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Perle e diamanti: i gioielli di Lord Cork.

Nel documento The Great Earl of Cork a Lismore Castle. (pagine 86-155)

Arredi, abiti, gioielli: lusso e status symbol nell’Irlanda di Lord Cork 3.1 Il mercato ed il consumo della merce di lusso.

3.3. La fiera della vanità: vestiti e gioielli.

3.3.2. Perle e diamanti: i gioielli di Lord Cork.

I gioielli, simboli di ricchezza e di benessere, erano comunemente esibiti non solo dalle donne, ma anche dagli uomini; molti, infatti, indossavano anelli, spille, orecchini e collane o prediligevano ricchi decori sui vestiti, come ad esempio preziosi bottoni in oro, perle e diamanti, cinture assai decorate ed impreziosite da pietre e materiali costosi, cappelli rifiniti con bande di pregio oppure splendide applicazioni (fig. 49). I gioielli e le pietre preziose, in generale, erano essenziali, dunque, per definire l’appartenenza ad un certo rango sociale.

L’iniziatore di tale tendenza fu re Enrico VIII che accumulò una grande quantità di preziosi, anche grazie alla soppressione dei monasteri, di cui confiscò i beni e tra questi anche oggetti in oro, argento e pietre preziose, precedentemente appartenuti alla Chiesa. La regina Elisabetta I acquistò a sua volta molti gioielli: i suoi ritratti, non a caso, la mostrano sempre adorna di oro, perle, rubini, diamanti, non solo indossati come gioielli, ma intessuti in intricati decori sui suoi abiti245. Nell’età elisabettiana, la regina e le donne

della nobiltà erano solite, infatti, indossare vesti estremamente elaborate nelle quali le gorgiere, le maniche, i busti e le gonne dalla tipica forma conica, erano caratterizzate dalla presenza di molti gioielli applicati, pietre e perle rappresentavano differenti disegni, naturalistici o geometrici, direttamente sulla stoffa dell’abito (figg. 50-51-52).

243 Chatsworth: CM/24/20, Cork MSS 1643 Calendar Vol. XXIV. 244 Chatsworth: CM/24/34, Cork MSS 1643 Calendar Vol. XXIV.

245 La regina Elisabetta I era talmente ricca da potersi comprare qualsiasi tipo di gioiello. Durante il suo regno, infatti, influenzò fortemente i gusti della nobiltà nella scelta dei preziosi da indossare; ella era la prima a scegliere che cosa acquistare dei fornitori londinesi e continentali, che prontamente le

presentavano le novità in fatto di gioielleria. Si veda: D. Scarisbrick, ‘The Patrons’, in Tudor and Jacobean Jewellery, (Londra: Tate Publishing, 1995), 17.

Molti dei gioielli appartenuti a Elisabetta I furono venduti e dispersi dopo la sua morte nel 1603; la corte di Giacomo I e della regina Anna di Danimarca mantenne la tradizione del gioiello, visto come simbolo di ricchezza e di nobiltà, semplificando sia gli abiti che i decori, dal punto di vista quantitativo e non qualitativo.

Non solo la nobiltà, ma anche la borghesia spendeva cospicue somme di denaro in argenteria per la casa e in gioielli; le nuove opportunità di commercio e le Plantations avevano, infatti, favorito la concentrazione di capitali nelle mani di imprenditori, che erano riusciti ad accumulare grandi ricchezze.

Londra era il fulcro della manifattura orafa inglese, seguita dalle città di York, Chester, Norwich ed Exeter; in Scozia, invece, fu Edimburgo a distinguersi246. Le influenze

provenienti dall’Italia, dalla Francia e dai Paesi Bassi furono molteplici e significative; le novità si diffondevano tramite l’uso delle stampe, che suggerivano esempi e motivi decorativi, per l’assemblaggio di nuovi gioielli. Nelle diverse capitali europee, e quindi anche a Londra, le idee circolavano grazie anche allo spostamento fisico di artisti ed orafi per le più svariate ragioni politiche, religiose, di studio e di lavoro.

