrizione centenaria.

Resta ora da considerare a quali locali, comunque legati all'area sacra da qualche vincolo funzionale, si estenda il regime giuridico dettato dal legislatore per gli immobili5.

Secondo la dottrina. il concetto di edificio di culto comprende, accanto all'edificio dove il culto si svolge, i locali accessori che, pur avendo un'autonomia strutturale, assolvono ad una funzione complementare in ordine all'esercizio del culto medesimo. La loro accessorietà si concretizza in un

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18 legame puramente funzionale derivante dall'edificio principale al fine di agevolare l'esercizio dell'attività culturale. In virtù di siffatta destinazione durevole, tali locali acquistano la qualità di pertinenze dell'edificio principale destinato al culto. Essi sono peraltro attratti dall'orbita giuridica dell'edificio principale, con la conseguente estensione nei loro confronti dello speciale regime riservato dal legislatore civile agli edifici destinati al culto. La destinazione pertinenziale potrà essere fatta dall’autorità ecclesiastica che avrà anche la facoltà di farla cessare.

Per l'esistenza del vincolo pertinenziale devono sussistere un elemento oggettivo consistente nel rapporto funzionale intercorrente tra i due beni ed un elemento soggettivo consistente nella volontà effettiva di destinazione da parte degli aventi diritto.

Bisognerà inoltre sempre tener presente come il bene sia legato in modo durevole al luogo di culto da quel particolare vincolo di complementarietà funzionale che comporta l'uso del locale stesso a vantaggio dell'edificio principale per il più efficiente

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19 esercizio della chiesa. In questa ipotesi si avrà una pertinenza tra un bene e l'edificio di culto.

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Il regime giuridico degli edifici di culto

nel periodo liberale, della dittatura e

della democrazia repubblicana.

Il periodo liberale.

Il periodo liberale inizia con la concessione dello Statuto Albertino da parte del re Carlo Alberto del Regno di Sardegna, avvenuta il 4 maggio del 1848, e termina nel 1922 con l’ascesa del regima fascista. Nell’ambito di questo periodo è possibile distinguere due sotto-periodi: il primo caratterizzato dal governo della destra liberale e dominato dalla figura di Cavour, il secondo dai governi della sinistra liberale, guidati prima da Francesco Crispi e poi da Giovanni

Giolitti.

Per meglio comprendere il significato delle disposizioni legislative emanate in questo periodo inerenti gli edifici di culto, è opportuno prima fare un accenno ai principi generali che governano il fenomeno religioso. Poiché i legislatori di quel periodo cercarono di non rapportarsi direttamente con la Chiesa, l’identità e la qualificazione di questa

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22 nei confronti del diritto dello Stato rimasero poco definite. L’organizzazione della Chiesa derivava dal Papa, che rifiutava di riconoscere lo Stato come unica fonte legittima di governo. Lo Stato non attribuiva quindi alcun valore formale agli atti della Chiesa, sebbene riconoscesse e proteggesse alcuni aspetti della sua organizzazione. Gli edifici di culto, nel primo sotto-periodo, furono oggetto di numerose disposizioni legislative, la maggior parte delle quali riguardava la proprietà ecclesiastica. Vennero emanate una serie di leggi tra cui la L. n. 878 del 29 maggio 1855 che soppresse «le case degli ordini religiosi i quali non attendono alla predicazione, all’educazione e all’assistenza…», ordinando che i beni posseduti da quegli enti confluissero nella Cassa Ecclesiastica. Con questa legge si cercò di attirare l’attenzione sull’attività di culto come servizio da garantire ai cittadini addossandone al pubblico i costi. In seguito la L. n. 3848 del 15 agosto 1867 ordinò la soppressione degli enti ecclesiastici secolari e la liquidazione dell’asse ecclesiastico. In questa legge veniva inoltre stabilita

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23 la devoluzione del patrimonio al demanio. Questo aspetto riguardava anche gli edifici di culto, vincolandone gli arredi, i mobili …, e impedendo la vendita di quei beni da parte del demanio a terzi6. Il legislatore in questo periodo pose la sua attenzione sulla proprietà degli edifici di culto concentrandosi su quelli di proprietà degli enti ecclesiastici, mentre gli altri edifici di culto non furono oggetto di attenzioni da parte della disciplina.

Il regime patrimoniale dei privati quindi presentava alcune differenze se paragonato a quello applicato alle istituzioni ecclesiastiche e questa diversità diede origine al fenomeno delle «frodi pie».

Questo fenomeno viene descritto come «una serie di lasciti fiduciari di beni destinati a scopo ecclesiastico in favore di persone fisiche, con l’obbligo morale degli interessati di perpetuare lo scopo lasciando i loro beni a nuovi successori allo scopo di aggirare i limiti delle leggi eversive».

Si riteneva che i beni ecclesiastici fossero di

6

Cfr. Valerio Tozzi, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1990, pp. 27-35.

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24 pubblico esercizio in quanto destinati a pubblica utilità, e quindi che la giurisdizione di detti beni fosse materia statale. Il cambiamento dei patrimoni dunque non determinava la cancellazione delle finalità pubblicistiche, ma esse dovevano continuare sotto il controllo dello Stato. Era evidente l’intento dello Stato di assoggettare sotto il proprio controllo numerosi beni ecclesiastici con l’intento di risanare il bilancio erariale. In questo periodo una parte minoritaria della dottrina sosteneva che i fedeli fossero i proprietari dei beni, ed è sempre in questo periodo che viene collocata la nascita della tutela alla destinazione al culto come onere dello Stato. È tuttavia una forma limitata di tutela che veniva concessa solo ad alcune tipologie di edificio in base alla loro originaria appartenenza a tipologie di persone giuridiche che lo Stato poteva porre sotto il proprio controllo. Si sviluppa comunque una nuova attenzione da parte delle istituzioni statali nei confronti della funzione di culto svolta da determinati beni. Tali funzioni vengono considerate interne alla Stato. Una delle figure dominanti di

