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II. Le biblioteche della Compagnia di Gesù

9. Classificazione e catalogazione

10.2 Personale e spazi bibliotecari

Solitamente, il personale di una biblioteca gesuitica si riduceva alla sola figura del bibliotecario; in molti casi, tuttavia, costui era coadiuvato da una serie di aiutanti. Al bibliotecario spettava il compito di custodire la raccolta, verificarne l’integrità, curarne la manutenzione e arricchirla con opere richieste o degne di essere acquistate. Sua, come detto in precedenza, era anche la responsabilità di conservare la chiave della biblioteca (o delle biblioteche nei collegi più importanti), un onere non secondario vista la grande considerazione che i padri avevano del loro patrimonio bibliografico.

Nel regolamento del collegio di Villarejo de Fuentes viene specificato che, oltre che dal Prefetto, la chiave doveva essere detenuta anche dal coadiutore più anziano della biblioteca in un luogo ben preciso notificato all’autorità superiore.272 Nel collegio di San Salvatore a Napoli, invece, dove esistevano ben tre biblioteche, la situazione era alquanto differente. Due erano i bibliotecari deputati alla cura della raccolta collegiale: il Prefetto e un suo sottoposto con mansioni prevalentemente pratiche come la cura del materiale di cancelleria,273

272 «10. La llave, aunque debe estar en el aposento del P. Prefecto, no obstante, para quitar la molestiaque puede en esta casa causarle, estáordenado la tenga el hermano librero, más antiguo, y para que se valgan de ella los que la han menester, la tendrá colgada de un clavo por la parte de dentro de la puerta del aposento que para esto se señalare» (cit. in MARÍA VICTORIA JÁTIVA

MIRALLES, La biblioteca del Colegio de San Esteban, cit., p. 268).

273 «5. Son due i librari: uno è il Capo, et l’altro l’aggiunta, quello tiene la cartapecora p. coprir libri, et scritti; Carta da Canterio, carte e penne da scrivere» (cit. in VINCENZO TROMBETTA, La

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una prassi in uso presso il collegio partenopeo, come visto in precedenza, fin dalle sue origini.274 A costoro andava ad affiancarsi la figura del barbiere di casa, il quale, all’interno della biblioteca, solgeva le mansioni di legatore.275

Della “libreria secreta”, intesa in questo caso come la biblioteca più fornita dell’istituto che ospitava i volumi qualitativamente migliori, custodivano la chiave i professori dei corsi superiori e i prefetti di Umanità e degli Studi superiori, oltre naturalmente ai bibliotecari. I religiosi che desideravano accedere alla biblioteca dovevano chiedere preventivamente l’autorizzazione e la chiave a una di tali figure.276 La chiave della seconda biblioteca, in cui erano custoditi i cosiddetti «libri per dispensare», era posseduta unicamente dai bibliotecari,277 mentre la biblioteca comune, come da regolamento generale, era aperta a tutta la popolazione del collegio.278

Come già accennato, le Regulae contengono una sezione riguardante la manutenzione delle raccolte librarie, la quale doveva essere condotta dal bibliotecario e dai suoi coadiutori. Essa consisteva sostanzialmente nella spolveratura periodica dei volumi (solitamente due volte a settimana) e nel preservarli costantemente dall’umidità degli ambienti. Seguendo i principi esposti nella normativa generale, i regolamenti del Collegio Imperiale di Madrid279 e di quello di Villarejo de Fuentes,280 a esempio, prevedevano due

274 Infra, p. 55.

275 «Lo stesso barbiere liga libri, di modo che li giorni, che non tosa et il tempo che l’avanza delli giorni assegnati di tosare, lo spende a’ ligar libri, scritti et quel che li sarà ordinato» (cit. in VINCENZO TROMBETTA, La libreria del Collegio dei Nobili, cit., p. 127).

276 «1. C’è sono in tutto tre librerie: una secreta dove si tengono li migliori libri et in quantità, dilla quale tengono chiave li maestri delle scuole sup.i, lo prefetto di studii et lo m.o dell’Humanità: chi dell’altri vol entrare, ne dimanda licenza, et la chiave dal min.o» (Ivi, p. 128).

277 «2. Alla 2a ce’ sogliono stare libri p. dispensare, et di q.sta, ness.o n’ha chiave, eccetto li librari» (Ibidem).

278 «3. Alla 3a ce’ stanno libri che sono p. uso co.e, alla porta della quale ci stà la tavoletta, dove chi piglia libri, l’ha da scrivere, et tornati cassarli» (Ibidem).

