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duietta da
Einaudi
Direzione: Via lamarmora, 6 0- Torino. Amministrazione: Giulio Linaudi editore, Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia t. 40. Estero L. 50. Un numero L. 12.
Anno I - Numero 2 - Giugno 1936 - XIV
Luigi Einaudi : Il peccato originale e la teoria della
classe eletta in Federico Le P la y ... Pag. 85
Riccardo Bachi: la rrisi economica del 1853-54 nel
Regno di Sardegna... 119
Giovanni Carano-Donvito : La politica economica negli
economisti p u g lie s i...» 144
NOTE E RASSEGNE:
Luigi Einaudi : Lo strumento economico nella interpre
tazione della s t o r i a ...* 149 » » lo squilibrio fra rustici produttori e cit
tadini consumatori causa di deca
denza delle n a z i o n i ...» 158 » » Di una bibliografia dell' economica in
rapporto alla letteratura italiana . . » 150
Mario De Bernardi : Della natura del liberismo di
Smith. - Un'osservazione di Sismondi. - Una sen
tenza di Fuoco. - Una citazione di Cournot . . » 172
TRA RIVISTE E ARCHIVI :
M
osca e Pareto esposero rispettivamente sotto il titolo della classe politica e della classe eletta (élite) il principio che le società umane sono governate da una minoranza. Il primo articolo del presente quaderno delta rivista vuole mettere in luce il contributo dato alla medesima teoria da Federico Le Play, (1806-1882), in gegnere valente, economista autodidatta, riformatore sociale, noto per la compila zione d i bilanci d i famiglia e la propaganda della libertà testamentaria. Il contributo consiste nella distinzione fra classe politica, la quale governa le società e classe eletta, la quale non solo le governa, ma le conduce a prosperità. Che cosa sia la prosperità, come sia composta la classe eletta, come essa conosca il peccato originale e coll’esem pio salvi da esso g li uomini, questo veramente fu l ’apporto d i Le Play alla costru zione della scienza sociale. Una bibliografia d i Le Play continua il viaggio tra i suoilibri altrove intrapreso dal direttore della rivista.
Traendo i materiali principalmente da due ignorate memorie d i Gerolamo Boc- cardo e d i Giacomo Dina, da giornali e diari del tempo Riccardo Bachi ricostruisce la storia della crisi economica del 1853-54 nel regno di Sardegna. Le manifestazioni speculative che precedettero la crisi, l’aggiotaggio d i borsa, i successivi ribassi dei corsi, le controversie intorno alta politica degli sconti e dei cambi dell’istituto di emissione, il risultato ottenuto d i preparare l’abolizione dei limiti legali all’interesse sono alcuni dei problemi efficacemente illustrati dall’autore.
Giovanni Carano-Donvito rievoca l’insegnamento di taluni economisti che tennero alto il nome della Puglia, Giuseppe Palmieri, Ferdinando Galiani, Filippo M. Briganti, Marco L. Rotondo, intorno ai problemi del commercio del grano, del- l'industria della seta, degli interventi bancari, dei contralti a termine.
Nella rubrica delle « N ote e Rassegne », il direttore della rivista, prendendo argomento da libri recentemente pubblicali o ristampati del Fossati, dell’Higgs e del Giuliani, si intrattiene intorno all'uso che dello strumento economico si deve
fare nella interpretazione della storia, alle manchevolezze delle bibliografie econo miche italiane ed alla teoria dello squilibrio fra rustici e cittadini ; e Mario De Ber
nardi in alcuni caustici appunti da sparse letture di vecchi testi ribatte vecchi errori o conferma verità dimenticate.
Chiude il quaderno una accurata bibliografia compilata da Gino Luzzatto dei principali articoli recenti su problemi d i storia dei fatti economici sino alla fine del seicento. La rubrica ha per ¡scopo d i far conoscere agli studiosi d i cose econo miche non solo gli articoli pubblicati sulle riviste speciali, che essi hanno occasione d i vedere, ma anche quelli comparsi nelle riviste storiche generali e nelle memorie di accademie e d i società storiche, le quali potrebbero per avventura sfuggire alla loro at tenzione. La rubrica dovrà essere estesa ai secoli successivi ed alla storia delle idee e non potrà non riuscire aiuto efficace alle ricerche d i storia economica.
Cò4nutUcaàiò*U .d e ll’editóre
I Paradoxes inédits du Seigneur de Malestroit touchant les
Monnoyes annunciati nel primo numero d i questa rivista usci
ranno ai primi d i ottobre.
D i Raimondo Craveri è in stampa un saggio sul Voltaire,
i
politico dell’illuminismo. (Settembre, L. 15).
Cesare Alimenti ha consegnalo per la serie delle « industrie chiavi » un manoscritto sui petrolio. (Ottobre, L. 15).
II terzo fascicolo della Rivista di storia economica uscirà a fine ottobre ed il quarto ed ultimo dell’annata in dicembre. Si pregano gli abbonati d i mettersi in regola con l ’amministra zione.
Tutti i nostri amici sono pregati di acquistare ogni tanto un volume direttamente dall’editore: se abbonati alla rivista godranno dello sconto del 10 %. Scegliere tra le novità annun ciate sopra e nelle pagine seguenti.
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Il titolo d i « nuovi » dato a questo volume d i « Saggi » vuol dire soltanto che alcuni anni fa fu pubblicato un volume raccogliente altri saggi dell’autore. Que sto, che è in tutto indipendente dal primo, raccoglie gli articoli e le note pubblicate dall’autore nel tempo dal gennaio 1933 all’aprile 1933 sulla rivista « La riforma sociale». I saggi sono ordinati in sei p a rti:
1) Crisi, banche, corporazioni, prezzi delle terre, debiti, ammortamenti. 2) Imposta: principii ed applicazioni.
3) Crisi, circolazione, credito e lavori pubblici. 4) Discussioni.
5) Rassegne d i libri. 6) Necrologi.
Un sommario analitico e un indice degli autori citati aiutano il lettore nella consultazione d i un volume, nel quale si discutono svariatissimi problemi d i teo ria, d i storia e d i applicazione concreta.
Come già si fece per il volume dei saggi, coloro i quali faranno richiesta diretta all’editore riceveranno, nel limite d i 100 copie, il volume numerato con la firma dell’autore.
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TRIUMVIRO DELLA REPUBBLICA
ROMANA
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A l nostro risorgimento nazionale concorsero due clementi in fiero contrasto fra loro. L’uno si può chiamare monarchico e cavouriano, l’altro repubblicano e maz ziniano. Il primo trionfò, l’altro fu vinto.
Per un momento, nel 1849, la sorte parve rovesciarsi: la concezione del regno sabaudo dell’Alta Italia e della federazione giobertiana, già in crisi nell’anno innanzi, cadde definitivamente a Novara, mentre la concezione unitaria e repubblicana di Mazzini rifulse in Roma sulle rovine del potere temporale dei Papi. Fu però breve aurora, seguita da un tramonto inesorabile e lungo.
Fermare quel momento; seguire passo passo Mazzini, non più cospiratore, ma capo d i uno Stato; narrare le vicende dolorose d i quel tentativo troppo precorritore dei tem pi; è parso all’autore d i questo libro, non solo un omaggio al sacrificio sfortunato, ma una doverosa rivalorizzazione d i un periodo fra i più significativi del nostro Risorgimento.