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25 questo periodo fu quella di Cavour, il quale non concepiva la libertà della Chiesa e quindi non attribuiva nessun valore agli atti dell’autorità ecclesiastica7. Il secondo sotto-periodo caratterizzato dal governo della sinistra liberale si limitò ad integrare la legislazione del periodo precedente adottando una serie di correzioni e integrazioni in alcuni settori della materia. Alcuni dei settori interessati da queste correzioni furono il campo dei beni artistici, il campo tributario, quello della normativa comunale e provinciale e quello della commerciabilità degli edifici di culto di proprietà privata. Nel campo dei beni artistici i governi della sinistra dimostrarono di essere consapevoli che la maggior parte del patrimonio che intendevano tutelare era costituito da chiese e da oggetti di arte sacra. Questi governi adottarono normative diverse a seconda dalla tipologia del proprietario del bene, distinguendoli in beni di proprietà demaniale, di enti morali e di soggetti privati. L’ambito tributario è caratterizzato dalla emanazione di alcune leggi tra

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26 cui la L. n. 4021 del 28 agosto 1877 riguardante la tassazione della ricchezza mobile, la quale colpiva anche i redditi degli enti ecclesiastici, ma non gli edifici di culto, in quanto questi beni erano ritenuti non produttivi di reddito. Da evidenziare anche il R.d. n. 1169 del 24 novembre 1919 che istituiva l’imposta straordinaria sul reddito e che veniva applicato anche alle Chiese e ad ogni altro edificio di culto. Per quanto riguarda la normativa comunale e provinciale venne emanata la L. n. 2248 del 20 marzo del 1865 la quale stabiliva che « ...fino a quando non si approva la legge che regoli le spese di culto sono obbligatorie per i comuni quelle per la conservazione degli edifici serventi al culto pubblico, nel caso di insufficienza di altri mezzi per provvedervi». Sulla questione della commerciabilità o meno degli edifici di culto di proprietà di privati è necessario mettere in evidenza come in questo periodo mancasse qualsiasi riferimento normativo al regime giuridico degli edifici privati soggetti al culto. Le leggi che stabilivano l’inalienabilità delle

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27 conseguenza gli edifici che non rientravano nelle leggi eversive erano disciplinati dal diritto comune. In questo periodo emerge così «una politica legislativa volta al rispetto della religione come bene comune da tutelare per soddisfare gli interessi della popolazione»8.

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Il periodo della dittatura

Il periodo della dittatura va dalla fine della grande guerra e dall’avvento del fascismo fino al 1 gennaio del 1948, giorno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Questo periodo è caratterizzato da un richiamo al periodo precedente ma anche da elementi di innovazione, che sono però in contrasto con quelli del periodo precedente. Abbandonata la strada delle leggi eversive che aveva caratterizzato il periodo precedente, le varie correnti cattoliche lavorarono per valorizzare e accrescere gli aspetti di tutela della religione e per favorire l’attività svolta dalla Chiesa e dal suo diritto nel contesto civile. Inoltre, si cercò di estendere i vincoli che il legislatore aveva imposto agli edifici di culto di derivazione ecclesiastica anche agli edifici di proprietà di privati, cercando di eliminare le differenze tra edifici di culto di proprietà pubblica e di privati. Per capire meglio le innovazioni in materia di edifici di culto è importante richiamare la

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29 conciliazione avvenuta nel 1929 tra Stato e Chiesa, che permise a quest’ultima di ottenere il riconoscimento della giuridicità dell’ordinamento canonico, e di vedere accordatasi una rilevanza giuridica in ambito civile degli atti da lei emanati. Inoltre la conciliazione abolì la precedente legge delle Guarentigie e attribuì alla Chiesa il potere di creare nuovi enti. Parallelamente a questo la conciliazione determinò anche un passo indietro da parte dello Stato in materia di patrimonio ecclesiastico, attribuendo alla Chiesa un potere di vigilanza sulla gestione dei beni appartenenti a qualsiasi tipologia di istituto ecclesiastico: questo segnò un distacco dal periodo precedente che aveva posto al centro del dibattito le potestà statali. Dinanzi ai cambiamenti introdotti dalla Conciliazione, e al nuovo contesto istituzionale, è opportuno riordinare i rapporti tra il diritto canonico e l’ordinamento dello Stato. Il fatto che lo Stato non intervenisse più in maniera diretta per la tutela dei bisogni religiosi dei cittadini, ma che questi venissero tutelati dalla autorità ecclesiastica, pose la

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30 Chiesa non solo in una posizione di autonomia, ma gli attribuì caratteri pubblicistici riconosciuti dall’ordinamento interno e quindi vincolanti per i cittadini. Questo aspetto, rintracciabile anche in materia di edifici di culto, é in particolar modo evidente dalle restituzione di numerosi edifici di culto da parte dello Stato all’autorità ecclesiastica9

, come la restituzione di basiliche e chiese. Di notevole importanza anche l’ingresso di membri ecclesiastici all’interno delle amministrazioni civili, nonché il conferimento di personalità giuridica alle chiese pubbliche aperte al culto. Un altro importante elemento innovativo riguarda la destinazione di edificio al culto: precedentemente l’immobile non poteva essere sottratto alla sua destinazione, né alienato, né venduto se di proprietà pubblica. Ora invece questa distinzione viene meno non essendoci più differenza tra proprietà pubblica e privata, viene così attribuito all’autorità ecclesiastica un potere autonomo circa la destinazione degli edifici, che non tiene più conto del diritto di proprietà sul bene. Tali

9

Cfr. Valerio Tozzi, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1990, pp. 60-70.

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31 disposizione sono contenute negli articoli 9 e 10 del Concordato.