279 «Procurará el bibliotecario que la biblioteca esté limpia y en orden, que se barra dos veces por semana y que se sacuda el polvo de los libros una vez por semana» (cit. in AURORA MIGUEL

ALONSO, La Biblioteca de los Reales Estudios, cit., pp. 53-54).

280 «Libreros. […] 3. Los martes y viernes sacudirán los libros en tiempo del oficio manual, menos el quarto de leer por la mañana y por la tarde […]

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turni settimanali di pulizie generali dei locali della biblioteca più uno dedicato alla sola spolveratura dei libri. Situazione diversa per il caso del collegio di San Pablo del Perù, la cui biblioteca versava, secondo la testimonianza del visitatore Juan de la Plaza del 1576, in uno stato assai deplorevole, in cui l’umidità aveva iniziato a danneggiare buona parte dei volumi.281

Il livello di manutenzione del patrimonio bibliografico variava naturalmente da biblioteca a biblioteca, le quali si adeguavano alle dimensioni e alle particolarità architettoniche dei diversi collegi. La tematica della conformazione architettonica degli edifici ignaziani venne trattata fin dalla prima Congregazione generale della Compagnia del 1558, il cui decreto n. 34 è dedicato proprio alla ratio aedificiorum.282 In base a questo canone si sviluppò in breve tempo un lugno filone di architettura gesuitica, caratterizzato da peculiarità strutturali proprie, generalmente unitarie in tutti gli edifici della

Societas. Da quanto si apprende scorrendo il fondamentale lavoro di Jean

Vallery-Radot sulle piante di edifici gesuitici conservati presso la Bibliothèque Nationale de France a Parigi, ogni struttura architettonica ignaziana doveva essere proporzionata alla compagine di persone che ne abitavano i locali e adattata all’uso per cui era stata pensata.283 Per tale motivo esistevano diverse tipologie di strutture, le quali possedevano una disposizione differente degli ambienti a seconda della loro funzione. In generale si possono distinguere due tipi di edifici gesuitici: da una parte quelli destinati ad accogliere i religiosi che si dedicavano all’attività missionaria e spirituale (case professe, noviziati,

6. Todos los sabados de trabajo varrerán la librería en tiempo que los demás varren la casa y si el sábado es día de fiesta varrerán el viernes» (cit. in MARÍA VICTORIA JÁTIVA MIRALLES, La

biblioteca del Colegio de San Esteban, cit., pp. 267-268).

281 BIBLIOTECA NACIONAL DEL PERÚ, La Biblioteca Nacional del Perú, cit.

282 Institutum Societatis Jesu, Auctoritate Congregationis XVIII … Volumen Primum, Pragae, typis Universitatis Carolo-Ferdinandeae in Collegio Societatis Jesu ad S. Clementem, 1757, p. 478.

283 JEAN VALLERY-RADOT, Le recueil de plans d’édifices de la Compagnie de Jésus conservé a la

Bibliothèque Nationale de Paris, Romae, Institutum Historicum S. I., 1960, p. 39. Per il caso

spagnolo si veda GUILLERMO FURLONG, Algunos planos de iglesias y colegios de la Compañia de

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residenze, missioni); dall’altra gli edifici creati per sostenere e sviluppare l’attività pedagogico-intellettuale (collegi e università).

Gli spazi erano costituiti generalmente da aree dedicate allo svolgimento delle funzioni religiose (chiesa e oratorio comunitario), zone di residenza a uso dei padri (refettorio, cucina, camere), altre di uso comune (chiostri, gallerie, giardini) e infine le aree destinate all’attività educativa (aule di studio).284 La biblioteca era situata, solitamente, ai piani superiori dell’edificio, unitamente alle stanze utilizzate per le lezioni e alle sale delle riunioni. Altre volte poteva trovarsi sullo stesso piano dove sorgevano le stanze private dei religiosi e quelle di utilizzo comune come l’infermeria o la cappella di comunità.285

Poche sono le testimonianze che descrivono gli spazi in cui vennero costituite le biblioteche dei collegi. Brevi cenni sulla conformazione strutturale di alcune sale bibliotecarie si hanno per i casi di Saragozza,286 Madrid287 e Lima288, i cui collegi ospitavano raccolte di diversa mole, tutte però inserite in contesti architettonici molto simili tra loro, caratterizzati soprattutto dalla ricerca costante di condizioni ambientali ottimali per la conservazione del patrimonio. Caso particolare è quello del collegio di Granada, che possedeva una biblioteca

284 ALFONSO RODRIGUEZ GUTIERREZ DE CEBALLOS, Bartolomé de Bustamante y los orígenes de la

arquitectura jesuítica en España, Roma, Institutum historicum S. I., 1967, pp. 158-166. 285 JEAN VALLERY-RADOT, Le recueil de plans d’édifices, cit., p. 45.