Le maestranze migliorarono la lavorazione e la sfaccettatura delle gemme, grazie alle innovazioni delle tecniche di taglio dei diamanti e delle pietre preziose colorate, che consentivano sperimentazioni e risultati sempre più sofisticati, favorendo una migliore brillantezza della pietra. Alcuni dei tagli più semplici ed antichi, infatti, come ad esempio, il cabochon, che prevedeva la sommità convessa della pietra ed un colore pieno, in assenza di sfaccettatura, furono sostituiti da tagli che consentivano di realizzare preziosi più elaborati e lucenti.

La scoperta di una nuova luminosità determinò, inoltre, l’abbandono delle tradizionali incastonature, molto spesso caratterizzate dal fondo chiuso, dall’inserimento di lamine che conferivano alla pietra un colore diverso da quello originario, e dall’uso di smalti, che erano stati la gloria degli orafi medievali e rinascimentali (fig. 53). Le nuove incastonature erano molto più discrete rispetto alle precedenti e mettevano maggiormente in evidenza le pietre, assicurate in una montatura d’oro o d’argento (fig. 54). Durante il regno di Giacomo I, infatti, agli orafi non erano più richiesti gioielli dalla struttura complessa: l’attenzione si focalizzava sulla qualità delle pietre e delle perle e sulla loro grandezza, piuttosto che sulla montatura stessa.

Lo sviluppo delle reti commerciali aveva, a sua volta, introdotto sul mercato un grande numero di pietre, che ispirarono montature innovative247. Con le conquiste coloniali del

Nuovo Mondo, si scoprirono giacimenti di oro e argento in alcuni territori del Sud America; queste miniere rifornirono la “vecchia” Europa di metalli preziosi, nonostante le difficoltà di trasporto. Venezia, insieme a Lisbona, rappresentavano i due poli di produzione di gioielli di pietre preziose e perle. I veneti, da secoli grandi commercianti, acquistavano la lana inglese, la rivendevano sui mercati orientali e tornavano in patria con grandi quantità di gemme, da collocare sul mercato internazionale248.

Oltre ad indicare l’appartenenza ad un determinato rango sociale, il gioiello poteva avere una funzione devozionale, poteva essere un memento mori, poteva decorare libri, ventagli, guanti, borse ed altri oggetti di uso comune. Ad alcune pietre venivano, inoltre, attribuiti poteri magici o curativi, come ad esempio, alla pietra di Bezoar; alcune, montate in anelli o ciondoli, erano usate come sigilli. Le raffigurazione riprese dalla mitologia classica esprimevano Virtù e caratteristiche di colui o colei che indossava il gioiello, mentre, la rappresentazione della natura fu un tratto distintivo della produzione orafa in Inghilterra. Gioielli dalle forme naturalistiche, come il sole, le piume o le stelle, erano spesso applicati su cappelli o direttamente nei capelli; gli orecchini, molto vistosi, a cascata, erano realizzati sia con perle con forme a goccia ed oblunghe, sia con pietre di diversa forma e colore. La collana di perle divenne nel XVII uno status symbol (fig. 55), ogni donna di alto rango indossava un filo di perle, o aspirava ad averne uno.

I Boyle, come tutti gli altri nobili del loro tempo, possedevano gioielli di cui Lord Cork, fa spesso menzione nei suoi diari. Il 7 gennaio del 1611, invia a John Ross alcuni diamanti, dal valore di trenta sterline, e alcuni rubini, dal valore di ventisette sterline, per la 247 La principale produttrice ed esportatrice di diamanti era l’India, dalla quale le preziose pietre partivano