Veniva così a delinearsi un quadro in cui i diritti e i bisogni religiosi dei cittadini erano rappresentati e tutelati dall’autorità ecclesiastica dinanzi a quella civile. Lo Stato così facendo attribuiva alla Chiesa poteri pubblicistici capaci di vincolare sia soggetti pubblici che soggetti privati proprietari di beni aperti al pubblico10. Per avere un quadro di insieme più completo è però necessario soffermarci ora sulla normativa avente ad oggetto gli edifici di culto delle altre Confessioni religiose. Nel periodo precedente le Confessioni religiose diverse dalla cattolica videro attenuarsi le persecuzioni nei loro confronti, e nello Stato liberale vennero definite come culti tollerati. Con l’imporsi della dittatura, ed in seguito alla Conciliazione del 1929 si arrivò alla emanazione di un’importante legge avente ad oggetto le Confessioni religiose diverse dalla cattolica, la legge n.1159 del 24 giugno del 1929. Questa legge, se da un lato tutelava la liberta

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32 religiosa individuale, dall’altro guardava con diffidenza le organizzazioni confessionali, poiché il regime fascista voleva sottolineare il rapporto privilegiato, di intesa con la Chiesa Cattolica e perciò distinguerlo da quello con le altre Confessioni religiose. A queste vennero quindi imposti una serie di limiti, restrizioni e controlli. Uno dei più evidenti in materia di edifici di culto fu l’introduzione di una serie di vincoli e di autorizzazioni raramente concesse dopo un iter procedurale molto complesso per la costruzione di un nuovo tempio.

Lo scopo era evitare il diffondersi di confessioni religiose diverse dalla cattolica, viste dal regime come elemento di disgregazione nazionale. Rimasero tuttavia inalterate una serie di leggi tra cui la legge n 2136 del 26 gennaio 1865 la quale prevedeva l’esenzione dall’imposta per gli edifici aperti al culto, senza fare distinzione tra edifici di culto cattolico e acattolico e quindi valevole per tutti11. Un altro ambito in cui il regime ha introdotto degli elementi che ci permettono di capire meglio il

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33 suo rapporto con gli edifici di culto è l’ambito catastale. Da evidenziare il R.d.l del 13 aprile 1939 poi convertito nella legge n. 1249 del medesimo anno, il quale disponeva l’accertamento delle proprietà immobiliari e della loro rendita. Tale legge escludeva dalla dichiarazione i fabbricati destinati all’esercizio di culto senza distinguere tra edificio di culto pubblico o privato, di culto cattolico o di culto acattolico.

Tutto questo non si ripeterà all’interno dell’art. 831, comma 2 del Codice Civile del 1942 il cui contenuto sarà destinato solo agli edifici di culto pubblico cattolico. Molto più complicato si presenta lo studio e l’analisi dell’art 831 2 comma del Codice civile. Dobbiamo distinguere una prima proposta dell’articolo 831 del Codice Civile, la quale si fondava ancora sulla equiparazione tra cose pubbliche e private, equiparazione che è venuta meno con il testo definitivo dell’articolo, poiché in esso viene enunciato il principio di tutela solo degli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto, e quindi distinguendo tra edifici di culto pubblico e

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34 privati. Viene poi stabilita un’altra distinzione con l’introduzione dell’aggettivo cattolico in modo da escludere gli edifici di culto acattolico e mettendo in evidenza un particolare interesse dello Stato nei confronti della Chiesa cattolica essendo la religione cattolica, dato che il cattolicesimo era la religione della maggioranza della popolazione italiana di quel periodo. Di questo assetto normativo ne trassero vantaggio sia la Chiesa Cattolica che poté utilizzare in maniera autonoma l’edificio esercitando su di esso potere diretto, sia i fedeli nello svolgimento ordinario dei riti, visti anche i limiti imposti al dominus, che doveva astenersi da porre in essere azioni volte a limitare l’utilizzo del bene da parte dei fedeli. Era prevista però la possibilità di concludere accordi di carattere privatistico tra il proprietario dell’edificio e l’autorità ecclesiastica12

. Il regime dittatoriale fascista con questo, articolo pone un vincolo confinato agli edifici di culto pubblico, cosa che era assente all’interno del regime concordatario, lasciando un collegamento tra l’ordinamento statale

12

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e quello canonico caratterizzato

dall’indeterminatezza.

Ed è proprio in quest’ultima che il regime ottiene una libertà di movimento per svolgere le attività dei proprio organi. In conseguenza di ciò il regime può modificare quella politica di favoreggiamento nei confronti della Chiesa Cattolica ogni volta che essa contrasta con i suoi fini dispotici e politici. È utile osservare l’impatto dovuto alla riforma urbanistica del 1942 la quale conferì alle chiese una natura pubblicistica in quanto anche esse erano contenute nella riforma del piano regolatore generale.

Questa riforma pose sullo stesso piano degli edifici pubblici come la casa del fascio, le case comunale, gli edifici di culto pubblico cattolico. Inoltre, la riforma del piano regolatore prevedeva la designazione di specifiche aree destinate alla costruzione di chiese. Sia l’art. 831, il quale si sofferma sulla natura del vincolo di destinazione dell’edificio di culto, mentre la riforma urbanistica mette in evidenza l’interesse pubblico nella

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36 edificazione di detti edifici, ci portano ad affermare il richiamo al diritto canonico come fonte disciplinare 13 . Emerge in questo periodo un atteggiamento di favore da parte del regime nei confronti della Chiesa Cattolica e dei suoi edifici, atteggiamento motivato per tutelare quell’interesse di unità nazionale cosi caro al regime.

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Il periodo dell’età contemporanea

Il presente paragrafo ha l’obiettivo di mettere in luce la complessità dei numerosi interessi che ruotano intorno al tema degli edifici di culto, e di evidenziare gli elementi più caratterizzanti ed innovativi di questo periodo. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale i danni riportati dall’edilizia di culto erano ingenti. L’interesse del legislatore si concentrò sulla ricostruzione e il restauro degli edifici di culto. Vennero quindi emanate alcune leggi e di decreti legislativi volti alla ricostruzione di questi edifici; la maggior parte delle leggi aveva ad oggetto edifici di culto cattolico poiché il cattolicesimo era la religione più diffusa.

