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Rivista di storia economica. A.01 (1936) n.2, Giugno

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(1)

*3liM 4ta di tlM ia ,

ectoiA w ca

duietta da

Einaudi

Direzione: Via lamarmora, 6 0- Torino. Amministrazione: Giulio Linaudi editore, Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia t. 40. Estero L. 50. Un numero L. 12.

Anno I - Numero 2 - Giugno 1936 - XIV

Luigi Einaudi : Il peccato originale e la teoria della

classe eletta in Federico Le P la y ... Pag. 85

Riccardo Bachi: la rrisi economica del 1853-54 nel

Regno di Sardegna... 119

Giovanni Carano-Donvito : La politica economica negli

economisti p u g lie s i...» 144

NOTE E RASSEGNE:

Luigi Einaudi : Lo strumento economico nella interpre­

tazione della s t o r i a ...* 149 » » lo squilibrio fra rustici produttori e cit­

tadini consumatori causa di deca­

denza delle n a z i o n i ...» 158 » » Di una bibliografia dell' economica in

rapporto alla letteratura italiana . . » 150

Mario De Bernardi : Della natura del liberismo di

Smith. - Un'osservazione di Sismondi. - Una sen­

tenza di Fuoco. - Una citazione di Cournot . . » 172

TRA RIVISTE E ARCHIVI :

(2)

M

osca e Pareto esposero rispettivamente sotto il titolo della classe politica e della classe eletta (élite) il principio che le società umane sono governate da una minoranza. Il primo articolo del presente quaderno delta rivista vuole mettere in luce il contributo dato alla medesima teoria da Federico Le Play, (1806-1882), in­ gegnere valente, economista autodidatta, riformatore sociale, noto per la compila­ zione d i bilanci d i famiglia e la propaganda della libertà testamentaria. Il contributo consiste nella distinzione fra classe politica, la quale governa le società e classe eletta, la quale non solo le governa, ma le conduce a prosperità. Che cosa sia la prosperità, come sia composta la classe eletta, come essa conosca il peccato originale e coll’esem­ pio salvi da esso g li uomini, questo veramente fu l ’apporto d i Le Play alla costru­ zione della scienza sociale. Una bibliografia d i Le Play continua il viaggio tra i suoi

libri altrove intrapreso dal direttore della rivista.

Traendo i materiali principalmente da due ignorate memorie d i Gerolamo Boc- cardo e d i Giacomo Dina, da giornali e diari del tempo Riccardo Bachi ricostruisce la storia della crisi economica del 1853-54 nel regno di Sardegna. Le manifestazioni speculative che precedettero la crisi, l’aggiotaggio d i borsa, i successivi ribassi dei corsi, le controversie intorno alta politica degli sconti e dei cambi dell’istituto di emissione, il risultato ottenuto d i preparare l’abolizione dei limiti legali all’interesse sono alcuni dei problemi efficacemente illustrati dall’autore.

Giovanni Carano-Donvito rievoca l’insegnamento di taluni economisti che tennero alto il nome della Puglia, Giuseppe Palmieri, Ferdinando Galiani, Filippo M. Briganti, Marco L. Rotondo, intorno ai problemi del commercio del grano, del- l'industria della seta, degli interventi bancari, dei contralti a termine.

Nella rubrica delle « N ote e Rassegne », il direttore della rivista, prendendo argomento da libri recentemente pubblicali o ristampati del Fossati, dell’Higgs e del Giuliani, si intrattiene intorno all'uso che dello strumento economico si deve

fare nella interpretazione della storia, alle manchevolezze delle bibliografie econo­ miche italiane ed alla teoria dello squilibrio fra rustici e cittadini ; e Mario De Ber­

nardi in alcuni caustici appunti da sparse letture di vecchi testi ribatte vecchi errori o conferma verità dimenticate.

