1. — Diciamo pugliesi (ad essere più precisi) per nascita; ma essi ben furono italiani per valore, per importanza, per fama : Ferdinando Galiani (Foggia), il mar chese Giuseppe Palmieri (Martignano-Lecce), Filippo Maria Briganti (Gallipoli); l'abate Cagnazzi (Altamura), successore dell'abate Antonio Genovesi sulla cattedra di economia politica nella Università di Napoli, ecc.
A tutti è noto quale perìodo di risveglio intellettuale, sotto tutte le forme, segnò la seconda metà del '700, in Italia in genere, ed in questo mezzogiorno in partico lare, dopo la fine del vicereame spagnuolo (1713), il breve dominio austriaco (1713- 1734) e l'avvento al trono di Napoli (1734) di Carlo di Borbone. Ed in questo ri sveglio un posto indiscutibilmente preminente ebbe il pensiero pugliese.
2. — Il marchese Giuseppe Palmieri, tramontata la influenza del toscano mar chese Tanucci, fu certo uno dei maggiori uomini di Stato durante la lunga sovra nità di Ferdinando IV Borbone, ed anche l'uomo di più sicura fiducia, in materia economica, dell’attivissima regina Maria Carolina.
Il Palmieri, pugliese, ed il milanese Pietro Verri rappresentano nel loro tempo — a giudizio generale — i prìncipi degli Economisti italiani.
Quale fu l’indirizzo fondamentale del nostro Palmieri? Lo si desume bene dal suo esame critico sulle condizioni dell’industria della seta nel reame di Napoli. A questo proposito egli così scrìveva (1) :
« Tra le produzioni della terra, quella che più dipende dall'industria e dall'opera del l'uomo, e che perciò bisogna animarla, è certamente la produzione della seta.... Essa fu (1) Giu se p pe Palmieri, Pensieri economici relativi al Regno di Napoli, in Napoli
MDCCIXXXIX per Vincenzo Flauto, a cura di Michele Stasi (da pag. 6 a pag. 30).
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introdotta di buon'ora nelle Due Sicilie per opera di Ruggiero il Normanno, e rapidamente «i diffuse per tutte le sue provincie.... Lo stato di questa industria era g ii florido e promet tente sempre più, quando il sistema fiscale, pur avendo dichiarata la guerra a tutte le pro duzioni, a niuna l'ha fatta con maggior ferocia che a questa della seta. L'importo dei diritti e delle spese superiore al valore della seta, doveva far abbandonare tale industria; la servitù a cui fu sottoposta doveva renderla odiosa.... Le manifatture della seta minorarono; ed in alarne provincie sparirono affatto. Le industrie che sopravvivevano si aiutavano frodando le ingiuste leggi, soprattutto col contrabbando, fomentato e sostenuto proprio dalle stesse per sone destinate ad evitarlo, specie il grosso contrabbando (pag. 12) ».
« I gelsi che si coltivavano come oggetto giocondo della sussistenza e della ricchezza, si distrussero, divenuti cagione della schiavitù e della miseria. La mano fiscale sbarbicò i gelsi,
ruppe i telai, e converti in miseria la ricchezza della nazione (pag. 20-21) ».
Accennato quindi ai tentativi, ai progetti per sollevare la industria agonizzante, il Palmieri soggiunge:
« Si tenta invano di togliere gli effetti, lasciando in piedi la causa. Come si può pretendere di far piantare gelsi nelle provincie dove mancano, mentre i proprietari sono co stretti dal sistema fiscale ad estirparli in quelli ove abbondano? E mentre dallo stesso si stema è obbligata la seta a tirarsi male, come si possono proporre gli esempi ed i mezzi del Piemonte?... Io non vedo altro rimedio ad un male prodotto dalla schiavitù, che la libertà.... Restituita la liberti alla industria della seta sembra non si debba far altro per ottenerne il miglioramento. Il proprio utile...., il favore della liberti..., la molla del proprio interesse saranno i veri rimedi, ciò che non importa allontanamento completo da ogni intervento sta stale a spianare ostacoli ed a somministrare alcuni aiuti. ' (pag. 22) ».