alla volta del Portogallo, per poi essere tagliate dagli esperti tagliatori olandesi di Anversa. La pietre preziose colorate, invece, provenivano da differenti luoghi: i rubini e gli spinelli dalla Birmania e dall’Afghanistan. Gli zaffiri ed i granati venivano dallo Sri Lanka; mentre il Sud America era ricco di smeraldi e dei meno preziosi topazi. La Persia forniva i turchesi, allora conosciuti come “pietre turche”; gli opali, dalle bellissime tinte arcobaleno tanto apprezzate dagli Inglesi, venivano invece da una regione dell’Ungheria, oggi appartenente alla Repubblica Ceca. Europee erano le pietre dure come il calcedonio, la corniola, l’onice, l’agata e il diaspro sanguigno, che erano utilizzate, ad esempio, per i cammei o intagliate per realizzare i sigilli. Si veda: D. Scarisbrick, ‘Makers and Materials’, 1995, 38-39.

248 Interessante è la figura di Paul Pindar (1565-1650), un inglese che fu inviato da ragazzo a Venezia come assistente di un mercante inglese. Egli divenne, a sua volta, un mercante molto ricco ed era famoso per avere un ottimo occhio nel riconoscimento delle pietre. Tra i suoi clienti nell’acquisto di diamanti vi furono: re Giacomo I, il principe Carlo e il Duca di Buckingham. Non si può escludere che quindi anche Lord Cork abbia intessuto relazioni commerciali con lui. I suoi successi indussero personaggi come Sir Walter Raleigh a tentare la fortuna come mercanti di pietre preziose. Si veda: D. Scarisbrick, ‘Makers and Materials’, 1995, 38-39.

realizzazione di un gioiello in oro da regalare alla moglie, probabilmente una spilla a forma di piuma da applicare sul busto, sul colletto o direttamente nei capelli. Il libro di disegni di Arnold Lull, gioielliere reale, collezionato al Victoria and Albert Museum di Londra, fornisce numerosi modelli di spille a cui, forse, l’orafo, incaricato da Lord Cork della realizzazione della spilla per la moglie, fece riferimento (fig. 56). Oltre alle pietre preziose, Boyle invia all’orafo anche trentadue perle, provenienti da Oriente, e sei perle irlandesi249

per una collana250. Nel dicembre dello stesso anno, i diari citano un lavoro di oreficeria per

il quale Boyle paga venticinque sterline: una cornice in oro con diamanti incastonati, probabilmente utilizzata per custodire una miniatura251.

Il 3 novembre del 1615 Lady Cork acquista per venticinque sterline, in contanti, una grossa pietra verde di Bezoar; una cintola ricamata con pietre e fili d’oro proveniente dall’India e, infine, un braccialetto d’oro. La pietra di Bezoar, ritenuta magica, verrà poi donata all’Arcivescovo di Canterbury, Thomas Bell252.

Dopo la morte della moglie, Boyle regala alla figlia, Contessa Barrymore, un anello di diamanti precedentemente appartenuto alla madre253; a Sir William Fenton, parente della

defunta, una catena in oro, valutata centoquattordici sterline254.

In occasione del matrimonio di Lord Dungarvan, erede del Conte, con Lady Elizabeth Clifford, Lord Cork acquista da John Bardsey, cugino e orafo, centoquaranta perle, tra cui venticinque di grandi dimensioni, per assemblare una collana. Le perle, pescate nel fiume Bandon in Irlanda, vengono pagate dal Conte trentacinque sterline255.

