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La politica del cambiamento climatico

1. La politica ambientale del governo e l'azione

2.4 La politica del cambiamento climatico

La politica della Cina in merito al cambiamento climatico risente dell'influenza di entram- bi i fattori nazionali e internazionali. Dal punto di vista nazionale i dati già raccolti e le previ- sioni di medio periodo, la necessità di garantire la sicurezza delle risorse idriche, alimentari, energetiche e le recenti calamità naturali hanno reso evidente la necessità di adottare delle misure idonee a fronteggiare il fenomeno; dal punto di vista internazionale la crescente riso- nanza del problema, la definizione di una relazione tra sviluppo e questione ambientale e la volontà della Cina di assumere un ruolo di grande potenza impongono al governo la defini- zione di una politica ambientale che sia “presentabile” e all‟altezza delle aspettative interna- zionali.

L'interessamento della Cina al cambiamento climatico risale all'elaborazione da parte di Song Jian, allora membro del Consiglio di Stato, del concetto di “diplomazia ambientale” quale strumento per aumentare l'influenza internazionale della Cina. Come afferma Song stesso nel 1989: «La Cina ha bisogno di condurre una diplomazia ambientale e riunire alcuni paesi in via di sviluppo, soprattutto alcuni paesi maggiori quali Brasile, Egitto e India. L'ado- zione di una posizione comune rafforzerà lo status della Cina e ci conferirà il ruolo di porta- voce dei paesi del terzo mondo»53.

La prospettiva di Song Jian riscuote consensi a livello centrale e nel 1990 viene istituito un Comitato Nazionale di Coordinamento sul Cambiamento Climatico guidato da Song Jian stesso. La politica elaborata dal Comitato emerge chiaramente l‟anno successivo in occasio- ne dei lavori dell'Intergovernmental Negotiating Committee per la stesura di una convenzione sul cambiamento climatico, durante i quali la delegazione cinese riesce a far accettare il prin- cipio delle “responsabilità comuni, ma differenziate”54, secondo il quale i paesi devono con- tribuire alla prevenzione del cambiamento climatico su base di equità e in relazione alle ri- spettive capacità. Già allora è chiaro che l'obiettivo del governo è quello di evitare l'imposi- zione di limiti alle emissioni che influirebbero pesantemente sulla crescita economica.

La partecipazione della Cina ai negoziati internazionali è particolarmente attiva ed effica-

53 He L. (2010), “China's Climate Change Policy from Kyoto to Copenhagen: Domestic Needs and

International Aspirations”, Asian perspective, vol. 34, 3: 5-33.

54 La strategia adottata dal governo in quell'occasione è incentrata essenzialmente sulla considerazione del

ritardo nel processo di industrializzazione che caratterizza i paesi in via di sviluppo i quali, a causa di esso, non sono ancora riusciti ad eliminare la povertà. Alla luce di questa situazione “è totalmente ingiustificato chiedere a questi di impegnarsi a ridurre le emissioni oltre le loro possibilità senza tenere in considerazione le responsabilità storiche, la quantità di emissioni pro-capite e i differenti livelli di sviluppo”. “Common but Differentiated Responsibilities Must Never Be Compromised: Premier”, Xinhua, 18 dicembre, 2009. Sul principio delle responsabilità comuni, ma differenziate si veda Elliott L. (1998), The Global Politics of the Environment, New York University Press, New York, pp. 174-175.

ce. Nel 1992 il governo firma la Framework Convention on Climate Change (FCCC) nella quale i paesi industrializzati si impegnano a fornire ai paesi in via di sviluppo le risorse finan- ziarie, le tecnologie e le conoscenze necessarie affinché questi possano far fronte agli impe- gni; in particolare la convenzione pone un legame tra gli impegni dei paesi industrializzati e quelli dei paesi in via di sviluppo subordinando l‟obbligo dei secondi all‟assolvimento degli impegni da parte di primi55.