Ed a rendere ancora più chiaro e preciso il suo concetto di politica e di libertà economica, il Palmieri soggiunge e conclude:
« Io sono lontano da tutto ciò che sente la coazione, e considero la libertà come l’unica madre dell'industria, ma distinguo la libertà dalla licenza in cui suole degenerare. Affinchè un tanto bene non divenga nocivo a quei stessi ai quali si concede, acciocché non offenda l'interesse della nazione, e sia utile a tutti, dev'essere la libertà accompagnata da certe regole, le quali, senza distruggere nella menoma parte il buon uso, ne frenino l'abuso (pag. 25) ».
3. — Potrebbero bastare questi chiari cenni a delinearci la figura ed il pen siero economico del Palmieri, tuttavia non crediamo superfluo aggiungere, breve mente, i suoi giudizi sulla « quistione del grano » (2).
« Lestrazione del grano presso di noi — egli scrive — non è libera..., ma prima non era cosi. Si sa che sino ai tempi di Don Pietro di Toledo (Viceré spagnuolo di Napoli -
sec. X V I) l'estrazione fu libera e franca. Non aveva ancora l'Inghilterra dato l'esempio più 2
(2) Vedi particolarmente le seguenti opere del Palmieri: Riflessioni sulla pubblica feli
cità relativamente al Regno di Napoli e Osservazioni sulle Tariffe con applicazione al Regno di Napoli, entrambe in Collezione Costodì.
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luminoso dei mezzi più efficaci per procurarsi l'abbondanza. Non vi era quel lume tanto diffuso, di cui si vanta il presente secolo, quando Carlo V accordò a questo Regno una intiera e generale libertà: Lìberi ¡¡al vassalli, cui volueriat, quando voluerint, ubi et quae
voluerint vendere. Ora — rileva il Palmieri — che la esperienza, « che è quella che più
persuade ed assicura », dimostra che, quando e fino a quando l'estrazione fu libera, il grano si manteneva abbondante, impedita la libera estrazione, cominciarono le crisi, appunto per ché questo regime scoraggiava la produzione; l'abbondanza di grano ch'essa causava nel
Regno avviliva i prezzi, e l’anno appresso si seminava di meno!
« Infatti quando si setrina per oggetto di commercio, si semina il doppio o molto più di quello che si semina per soggetto del proprio sostegno e consumo. Nel primo caso, negli anni di scarsa raccolta, sempre ne nasce quanta basti pel proprio bisogno, ma nel secondo caso deve necessariamente mancare il vitto e la sussistenza. Per ricondurre quell’abbondanza di grano che trentanni addietro vi era, sembra che basterebbe disfare quello che si è fatto, ma è più decente correggerne le cagioni.... La libertà della estrazione dovrebbe essere stabilita per regola generale, e i rari casi, per cui convenga talora restringerla, dovrebbero formare la eccezione. I diritti sulla esportazione devono essere variabili, ed accrescersi o diminuirsi a proporzione dei bisogni e dell'abbondanza » (3).
4. — Gli stessi principii furono poco più tardi ribaditi dalla cattedra della Università di Napoli, e negli scritti, da un altro chiaro economista pugliese, Luca de Samuele Cagnazzi (4).
3. — E, continuando nello stesso argomento del grano, e sempre nei riguardi della politica economica, ricorderemo quanto l’abate Galiani nel 1770, a proposito del suo libro contenente i « Dialoghi sul commercio dei grani » scriveva a monsieur Suard :
« Vous qui êtes de la secte de Diderot et de la mienne, ne lisez-vous Je blanc des ouvrages? A la bonne heure, que ceux qui ne lisent que le noir de l'écriture n'aient rien vu de décisif dans mon livre; mais vous, lisez le blanc, vous lisez ce que je n'ai pas écrit, et qui y est pourtant; et voici ce que vous y trouverez. Dans tout gouvernement la législation des blés prend le ton de l'esprit du gouvernement. Sous un despote la libre exportation est impossible, le tyran a trop peur des cris des esclaves affamés. Dans la démocratie, la liberté d'exportation est naturelle et infaillible, les gouvernans et les gouvernés étant les mêmes personnes, la confiance est infinie. Dans un gouvernement mixte et tempéré, la liberté ne saurait être que modifiée et tempérée » ( 5).