Lo stato si caricò delle spese per la ricostruzione di chiese e cattedrali. L’opera di ricostruzione che non ebbe ad oggetto le sole chiese ma anche campanili, seminari, pertinenze e non teneva conto della differenza tra edifici di proprietà di privati o di enti ecclesiastici. Dopo l’entrata in vigore della

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38 Costituzione, gli effetti prodotti da questa legislazione speciale in materia furono estesi alle confessioni diverse dalla cattolica, tuttavia per queste ultime rimasero presenti una serie di impedimenti e di ostacoli, come l’iter burocratico più complesso per accedere a determinati finanziamenti. Venne emanata la legge n. 2252 del 1952 concernente al concorso dello Stato nella costruzione di nuove chiese. Il percorso per l’applicazione di questa legge prevedeva il coinvolgimento sia di organi statali tra i quali il Ministero degli Interni sia di organi ecclesiastici tra cui la Pontificia Commissione per l’arte sacra. La legge riguardava le parrocchie come destinatari delle opere e incaricava le diocesi della loro esecuzione facendo riferimento ai parrocchiani come beneficiari dell’opera. Questa legge, che vista la sua importanza e il particolare momento in cui venne emanata, rimase in vigore per dieci anni senza che vi fossero apportate modiche.

Questa legge prevedeva l’aumento dei finanziamenti da parte dello Stato semplificando

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39 l’iter amministrativo per ottenere tali finanziamenti. Essa inoltre, accanto alle opere di costruzione a carico dello Stato, prevedeva anche la distribuzione di contributi trentacinquennali per la costruzione di edifici di culto. La norma in esame ebbe quindi il merito sia di consolidare l’intervento statale in materia di ricostruzione degli edifici di culto sia di aumentare e rafforzare questo intervento conferendogli un aspetto più sistematico. Lo Stato riteneva che la concessione di questi finanziamenti alla Chiesa avesse lo scopo di garantire alla popolazione l’esercizio pubblico del culto. Considerare il concetto di popolazione coincidente con quello di parrocchiani era un retaggio del periodo precedente. La connotazione pubblicistica degli edifici di culto prevista dalla legge urbanistica del 1942 fu ribadita anche dalla legge n. 167 del 18 aprile del 1962. Essa prevedeva che i comuni con una popolazione superiore ai cinquantamila abitanti dovessero destinare determinate aree alla costruzione di reti stradali di altre opere di interesse pubblico tra cui gli edifici pubblici di culto.

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40 Successivamente, la legge n 847 del 1964 stabilì la possibilità per i comuni di ottenere mutui con tassi agevolati per la costruzione di opere di urbanizzazione primaria: tra queste non rientravano gli edifici di culto, la cui realizzazione spettava ad enti istituzionalmente competenti tra cui l’autorità ecclesiastica. Di conseguenza gli edifici di culto erano edifici di interesse pubblico ma non potevano essere realizzati dalla mano pubblica perchè non rientranti nelle competenze delle amministrazioni comunali14. Solo la legge n. 765 del 1967 e il decreto ministeriale n. 1444 del 1968 stabilirono i rapporti tra le zone riservate alla realizzazione di abitazioni e le zone destinate alle attività collettive, tra le quali rientravano anche le strutture di interesse culturale, religioso, e sociale. Poiché gli edifici di culto erano inseriti tra le attrezzature di natura collettiva, possiamo affermare che il soddisfacimento di questi bisogni rientrava nelle competenze dell’amministrazione comunale.

Quindi il fenomeno religioso

14

Cfr. Valerio Tozzi, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1990, pp. 132-148.

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41 non è più di sola competenza dell’amministrazione centrale, ma anche di quella amministrativa. Uno dei problemi che emerge da questa analisi deriva dalla pluralità di sostantivi e di soggetti che sono stati usati nelle diverse leggi. Ad esempio la legge n.167 del 1962 fa riferimento agli edifici pubblici di culto, mentre la legge n. 765 del 1967 si riferisce ad attrezzature religiose e la legge n. 865 del 1971 usa le espressioni chiese ed altri edifici per servizi religiosi. Si nota un richiamo agli edifici del culto pubblico cattolico in questi termini, ma il riferimento alle amministrazioni comunali fa si che esse specifichino il soggetto delle singole disposizioni in modo da poter rispondere meglio alle singole esigenze manifestate. È importante sottolineare il carattere assunto dall’ edilizia di culto che rientra nelle competenze delle amministrazione periferiche dello Stato.

Mentre da un lato lo Stato pretendeva i fondi dagli enti locali i quali dovevano garantire e soddisfare l’interesse religioso della popolazione, senza distinzione tra le varie confessioni religiose in

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42 ambito di costruzione di edifici di culto, l’onere era di fatto vigente solo nei confronti della Chiesa Cattolica. Si arriva ad un’azione combinata tra la Chiesa e lo Stato secondo quel modello vigente anche nel periodo fascista e mantenuta durante il

periodo repubblicano.

I comuni ricevevano somme destinate alla costruzione delle opere di urbanizzazione tra le quali le chiese cattoliche, assistendo ad un decentramento del potere: e quindi in questo un netto distacco col il periodo precedente. Lo stato guarda a quelli che sono gli interessi delle comunità locali. È inoltre indispensabile che le autorità locali e civili si muovano in sincronia con l’autorità ecclesiastica che è l’unica che può conferire il carattere sacro all’edificio di culto, perché in assenza di questo l’edificio non sarebbe idoneo a svolgere le sue funzioni15.