Nel 1997 la Cina firma il protocollo di Kyoto in virtù del quale, in quanto paese in via di sviluppo, non è soggetta ad alcun limite sulle emissioni inquinanti56. La posizione della dele- gazione in quell'occasione è tanto chiara quanto ferma: l'attenzione, sostiene la delegazione, deve rimanere incentrata sui paesi sviluppati che hanno una responsabilità storica per il cam- biamento climatico, mentre i paesi in via di sviluppo, le cui emissioni pro-capite sono inferio- ri, devono poter continuare a perseguire lo sviluppo economico e sociale. In linea con questo

55United Nations Framework Convention on Climate Change, 1992. Art.4 para 3. “The developed country

Parties and other developed Parties included in Annex II shall provide new and additional financial resources to meet the agreed full costs incurred by developing country Parties in complying with their obligations under Article 12, paragraph 1. They shall also provide such financial resources, including for the transfer of technology, needed by the developing country Parties to meet the agreed full incremental costs of implementing measures that are covered by paragraph 1 of this Article and that are agreed between a developing country Party and the international entity or entities referred to in Article 11, in accordance with that Article.

Art 4, para 5 “The developed country Parties and other developed Parties included in Annex II shall take all practicable steps to promote, facilitate and finance, as appropriate, the transfer of, or access to, environmentally sound technologies and know-how to other Parties, particularly developing country Parties, to enable them to implement the provisions of the Convention. In this process, the developed country Parties shall support the development and enhancement of endogenous capacities and technologies of developing country Parties. Other Parties and organizations in a position to do so may also assist in facilitating the transfer of such technologies”.

Art 4, para 7 “The extent to which developing country Parties will effectively implement their commitments under the Convention will depend on the effective implementation by developed country Parties of their commitments under the Convention related to financial resources and transfer of technology and will take fully into account that economic and social development and poverty eradication are the first and overriding priorities of the developing country Parties. http://unfccc.int/resource/docs/convkp/conveng.pdf

56 Il protocollo di Kyoto, adottato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, è un accordo mediante il quale 37

paesi industrializzati si impegnano a ridurre del 5% le emissioni di gas serra rispetto alle emissioni del 1990 nel periodo 2008-2012. Esso stabilisce che i paesi interessati, per soddisfare l'impegno, debbano adottare dei provvedimenti a livello nazionale. Al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi, elenca tre meccanismi alternativi che possono essere adottati: il mercato delle emissioni, i meccanismi di sviluppo pulito, l'applicazione combinata.

Nel primo caso, una volta fissato un limite nazionale alle emissioni, le industrie acquistano dal governo il diritto ad emettere sostanze inquinanti. L'autorità governativa è responsabile di controllare che la quantità di permessi concessi all'interno del territorio nazionale non superi quanto stabilito dal protocollo. Il meccanismo consiste nel consentire uno scambio tra chi ha la necessità di un maggiore numero di emissioni e chi è invece disposto a vendere parte dei propri diritti a chi ne ha l'esigenza. In questo modo le industrie che ne hanno la necessità possono acquistare una quantità di “permessi”che consente loro di superare il limite.

Il secondo caso consente ad un paese industrializzato di guadagnare dei “crediti di carbonio”, o diritti di emissione, in cambio del finanziamento di progetti di sviluppo sostenibile in uno dei paesi in via di sviluppo. La quantità di crediti guadagnati dal paese finanziatore viene stabilita in misura direttamente proporzionale alla riduzione di emissioni conseguita grazie al progetto finanziato nel paese che riceve il finanziamento.

Nel terzo caso i paesi industrializzati possono investire in progetti di riduzione delle emissioni in paesi in via di sviluppo, invece che sul territorio nazionale.

Oltre a questo il protocollo istituisce un “Fondo per l'adattamento” da destinare allo sviluppo di progetti finalizzati a combattere le conseguenze del cambiamento climatico da parte dei paesi in via di sviluppo. Secondo il protocollo la Cina, in quanto paese in via di sviluppo, non ha alcun obbligo per quanto riguarda i limiti delle emissioni di sostanze inquinanti.

principio la delegazione cinese insiste per un insieme di drastiche riduzioni delle emissioni da parte dei paesi sviluppati57. Anche la proposta di un impegno volontario alla riduzione delle emissioni avanzata dalla Nuova Zelanda viene rifiutata. In quell'occasione il capo della dele- gazione cinese afferma che: «Prima di raggiungere un medio livello di sviluppo la Cina non si assumerà alcuna responsabilità in merito alla riduzione delle emissioni di gas serra. Solo do- po aver raggiunto un tale livello potremo valutare questa opportunità»58.