Il libro non rivela cose nuove, nè si propone d i dare in luce documenti ignorati, da aggiungersi alla già grande mole delle pubblicazioni mazziniane. Ma neppure è una storia romanzata dove l’arte e la fantasia suppliscono all’esatta cognizione dei fatti. La narrazione, pur essendo scorrevole e vivace, non si diparte dalla verità, che è stata dall'autore pazientemente controllata sulle fonti più autorevoli e sicure.
L’opera d i Mazzini e della Repubblica Romana è contemplata nel più vasto quadro della politica europea d i quel tempo, e perciò il libro fa una larga parte agli avvenimenti d i Francia, che culminarono nella sommossa parigina del 13 giugno, quando, con la sconfitta e la dispersione della « Montagna » francese, le sorti di Roma furono irrevocabilmente decise.
5
— do —
A ssa i m u tevole continua a p resen tarsi la sorte d ei tito li dei tre pre s titi n azionali. E ssi hanno presentato o scilla zio n i in parte soltan to cor rispondenti a quelle della rendita, e più sp icca ta la tendenza a d e clin a re in relazione al rialzo nel saggio d ’ in teresse: talune brusche variazion i si riconuettono con la d iversa con d izion e fatta ai detentori dei titoli riguardo alle n u ove em ission i : i due titoli 4 i/ i */ — di cui una ristretta q u an tità rim ase sul m ercato dopo l’em ission e del terzo pre stito — hanno av u to n egli ultim i m esi quotazioni poco d issim ili, le quali n ella fase del rib asso gen erale scesero sino al di so tto di L. 85, m olto lungi dai prezzi di em ission e: la parità di p rezzi si riconuet- teva con la p resunta parità di trattam en to n elle fu tu re operazioni finanziarie o la m itezza della quota con la ristrettezza del m ercato. 11 nuovo titolo redim ibile 5 °/# ha su b ito la co n su eta falcidia dopo la chiusura d elle operazioni di em ission e, sp ecialm en te per la esisten za di cosp icu e quantità fiuttnanti sul m ercato offerte da istitu ti di cre d ito o da sottoscrittori che, per considerazioni di vario ordine, se ne a cco lla ro n o in proporzioni superiori a lla loro possanza.
Lo spostam ento d ecisivo che la guerra ha apportato nel m ercato dei titoli di S ta to risu lta d alle cifre seg u en ti in d ica n ti la quotazione media e il rendim ento percentuale in base a tale q u o ta zio n e non te
nuto conto ilei prem io d i rim borso:
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Buoniobi. tesoroquinquenn. Ernia. 1912 Kml». 1019 Ernie. 1014 coreo lui. coreo lut. coreo iut. corso ini., Anno 1012 98.10 3.6*0 _
anno 1013 08.51)3.M - - - — — — ! 7° «©in. 1014 00.003.G4
a nu<» 1015 83.034.2G07.584.10 Od. 034.ri 00.104. Uh
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1 Achille Necco, Ilcorto deititoli diborea in Italia dal1801 al 1012: I titolidi
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TkxMetnL cónlem-
fitvuutei - X III
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4
Il peccato originale e la teoria della
classe eletta in Federico L e P lay.
1. — Federico Le Play scienziato ha avuto la disgrazia di cadere in
mano di due qualità di specialisti: gli statistici ed i riformatori sociali.
Colpa di lui, che tanto insistè sul « metodo » da far credere che quello
fosse la sostanza del suo pensiero e tanto predicò contro gli art. 826 e 832
del codice civile napoleonico da diventare il capo riconosciuto di tutta la
brava gente la quale reputa essere la libertà testamentaria una delle ri
forme od addirittura « la » riforma essenziale per la soluzione dei massimi
problemi sociali. Considero perciò disgraziata la sorte del Le Play, sebbene
10 tenga in assai conto il metodo del bilancio di famiglia che va col suo
nome e non sia favorevole alla disponibile di appena un quarto dell’asse
ereditario ed alla divisione forzosa degli immobili fra i coeredi volute dal
codice napoleonico. 2
2. — Su tutti i due punti approvo pienamente i suoi insegnamenti. To
gliere ai genitori il diritto di disporre, come essi credono meglio, della pro
pria fortuna, premiando i figli buoni e laboriosi e punendo gli scioperati
e sconoscenti od almeno rinviando alla generazione seguente di nipoti
11 godimento della quota che sarebbe spettata al figlio reprobo; peggio,
negare al genitore il diritto di assegnare in natura i propri beni, specie
la casa e i fondi aviti, è causa di dissoluzione famigliare. Quasi sempre
i genitori non hanno ragione di fare e non fanno parzialità tra i figli e
preferiscono lasciare a questi la cura di spartirsi amichevolmente i beni
7, 1
86 LUIGI EINAUDI
ereditati; ma in quella rarissima occasione nella quale essi reputano do
veroso dar la preferenza all'uno sugli altri od assegnare in natura i proprii
beni, essi devono potere assolvere la propria missione. Napoleone ed i suoi
consiglieri non vollero, perchè ad essi premeva distruggere le vecchie
classi dirigenti e perciò frantumare la proprietà terriera. Ma Le Play ri
corda che, quando volle ricostruire una nuova classe dirigente, Napoleone
ricreò i maggioraschi. In Italia, la questione non è viva, perchè essendo la
disponibile uguale alla metà dell'asse ereditario, è consentita ai genitori
una libertà di azione bastevolmente grande, mentre al tempo stesso si
difendono i figli contro ingiuste antipatie dei genitori ; nè è vietato a questi
di assegnare, osservata la regola della legittima, i singoli beni cadenti in suc
cessione a questo od a quel figlio. Le Play lodava la legislazione eredi
taria'vigente in Savoia, che era quella piemontese, divenuta poi italiana;
ed al legislatore italiano probabilmente non avrebbe chiesto nulla. Ma
sarebbe stato il primo a protestare contro quella riduzione al minimo
della sua dottrina, la quale farebbe credere a chi legge i sunti correnti
nei manuali di storia delle dottrine economiche che il suo nome possa
identificarsi unicamente con le consuete critiche alla polverizzazione della
proprietà e con le proposte in favore di beni di famiglia, del diritto del
testatore, della conservazione legislativa delle famiglie-ceppo ecc., ecc. Le
Play pregiava le leggi buone; ma sopratutto esaltava le buone tradizioni,
le sane usanze, le consuetudini stabili; ed a lui sarebbe bastato, in fatto
di leggi, che queste non distruggessero tradizioni usanze consuetudini
buone sane e stabili. Il vero problema che egli studiò fu l’origine delle
tradizioni usanze consuetudini buone e stabili e le cause del prevalere di
quelle contrarie; ed in questo studio sta il suo vero apporto alla costru
zione della scienza sociale.
3.