249 Il Reverendo Grosart specifica, in una postilla, la presenza di perle di buona, se non di ottima qualità nei fiumi e nei laghi in Irlanda. Talvolta, infatti, la madreperla era molto brillante e permetteva la formazione di perle che presentavano la giusta lucentezza. Sulle rive fangose del fiume Blackwater nascevano in abbondanza una varietà di ostriche, chiamate Mya arenaria: il porto di Youghal era infatti caratterizzato dalla presenza di molte coltivazioni. Le bivalve che venivano trovate lunghe le coste erano, invece, il più delle volte, appartenenti alla famiglia delle Pinna Pectinata, in grado di produrre perle di ottima qualità e di differenti grandezze. Rev. A. B. Grosart, The Lismore Papers,Volume I, (First Series,1886), 276-277. In una nota del quarto volume, inoltre, Grosart riferisce di altre specie di ostriche capaci di produrre perle di ottima qualità. Egli raccontò un aneddoto, datato 17 aprile 1886, che ha come protagonista un tale Gray Cricthon, in possesso di una ‘magnificent Irish pearl’, che aveva precedentemente acquistato sulle rive del fiume Blackwater in prossimità del castello di Lismore. La preziosa perla era stata trovata da una bambina e venduta dall’anziano padre per pochi spiccioli. La specie di ostrica che aveva prodotto la perla era una Unio pictorum, così denominata perché molto usata dagli artisti. Grosart, nella medesima nota, rivelò un aspetto interessante: pare infatti che un affluente del fiume Blackwater, l’Ownashade (Abhainn- ne-sed in gaelico), significhi, tradotto in inglese, “The river of the jewels”. Rev. A. B. Grosart, The Lismore Papers,Volume IV, (First Series,1886), 238-239.

250 Rev. A. B. Grosart, The Lismore Papers,Volume I, (First Series,1886), 5-6. 251 Chatsworth: Cork Manuscripts Journal 25, Tomo 1, 32.

252 Chatsworth: Cork Manuscripts Journal 25, Tomo 1, 103. 253 Chatsworth: Cork Manuscripts Journal 26, Tomo 2, 235.

254 ev. A. B. Grosart, The Lismore Papers,Volume III, (First Series,1886), 99. 255 Chatsworth: Cork Manuscripts Journal 27, Tomo 3, 45.

Una annotazione risalente al 7 luglio del 1635 fornisce un’importante notizia: Lord Cork, in quella data, dona al nipote John Boyle il suo anello con sigillo raffigurante lo stemma della famiglia, realizzato in oro, smalti e cristallo256 (fig. 5). Tale oggetto era divenuto di

sua proprietà nel 1588, quando un lontano parente, Richard Boyle di Maismoor, glielo aveva donato in occasione della sua partenza alla volta dell’Irlanda ed era stato successivamente utilizzato da Lord Cork come modello per la ideazione del suo stemma nobiliare. L’anello è ancora presente a Chatsworth nella collezione del Duca del Devonshire e costituisce uno dei pochi, se non l’unico, legame materiale sicuro con Richard Boyle. La sua presenza all’interno della collezione significa che esso passò da un erede all’altro sino ad arrivare, nel XVIII secolo, a Lady Charlotte Boyle, unica erede di Richard Boyle quarto Conte di Cork e terzo Conte di Burlington, andata in sposa il 27 marzo del 1748 a William Cavendish, quarto Duca del Devonshire, portando in dote alla famiglia dello sposo tutti gli averi e le proprietà dei Conti di Cork e Burlington.

Conclusione

L’inventario redatto nel settembre del 1644, dopo la morte del primo Conte di Cork, fornisce indicazioni sui lasciti e sulla divisione dei terreni tra gli eredi maschi, precedentemente nominati nel testamento del 24 novembre del 1642257. Lord Kinalmeaky

acquisì una ventina di proprietà, tra cui Bandon e l’isola sul fiume Lee, oggi identificata come il centro della città di Cork; Lord Broghill ereditò, invece, diciannove proprietà, Francis trentaquattro; l’ultimogenito Robert, infine, acquisì alcune terre e castelli, distribuiti da est a ovest su tutta l’isola, all’interno delle contee di Dublino, Wicklow, Kildare, Tipperary, Clare, Wexford, Sligo, Mayo e Connaught.

Lord Dungarvan, ormai divenuto il secondo Conte di Cork, entrò in possesso di centosei proprietà, divise tra terreni ed immobili, tra cui i manieri di Inchiquin, Tallagh, Moogley, Mocollop, Cappoquin, Youghal e Lismore. Il titolo nobiliare ereditato dal padre comportò per lui sicuramente dei benefici economici, ma anche gravi preoccupazioni data la instabilità politica prodotta dalla guerra civile. Egli, essendo esecutore testamentario, dovette, inoltre, estinguere alcuni debiti del padre, pagando circa 5.000 sterline258.