Successivamente alla stipula del trattato di Kyoto, nonostante le pressioni internazionali per un maggiore impegno nella riduzione dei gas serra, la politica del governo rimane incen- trata su quattro obiettivi principali: a) evitare qualsiasi tipo di impegno in merito al controllo delle emissioni di gas serra e al contempo indurre i paesi industrializzati a tenere fede agli impegni in materia di emissioni; b) mantenere il regime di trasferimento di tecnologia e di fi- nanziamenti; c) continuare il programma di sviluppo economico, che rimane l'esigenza priori- taria; d) riaffermare il principio della sovranità59. Quest'ultimo principio è citato più volte per sottolineare il diritto del paese ad utilizzare le proprie risorse naturali in relazione alle proprie necessità e a definire la propria politica ambientale in accordo con il principio del non inter- vento60. Tre anni più tardi il governo elabora la no regrets policy per i negoziati della FCCC secondo la quale si impegna ad adottare provvedimenti concreti per la riduzione dei gas serra nella misura in cui essi non influiscono negativamente sullo sviluppo economico61.

Nel frattempo l'attenzione del governo alle conseguenze interne del cambiamento climati- co è testimoniata dalla vasta gamma di studi effettuati in questo periodo che mirano sia alla comprensione del fenomeno, tanto nei suoi aspetti generali, quanto nelle sue conseguenze specifiche locali, sia all'elaborazione di modelli previsionali, di idonee contromisure e di poli- tiche ambientali finalizzate a fronteggiare il fenomeno. Nel 2007 viene istituito il Gruppo Guida Nazionale sul Cambiamento Climatico sotto la guida del Premier Wen Jiabao. Nello stesso anno viene emanato il Programma Nazionale sul Cambiamento Climatico che defini- sce gli obiettivi, i principi fondamentali, le aree di priorità e le misure da adottare per contra- stare il cambiamento climatico. Il documento testimonia la piena consapevolezza del governo

57 Questi paesi, afferma la Cina, entro il 2020 dovrebbero ridurre le emissioni di CO2, CH4 e N2O del 35%

rispetto ai valori del 1990. Bjorkum I., op. cit., p. 29.

58 Yu H. (2008), Global Warming and China's Environmental Diplomacy, Nova Science Publishers, New York,

p.57.

59 Su questi aspetti si veda Economy E. (1998), “China's Environmental Diplomacy” in Kim S.S. ed., China

and the World: Chinese Foreign Policy Faces the New Millennium, Westview Press, Boulder.

60 Yu H., op. cit., p. 143. Come evidenzia Harris la Cina pone particolare attenzione nel proteggere la propria

sovranità nazionale e nell‟evitare “l‟umiliazione” di essere costretta ad adeguarsi a dei limiti posti da organismi internazionali. Harris P.G. (2009), “Climate Change in Chinese Foreign Policy”, in Harris P.G. ed., Climate

Change and Foreign Policy. Case Studies from East to West, Routledge, London.

61 Il problema del cambiamento climatico, a causa della relazione tra aumento del reddito pro-capite e aumento

delle emissioni di gas serra, viene automaticamente associato a quello della crescita economica e in questa prospettiva tende ad essere visto come una questione di diritto allo sviluppo. Ibidem., p. 58.

dei rischi associati al cambiamento climatico nonché la volontà di trovare una modalità di sviluppo che consenta di ridurre le emissioni di gas serra che, in presenza dei livelli di cresci- ta previsti, sono destinati ad aumentare. Nel Piano sono indicati gli obiettivi da raggiungere per controllare l'emissione dei gas serra; viene dato particolare risalto allo sviluppo dell'indu- stria energetica e al miglioramento delle tecnologie per la produzione, trasmissione, trasfor- mazione e distribuzione di energia ed è sottolineata l'importanza della definizione di chiare responsabilità ed incentivi e dell'emanazione di normative applicative che definiscano nei particolari le procedure da mettere in atto per risparmiare energia. Gli indirizzi evidenziati nel documento interessano la maggior parte dei settori della vita produttiva da quello dell'indu- stria pesante, nell'ambito del quale viene sottolineata l'importanza dell'eliminazione di tecno- logie antiquate e dell'adozione di impianti e processi a risparmio energetico, a quello edilizio, dei trasporti, delle macchine agricole.