(3) C fr.: G. Carano-Donvito, La politica finanziaria del march. Palmieri, in «Annali
della R. Università di Macerata », Volume V, Anno 1929.
(4) Cns. : G. Carano-Donvito :/ principi d i Politica Economica di Luca de Samuele Cagnazzi, in «Giornale degli Economisti», ottobre 1929; e l'altro Le teorie economiche e finanziarie dell’abate Cagnazzi in « Rivista internaz. di scienze sociali » ecc., fase. IV, lu
glio 1930.
Le stesse idee erano del Genovesi. Questi, al governo che lo richiedeva di consiglio in occasione della grave carestia del 1764, proponeva il libero commercio del grano e l'aboli zione delle leggi annonarie.
(5) La lettera, da Napoli, l'8 settembre 1770, è riportata secondo la lezione della
Correspondance inédite de l'abbi Ferdinand Galiani, Paris, 1818, Tomo I, pag. 170. Cfr. anche
il nostro saggio Economisti di Puglia nel « Volume commemorativo in onore del prof. Giu seppe Prato», Torino, 1929, pag. 273 del voi. e 13 dell'estratto. .
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6. — Ed ora la parola a Filippo Maria Briganti di Gallipoli. Egli, trattando del Commercio, cosi si esprime (6) :
« L’attività suppone una libera facoltà di agire, e la libertà esclude qualunque dipen denza. La ragion mercantile mal si accorda con la ragion di stato; il commercio non soffre catene, ed i calcoli dell'artmetica sfuggono i colpi della politica, sempre avventati o da cause intrinseche, o da cause estrinseche. Cause intrinseche sono tutti gli abusi della forza impe rante contro l'esercizio delle forze dipendenti. Soprattutto dove l'estremo rigore delle finanze oppone una barriera insuperabile all'attività mercantile, dove semina delitti colle restrizioni e pene coi delitti, dove un esercito di spie, di sentinelle, di sopravveglianti si usurpa le fun zioni di magistratura per assediar la libertà del traffico, ivi il timido trafficante avvilito dalle prepotenze e costernato dalle vessazioni piega le tende e decampa alla sordina. I vettigali, i tributi, i pedaggi sono utili allo Stato, necessari alla man che governa, pericolosi alla man che esige. Inoltre quelle società generali, munite di diritti proibitivi per divenire il flagello delle industrie particolari.... sono sempre infeste all'esercizio del commercio e perniciose al lavoro dell'agricoltura. Quei previlegi esclusivi che coartano l'arbitrio del venditore e del com
pratore, o riguardo alle condizioni del prezzo, o riguardo alla qualità delle merci, sono deboli riprese di un insensato dispotismo. Quei collegi di artefici, che inceppano il genio delle arti in un monopolio distruttivo del processo delle manifatture degradano l'attività privata, senza perfezionar l'attività pubblica.
« .... Il governo è la gran molla dell'attività politica, ma subito che s'ingerisce nell’at tività privata, l’emulazione s’intorpidisce, la perspicacia si ottenebra, la diligenza retrocede (pag. 245 a 248 ) ».
E sullo stesso tono continua il Briganti ancora per molte pagine (7).
7. — Di poco posteriore ai precedenti fu l ’abate Mauro Luigi Rotondo, scrit tore di opere economiche ed alto funzionario nell’amministrazione finanziaria del Reame (8).
La figura del Rotondo economista non esce dalle linee precedenti. Cosi per la tanto dibattuta Questione del tavoliere di Puglia, l’abate Rotondo, conforme alle idee di Giuseppe Palmieri (9), è per la libertà delle terre e per la loro ripartizione, incrementando armonicamente l'agricoltura, ma anche la pastorizia, la quale da no made e barbarica si sarebbe dovuta ammodernare con l’uso dei prati artificiali, di ventando sedentaria e maggiormente produttiva. 6 7 8 9
(6) F. M. Briganti (1725-1804): Esame economico del sisiema civile, terza ediz., presso Borei e Comp., 1828. Pubblicato per la prima volta nel 1780.
(7) Vedi il nostro saggio sul Briganti in « Rivista internaz. di scienze sociali » eco., Voi. II, fase. I. Anno 1929.