286 «[…] es una pieza de siete varas aragonesas de largo y como de ancho poco más y se halla una mesa de nogal, dos sillas de baqueta de Morabia, un banco de respaldo de pino, como estantes de madera de picocon sus molduras y en ellas mil y ochenta y cinco cuerpos de libros latinos y de romance en octavo, cuartos de diversas ciencias y asumptos y una mapa grande de la ciudad de Roma» (cit. in BERNABÉ BARTOLOMÉ MARTÍNEZ, Las librerias e imprentas de los jesuitas, cit. p. 358).

287 «El local de 11 metros, con dos ventanas en uno de sus lados, estaba situado sopre la ropería de lino […]» (cit. in JOSÉ SIMÓN DÍAZ, Historia Del Colegio Imperial de Madrid. Del Estudio de

la Villa al Instituto de San Isidoro, Años 1346-1955, Madrid, Instituto de Estudios Madrileños,

1992, p. 136).

288 Per una descrizione sommaria della sala bibliotecaria si vedano le notizie citate in VICTORIA

OLIVER MUÑOZ, La biblioteca del Colegio Máximo de San Pablo de Lima (1568-1767): una

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la cui sala era ripartita in due sezioni strutturali fondamentali, una delle quali conteneva le opere di autori gesuiti e l’altra quelle di scrittori “esterni”.289

Non molte sono anche le notizie riguardanti le conformazioni dei saloni librari dei collegi di area tedesca. Il collegio di Monaco di Baviera, a esempio, possedeva una biblioteca costituita da uno stretto e lungo corridoio posizionato al secondo piano dell’edificio collegiale, tra l’infermeria e il Sacellum

seminarii.290 A Hildesheim, in Bassa Sassonia, il vaso librario era di converso situato al piano inferiore,291 mentre nel collegio tirolese di Hall la piccola sala bibliotecaria si trovava al primo piano, all’estremità ovest dell’edificio,292 così come accadeva pure per il salone bibliotecario del collegio dei San Clemente a Praga, posto dietro alla cappella dedicata al santo titolare dell’istituto.293

Per quanto riguarda l’Italia, se si escludono le poche informazioni sulla sala bibliotecaria del Collegio milanese di Brera (situata al primo piano e corrispondente all’odierno salone teresiano della Biblioteca Braidense),294

notizie più approfondite si hanno invece per il salone librario del Collegio Romano, secondo l’attenta ricostruzione proposta da Alfredo Serrai.295 L’attuale conformazione della biblioteca è quella di una croce latina, da cui il nome di “Biblioteca Crociata”. Il vaso originario, quello cioè risalente all’inaugurazione dell’istituto (1584), si riduceva al solo braccio corto dell’attuale salone (32 metri

289 «Es una pieza larga en la qual a uno y a otro lado están dispuestos los Estantes formando dos filas. Desde el frontispicio arranca la división, expresando que los libros que están colocados a la derecha son de A. A. de la Compañia con esta inscripción: Autores Societatis a dextris y a la izquierda los estraños, comprehendiendo en ese número las Sagradas Biblias y S.S. PP.» (cit. in JOSEFINA MATEU IBARS, La antigua librería del Colegio de San Pablo en el siglo XVIII: un

principal fondo de la Biblioteca de la Universidad de Granada, «Cuadernos de estudios

medievales y ciencias y tecnica historiográficas», 17, 1992, p. 266)

290 ARSI, FGC, 1468, Monaco, Ichnographia Seminarii Monacensis Provinciae Germaniae Sup. (1725).

291 ARSI, FGC, 1444, Hildesheim, fasc. 15, doc. 8, Prospetto del collegio (XVIII sec.).

292 ARSI, FGC, 1444, Hall, fasc. 11, doc. 31, Pianta del collegio (ante 1684).

293 ARSI, Bohemia 200, Ichnographia Collegii Societatis Jesu Pragae ad S. Clemente (1696).

294 Secondo la pianta del Collegio di Brera conservata presso l’Archivio romano della Compagnia, il salone librario milanese misurava 48 x 16,8 braccia milanesi, corrispondenti a 28,5 x 10 metri (ARSI, Ital., Mediolan., 87, c. 247).