— Sono anche ammiratore del « metodo » inventato dal Le Play
dei bilanci di famiglia. Tanto lo ammiro che da più di un quarto di secolo
mia moglie ed io compiliamo, — a parlar propriamente mia moglie com
pila ogni anno il conto consuntivo della spesa e forse io potrò da sparsi
taccuini ricostruire quello delle entrate — secondo il preciso schema Le Play,
alquanto differenziato nella sezione quarta (sezione prima: nutrimento;
seconda: abitazione; terza: vestiti) delle spese relative ai bisogni morali,
alle ricreazioni ed alla salute. Poiché i bilanci Le Play sono minutissimi
ed ogni cosa acquistata deve essere indicata per specie e non per categoria,
con le quantità in peso o volume o numero, i prezzi unitari e gli importi
■
•/l)
\
IL PECCATO ORIGINALE 87
complessivi, così, se un giorno a noi due verrà in mente e potremo utiliz
zare quel materiale, forse ne verrà fuori un non inutile contributo alla
storia del modo di vivere di una famiglia del medio ceto italiano nel
tempo corso dal primo decennio del secolo all’anno in cui il ciclo sarà
chiuso. Questa possibilità di ricordare attraverso le cifre dei bilanci fa-
migliari le nostre piccole vicende intime la debbo al Le Play; e poiché
non tengo diarii, quella filza di quaderni è in pratica il solo ricordo delle
cose compiute quotidianamente che noi potremo trasmettere ai nostri figli.
I quali lo dovranno perciò all’insegnamento del Le Play.
4.
— Detto ciò per attestare a lui la mia riconoscenza ed ai lettori
la mia opinione che il suo modello di bilancio di famiglia sia superiore
a quanti furono dappoi proposti, debbo aggiungere che gli statistici, col
fare rientrare il bilancio di famiglia Le Play entro lo schema dei metodi
statistici gli hanno reso un pessimo servizio. Il suo discepolo Cheysson
volle nel 1890 collocare, l’uno accanto all’altro, 100 bilanci di Le Play
e della sua scuola (Les budgets comparés des cent monographies de fa-
milles publiés d’après un cadre uniforme dans « Les ouvriers europèens »
et « Les ouvriers des deux mondes » avec une introduction par E. Cheys
son, en collaboration avec M. Alfred Toqué, in .« Bulletin de V Institut
'International de statistique », Tome V, l er livr. pag. 1-157), contentandosi
saggiamente di pubblicare i valori assoluti e percentuali di ogni bilancio
in sé considerato, senza tentare somme e medie. Naturalmente, gli statistici
cominciarono a dire che quello era un materiale infido, che si trattava di
numeri troppo piccoli; che non vi era omogeneità di tempo e di luogo; che
i dati medesimi erano soggetti a dubbio per la esattezza dei pesi e dei va
lori sino al centesimo. Di fronte a contadini diffidenti per istinto, come
pretendeva Le Play di apprezzare per filo e per segno fatti che nemmeno gli
interessati solitamente conoscono? Non dunque osservazioni di fatti veri,
anche se pochi; ma ricostruzioni arbitrarie di un osservatore, sia pure acu
tissimo e genialissimo. Quindi materiale inutilizzabile col metodo stati
stico, il quale suppone fenomeni di massa, osservati in grande numero,
con procedimenti uniformi e con certezza di rilevazione.
88 LUIGI EINAUDI
quelli riveduti da lui) un’altra cosa. Essi sono un documento storico, dun
que non statistico. Non contengono osservazioni su masse, sibbene su in
dividui singoli. Anche nell'ipotesi estrema, chiaramente esageratissima, che
neppure uno dei bilanci Le Play fotografi la realtà esatta del bilancio di
quella data famiglia nel luogo e nel periodo di tempo dichiarato, ed i
dati di essi debbano perciò essere dichiarati inservibili ai fini della inda
gine statistica, non ne sarebbe affatto sminuito il valore storico. Storia è
ricostruzione di fatti individui, compiuta da chi vede gli avvenimenti col
« suo » occhio, sceglie con la « sua » logica i fatti da narrare in mezzo agli
altri innumerevoli fatti a lui indifferenti, e li colora secondo la visione delle
cose umane che è « sua ». Lo statistico non ha diritto di scelta fra i 100
od i 1000 bilanci di famiglia a lui offerti entro i limiti del gruppo che
egli deve studiare. Può essere, dalla limitazione dei mezzi e del tempo,
costretto a studiare solo 10 su 100 o su 1000 bilanci; ma la scelta deve
essere fatta quanto più egli possa, a caso, senza uso del suo arbitrio o
di un giudizio da lui preordinato. Può, nella scelta, essere guidato dalla
opportunità di tener conto di quei bilanci, i quali mettono in luce certe
caratteristiche: ad es. esercizio di un dato mestiere, numero dei figli,pos
sesso dalla casa ecc., ecc.; ma i casi in cui quella caratteristica esiste non
possono essere oggetto, entro i limiti in cui l’indagine è tecnicamente e
finanziariamente possibile, di scelta arbitraria da parte sua.
Invece lo storico sceglie secondo l’arbitrio suo. Fra le tante famiglie,
osserva quella che a lui sembra la più rappresentativa o tipica. Perchè a
lui sembri tale, forse neppure egli è in grado di dire. Un’impressione, una
sentenza, un modo di vivere, l’opinione di persone stimabili del luogo
hanno contribuito alla scelta. Allo storico può accadere altresì di combinare
insieme le osservazioni relative a due o tre famiglie in un quadro che a lui
sembri veramente tipico. Celeberrimi dipinti di grandi maestri non sono
forse un’astrazione? Eppure essi fanno rivivere un’epoca meglio di fo
tografie fedelissime. Le Play immaginava di fare opera di statistico ed
invece scrisse storie. Le sue monografie russe dipingono i rapporti sociali
fra grandi proprietari e contadini, carbonai, pastori, del tempo della ser
virti della gleba (1844 e 1853) meglio di tanti dotti volumi accademici e
di tanti celebri romanzi; la figura del mezzadro della vecchia Castiglia
(1840-47) balza viva sullo sfondo di una società nella quale il grande di
Spagna è assai più vicino al lavoratore di quanto non si possa dedurre
dai racconti di maniera di guerriglie sociali. L’antica Francia prima della
rivoluzione è stata da lui fotografata nel 1856 nella monografia sul
con-//>
IL PECCATO ORIGINALE 89
tadino a famiglia-ceppo del Lavedan nel Bearn. Sainte-Beuve e Taine, i
quali avevano una qualche dimestichezza con le fonti storiche, facevano
gran conto di Le Play. Egli aveva l’occhio dello storico.
5.
— La diiferenza fra gli storici — dicasi storici dell’economia, poi
ché qui si discorre di cose economiche, ma il discorso vale per tutte le
specie di storici — i quali scrivono libri, che leggendoli si sente che sono
falsi dalla prima all’ultima parola, nonostante narrino o raccontino fatti
tutti veri e storici i quali danno una visione vera del tempo investigato, no
nostante raccolgano solo alcuni fatti, scelti ad arbitrio, essendo dunque tutta
posta nell’occhio, dobbiamo chiederci: quale era la specie di occhio pos
seduto da Le Play?
Tanti anni fa, ad occasione di certi miei studi di economia mineraria
(1900), mi accadde di far passare la raccolta degli Annales des mìnes del
secolo scorso; e vidi allora per la prima volta la firma di Federico Le Play
in calce ad informatissimi studi di arte ed economia mineraria. Suppongo
che nessuno legga più quegli studi, i quali all’ingegnere moderno pro
babilmente non dicono nulla che sia oggi praticamente utilizzabile. A me,
che cercavo e cercherei ancora legami fra prezzo e costi di produzione, fra
salari e interessi e profitti di intrapresa, e variazione di questi legami nel
tempo, di quegli studi di Le Play rimase il ricordo come di capolavori.