La legge n 865 del 1971 determinò il nascere «degli enti istituzionalmente competenti del servizio religioso». Tale legge finì per assumere una valenza

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43 generale anche se per molti aspetti era confusa e generica, infatti non regola i rapporti tra autorità civile ed ecclesiastica. sia per quanto riguarda la costruzione dell’edificio sia per la sua amministrazione e gestione lasciando un elevato margine di dubbio.

Gran parte della normativa emanata aveva ad oggetto solamente la Chiesa Cattolica ed di conseguenza i suoi edifici di culto. Dovremmo aspettare circa quarant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione per vedere attuata la prima intesa fra lo Stato e la Tavola valdese contenuta nella legge n. 449 del 1984. Successivamente furono poste in essere anche intese con altre confessioni religiose, ad esempio l’intesa con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane approvata dalla legge n.101 del 1989. Con la legge n.121 del 1985, di esecuzione del nuovo accordo concordatario furono introdotti una serie di elementi innovativi che modificarono gli articoli 9 e 10 del Concordato lateranense. Il comma 1 dell’articolo 5 riprende quanto enunciato negli articoli 9 e 10 in materia di divieto di demolizione,

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44 di sequestro di edifici di culto, in apparenza riportando elementi già presenti in detti articoli, ma in realtà ponendo in essere una serie di significative differenze.16 La norma fa riferimento innanzitutto ad un soggetto più ampio di quello contenuto nell’articolo 831 del codice civile in quanto si riferisce a edifici aperti al culto. Accanto ai riferimenti inerenti la demolizione degli edifici di culto, troviamo anche il concetto di espropriazione dell’edificio aperto al culto. C’è quindi un richiamo esplicito all’espropriazione che invece veniva data per implicita all’interno del concordato. Inoltre, la norma fa un riferimento all’autorità ecclesiastica come soggetto abilitato ad intervenire nella procedura di espropriazione senza però indicare gli interessi che è chiamata a tutelare. Questo era ciò che si verificava anche nel periodo precedente caratterizzato da una posizione privilegiata della Chiesa Cattolica in quanto religione di Stato. Ma con il nuovo assetto Costituzionale ciò che assume un carattere di privilegio è il fatto che l’autorità

16

(45)

45 ecclesiastica possa intervenire direttamente facendo valere i propri interessi nel procedimento di espropriazione. E questo sembrerebbe ledere i principi stabiliti dall’art 8 della Costituzione.

Un altro elemento degno di attenzione riguarda l’eliminazione del potere discrezionale dell’autorità civile circa la considerazione del parere e delle ragioni dell’autorità ecclesiastica, infatti nella nuova norma l’autorità civile non può procedere senza il parere di quella ecclesiastica, sorge quindi un impedimento, un divieto nel procedere senza un accordo precedente e non più un potere discrezionale. E questo crea un enorme vantaggio in capo all’autorità ecclesiastica, vantaggio di cui nessuna autorità civile gode dinanzi alla potestà ablativa. Si ha un vero e proprio potere di veto. Al contrario, nei confronti della confessioni religiose diverse dalla cattolica, la normativa non prevedeva disposizioni a tutela degli edifici di culto. Durante il periodo fascista questi edifici sono considerati di scarso interesse per lo Stato, erano sottoposti e disciplinati dal diritto comune. I loro templi erano

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46 soggetti a demolizione, agli espropri, senza il minimo intervento da parte dell’amministrazione pubblica, la quale non si interessava al problema. In seguito all’approvazione degli articoli 3 ,8 e 19 della Costituzione, questa situazione avrebbe dovuto cessare in favore del riconoscimento della pari libertà religiosa nei confronti delle altre Confessioni religiose.

Gli edifici di culto in questo periodo erano tutelati nei confronti della forza pubblica da una serie di vincoli e di limitazioni. Il Codex Iuris

Canonici garantiva una piena autonomia e libertà da

parte dell’autorità ecclesiastica all’interno degli edifici di culto, ad esempio esisteva una particolare normativa era prevista per il reo che decideva di rifugiarsi in una chiesa chiedendo il diritto asilo: questi non poteva essere arrestato senza il permesso dell’ordinario diocesano. Durante il periodo in esame si è assistito ad una espansione dei privilegi in origine propri della Chiesa cattolica anche alle altre Confessione religiose17.Rimangono tuttavia ancora

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47 esistenti alcuni privilegi della Chiesa Cattolica. La tutela degli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico così come riporta l’art. 831 2 comma, è rimasta fondata sul codice del 1942 che attribuisce all’autorità ecclesiastica la potestà sulla gestione dei beni necessari a soddisfare i bisogni religiosi della popolazione. Un esempio di ciò è il problema dell’eccessivo numero delle Chiese in un contesto territoriale, o l’eccessiva spesa per la ristrutturazione dell’edificio sproporzionata per l’uso al quale l’edificio è destinato. L’equiparazione tra le due tipologie di interessi non è piena in quanto quest’ultimi sono subordinati ai primi. Un importante elemento di innovazione contenuto nell’articolo 5 della legge n. 121 del 1985 introduce una nuova materia rispetto al concordato, ossia la costruzione di nuovi edifici di culto.

Cessato il periodo in cui la Chiesa faceva erigere i suoi edifici attraverso opere di beneficenza, si viene a creare un sistema in cui Stato e Chiesa collaborano per il medesimo scopo ma con vincoli,

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48 oneri ed obblighi differenti. Per l’autorità civile vi è il compito di soddisfare le esigenze della popolazione di carattere religioso, mentre l’autorità ecclesiastica dovrà rappresentare dinanzi all’autorità civile gli interessi propri e quelli della popolazione.