(8) M. L. Rotondo nacque in Moffetta (Bari) il 1784 e mori in Napoli il 1855. Fu ascritto a molte accademie e riscosse ammirazioni, lodi ed amicizie da uomini come il Ro- magnosi, il Ferrara, lo Scialoja e particolarmente Agostino Magliani, che fu suo collega nel
l'amministrazione finanziaria borbonica e poscia ministro delle finanze (1877-78) del Regno d'Italia.
Vedi il nostro saggio sul Rotondo in « Rivista di politica economica », anno XXI, 1931, fase. VI.
(9) Vedi: Palmieri, Pensieri economici, nel nostro saggio in «Rivista di politica eco
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Trattando delle dogane, propugna la libertà commerciale, ma.... moderata; cioè a dire un prudente liberismo, o, ch'è la stessa cosa, una oculata protezione. E chiede una revisione generale delle tariffe doganali, « che debbono adeguarsi ai tempi, in modo da non perpetuare protezioni, che rappresentano sempre privativa, monopolio per alcune industrie e danno per altre industrie e per i consumatori, e che riescono, alla lunga, sempre funeste alla pubblica economia ».
Dimostra come la marina mercantile napoletana fu rovinata appunto da un eccesso di protezione.
Nella Memoria sulle negoziazioni che si fanno alla borsa d i Napoli (Napoli, Tipogr. Flautina, 1835) — ricordando le cause che fecero ribassare, negli anni 1834- 1833, il prezzo dei grani e salire quello degli olii, nota il Rotondo la dannosa in fluenza che in quel periodo si verificò per effetto dell'intervento bancario, mentre constata i grandi vantaggi che in simili critiche situazioni produsse la libertà delle contrattazioni. « Il più delle volte questi colpi straordinari di protezione agiscono in controsenso », perchè sia i divieti di estrazione che i premi, esagerano sui mer cati la scarsezza o l’abbondanza, a tutto danno dei commerci, anche se questo non vieti, che, come nelle pubbliche calamità, il governo possa venire ad alleviare il male con provvedimenti che non possono avere nulla di sistematico, essendo vano voler condurre con dei provvedimenti i prezzi allo « stato naturale ». Giudici in vece dei prezzi delle derrate sono le vicende stagionali e commerciali ; con la faci lità delle comunicazioni i prezzi in poco tempo si livellano dappertutto.
Difende i « contratti a termine ». In quanto ai grani ed agli olii, molti con fondono le liquidazioni per differenze, anche di questi contratti, con le « scom
messe ». £ vero si che in tale commercio c’è un movimento senza capitali, ma i
contratti di assicurazione ed ogni operazione commerciale non sono in tal senso
scommesse? Le liquidazioni per differenze sono antiche quanto il commercio. E che
può fare il governo? Forse abolire il commercio? N o, solo la morale può essere di guida, e cioè : l’istruzione, l’educazione, la religione. E se la morale non bastasse, quello che occorrerebbe sarebbe una più energica punizione dei fallimenti...', ogni altra disposizione che inceppasse la libertà delle contrattazioni, potrebbe cagionare gravi danni e sciagure.
I siciliani invocavano per lo sviluppo delle loro industrie una barriera, una protezione contro le merci del continente napoletano, ed il nostro Rotondo in un ciotto saggio, che riscosse gli elogi dello stesso Francesco Ferrara, siciliano, dimostra i gravi danni delle richieste siciliane.
Ancora notevole, in senso equamente liberista, l’altro saggio in cui il Rotondo dimostra gli errori del regime doganale del ferro nel Reame.
8. — E potremmo e vorremmo continuare, anche per amor di natio loco, ad esporre il pensiero dei nostri antichi; ma non è pur sufficiente il fin qui detto? Ed il pensiero si trasmette e perpetua nei nostri economisti pugliesi dal Rotondo e Ca- gnazzi, a Carlo D e Cesare (Spinazzola-Bari-1824-1882), a Salvatore Cognetti De Martiis (Bari-1844-1901), fino al vivente salentino Antonio De Viti-Demarco, per non ricordare che i più emergenti.
Giovanni Carano-Donvito.
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