Chiude il quaderno una accurata bibliografia compilata da Gino Luzzatto dei principali articoli recenti su problemi d i storia dei fatti economici sino alla fine del seicento. La rubrica ha per ¡scopo d i far conoscere agli studiosi d i cose econo­ miche non solo gli articoli pubblicati sulle riviste speciali, che essi hanno occasione d i vedere, ma anche quelli comparsi nelle riviste storiche generali e nelle memorie di accademie e d i società storiche, le quali potrebbero per avventura sfuggire alla loro at­ tenzione. La rubrica dovrà essere estesa ai secoli successivi ed alla storia delle idee e non potrà non riuscire aiuto efficace alle ricerche d i storia economica.

(3)

Cò4nutUcaàiò*U .d e ll’editóre

I Paradoxes inédits du Seigneur de Malestroit touchant les

Monnoyes annunciati nel primo numero d i questa rivista usci­

ranno ai primi d i ottobre.

D i Raimondo Craveri è in stampa un saggio sul Voltaire,

i

politico dell’illuminismo. (Settembre, L. 15).

Cesare Alimenti ha consegnalo per la serie delle « industrie chiavi » un manoscritto sui petrolio. (Ottobre, L. 15).

II terzo fascicolo della Rivista di storia economica uscirà a fine ottobre ed il quarto ed ultimo dell’annata in dicembre. Si pregano gli abbonati d i mettersi in regola con l ’amministra­ zione.

Tutti i nostri amici sono pregati di acquistare ogni tanto un volume direttamente dall’editore: se abbonati alla rivista godranno dello sconto del 10 %. Scegliere tra le novità annun­ ciate sopra e nelle pagine seguenti.

(4)

7 m m M h i e

L U I G I E I N A U D I

N U O V I

S A G G I

VOLUME IN

OTTAVO DI

P A G I N E 4 2 4

L. 30.

E IN A U D I

Il titolo d i « nuovi » dato a questo volume d i « Saggi » vuol dire soltanto che alcuni anni fa fu pubblicato un volume raccogliente altri saggi dell’autore. Que­ sto, che è in tutto indipendente dal primo, raccoglie gli articoli e le note pubblicate dall’autore nel tempo dal gennaio 1933 all’aprile 1933 sulla rivista « La riforma sociale». I saggi sono ordinati in sei p a rti:

1) Crisi, banche, corporazioni, prezzi delle terre, debiti, ammortamenti. 2) Imposta: principii ed applicazioni.

3) Crisi, circolazione, credito e lavori pubblici. 4) Discussioni.

5) Rassegne d i libri. 6) Necrologi.

Un sommario analitico e un indice degli autori citati aiutano il lettore nella consultazione d i un volume, nel quale si discutono svariatissimi problemi d i teo­ ria, d i storia e d i applicazione concreta.

Come già si fece per il volume dei saggi, coloro i quali faranno richiesta diretta all’editore riceveranno, nel limite d i 100 copie, il volume numerato con la firma dell’autore.

IV

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1

(5)

TSiéii&lua

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V O L U M E I N O T T A V O D I

PAGI NE

304

L. 20.

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M A Z Z I N I

TRIUMVIRO DELLA REPUBBLICA

ROMANA

EIN A U D I

A l nostro risorgimento nazionale concorsero due clementi in fiero contrasto fra loro. L’uno si può chiamare monarchico e cavouriano, l’altro repubblicano e maz­ ziniano. Il primo trionfò, l’altro fu vinto.

Per un momento, nel 1849, la sorte parve rovesciarsi: la concezione del regno sabaudo dell’Alta Italia e della federazione giobertiana, già in crisi nell’anno innanzi, cadde definitivamente a Novara, mentre la concezione unitaria e repubblicana di Mazzini rifulse in Roma sulle rovine del potere temporale dei Papi. Fu però breve aurora, seguita da un tramonto inesorabile e lungo.