Nella bozza di revisione si prevedeva un organo con il quale l’autorità civile doveva instaurare i rapporti e cioè l’ordinario diocesano. Essa prevedeva anche una enunciazione più sistematica degli oneri di cui doveva farsi carico l’autorità civile. Ma la norma lasciava maggiori oneri all’amministrazione civile: ad esempio, se essa agiva senza un preventivo accordo con l’autorità ecclesiastica ne conseguiva l’illegittimità della disciplina. Quindi la norma fa coincidere le esigenze dell’autorità ecclesiastica con quelle della popolazione e non fornisce un quadro limpido circa gli impegni che l’autorità civile deve assumere. La disposizione della legge n.121 del 1985 è stata integrata dalla legge n. 206 del 1985. Un’importante innovazione è costituita dall’abolizione dell’intervento diretto dell’amministrazione centrale

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49 nella costruzione di nuovi edifici di culto, favorendo l’intervento della autorità ecclesiastica. Dopo agli anni ’90, è terminato ogni finanziamento per tali scopi. È stato previsto soltanto un finanziamento alla Conferenza Episcopale Italiana per far fronte alle esigenze della popolazione. Con la legge n. 222 del 1985 la costruzione degli edifici di culto diviene oggetto di una disciplina bilateralmente contrattata. La suddetta legge all’articolo 53 2° comma determina un vincolo per gli edifici di culto che non potevano essere distolti dalla loro destinazione fino al ventesimo anno dalla erogazione del contributo. Altro elemento innovativo è la creazione del Fondo edifici di culto il quale ha il compito di tutelare gli edifici di culto garantendone la conservazione, il restauro ecc…18.

18

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50

Capitolo 2

Supreme Court of the United States:

PLEASANT GROVE CITY, UTAH, ET AL .

PETITIONERS V. SUMMUM

I destinatari di questa sentenza sono la città di Pleasant Grove nello stato dello Utah e l’organizzazione religiosa Summum fondata nel 1975 con sede centrale a Salt Lake City.

Summum è una religione fondata nel 1975 da Claude Corky Nowell, il quale ebbe un incontro con degli esseri da lui descritti come "individui" Summa. Secondo Nowell, questi esseri lo posero dinanzi a i concetti riguardanti la natura della creazione, concetti che sono sempre esistiti e che sono continuamente reintrodotti all'umanità da esseri avanzati che lavorano lungo i sentieri della creazione. Come risultato della sua esperienza, Nowell fonda Summum, al fine di condividere il "dono" che ha ricevuto con gli altri.

La filosofia di Summum ritiene che i principi della natura non possono essere riconosciuti da

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51 qualsiasi persona. Questi principi sono stati illustrati in forme diverse in un primo tempo nell’opera intitolata Il kibalion inizialmente pubblicata nel 1908. Ma Summum, ritenendo il Kybalion un’opera incompleta ed antiquata, riscrisse il libro utilizzato un linguaggio più moderno. Alla base della filosofia di Summum vi è il "grande principio della creazione", e dal quale derivano i "Sette Principi Summum" conosciuti come Psicocinesi, Corrispondenza, Vibrazione, Opposizione, Ritmo, Causa ed Effetto, e di Genere. Summum afferma che i suoi insegnamenti sono gli stessi del cristianesimo gnostico e sostiene che la conoscenza non proviene dall'intelletto, dall’obbedienza o dalla fede, ma dall’esperienza rivelatrice secondo Summum, la pratica e la devozione spirituale portano a un'esperienza rivelatrice, che è stata la base degli insegnamenti autentici di Gesù.

Summum sostiene che i principi e la natura della creazione sono continuamente ri-presentati all'umanità da esseri evoluti. Il gruppo sostiene che Mosè nel Vecchio Testamento ricevette una

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52 conoscenza "inferiore" e una "superiore" da un essere divino. La conoscenza più bassa è stata incorporata nei Dieci Comandamenti, mentre la conoscenza più alta è stata espressa in quello che Summum definisce come i "Sette Aforismi". Quando Mosè prima scese dal Monte Sinai, aveva con sé la conoscenza superiore, la legge scritta su tavole di pietra. Tuttavia, la condizione non sviluppata degli Israeliti ha impedito loro di comprenderne il significato. Mosè così salì di nuovo sul monte Sinai e ritornò con un’ altra legge inferiore, che gli uomini avrebbero compreso più facilmente. La legge superiore è stata condivisa solo con pochi eletti capaci di comprenderne il significato. Questo sembra coincidere con uno dei precetti di Summum che afferma: "La voce della saggezza è silenziosa, se non per la mente aperta"19.

Una volta descritti i soggetti protagonisti della vicenda è opportuno illustrare l’oggetto del contendere. La questione riguarda l’applicazione della clausola del Free Speech del First

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53

Ammendment ed in particolare se tale clausola dia la

possibilità ad un gruppo privato, nello specifico una organizzazione religiosa di nome Summum, il diritto di erigere un monumento nel Pioneer Park, un parco pubblico situato nel distretto storico di Pleasant Grove City nello stato dello Utah. Nel 2009, anno in cui venne pronunciata la sentenza, conteneva quindici monumenti, di cui almeno undici donati da gruppi o individui privati. Fra questi vi erano un granaio storico, un pozzo dei sogni, un monumento dedicato alle vittime dell’undici settembre e uno dedicato ai Dieci Comandamenti donato dal Fraternal Order of Eagles nel 1971.

Il convenuto Summum per due volte nel 2003 aveva scritto una lettera indirizzata al sindaco di Salt Lake City dove chiedeva il permesso di erigere un monumento in pietra sul quale erano incisi i Sette Aforismi di Summum di dimensioni e natura molto simili a quello dei Dieci Comandamenti.