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per 10), dotato originariamente di due ampie finestre sui bracci terminali e di una scaffalatura perimetrale addossata alle pareti. Tra XVII e XVIII secolo, l’aumento del patrimonio bibliografico costrinse i superiori ad ampliare gli spazi della “Crociata” in modo da ottenere l’attuale conformazione spaziale della stessa. Con i suoi 272 metri di pareti utili, la Bibliotheca maior del Collegio Romano rappresentava una delle più imponenti strutture bibliotecarie della

Societas, capace di ospitare nei suoi scaffali quasi 80.000 volumi, nonché «il

salone librario più maestoso che si trovi nella città di Roma, e il più capiente di tutti, compresi i vasi librari successivi, da quello della Vallicelliana, a quello dell’Alessandrina, e poi quello della Casanatense».296

Naturalmente, quanto gli spazi bibliotecari gesuitici fossero capienti, ricchi, funzionalmente validi è anche qui un elemento che varia a seconda dei casi e delle realtà socioculturali, economiche e geografiche in cui gli istituti della Compagnia vennero creati. Pensare che la prassi architettonico-bibliotecaria ignaziana fosse quella del Collegio Romano o del Collegio Imperiale di Madrid è certamente sbagliato. Come sbagliato è anche pensare che le biblioteche gesuitiche fossero delle semplici sale con una precisa organizzazione classificatoria ma chiuse e inaccessibili.

La realtà, da quanto esposto in queste pagine, è un’altra. Le biblioteche rappresentavano, nel complesso organismo gesuitico, il polmone che reggeva la sua struttura vocazionale basata sulla triade “Insegnamento, Predicazione, Evangelizzazione”. A esso andavano date cure e sostentamento, in maniera e quantità proporzionate alle capacità di ogni singolo collegio. Se, infatti, è indubbio che esistesse una prassi ufficiale nella costituzione e nell’amministrazione di tutte le raccolte della Compagnia, è altrettanto certo che i risultati cui i collegi pervennero nella gestione delle proprie biblioteche variavano in base ai fattori reali che incidevano costantemente sulla vita del singolo istituto. In altre parole, ogni realtà bibliotecaria ignaziana seguiva al meglio delle sue possibilità le prescrizioni generali create dai superiori dell’Ordine. Tuttavia, conduceva la propria gestione degli spazi e del patrimonio librario in base alle situazioni socioeconomiche in cui essa si trovava ad agire,

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con inevitabili varianti strutturali e amministrative, talvolta anche in palese divergenza con la normativa messa a punto dei vertici della Societas.

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III. La biblioteca del Collegio dei gesuiti di Perugia

(1557-1773)

1. La Compagnia di Gesù a Perugia

Secondo quanto si può dedurre dalla testimonianza di uno dei più celebri storiografi umbri, il canonico Cesare Crispolti, i primi contatti tra la Compagnia di Gesù e la città di Perugia risalgono al 1547, anno in cui Diego Laínez iniziò la sua campagna di predicazione nelle maggiori città dell’Italia centrale. Nel capoluogo umbro il gesuita diede prova di grande fervore nella pratica del suo apostolato, conquistando le simpatie di molti influenti personaggi cittadini, primo fra tutti il vescovo Fulvio Della Cornia, nipote di papa Giulio III e futuro cardinale di Porto-Santa Rufina.1 Il prelato perugino, colpito dalle argomentazioni e dalla capacità predicatoria di Laínez si propose di parlare direttamente al fondatore della Societas per programmare la fondazione di un collegio gesuitico a Perugia.

Stando alle parole di Crispolti:

Questi [Laínez], con le fruttuose, & dotte predicazioni sue, fatte nel duomo della città, diede mirabile soddisfattione non solo à Fuluio dalla Corgna Cardinale […] ma etiandio ad ogni ordine di persone, & avendo esposto al Cardinale, che l’istituto della novella sua Compagnia, era di andar predicando in tutte le parti del Mondo la parola di Dio, di rinouare con gran feruore l’vsanza di frequentare i Sacramenti della Confessione, & della Communione, d’istruire la gioventù nelle scuole in tutte le sorti di

1 CESARE CRISPOLTI, Perugia augusta descritta da Cesare Crispolti perugino, In Perugia, appresso gli Eredi di Pietro Tomassi, & Sebastiano Zecchini, 1648, p. 156. Su Fulvio Della Cornia si veda IRENE FOSI POLVERINI, Della Cornia, Fulvio, in Dizionario biografico degli italiani (d’ora in poi DBI), vol. XXXVI, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1988, pp. 769-772.