Le Play era maestro nell’arte dell’ingegnere; maestro compiuto, epperciò,
senza che egli ne fosse consapevole, maestro nell’arte economica. Come
economista teorico, egli era e più si reputava un eretico. Non aveva sim
patia per gli economisti e, quando poteva, parlava svantaggiosamente di
Adamo Smith e degli economisti liberali, ai quali oltreché agli enciclope- •
disti ed agli utilitaristi del secolo XVIII, imputava la responsabilità dei
mali della società moderna. Ciò gli accadeva, perchè non aveva pene
trato lo spirito della scienza economica, la quale non è liberale nè sociali
stica, nè altra cosa, ma è scienza di costi e di prezzi, di scelte tra mezzi li
mitati per raggiungere i fini voluti dagli uomini; ma forzato dall’arte
sua di ingegnere, in cui era sommo, giungeva, nello studio dei problemi
concreti, alle conclusioni medesime degli economisti, attraverso il mede
simo metodo, e colle stesse forme di ragionamento. Chi legga la sua mo
nografìa sul calmiere del pane (cfr. sotto n. 13) e quella sulla lotta fra
legna e carbone (cfr. n. 11) non può a meno di collocarlo, nonostante le
sue proteste, nella schiera degli economisti classici.
90 LUIGI EINAUDI
in quanto esso aiuti a conseguire un fine di minimo costo e di massima
convenienza economica, lo portava dunque a vedere la realtà. Voleva ve
derla attraverso la meditazione teorica; ma non scompagnava questa dalla
osservazione. Ripetutamente egli insiste sul vantaggio tratto, anche in in
dagini tecniche, dalla osservazione del modo tenuto nel lavorare dai pra
tici artigiani, minatori e fonditori. Ascriveva allo studio deU’arte prati
cata per tradizione almeno tanta importanza come allo studio dei libri;
epperciò fino all'ultimo rimase scettico intorno alla utilità delle scuole pro
fessionali ed a queste preferì il tirocinio cominciato in età giovanile nelle
officine.
6. — Fin qui avremmo avuto soltanto un Le Play eminente scrittore
di monografie industriali, emulo e probabilmente maggiore del nostro Giu
lio, di cui altra volta tentai tracciare il ritratto (in La riforma sociale, gen
naio-febbraio 1935). L’indagatore tecnico-economico divenne il costrut
tore di una teoria del mondo sociale per circostanze accidentali. Nei suoi
libri (O. E. I, 17-34) si legge il racconto delle prime osservazioni fatte da
giovinetto in libere corse sulla riva della Senna vicino ad Honfleur, in com
pagnia di pescatori e contadini, dell’influenza esercitata da amici di fami
glia che gli facevano rivivere gli uomini dell'antico regime, dai negatori
razionalisti, che avevano fatto la rivoluzione, ai tradizionalisti, i quali ave
vano fatto la forza della vecchia Francia. Un infortunio gravissimo di la
boratorio (inverno 1829-830), che lo costringe per 18 mesi alla inazione
ed alla meditazione, pone dinanzi alla sua mente il problema del perchè
della vita e dei fini di essa (O. E. I., 40). Da quel momento comincia
una nuova fase nella sua attività intellettuale. I lunghi viaggi intrapresi
grazie, dapprima, alle conseguite borse di studio e poscia ad incarichi dei
governi del suo paese e forestieri lo portano a percorrere, spesso a piedi,
quasi tutta l'Europa fino agli Urali, alla Scandinavia ed alle Sierre spa-
gnuole. L’ufficio di studio e di riorganizzazione di grandi imprese mine
rarie è per lui occasione a studiare l’uomo che in quelle imprese lavora.
Egli si chiede: perchè l’uomo, ed egli intende l’uomo del popolo, il con
tadino, l’operaio, il minatore, il fonditore, è contento o malcontento? per
chè vuole uscire dal suo stato o rimanervi? perchè una società è prospera
e stabile ed un’altra è instabile o disorganizzata o corrotta?
7. — In apparenza, il problema di Le Play è quello del predicatore,
dell’evangelista, del profeta, il quale intende combattere il male e
propu-/A
IL PECCATO ORIGINALE 91
gnare il bene; ed in verità a tal fine di bene egli ha fondato società, unioni
per la pace sociale, raggruppato intorno a sè uomini ansiosi di fare il bene
sociale. Ma la sostanza profonda è diversa. Il suo problema era puramente
scientifico: cercare le leggi delle uniformità sociali. Egli intese a risolverlo
con strumenti rigorosamente scientifici. Se guardiamo sotto e dentro la
veste esteriore, la quale fa sorridere lo studioso abituato al linguaggio
degli economisti professionali (1), Le Play (11 aprile 1806-5 aprile 1882)
appartiene alla schiera dei grandi scrittori del secolo. XIX che hanno ficcato
10 sguardo in fondo alle iragioni di vita delle società politiche, i quali si
chiamano — sia lecito citare anche, insieme con i teorici, i nomi di taluni
grandi giornalisti — Burke, Mallet du Pan, De Maistre, Gentz, Tocque
ville, Taine, Mosca, Pareto. Quest’ultimo si inquieterebbe a vedersi messo
insieme con uomini i quali profetizzavano, evangelizzavano o combatte
vano; ma la verità comanda di guardar sotto alle formule religiose o po
litiche la sostanza scientifica. Con maggiore o minore vigoria e consape
volezza, gli scrittori ora citati reagiscono tutti contro l’idea che gli uomini
siano guidati nell’agire dalla ragione ragionante, c che una società viva
possa essere creata dal raziocinio. Si chiami istinto, o caso, o tradizione o
classe e formula politica o élite e residuo, esistono forze potenti, talvolta
misteriose le quali spiegano la grandezza e la decadenza, la permanenza e
11 disfacimento delle società. Che Le Play distingua le popolazioni (so
cietà) in « modèles » o « soumises à la tradition, stables, ebranlées e dé-
sorganisées », che egli, per riconoscerle ed analizzarle, si giovi dello stru
mento « bilancio di famiglia » in fondo non ha alcuna importanza deci
siva per caratterizzare la sua visione del mondo; per definire la ricostru
zione che questo singolare ingegenere, economista per intuito spontaneo e
scrittore politico autodidatta, compiè delle ragioni di variazione delle so
cietà umane.
La sua « scuola » in fondo è morta; e solo la devozione di pochi di
scepoli ne serba viva la scintilla. Dalla guerra in poi non si sono più pub
blicati bilanci di famiglia nella grande collezione da lui iniziata. Dalle
riforme inspirate al principio della libertà testamentaria (aumento della 1
(1) G. L. Bousquet nel suggestivo studio in Le douar Aghbal in «Revue d'écono- mie politique », del gennaio-febbraio 1935, pag. 99, dopo avere detto di lui: « c’est un auteur dont les buts n’ont rien de scientifique », gli rende testimonianza di gran debito e lo rac comanda sovratutto « aux gens épris d'abstractions comme antidote ». Il presente saggio ha per iscopo di mettere in luce gli elementi scientifici della teoria Leplayana. Ma poiché questa
è una teoria storica, non può servire di antidoto se non alla teoria astratta di coloro i quali
92 LUIGI EINAUDI
disponibile, assegnazione in natura dei beni ereditari, criteri restrittivi per
la constatazione della lesione enorme, diritto di pagare saldi in denaro
nelle divisioni ereditarie, riduzione delle imposte di successione nella cer
chia famigliare), al dovere di patronato dei datori di lavoro verso gli ope
rai, alla diffusione della proprietà della casa, al riposo domenicale, alla
difesa delle autonomie regionali o locali, il mezzo secolo trascorso dopo
la morte di Le Play ha eliminato quel che in esse era di caduco ed ha fatto
diventare le altre patrimonio comune di grandi correnti dell’opinione pub
blica o scopo dell’azione dei legislatori e degli uomini di governo.
