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Negli stessi anni in cui prendeva corpo il dibattito fra realisti e astrattisti si registrarono, sia a Roma che a Milano, scintille per un rinnovamento dell’arte che avrà profonde ripercussioni nelle future generazioni di artisti. Protagonisti di tale cambiamento furono Alberto Burri e Lucio Fontana le cui produzioni vennero fatte rientrare nell’ambito di quello che la critica definì a posteriori col termine di Informale; un’etichetta che gli stessi artisti non riconobbero mai e che più che contraddistinguere un movimento rappresentava una tendenza dai molteplici aspetti, che cominciò a manifestarsi in Italia nei tardi anni Quaranta.

Le opere di questi due maestri furono senza dubbio fonte di ispirazione per tutta quella generazione di artisti che operò fra la fine degli anni Quaranta e tutti gli anni Settanta e non è da escludere che riflessi di quelle concezioni dell’arte siano giunti fino ai nostri giorni. Lo sviluppo di questa tendenza coincise in Italia con la volontà di affermare un linguaggio visivo alternativo rispetto ai movimenti artistici impegnati nel dibattito tra figurazione e astrazione. In tale ambito maturò una concezione dell’arte priva di qualsiasi contenuto ideologico; un’arte aniconica ma dalla potente carica espressiva.

Le novità consistono nell’introduzione di alcuni materiali e di alcune tecniche innovative che modificarono in parte il concetto di arte e il modo di fruirla.

Innovativi in Burri furono non solo i materiali, di cui ricordiamo il sacco di juta, il catrame, la plastica, ma soprattutto l’uso del fuoco come strumento di realizzazione per alcune sue opere, fra cui i cellotex. Il fuoco che è elemento di distruzione viene utilizzato da Burri, per la prima volta, come strumento di creazione artistica. Le sue opere caratterizzate da grumi di plastica combusta, da legni applicati alla tela o da centine poste sul retro della tela che la flettono in avanti, come nei Gobbi, sono alcuni esempi in cui l’autore mise in crisi il concetto tradizionale di pittura, quale superficie piana bidimensionale. Sull’esempio di Burri molti artisti di area informale sperimentarono la pittura materica ottenuta dalla miscelazione del colore con gesso, segatura o sabbia marina, conseguendo in questo modo una pasta plastica da utilizzare con la stecca. Di loro ricordiamo

Renato Barisani, che dopo un’iniziale fase astratto-geometrica maturata nell’ambito del MAC napoletano, nella seconda metà degli anni Cinquanta, approda all’Informale. Fra le opere materiche di Barisani ricordiamo il ciclo dedicato a Stromboli dove l’autore miscela il colore con la sabbia nera dell’isola siciliana che lavora con la stecca, e inserisce al centro del quadro pietre pomici e laviche. Il risultato finale ricorda più un bassorilievo che non un dipinto, così come la tecnica rimanda ai decoratori di stucchi che non ai pittori. In questo sconfinamento di ambiti fra pittura e scultura, la critica trovò non poche difficoltà a definire correttamente tale genere di opere.

Nel 1950 Burri insieme a Giuseppe Capogrossi, a Mario Ballocco ed Ettore Colla fondò a Roma il gruppo Origine, menzionati per la prima volta sul numero di novembre del ’50 della rivista “AZ” fondata e diretta dal pittore Ballocco, tornato dall’Argentina dopo la guerra. Nel 1951 il gruppo si trasformò in Fondazione Origine e svolse, fino al suo scioglimento avvenuto nel ’58, il ruolo di centro di raccolta delle opere e di valorizzazione di idee. Attorno alla Fondazione si raccolsero alcune fra le più interessanti figure dell’arte, e tra le attività che essa svolse ricordiamo quella di galleria d’arte e di casa editrice della rivista “Arte Visiva”, diretta da Colla, indirizzata verso l’approfondimento dei dibattiti artistici internazionali, soprattutto dedicati all’arte astratta37. Nell’ambito di Origine Colla maturò una concezione della scultura libera dagli schemi dell’astrazione o della figurazione impegnata, nell’affermazione di una regressione all’originario attraverso l’utilizzo di materiali di ‘scarto’ industriale. La sua prima scultura intitolata Il Re del 1951 si caratterizza per l’assemblaggio di ingranaggi meccanici trovati in una discarica, applicando quell’idea di decontestualizzazione dell’oggetto del quotidiano già praticata da Burri.

Anche le opere di Fontana mostrano soluzioni linguistiche davvero innovative e clamorose per l’epoca, realizzate nell’ambito del movimento spazialista da egli stetto fondato tra il 1949 e il 1950. Partendo dal rifiuto della superficie bidimensionale del quadro Fontana giunse ad elaborare una nuova concezione dello spazio, ottenuta attraverso la foratura della tela, mettendo così in collegamento lo spazio antistante e retrostante la superficie stessa. La

37 S. Salvagnini, La strana storia del “Gruppo Origine”, in Da Art Club al Gruppo degli Otto. La

pittura astratta del secondo dopoguerra in Italia, catalogo della mostra, a cura di Luca Massimo

Barbero e Giuseppe Niccoli, Cosenza 10 marzo - 25aprile 2201, Matera 12 maggio - 13 giugno 2001, Cosenza 2001, pp. 203-208

rappresentazione del vuoto, al di là della superficie pittorica rimandava la mente al vuoto interno delle sculture di Wildt, suo maestro all’Accademia di Brera a Milano. Alle sperimentazioni pittoriche Fontana passo poi a quelle plastiche, come attestano Ambiente spaziale con forme spaziali ed illuminate a luce nera, realizzato alla Galleria del Naviglio di Milano nel febbraio 1949 e Struttura al

neon per lo Scalone d’onore alla IX Triennale di Milano del 1951. Le due opere

sono fra le più straordinarie nel panorama della scultura italiana della seconda metà del XX secolo e destinate nei decenni successivi a molteplici e imprevedibili sviluppi. Prodotte con un materiale così immateriale come la luce di Wood, le sue due sculture luminose misero in discussione non solo il concetto di scultura tradizionale, intesa come un solido pieno e pesante, ma anche il luogo ad essa deputato, non posizionate a terra ma pendenti dal soffitto.

1.5 La scultura/l’oggetto: prospettive e ricerche negli anni della