La città ha respinto la domanda affermando che la prassi era quella di limitare i monumenti a quelli legati strettamente alla storia della città o

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54 donati da gruppi che hanno un lungo legame con la comunità di Pleasant Grove. L’anno successivo la città mise questi criteri per iscritto prevedendone anche altri quali la sicurezza e l’estetica. Nel maggio del 2005 l’Ad di Summum scrisse nuovamente al sindaco chiedendo di poter erigere il monumento, ma la lettere non conteneva nessuno dei criteri indicati ed il comune respinse di nuovo la richiesta. Nel 2005 Summum si vide costretta a presentare una querela contro la città dichiarando che i richiedenti avevano violato la clausola del Free Speech del First

Ammendment poiché avevano permesso la costruzione del monumento dei Dieci Comandamenti ma, avevano negato la costruzione del monumento inerente i Sette Aforismi di Summum.

La District Court ha respinto la richiesta di Summum, dando ragione alla città di Pleasant Grove. Summum decide quindi di ricorrere in Appello opponendo unicamente la clausola del Free

Speech del First Ammendment. Una commissione

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55 dichiarando che la città non poteva respingere il monumento dei Sette Aforismi di Summum, in quanto la materia in questione era di natura «privata», inerente un assetto privato e non una faccenda governativa. La commissione ha inoltre affermato che la decisione dell’esclusione del monumento della convenuta non sarebbe sopravvissuta ad un esame accurato ed approfondito dichiarando che la città dovesse subito dare il permesso di costruire il monumento. I monumenti permanenti collocati sul suolo pubblico se sono stati finanziati dal governo parlano per il governo esprimono un significato, tuttavia anche quei monumenti che sono stati finanziati da privati e che sono stati collocati su suolo pubblico parlano per conto del governo.

Molti dei monumenti che ora si trovano nei parchi pubblici sono stati finanziati da privati o donati da enti privati come ad esempio i siti gestiti dal National Park Service, i quali contengono migliaia di monumenti tra i quali la Statue of Liberty, il Marine War Corps Memorial ed il

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56 Vietnam Veterans Memorial. Questo perché gli enti governativi così facendo risparmiano la tax dollar, le spese governative20.

In generale gli enti governativi esercitano un processo di selezione quando ricevono una richiesta da un ente privato per la costruzione di un monumento, come quello discusso dalla città di New York in riferimento ad Amicus Curiae. In tutti i paesi i municipi esercitano un controllo di questo genere. Perché spesso i parchi pubblichi vengono associati dalla mente delle persone all’ente che è proprietario del terreno, ed essi giocano un ruolo fondamentale nel definire l’identità di una città, Quindi le città procedono con molta cautela prima di accattare o non un monumento in donazione.

Chi ha la responsabilità di accettare o meno un monumento attua una selezione in base a certi criteri, che saranno diversi ed appropriati alle caratteristiche del luogo, tenendo conto di fattori estetici, storici. I monumenti ritenuti idonei comunicheranno un messaggio di natura governativa

20

Cfr. Corte Suprema statunitense, nel caso Pleasant Grove City V. Summum, Fabruary 25, 2009.

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57 e dunque costituiscono un discorso governativo.

Il convenuto, Summum teme una strumentalizzazione nutrendo una preoccupazione legittima sull’abuso di questo discorso perché esso potrebbe venire usato per favorire certi privati rispetto ad altri. Che venga fatta una valutazione basata su un punto di vista. E la soluzione proposta dal convenuto è che un ente governativo che vuole accettare un monumento in donazione da un ente privato intraprenda un percorso che lo porti ad abbracciare il messaggio trasmesso dal monumento.

Tuttavia la corte non vede motivo per imporre questo requisito e non ritiene che sarebbe possibile imporre a quegli enti che già hanno dei monumenti su terreni propri di tornare indietro e di adottare quei monumenti come loro veicoli di espressione sarebbe anzi un’azione priva di scopo. Inoltre secondo la corte ciò che il convenuto non tiene in considerazione è che un monumento può esprimere più di un messaggio e non un solo significato, quello inteso dal donatore del monumento, poiché il monumento, anche nella ipotesi in cui contenga

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58 delle parole scritte è soggetto comunque ad una interpretazione e quindi può essere interpretato in maniera diversa. Un esempio è il messaggio del mosaico Greco –Romano della parola Imagine che fu donato al Central Park di New York per commemorare John Lennon che suscita diverse interpretazioni. Questi monumenti evocano nelle persone sentimenti e pensieri diversi e nei monumenti privi di parole questo effetto sarà ancora maggiore. E quindi in contrasto con quello affermato dal Convenuto, poiché un ente governativo che accetta un monumento donato da un privato e decide di metterlo in mostra, ad esempio in un parco può avere pensieri e concepire un significato diverso da quello inteso dal donatore .

Il messaggio di un monumento può inoltre assumere un significato diverso a seconda degli altri monumenti che vengono posti nelle vicinanze, ne è un esempio la polemica riguardante il disegno originale del Vietnam Veterans memorial. Un ulteriore esempio di come può evolvere nel tempo in significato di un monumento ci è dato da uno dei più

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59 famosi monumenti pubblici degli Stati Uniti D’America la Statua della Libertà. La statua fu data a questo paese dalla Terza Repubblica francese per esprimere un sentimento di amicizia tra i due paesi. Soltanto successivamente la statua venne considerata come un faro di accoglienza per gli emigranti che giungevano in America.

Il convenuto e la Court of Appeals attuano un paragone tra il posizionare un monumento in un parco pubblico, quindi permanente, e l’utilizzo del parco per discorsi pubblici, manifestazioni, marce. Ma il Public Forum Principles sono fuori luogo in questo contesto; in dottrina il Public Forum è stato applicato nelle situazioni in cui il terreno ad esempio di un parco, è oggetto di una manifestazione, come la raccolta fondi organizzata da attività studentesche che raccoglie una grande quantità di persone.