L'attenzione del governo per il problema del cambiamento climatico viene sottolineata dal rilievo dato alla protezione ambientale nell'11° Piano quinquennale e in particolare al control- lo delle emissioni di gas serra per il quale il Piano annuncia una serie di misure che vanno dall'impiego di tecnologie a basso consumo energetico e bassa emissione, all'adozione di mi- sure per ridurre le emissioni di gas serra nei processi industriali, alla riforestazione e al mi- glioramento del sistema di controllo delle emissioni.

All'adozione di misure in ambito nazionale Pechino non intende tuttavia far seguire un impegno a livello internazionale alla riduzione delle emissioni, che potrebbe influire sui piani di sviluppo economico del paese62. Allo stesso tempo il governo è consapevole del fatto che senza l'aiuto tecnologico e finanziario dei paesi industrializzati il paese non può conseguire gli obiettivi che si è proposto. Entrambi questi obiettivi sono raggiungibili sulla base della Bali Roadmap, che garantisce il supporto finanziario e tecnologico da parte dei paesi indu- strializzati, e del protocollo di Kyoto, la cui validità scade nel 2012 e che non è stato firmato dagli Stati Uniti. La strategia di Pechino si concentra quindi sulla possibilità di formare una base comune di consensi tra i maggiori paesi in via di sviluppo mediante la quale ottenere una proroga degli accordi già esistenti. A questo fine nel 2008, quale evento preparatorio al verti- ce di Copenhagen, la Cina organizza una Conferenza sul cambiamento climatico durante la quale riesce a raggiungere una convergenza di vedute con Brasile, India e Sud Africa nel ri- chiedere ai paesi industrializzati di adottare ulteriori misure per ridurre le emissioni e fornire

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La priorità conferita dal governo alla crescita economica a fronte della volontà di impegnarsi concretamente nella riduzione delle emissioni è ben riassunta da Elizabeth Economy, la quale afferma che secondo Pechino ogni intervento che non contribuisca alla crescita economica del paese deve essere finanziato dalla comunità internazionale. Economy E. (1997), “Chinese Policy Making and Global Climate Change” in Schreurs M.A., Economy E. eds., The Internationalization of Environmental Protection, Cambridge University Press, Cambridge.

tecnologia e fondi ai paesi in via di sviluppo per ridurre le emissioni di gas serra. In quell'oc- casione Wen Jiabao, riprendendo in parte i principi affermati nel Programma Nazionale sul Cambiamento Climatico, sottolinea i punti principali che ispirano la politica del paese in ma- teria:

- la cooperazione internazionale quale fattore essenziale per combattere il cambiamento climatico,

- l'adozione di un modello di sviluppo sostenibile,

- il principio delle “responsabilità comuni, ma differenziate” secondo il quale le responsa- bilità dei paesi industrializzati sono diverse da quelle dei paesi in via di sviluppo,

- il perseguimento degli obiettivi indicati dal Millennium Development Goals in merito al- lo sviluppo economico e sociale dei paesi in via di sviluppo,

- l'utilizzo prioritario degli strumenti tecnologici63.

Questi punti mettono in evidenza la ferma volontà di Pechino: 1) di mantenere in vigore il protocollo di Kyoto quale documento legale di riferimento, evidenziando gli obblighi dei pa- esi industrializzati quali responsabili “storici” degli elevati livelli di inquinamento attuali e le esigenze di sviluppo dei paesi non ancora industrializzati, che vincolano i primi all'aderenza ai limiti stabiliti lasciando i secondi liberi di mettere in atto politiche idonee a combattere il cambiamento climatico, ma senza porre vincoli alle emissioni di gas serra; 2) di indurre i pae- si industrializzati ad adottare un modello di sviluppo sostenibile, riducendo in questo modo la produzione di gas serra; 3) di rinnovare gli accordi del protocollo di Kyoto anche successi- vamente al periodo di scadenza e insistere affinché i paesi industrializzati, secondo quanto stabilito dalla Bali roadmap64, supportino sia finanziariamente che con la fornitura di tecno- logie e professionalità lo sforzo dei paesi in via di sviluppo di adattarsi al cambiamento cli- matico; 4) di privilegiare il concetto di “adattamento” rispetto a quello di attenuazione, che consente l'adozione di politiche finalizzate a contrastare gli effetti del cambiamento climati- co65, senza tuttavia vincolare le emissioni, il cui taglio inciderebbe pesantemente sulle espor- tazioni66; 5) di sfruttare i progressi in campo internazionale nell'ambito delle tecnologie delle

63 Wen Jiabao, “Speech at the Beijing High-Level Conference on Climate Change: Technology Development

and Technology Transfer”, 7 novembre 2008.