Le fonti prese in considerazione, nel tentativo di ricostruire la storia del castello di Lismore dopo la morte del primo Conte di Cork, sono da una parte lettere e memorie dell’erede Dungarvan; dall’altra, tre fonti iconografiche.

Nella raccolta miscellanea collezionata a Chatsworth, sono conservate, infatti, alcune lettere, ricevute in risposta dall’agente Anthony Richards, delle annotazioni sotto forma di diario del secondo Conte di Cork, e, infine, una petizione, datata 15 ottobre 1652, per chiedere la restituzione dei suoi possedimenti in Irlanda, data la fedeltà dimostrata all’Inghilterra sul campo di battaglia, nella recente guerra civile, da tutti gli uomini della famiglia Boyle259.

Nei diari del secondo Conte di Cork, in un appunto, datato 4 agosto 1653, egli racconta di come, soffermandosi in una stanza del castello di Lismore, da poco restaurata, avesse avvertito l’esigenza di esprimere a Dio la sua gratitudine per essere stato in grado di ottenere nuovamente il possesso dei propri beni e, soprattutto, per aver avuto l’opportunità 257 Chatsworth: Cork MSS, Miscellaneous Boxes 1, Will of Richard Boyle 1st Earl of Cork, 24 novembre

1642.

258 Dublino: Lismore Estate Correspondence, MS 43,268/7.

di ricostruire la dimora paterna, essendo scampato indenne alle rivolte, che avevano causato molti danni e, talora, sofferenze e morte, e, soprattutto, alla malattia e all’esilio in Francia, trascorso insieme al futuro re Carlo II260. Questo appunto fornisce poche, ma

preziose informazioni sulla storia della famiglia e del castello: in primis, Dungarvan ed i fratelli riuscirono a tornare proprietari dei beni ereditati e, successivamente, il secondo Conte di Cork intraprese dei lavori di restauro per riparare la dimora paterna, lesionata dalle recenti rivolte. Dopo il confino, egli si era infatti ritirato a vivere in Irlanda per qualche tempo, durante l’Interregnum (1649-1660), e fu probabilmente in questo periodo che iniziò il restauro al castello di Lismore, sebbene la prima testimonianza scritta, che riguarda i lavori, sia datata gennaio 1662261.

Le lettere scambiate con Anthony Richards, l’agente incaricato di gestire ed amministrare il restauro e la proprietà in sua assenza, fanno pensare che Dungarvan avesse iniziato la riparazione del castello nel periodo in cui viveva in Irlanda e avesse poi portato avanti i lavori, pur essendo tornato a vivere in Inghilterra, dopo l’ascesa al trono di re Carlo II. In una lettera del 2 aprile 1662, Anthony informò il Conte che tutti gli operai erano impegnati nel restauro, dopo che i violenti temporali ne avevano impedito il prosieguo; i lavori avevano interessato, dapprima, le mura interne e alcune torri e, poi, erano state risanate la Schoolhouse e l’Almshouse262 di Youghal e di Lismore.

Il 10 maggio del 1662, la Withdrawing chamber del castello di Lismore era stata completamente rinnovata; nel mese di luglio alcune camere e la cappella erano pronte per essere nuovamente pavimentate, mentre i caminetti erano già stati posizionati263. Il 28

gennaio del 1663, il giardino aveva subito dei rinnovamenti ed i lavori erano adesso concentrati nel porticato; la lettera informa, inoltre, che l’artigiano che si stava occupando di questi lavori avrebbe poi realizzato le nuove finestre della Dining-room264.

260 ’[…] To bring me hither to my own estate, for which I beg of Him the grace to being thankfull’, Chatsworth: CM/29/2, foglio 2, Cork MSS 1653 Calendar Vol. XXIX.