Resta la sua dottrina; viva per quel che essa ha fornito alla costru
zione sempre incompiuta della scienza che egli chiamava sociale ed in
lingua italiana meglio si dice politica. Nella schiera illustre sopra ricor
data sarebbe ingiusto tacere il nome di Le Play.
8.
— Una delle fatiche sue più singolari fu il « vocabolario sociale »,
nel quale egli volle definire con precisione le trecento parole costitutive
del linguaggio proprio della scienza sociale (cfr. qui sotto n. 2; O. E., I,
441-49). Il profeta, l’apostolo usa un linguaggio mistico, atto a colpire
sentimento ed immaginazione. Le Play vuol costruire una scienza e co
mincia col definire le parole usate. Il succo della dottrina è dato da quelle
parole con le quali egli fissò i connotati dei ceti dirigenti della società.
Quel che altri chiamò poi « classe politica », od « élite », egli disse « au-
torités naturelles » ; e sono « coloro il cui potere deriva nella vita privata
dalla natura degli uomini e delle cose ». Essi sono « nella famiglia, il pa
dre; nell’opificio, il principale; nella vicinanza, il saggio designato dall’af
fezione e dall’interesse della popolazione ». È dunque fornito di autorità
naturale ed, elevandosi sovra gli altri, li dirige e comanda, astrazion fatta
dall’ordinamento legale del paese, colui il quale a comandare è designato
dal sangue, dalla posizione sociale e dalla sapienza del consiglio. L’auto
rità derivata dall’essere riconosciuto atto a dar consiglio altrui è la più
alta e Le Play la chiama autorità sociale. Ne sono rivestiti « coloro i quali
sono divenuti, grazie alla loro virtù, i modelli della vita privata, i quali
dimostrano una forte tendenza verso il bene, presso tutte le razze, in tutte
le condizioni e in tutti i regimi sociali; e, coll’esempio della loro famiglia
e del loro opificio, con la scrupolosa pratica del decalogo e delle consue
tudini della pace sociale, acquistano l’affetto ed il rispetto di tutti coloro
che li circondano e così fanno regnare il benessere e la pace nel vicinato ».
Oli di noi non ha conosciuto qualcuno di questi uomini? Spesso nqn hanno
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IL PECCATO ORIGINALE 93 '
alcuna carica ufficiale, non furono mai ministri, nè senatori, nè deputati;
non brigarono cariche di sindaci, consiglieri, non ebbero offerte o non
accettarono quelle di podestà o fiduciari politici o sindacali. Furono talvolta
conciliatori; poiché il loro ufficio naturale è di star seduti sotto l ’albero
del villaggio a comporre liti, ammonire i malcreati e dar consiglio ascol
tato agli umili. Essi sono dappiù dei potenti della terra, chè i potenti pas
sano e la parola del saggio rimane.
Non conosce il suo mestiere l’inquirente sociale il quale, giunto in
un villaggio, non cerca, attraverso la voce spontanea del popolo, l’uomo
saggio, il notabile, ricco o mediocre di fortuna, al quale gli abitanti si vol
gono per consiglio. Le autorità legali gli parleranno di gravezza di imposte,
di desideri di aiuti o di interventi governativi, di iniziative a prò della
economia locale. L’uomo saggio non dirà nulla di ciò, poiché nel villaggio
a ciò nessuno pensa; ma informerà sui costumi, sui vecchi, sui bambini,
sulle famiglie e sulle ragioni eterne della loro prosperità o decadenza.
Le Play si compiaceva a trarre da Platone (Le leggi, lib. XII) la defi
nizione degli uomini che sono guida ai popoli : « Si trovano sempre, me
scolati nella folla, uomini divini, in verità poco numerosi, di cui il com
mercio ha pregio inestimabile, i quali non nascono più frequenti negli stati
civili che negli altri. I cittadini, i quali vivono sotto un buon governo,
devono andare alla cerca di questi uomini, i quali hanno saputo serbarsi
puri da corruzione; debbono cercarli per terra e per mare, in parte per
rafforzare quel che v’è di saggio nelle leggi del loro paese, ed in parte
per correggere quel che può essere in quelle di difettoso. Non è possibile
la perfezione nella «pubblica, se non si osservano e non si cercano questi
uomini o se ciò si fa male ». 9
9.
— Le autorità naturali ricevono forza dalla virtù morale e dal
costume. Nelle società semplici il padre è onnipotente e, fra i padri,
taluno acquista autorità particolare; e diventa capostipite di genti nobili.
Nobili sono « coloro i quali per virtù o servizi eminenti o per la pratica
delle grandi tradizioni dei loro antenati sono divenuti i modelli della vita
pubblica ». La nobiltà è « il fiore delle classi superiori e dirigenti in una
società modello. La vera nobiltà non consiste nella trasmissione del san
gue, del nome e dei titoli, ma nella pratica della legge morale e nella de
vozione al pubblico interesse ». Come non ricordare la definizione della
Beau-9 4 LUIGI EINAUDI
regard erano state spezzate e le sue pergamene di famiglia erano state
bruciate al Villard? « Ben sono sciocchi coloro i quali immaginano di
averla fatta finita con noi perchè hanno spezzato le nostre armi o disperso
i nostri archivi. Finché non ci avranno strappato il cuore, non potranno im
pedirgli di battere per tutto ciò che è virtuoso e grande, non potranno im
pedirgli di preferire la verità alla menzogna e l’onore a tutto il resto;
finché non ci avranno strappato il cuore, non potranno vietare che esso
sia riscaldato da un sangue che non venne mai meno; finché non ci avranno
strappata la lingua, non potranno vietarci di ridire ai nostri figli che la
nobiltà consiste esclusivamente nel sentimento raffinato del dovere, nel co
raggio posto nell’adempirlo e nella fedeltà sino all’estremo alle tradi
zioni della famiglia » (2).
L’ « élite » di Le Play non si confonde dunque con la classe dirigente
nel senso comunemente oggi invalso. Pareto dà il nome di classe eletta od
élite a coloro i quali hanno gli indici più elevati nel ramo della loro at-
attività e chiama perciò a far parte della « classe eletta di governo » tutti
coloro i quali sono riusciti ad entrare nel ceto governante: il senatore
che è stato nominato per il censo ricevuto in eredità, il deputato che
« in certi paesi si fa eleggere pagando gli elettori e lusingandoli, se occorre,
col dimostrarsi democratico sbracciato, socialista, anarchico » ; l’Aspasia di
Pericle, la Maintenon di Luigi XIV, la Pompadour di Luigi XV, la quale
« ha saputo cattivarsi un uomo potente ed ha parte nel governo che egli
fa della cosa pubblica » ( Trattato, §§ 2027 a 2036). Nulla di più repu
gnante allo spirito di Le Play di questa mescolanza; per lui l’élite è il me
glio — perciò tradussi con fiore — delle classi dirigenti e superiori in una
società prospera; è quella piccola e rarissima parte delle classi dirigenti
la quale compie opera intesa ad ottenere certi risultati, che egli qualifica
di « prosperità » per la nazione o lo stato o il gruppo. Una classe la quale
conduce la società alla rovina, alla disorganizzazione ed alla decadenza può
essere dirigente, non è élite.