64 “Report of the Conference of the Parties on Its Thirteenth Session, Held in Bali from 3 to 15 December

2007” http://unfccc.int/resource/docs/2007/cop13/eng/06a01.pdf#page=3

65 La differenza in termini pratici non è di poco conto. Come afferma Ma Kai, ministro della CNSR, “con

attenuazione si intende la riduzione delle emissioni di carbonio, mentre con adattamento si intende minimizzare l'impatto dei gas serra migliorando la capacità di prevedere e prevenire i disastri”.

http://news.xinhuanet.com/english/2007-06/04/content_6196302.htm

energie rinnovabili mediante il ricorso al trasferimento di tecnologie e al finanziamento inter- nazionale67.

Questi principi vengono ribaditi con determinazione in occasione del vertice di Copenha- gen nel 2009, il cui obiettivo è interpretato dalla Cina come quello di riconfermare il proto- collo di Tokyo, che “rimane valido sine die, e non termina con la conclusione della prima fa- se, nel 2012”68

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La posizione della Cina in quell'occasione tende a porre il problema del cambiamento cli- matico come una questione di diritto allo sviluppo dei paesi non industrializzati69. In quest'ot- tica la delegazione cinese sostiene che, mentre i paesi sviluppati devono impegnarsi a ridurre i gas serra del 40% rispetto ai valori del 1990 entro il 2020, l'adozione di misure idonee a mi- tigare il cambiamento climatico da parte di paesi in via di sviluppo sarà valutata nell'ambito del principio dello sviluppo sostenibile e in linea con le priorità nazionali, e comunque attuata su iniziativa dei singoli stati e non soggetta ad obblighi o controlli internazionali70. In ogni caso l'impegno dei paesi industrializzati nel trasferire tecnologie e professionalità e nel finan- ziare i paesi in via di sviluppo costituisce “una condizione sine qua non” affinché questi ul- timi possano efficacemente mitigare il, e adattarsi al, cambiamento climatico, ferma restando la priorità dell'adattamento71.

A questo fine la delegazione insiste sull'istituzione di fondi internazionali che garantiscano lo sviluppo tecnologico e il trasferimento di tecnologie e sull'istituzione di meccanismi di controllo dell'adeguatezza dei finanziamenti. La posizione della delegazione è altrettanto de- cisa nel rifiutare la richiesta di controllo delle emissioni72. Il documento ufficiale della dele- gazione termina affermando che la condizione del successo del vertice di Copenhagen dipen-

ammontano al 23% del totale delle emissioni della Cina. Un limite alle emissioni inciderebbe quindi pesantemente sulle esportazioni. Lichao He, op.cit.

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Considerazioni interessanti sui principi guida della politica ambientale cinese sono contenute in Zhang Z. (2003), The Forces Behind China‟s Climate Change Policy: Interests, Sovereignty and Prestige” in Harris P.G. ed.,

Global Warming and east Asia: The Domestic and International Politics of Climate Change, Routledge, London,

pp. 66-85.

68 National Development and Reform Commission, “Implementation of the Bali Roadmap. China's Position on

the Copenhagen Climate Conference”, 20 maggio 2009. (corsivo nel testo originale) http://en.ndrc.gov.cn/newsrelease/t20090521_280382.htm

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He L., op. cit.

70 “Premier Wen: China's Climate Action Not Subject to International Monitoring”. CCTV, 18 dicembre 2009.

http://english.cctv.com/20091218/101110.shtml Wen afferma che saranno soggetti a controllo solo i progetti di riduzione delle emissioni sviluppati con la partecipazione internazionale.

http://english.mep.gov.cn/News_service/media_news/200912/t20091221_183220.htm Poco prima del vertice la Cina annuncia l'intenzione di ridurre del 40-45% l'intensità delle emissioni di CO2 rispetto ai valori del 2005 entro