Per contrasto i parchi pubblici possono ospitare solo un numero limitato di monumenti permanenti, in quanto i monumenti una volta eretti monopolizzano il suolo e interferiscono con altri usi di quel parco. Un parco pubblico nell’arco del tempo

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60 può fornire un posto per diversi oratori, ma è difficile immaginare un parco pubblico che si rendesse disponibile per l’istallazione di monumenti permanenti di tutte le persone , o gruppi di esse, che desiderano avvalersi di questa forma di espressione. Quindi l’applicazione del forum analysis è fuori luogo, infatti in certe circostanze si potrebbe applicare il forum doctrine ad un monumento permanente, ma generalmente non trova applicazione il forum analysis21.

La Supreme Court of the United States dichiara quindi che la decisione della città di rifiutare il monumento in donazione di un privato è corretta, mentre respinge la richiesta del convenuto in quanto la questione deve essere affrontata come un discorso governativo, e di conseguenza la decisione della città non è soggetta al Free Speech Clause del First Emendament e che la Court of Appeals ha sbagliato la sentenza. Dunque noi capovolgiamo la sentenza.

È interessante analizzare ora alcune delle

21 Cfr. Corte Suprema statunitense, nel caso Pleasant Grove City V. Summum,

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61 opinioni dei singoli giudici che compongono la Suprema Corte. Il giudice Stevens con cui concorda il giudice Ginsberg, condividono la decisione della Corte anche se essa invece che basarsi sul discorso governativo si possa incentrata sul fatto che la città avrebbe accettato il significato del monumento.

I giudici Scalia e Thomas concordano invece con la corte, affermando che si sarebbe potuto fare riferimento anche alla separazione tra stato e chiesa.

Il giudice Breyer concorda e si unisce alla opinione della corte affermando che il governament speech deve essere inteso come una guida e non come una categoria rigida.

Quasi 50 anni fa Philip Kurland elaborò la «the religion clauses» che stabiliva il divieto alla classificazioni religiose. L’establishement clause proibiva la distribuzione dei benefici governativi basati su una classificazione religiosa.

Si sta assistendo ad un lento spostamento che va da una norma dominante, di chiara separazione fra stato e chiesa, al principio della neutralità religiosa. La Corte in seguito adottò una dottrina

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62 opposta, imponendo una serie di restrizioni particolari che riguardavano l’interazione tra governo e individui o istituzioni religiose, ma che non venivano applicate ai rapporti con le istituzioni secolari. Inoltre negava l’accesso a sussidi a individui o istituzioni religiose che invece erano disponibili a quelli secolari. Negli anni 80 la corte costruì un particolare regime dottrinale per quelle religious clauses che contravvenivano la neutralità religiosa creando una certa simmetria fra gli oneri imposti dall’establishment clause e i benefici speciali di esenzioni estesi alle pratiche religiose con il free excercise clause.

La situazione iniziò a cambiare con una serie di decisioni della Corte con cui essa inizio ad allontanarsi dalla rigida separazione tra stato e chiesa, finchè alla fine degli anni 90 sembrava prevalere il pensiero di Kurland che si fondava sul principio della neutralità religiosa, introducendo ad esempio l’accesso a quei benefici, sussidi agli istituti religiosi sulle stesse basi delle istituzioni secolari. Questo cambiamento giurisprudenziale ha risolto

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63 anche notevoli problemi di carattere dottrinale, riconoscendo anche la stessa dignità morale a quelle organizzazioni religiose che inizialmente venivano considerate di minore importanza rispetto agli istituti secolari. Nonostante i molti vantaggi in ambito dottrinale, l’applicazione del principio di neutralità diventò complessa nelle cause inerenti lo sponsorship da parte del governo di opere religiose, preghiere e simboli religiosi22.

Questo perché la neutralità richiede che il governo non discrimini le varie religioni. La corte ha sviluppato due approcci. Il primo può essere definito come «secolarizzazione storica», cioè la neutralità on viene compromessa qualora il governo si appropri di simboli di natura religiosa storici.

Il secondo approccio potrebbe essere nominato la «neutralizzazione contemporanea» secondo la quale anche una pratica religiosa o un simbolo religioso che ha un forte valore teologico attuale potrebbe essere sponsorizzato dal governo, se esso venisse circondato da un numero sufficiente di

22

Cfr, willamette law review, Friederick Mark Gedicks, volume 46, number 4, summer 2010, pp. 691-706.

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64 simboli secolari in modo da bilanciare o neutralizzare il significato teologico.

Questa poteva essere una strada percorribile da Summum invece di basare esclusivamente il suo ricorso sull’applicazione del Free Speech Clause del First Emendament. Le sentenze della corte comunque stanno subendo uno spostamento verso questo indirizzo e sono sempre meno le sentenze come quella di Summum che ancora si basano sull’indirizzo della secolarizzazione storica.

L’opinione sempre più diffusa è che il governo non può dare una priorità ad una religione rispetto ad un’altra.

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65

Il REFERENDUM SUI MINARETI IN

SVIZZERA

Il referendum proposto in Svizzera nasce come conseguenza delle richieste di costruzione dei minareti avanzate nei paesi di Wangen bei Olten, a Langenthal e a Wil. Tali richieste provocarono nella popolazione una massiccia resistenza.

A Wagen circa 380 persone hanno firmato una protesta contro l’edificazione del minareto; a Langenthal circa 3600 persone hanno firmato, e 6000 persone presentarono al Consiglio di Stato del cantone di Berna una petizione contro il di edificare minareti.

L’iniziativa popolare chiede il divieto di costruzione di minareti mediante una modifica dell’articolo 72 della Costituzione Elvetica 23 preposto alla tutela della pace religiosa nel paese. Sono numerose le definizioni che vengono date di minareto, secondo la definizione presente sul

23 Cfr. http://www.admin.ch/ch/i/rs/1/101.it.pdf Art. 72 Chiesa e Stato

1 La regolamentazione dei rapporti tra Chiesa e Stato compete ai Cantoni. 2 Nell’ambito delle loro competenze, la Confederazione e i Cantoni possono prendere provvedimenti per preservare la pace pubblica fra gli aderenti alle diverse comunità religiose. Prima del referendum

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