La terminologia di Le Play è preferibile, dal punto di vista della pro
prietà del linguaggio, a quella di Pareto. Repugna collocare una grande
favorita come la Pompadour nella classe eletta, mentre pare ovvio dichia
rarla importante parte della classe dirigente. Dirigere è ufficio proprio
anche del capo di una banda di contrabbandieri di alcool, divenuto poten
tissimo nella vita politica americana; ad essere « eletto » occorrono qualità
morali, le quali sono assenti nei capi contrabbandieri e nelle mantenute.
(2) Costa de Beauregard, Un homme d'autrefois. Paris, 1900, pag. 146, \
/ r
IL PECCATO ORIGINALE 95
10. — Le Play era mosso da ragioni più profonde di questa termino
logica ad attribuire la qualità di classe scelta ad una parte soltanto della
classe dirigente. Dal 1661 in poi la Francia è certamente stata governata
da una classe dirigente; ma dal 1661 al 1762 re e cortigiani si fecero col
l’esempio predicatori di corruzione, dal 1762 al 1789 filosofi e letterati pro
pagarono 1'«errore fondamentale»; dal 1789 in poi letterati, violenti e
predatori si associarono per distruggere le costumanze del bene. Le Play
non chiama a far parte della « classe eletta » coloro che ebbero allora la
direzione politica e spirituale della società francese. Il fiore della classe
dirigente potè nelle epoche ora dette, essere negletto perseguitato, cac
ciato di Francia dopo la revoca dell’editto di Nantes, decimato dalla ghi
gliottina; ma rimase « l a » classe eletta e, salvando la verità fondamentale
e la tradizione di bene, salvò la Francia. Rare volte accade, secondo il
Le Play, che la classe dirigente sia anche la classe eletta; ma in quelle rare
occasioni in cui le due classi diventano una sola si pongono per secoli le
fondamenta della grandezza duratura di un paese. Una di quelle rare occa
sioni fu il regno di Enrico IV, continuato da Luigi XIII (1582-1643),
quando, all’ombra dell’editto di Nantes (1598), cattolici e protestanti ga
reggiarono nel servire lo stato; e santi come S. Francesco di Sales e Gio
vanna di Chantal, filosofi e teologi come Descartes e Bossuet, Nicole e
Pascal, statisti come Pasquier, Du Harlay e Sully, fecero veramente gran
deggiare il nome della Francia nel mondo e alcuni di essi collo splendore
della loro fama consentirono a Luigi XIV di attribuire a sè il vanto del se
colo d’oro, in verità dovuto all’opera dei suoi predecessori.
96 LUIGI EINAUDI
adottata, come principio essenziale, dai riformatori novatori del 1789, del
1830, del 1848 e del 1870; ammessa, più o meno apertamente, dalle mo
derne teorie ostili allo spirito di tradizione.... Secondo gli adepti dell’errore,
il bambino nasce con la tendenza innata verso il bene. Perciò il male, il
quale esiste dappertutto, è il risultato di un’azione corruttrice, intesa, fin
dalle prime età, a corrompere la natura umana. Da questa opinione, la
cui falsità è universalmente conosciuta dalle madri, dai medici, dai maestri
di scuola derivano logicamente i tre falsi dogmi della libertà sistematica,
dell’uguaglianza provvidenziale e del diritto di rivolta. L'osservazione delle
società le quali applicano siffatti dogmi ne dimostra la incompatibilità con
la pace e la stabilità sociale ».
12.
— Il lettore affrettato può credere che Le Play tragga dall'ossequio
ad un dogma di fede le sue opinioni intorno alla verità ed all’errore,
intorno al bene ed al male; e forse Pareto lo classificherebbe tra i meta
fisici. Colui che novera tra le maggiori felicità della sua esperienza intel-
tellettuale la lettura di quasi tutto ciò che scrisse Le Play facilmente si per
suase che altra è la verità. Non una delle affermazioni sue ha origine di
versa dall'osservazione dei fatti, osservazione sua o di altri. A differenza
però di chi ricorre alla rinfusa a testimonianze di pensatori e di pen-
naioli senz’arte nè parte, di santi e di romanzatori quotidiani gialli, Le Play
non ammette alla dignità di testimonio se non chi egli sa avere le qualità
necessarie per osservare bene. Chi è il giudice delle qualità proprie del
l’uomo? Non Rousseau, il quale opinava in relazione alla dottrina che
voleva costruire; ma la madre, il medico, il maestro, il sacerdote, i quali
hanno visto il bambino appena nato, lo hanno seguito nei primi anni col
l’ansia di chi generò e di chi deve educare e non hanno ragione di veder
male o di mentire.
Ha ragione Gian Giacomo di scrivere nella « Lettre à Christophe de
Beaumont, archevèque de Paris » che « il principio fondamentale di tutta
la morale, in base al quale ho ragionato in tutti i miei scritti.... è che l’uomo
è un essere naturalmente buono, il quale ama la giustizia e l’ordine; nè
esiste perversità originale nel cuore umano ed i movimenti spontanei della
natura sono sempre giusti » ; od ha ragione Le Play di opporgli il brano di
Sant’Agostino nelle « Confessioni » (I,
v i i, x i x) ?Il brano ricorre troppe
volte nelle opere del Le Play per non riprodurlo interamente: « La debo
lezza degli organi è innocente nei bambini; ma non è innocente il loro
animo. Ho visto, ho visto io stesso un bambinetto divorato dalla gelosia.
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IL PECCATO ORIGINALE 97
Egli non parlava ancora; ma, pallidissimo, guardava con occhio torvo il
suo fratello di latte.... È innocenza, in un bambino, non voler dividere una
fontana di latte cosi abbondante e persino troppo abbondante, con un
bambino debole come lui?... Questa è, Dio mio, l’innocenza dei bambini?
No, non esiste l'innocenza. Quel che essi sono coi loro maestri e precet
tori per ottenere noci, palle ed uccelli, più tardi sono coi re ed i magistrati
per ottenere oro, terre, schiavi. Cogli anni muta l’oggetto della passione;
ed i supplizi più atroci prendono il posto dei castighi della fanciullezza.
Ma in fondo, è sempre la stessa cosa. Voi, Gesù, avete certo pensato solo
di darci una lezione di umiltà nella piccola statura dei fanciulli, quando
avete detto: Il reame dei cieli è di quelli che rassomigliano ai fanciulli ».
Così opinando, Le Play poteva cadere in errore; ma nel modo tenuto dagli
uomini di scienza. Il suo metodo era rigorosamente scientifico, se si reputa
tale quello fondato sulla osservazione della realtà compiuta da persone
capaci di contemplarla.
13. — Dall’erronea credenza nella perfezione originale dell’uomo na
scono i tre falsi dogmi: 1) della libertà sistematica; ed invero « l ’uomo,
nato perfetto, creerebbe dappertutto il regno del bene, se gli fosse permesso
di seguire le sue inclinazioni naturali. Il male universale non può dunque
derivare che dalle istituzioni coercitive le quali finora sono state il fonda
mento di tutta la società; e che bisogna perciò distruggere sistematicamente
per restituire agli uomini la libertà originaria »; 2) della uguaglianza prov
videnziale; poiché «gli uomini nascendo ugualmente perfetti, dovrebbero
esercitare il medesimo potere e godere dei medesimi vantaggi se la società
fosse fondata sulla giustizia»; 3) del diritto di rivolta: «g li uomini na
scono invero perfetti; e creerebbero dappertutto il regno del bene, se essi
potessero collaborare tutti in condizioni di piena libertà ed uguaglianza.