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scienze liberali, d’insegnare alli teneri fanciulli nelle Chiese, & alla rozza moltitudine nelle piazze i primi elementi, & i Precetti della Fede nostra, d’andar predicando ne’ Castelli, di visitar le prigioni, gli Hospedali, i Monasterij, & le Confraternite, ragionando, & sermoneggiendo loro delle cose diuine […] il Cardinale, che ad altro non era maggiormente intento, che a quello, che fosse per essere benefitio del popolo à lui commesso, si accese di ardente desiderio, d’introdurre à Perugia così tanta, & fruttuosa Compagnia; al che fu maggiormente indotto dalle efficaci preghiere di molti Cittadini Perugini, i quali erano restati à pieno edificati del fresco essempio del Padre Giacomo Laínez; Andossene indi à poco tempo il Cardinale à Roma, oue trattò strettamente questo negotio col Beato Ignatio, il quale mostrossi prontissimo in sodisfare al pio desiderio del Cardinale, & come ch’egli si trouasse in gran penuria di soggetti sufficienti à tante, & à così diuerse Prouincie, alle quali era stato mestieri mandarli, scelse nondimeno alcuni Padri di gran valore per mandare à Perugia, tra’ quali fu il P. Euerardo Mercuriano Fiammingo, à cui diede il carico di Rettore […].2

I tempi erano quindi palesemente maturi per far sì che la Compagnia potesse creare entro le mura della città una propria sede; cosa che avvenne esattamente nel 1552, cinque anni dopo la predicazione perugina di Laínez.

Il racconto dell’arrivo dei padri gesuiti in Umbria e della progressiva sistemazione nel capoluogo è minuziosamente descritto in un libro dei ricordi del collegio di Perugia rimasto finora inedito, conservato presso l’Archivio generale della Compagnia a Roma.3 Da quanto si legge nel documento, l’entrata a Perugia del belga Everardo Mercuriano e dei suoi due confratelli francesi, Jean Niger ed Edmond Auger, avvenne il 9 maggio 1552, giorno in cui i padri vennero accolti ufficialmente dal vescovo e subito ospitati all’interno del palazzo episcopale – in ambienti, bisogna dire, piuttosto malsani – dove per molti mesi attesero pazientemente che le magistrature della città concedessero loro un

2 CESARE CRISPOLTI, Perugia augusta, cit., p. 157.

3 ARSI, FGC, 1516, Perugia, Qui si notano le cose occorse a questa Collegio di Perugia dalli 9 di

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luogo ove fondare il proprio collegio.4 Le prime proposte che i priori fecero a Della Cornia furono alquanto infelici, visto che riguardavano la concessione di terreni in Porta Eburnea, zona liminare della città in cui sorgevano perlopiù case di malaffare. In seguito furono indicate altre zone urbane – centrali e periferiche – ma per un motivo o per un altro il vescovo e i padri si videro costretti a rifiutare le proposte dei rappresentanti cittadini.5 Cionostante, nell’ottobre del 1552 Mercuriano e i compagni decisero di aprire una piccola scuola con tre classi di grammatica nello spazio dell’episcopio loro destinato, dando inizio alla propria missione pedagogica nella città umbra.6 Dopo molte insistenze, il vescovo riuscì a vincere le ritrosie delle magistrature, inducendo i Priori, in maniera alquanto ingegnosa, a concedere ai gesuiti alcuni locali spogli ubicati nell’antica piazza del Sopramuro, un sito urbano centrale molto vicino sia al palazzo comunale sia al duomo. Le argomentazioni del religioso

4 «A 9 di maggio 1552 entrorno in Peruggia [sic] li nostri primi Padri mandati dal Beato Padre Ignatio, sotto la guida del P. Everardo Mercuriano che fu poi Generale, per satesfare a Mons. Ill.mo il quale li ricevette in certe stanze a tetto del vescovato molto esposte al freddo l’inverno, et al caldo l’estate, e senza alcuna commodità, et ivi per molti mesi esercitorno la patienza, non tralasciando i loro esercitii. Il cardinale li mandava ogni settimana quanto bastava de carne vaccina di quella che faceva ammazzare per la sua corte, se bene talvolta per colpa de suoi ministri era tanto stantia e frolla che bisognava buttarla. Nel resto ben spesso erano suvvenuti da alcuni amici loro confidenti (Carlo della Picca, Ugolino Signorelli Sobrino) con andar per la città e di porta in porta mendicando per loro» (ARSI, FGC, 1516, Perugia, c. 1rv).

5 «Mentre nel modo detto stavano i padri travagliando cominciò il Cardinale con li magistrati e priori della città a trattare del luogo che si dovesse dare ai padri per fabricare il collegio. Voleva la maggior parte del populo condur i padri in Porta Borgna, luogo allora infame e già da molti anni assegnato per il brutto affare a donne infame, et inoltre tanto vicino alle mura della città che sarria stato scomodissimo e per le schuole e per il predicare e confessare. Altri proposero un sito bellissimo e nel meglio della città, ma tanto vicino al duomo che li si poteva dire quasi