261 Dopo il 1660, con la Restaurazione e la salita al trono di re Carlo II, Dungarvan acquisirà, grazie alla fedeltà dimostrata al sovrano, il titolo di Conte di Burlington entrando, finalmente, a far parte dei Pari d’Inghilterra. Saranno, comunque, proprio i suoi possedimenti e le sue terre in Irlanda a generare la maggior parte delle sue ricchezze. Si veda: T. C. Barnard, “Land and the Limits of Loyalty: The Second Earl of Cork and First Earl of Burlington(1612-98)”, in Lord Burlington. Architecture, Art and Life, edito da Toby Barnard e Jane Clark (Londra: The Hambledon Press, 1995), 168.

262 Chatsworth: CM/32/86, Cork MSS 1661-1662 Calendar Vol. XXXII. 263 Chatsworth: CM/32/91 e 111, Cork MSS 1661-1662 Calendar Vol. XXXII. 264 Chatsworth: CM/32/159, Cork MSS 1661-1662 Calendar Vol. XXXII.

Non è da escludere che tali interventi di restauro fossero il pretesto per un rinnovamento nello stile degli arredi e dell’architettura stessa, sicuramente ispirati dalle novità allora in voga nella corte da poco restaurata.

*

Come è già stato accennato, sono state prese in esame anche tre fonti iconografiche: la testimonianza più antica è una incisione riportata all’interno di un libro, conservato negli archivi di Chatsworth, intitolato The Ancient and Present State of the Country and City of

Waterford, scritto da Charles Smith e pubblicato a Dublino nel 1776 (fig. 57). L’incisione,

realizzata dall’autore del libro, risale al 1746, quando il castello di Lismore era ancora di proprietà del quarto Conte di Cork e terzo Conte di Burlington a cui la raffigurazione è dedicata e, due anni prima, quindi, che passasse in dote ai Duchi del Devonshire.

L’incisione mostra una panoramica di edifici tra cui il castello, la cattedrale, la Schoolhouse e la Almshouse di Lismore. La dimora della famiglia Boyle si presenta dal prospetto nord, affacciato sul Blackwater, ed è ripreso dalla sponda opposta del fiume. L’incisione ne evidenzia alcuni elementi strutturali, riconducibili al modello della casa- fortezza: le torrette difensive, le alte mura perimetrali, il tetto a due spioventi con numerosi abbaini. Elementi che, invece, hanno funzione meramente estetica sono i comignoli svettanti e, in facciata, le bay windows, le tipiche finestre inglesi. All’esterno dell’edificio principale, sorge una casupola sulle rive del fiume che doveva, forse, essere adibita allo stazionamento delle barche in arrivo e in partenza dal castello.

Esternamente sono raffigurate, inoltre, la Gatehouse, in lontananza, che appare molto simile a quella ancora oggi presente all’ingresso del cortile privato del castello e una torretta circolare subito in prossimità delle rive del fiume, che è a tutt’oggi presente infondo al giardino del castello.

Per quanto pochi sono i dettagli, l’incisione è una importante testimonianza sul discreto stato del castello nell’anno 1746, all’epoca forse solo occasionalmente visitato dal proprietario e dalla famiglia.

La seconda testimonianza è un dipinto di T. S. Roberts, che risale alla fine del XVIII secolo, quando il castello era di proprietà del quinto Duca del Devonshire (fig. 58). Tale

dipinto è conservato nella Waterford City Library265 e raffigura il castello di Lismore, visto

dalla sponda opposta del fiume in direzione nord-ovest. Rispetto all’incisione, l’aspetto del castello appare decisamente meno curato, quasi come se fosse stato del tutto abbandonato. Un ponte in muratura appare per la prima volta: fu, infatti, opera del quinto Duca del Devonshire, ed è testimonianza del passaggio di proprietà dopo il matrimonio Boyle- Cavendish e rappresenta, inoltre, l’unico elemento di nuova costruzione. Una parte del castello pare abitata, poiché del fumo esce da un comignolo, ma la maggior parte

Nel documento The Great Earl of Cork a Lismore Castle. (pagine 86-155)

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