Tutti i governi hanno finora mantenuto gli uomini nelle condizioni oppo
ste, e di qui il dominio universale del male. Fa d’uopo perciò rovesciare
con la forza tutti i governi che tollerano i regimi di coazione e di di
suguaglianza ».
por-98 LUIGI EINAUDI
tato a credere nella verità del « peccato originale » non perciò ne deduce
i dogmi della coazione legale, della disuguaglianza e della ubbidienza
assoluta. I legisti, tipici teorici della coazione e dell’autorità legale, sono
agli occhi di Le Play fattori secondari e spesso negativi della classe eletta.
Nelle società prospere si ricorre alle leggi coattive solo laddove non ba
sta l ’esempio morale delle autorità naturali e sociali; ed il moltiplicarsi
delle leggi coattive è indice del trascorrere delle società dal tipo prospero e
stabile al tipo instabile e disorganizzato.
15.
— Se criterio negativo dell’attitudine ad essere classe è il versare
nell’errore fondamentale, criterio positivo della prosperità di una società
ad opera della classe eletta governante è il grado di osservanza del deca
logo: adorare un solo dio e reprimere gli idoli, non pronunciare il nome di
Dio, rispettare il padre e la madre, non ammazzare, non rubare, non testi
moniare il falso, non commettere adulterio, non desiderare la roba d’altri.
Ecco le regole che, osservate nelle cose private e pubbliche, conducono i
popoli alla prosperità e, violate, alla rovina. Le Play studiò ad una ad una
centinaia di famiglie, nei climi fisici, storici e politici più diversi; ne
analizzò minutamente le condizioni di vita materiale ed intellettuale; e,
quando volle andare in fondo alle ragioni della felicità o del malcontento,
del prosperare o dell’impoverire, sempre si rifece al decalogo e studiò il
modo come gli uomini si comportavano dinanzi ai comandamenti stessi.
Questa è la chiave magica, la quale ci rivela i segreti della storia dei popoli.
Come egli distinse la classe eletta da quella governante e chiamò « eletta »
quella che non solo regge, come fanno tutte le classi governanti, i destini
dei popoli, ma li conduce alla prosperità, così egli distinse nella storia dei
popoli differenti alternanti stati o modi di essere; e disse di « prosperità »
uno di essi, definendolo cosi: «Risultato che l’azione ripetuta del bene
produce sulla condizione fisica e morale delle società. La prosperità si ma
nifesta sopratutto attraverso la pace e la stabilità. Essa offre, secondo i
luoghi, le razze ed i tempi, due termini estremi di semplicità e di compli
cazione, segnalati dalla natura dei mezzi di sussistenza. Nella « prosperità
semplice » la sussistenza dipende quasi esclusivamente dalla raccolta rego
lare delle produzioni spontanee del suolo e delle acque. Nella «prospe
rità complicata » la sussistenza proviene in gran parte dai prodotti del
lavoro umano. Quando la natura dei luoghi lo consente, essa genera ric
chezza accumulata, cultura intellettuale e potenza politica » (in n. 2,
O. E., I, 471).
.
IL PECCATO ORIGINALE 99
L’ordine degli accadimenti è dunque il seguente: 1) esistenza di una
classe eletta, tale perchè conosce ed applica il decalogo; 2) capacità della
classe eletta ad insegnare ai popoli 'la pratica del decalogo; 3) pace e sta
bilità sociali che per conseguenza esistono nella società ed in cui consiste
la « prosperità » ; e dalla quale derivano ricchezza cultura e potenza, in
grado maggiore o minore a norma delle condizioni di luogo, di razza e
di tempo.
Ricchezza, cultura e potenza possono esistere anche laddove non esiste
« prosperità » definita come sinonimo di pace e stabilità sociale e come con
seguenza della pratica del decalogo da parte della classe eletta e dei po
poli da essa guidati. Avremo il secolo di Luigi XIV minato alla base dai
vizi della classe dirigente; non i tempi di Enrico IV e di Luigi XIII, nei
quali fu costrutta la Francia. Il teorico politico non può non distinguere
fatti diversi; e non può contentarsi di spiegare l’accaduto sol perchè acca
duto. Vi è un accaduto, i cui connotati sono pace e stabilità sociale; e di
remo questo tipo di « accaduto » conseguenza dell’osservanza della legge
morale e qualificheremo « eletta » quella classe dirigente la quale è ca
pace di produrre tali specie di « accaduti ». Vi sono altri « accaduti » i cui
connotati sono la discordia, l’irrequietudine, il malessere sociale, e la ri
volta; e li diremo connessi con l’esistenza di una classe dirigente, la quale
non conforma la sua azione all’osservanza del decalogo. Tutti « accaduti »
e tutte classi « dirigenti » che lo storico analizza e spiega. Ma quale diffe
renza fra gli uni e gli altri! E quale infimo luogo hanno nella spiegazione
dello storico la ricchezza, la razza, il clima e il tempo e gli schemi astratti
imperniati in questi concetti!
100 LUIGI EINAUDI
istruzioni al padre Gaspard Barzée il quale partiva per la missione di
Ormuz: «Dovunque vi troviate, anche di passaggio, cercate di conoscere,
per mezzo degli abitanti più rispettabili, le inclinazioni del popolo, gli usi
del paese, la forma del governo, le missioni e tutto quel che riguarda la
vita civile. Voi maneggerete più facilmente gli uomini, quando voi pos
sediate siffatte nozioni, voi avrete su di essi maggiore autorità, voi saprete
su quali punti dovete maggiormente appoggiarvi nella vostra predicazione.
Si hanno spesso in poco pregio i consigli dei religiosi, perchè essi non co
noscono il mondo.... Ma quando se ne incontra uno il quale sa vivere ed
ha l’esperienza delle cose umane, lo si ammira come un uomo straordi
nario.... La scienza del mondo non si apprende però nei manoscritti e nei
libri stampati; bensì nei libri viventi, nelle relazioni con uomini sicuri ed
intelligenti. Grazie a questa scienza voi farete più bene che con tutti i ra
gionamenti dei dottori e tutte le sottigliezze della scuola » (O. E., I., 474).
Il vero maestro degli uomini, la guida dei popoli non è chi scrive, ma chi
parla. Le Play cita Platone in « Fedro » : « Colui, il quale spera di insegnare
altrui un’arte mettendola per iscritto e colui il quale spera di attingerla ivi....
sono veramente troppo ingenui.... se pensano che uno scritto possa servire
a qualcosa di più che a risvegliare i ricordi di colui il quale conosce già il
soggetto che vi è trattato » (O. E., I, 108). E ricorda il comandamento di
Cristo ai discepoli: «V i mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dun
que prudenti come serpenti e semplici come colombe.... Voi sarete pre
sentati, a causa mia, ai governanti ed ai re per rendermi testimonianza....
Quando sarete portati dinanzi ad essi, non preoccupatevi punto del modo
come parlerete cioè di quella che direte. Ciò che dovrete dire vi sarà detto
in quel momento, perchè non voi parlerete, ma lo spirito del padre vostro
che è in voi » (San Marco, X, 16 a 20 in O. E., I, 573). Il che vuol dire
essere i popoli guidati al bene non da coloro i quali insegnano la legge
scritta o la scienza dei libri, ma dagli uomini i quali dicono la parola della
verità, quella che essi sono forzati di dire dal comandamento della coscienza.
17.
— Uomo di poche scelte letture, egli cita sopratutto la Bibbia
(antico e nuovo testamento), Confucio, il Corano, Sant’Agostino, S. Ber
nardo, S. Tommaso, Aristotile, Platone, Erodoto, Senofonte, Cicerone, Ta
cito, Seneca, Marco Aurelio, Bacone, Bossuet, Locke, Vico, Burke, Mon
tesquieu, De Maistre, Montalembert, Tocqueville, De Bonald, l’abate Huc.
Combatteva contro Voltaire, Rousseau, Adamo Smith, Napoleone I,
Bùchner. Teneva vicino al capezzale e meditava i Saggi di Montaigne.
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IL PECCATO ORIGINALE 101
Ma il libro dei libri è per lui l’uomo. Per tutta la vita egli segui il me
todo tenuto durante i 200 giorni del primo viaggio quando nella state
del 1829, percorrendo 6800 chilometri a piedi, visitò le regioni com-.
prese fra la Mosella, la Mosa, il Reno, il mare del Nord, il Baltico e le
montagne dell' Erzgebirge della Turingia e dell’ Hundsruck : « mettersi in
rapporto intimo con le popolazioni ed i luoghi, allo scopo di stabilire una
distinzione netta fra i fatti essenzialmente locali e quelli che hanno un ca
rattere di interesse generale. Cercare ansiosamente di conoscere le « autorità
sociali » di ogni località; osservare le loro pratiche; ascoltare con rispetto
i giudizi da esse recati su uomini e su cose ». Da questa preparazione sono
venute fuori le centinaia di saggi che altri ed egli stesso disse « monogra
fie di famiglia » e sono invece pagine di un veggente intorno alle ragioni
per le quali i popoli vivono contenti o soffrono, prosperano od avanzano,
o regrediscono e decadono e poi riprendono e riconquistano la stabilità e
la pace sociale.
18.
— Coloro che, leggendo libri, sentono il bisogno di collocare l’au
tore dentro le categorie che essi per comodità di intelligenza e di insegna
mento hanno stabilito, e veggono che Le Play comincia colla descrizione
dei luoghi ed insiste sulla influenza che la steppa, il bosco, il mare, la
miniera, l’agricoltura, il mestiere esercitano sulla vita di coloro che vi
sono addetti, sono indotti ad accomunarlo ai molti che spiegano la storia
del mondo con le caratteristiche geografiche metereologiche telluriche tec
niche dei luoghi abitati e del lavoro compiuto. Altri che lo scorge descrit
tore minuzioso dei costumi, investigatore delle ragioni per le quali in dati
tempi prevalsero schiavitù, servitù della gleba, ed altre specie di contratti
di lavoro, ammiratore dei vincoli consuetudinari fra padroni ed operai,
delle tradizioni famiglia», promotore di riforme legislative atte a con
servare la famiglia-ceppo, il bene di famiglia, se per rispetto alla decenza
del linguaggio, si astiene dal dirlo reazionario, lo chiama però conser
vatore alla De Bonald od alla De Maistre. Altri ancora, opponendo i suoi
costanti richiami all’importanza della religione, la sua abbominazione verso
gli economisti e gli enciclopedisti lo dirà un precursore del socialismo cri
stiano, del corporativismo cattolico. Chi ascolta la predicazione calda degli
scritti minori, gli appelli accorati agli uomini da bene, l’eccitamento ad
unirsi in leghe per la pace sociale lo colloca fra i tanti invasati i quali
credono di aver trovato la soluzione del problema sociale.
mnemo-102 LUIGI EINAUDI
nico, sono in fondo nettamente false. Sebbene la sua descrizione della
steppa russa e della influenza che essa ha esercitalo nella vita dei popoli
che l’abitarono o la traversarono sia una delle rappresentazioni artistiche
della vita pastorale primitiva più stupende che io conosca, Le Play non è un
determinista geografo (3). Sebbene egli abbia fissato nel bronzo i tratti
essenziali della famiglia rurale dell’antico regime di prima della rivoluzione,
e sebbene abbia descritto come nessun altro le caratteristiche dei rapporti
di patronato e dei vincoli corporativi, egli non è un tradizionalista reazio
nario. Sebbene egli abbia trascorso la seconda metà della vita a predicare la
« riforma sociale », egli non è un agitatore ed un riformista. Od, almeno,
queste sue doti potenti di osservatore del mondo fisico e di rievocatore di
società passate non sono quelle sue essenziali. £ tempo si riconosca essere
stato egli uno dei creatori della moderna scienza politica. Certamente egli
non ha voluto scrivere esclusivamente per costruire un libro scientifico. Nè
ha eccitato, come altri fece, il disprezzo contro tutti coloro che, studiando
l’uomo, non affettarono di spogliarsi di tutte le qualità umane, di ogni
interesse per la materia indagata e non misero alla stessa stregua, quasi si
trattasse di sezionare e studiare un minerale o un cadavere, tutti i sentimenti
ed i ragionamenti dell’uomo. Il che è un piccolo giochetto vocabolaristico,
facile e comodo il quale non aggiunge però niente alla conoscenza della
verità. A che prò irridere a coloro che scrissero per dichiarare i mezzi con i
quali gli uomini possono procurare a sè la beatitudine eterna del paradiso,
quando l’irrisore ripetè le stesse idee, traducendole in gergo cosidetto scienti
fico di ricerca delle leggi secondo le quali vivono gli uomini in determinate
società le quali hanno i connotati alfa e beta e gamma? Questo è un
trucco ridicolo. Le Play non immaginò che gli scienziati potessero perdere
tempo in siffatte delicatezze di linguaggio e parlò di classi dirigenti, di
classi elette, di società prospere o decadenti, di formule atte a tenere salde
od a disgregare le società nel linguaggio eterno di Mosè e di Cristo. Cercò
(3) Come non è tale Taine, nonostante il bello e sciagurato capitolo introduttivo della « Storia della letteratura inglese », il quale in sostanza ha ben poco a fare col testo susseguente. Eppure tutti si fermano lì e di 11 giudicano di lui. Tutti i pappagalli sputano su Taine ripetendo in coro : « race », « milieu-» e « moment » ; che sarebbero i tre fattori da cui nell'introduzione è fatto discendere « l’état mora! » di un popolo, dal quale « état moral » discenderebbero alla loro volta la sua letteratura, la sua filosofia, la sua società e la sua arte. Che è certo cosa da ridere; ma perchè non andare avanti e leggere: «Tout vient du dedans chez lui, je veux dire de son âme et de son génie; les circonstances et les dehors n'ont con tribué que médiocrement à le dévélopper » (Histoire ecc. II, 164). Naturalmente, qui si parla di Shakespeare; e per lui Taine butta dalla finestra i tre fattori, buoni per descrivere gli scrittori qualunque, di cui non si saprebbe cosa dire se non si inquadrassero nella « race », nel « milieu » e nel « moment ». Ma oramai a Taine è appicciato il cartellino della « ra ce » ecc. ecc. e guai a dimenticarsi la finca ! \
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