Fermare quel momento; seguire passo passo Mazzini, non più cospiratore, ma capo d i uno Stato; narrare le vicende dolorose d i quel tentativo troppo precorritore dei tem pi; è parso all’autore d i questo libro, non solo un omaggio al sacrificio sfortunato, ma una doverosa rivalorizzazione d i un periodo fra i più significativi del nostro Risorgimento.

Il libro non rivela cose nuove, nè si propone d i dare in luce documenti ignorati, da aggiungersi alla già grande mole delle pubblicazioni mazziniane. Ma neppure è una storia romanzata dove l’arte e la fantasia suppliscono all’esatta cognizione dei fatti. La narrazione, pur essendo scorrevole e vivace, non si diparte dalla verità, che è stata dall'autore pazientemente controllata sulle fonti più autorevoli e sicure.

L’opera d i Mazzini e della Repubblica Romana è contemplata nel più vasto quadro della politica europea d i quel tempo, e perciò il libro fa una larga parte agli avvenimenti d i Francia, che culminarono nella sommossa parigina del 13 giugno, quando, con la sconfitta e la dispersione della « Montagna » francese, le sorti di Roma furono irrevocabilmente decise.

(6)

5

— do —

A ssa i m u tevole continua a p resen tarsi la sorte d ei tito li dei tre pre­ s titi n azionali. E ssi hanno presentato o scilla zio n i in parte soltan to cor­ rispondenti a quelle della rendita, e più sp icca ta la tendenza a d e ­ clin a re in relazione al rialzo nel saggio d ’ in teresse: talune brusche variazion i si riconuettono con la d iversa con d izion e fatta ai detentori dei titoli riguardo alle n u ove em ission i : i due titoli 4 i/ i */ — di cui una ristretta q u an tità rim ase sul m ercato dopo l’em ission e del terzo pre­ stito — hanno av u to n egli ultim i m esi quotazioni poco d issim ili, le quali n ella fase del rib asso gen erale scesero sino al di so tto di L. 85, m olto lungi dai prezzi di em ission e: la parità di p rezzi si riconuet- teva con la p resunta parità di trattam en to n elle fu tu re operazioni finanziarie o la m itezza della quota con la ristrettezza del m ercato. 11 nuovo titolo redim ibile 5 °/# ha su b ito la co n su eta falcidia dopo la chiusura d elle operazioni di em ission e, sp ecialm en te per la esisten za di cosp icu e quantità fiuttnanti sul m ercato offerte da istitu ti di cre­ d ito o da sottoscrittori che, per considerazioni di vario ordine, se ne a cco lla ro n o in proporzioni superiori a lla loro possanza.

Lo spostam ento d ecisivo che la guerra ha apportato nel m ercato dei titoli di S ta to risu lta d alle cifre seg u en ti in d ica n ti la quotazione media e il rendim ento percentuale in base a tale q u o ta zio n e non te ­

nuto conto ilei prem io d i rim borso:

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Buoniobi. tesoroquinquenn. Ernia. 1912 Kml». 1019 Ernie. 1014 coreo lui. coreo lut. coreo iut. corso ini., Anno 1012 98.10 3.6*0 _

anno 1013 08.51)3.M - - - — — — ! 7° «©in. 1014 00.003.G4

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Questi indici consistono semplicemente nel computo, riguardo a ciasoua titolo, del prezzo per ogni lira di reddito netto del titolo : gli indici sem­ plici sono poi riassunti in due serie di indici sintetici, l ’un» p e r i titoli di debiti perpetui e l ’altra per i titoli di debiti redimibili : una ulteriore serie

1 Achille Necco, Ilcorto deititoli diborea in Italia dal1801 al 1012: I titolidi

(7)

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fitvuutei - X III

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(8)

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4

(9)

Il peccato originale e la teoria della

classe eletta in Federico L e P lay.

1. — Federico Le Play scienziato ha avuto la disgrazia di cadere in­

mano di due qualità di specialisti: gli statistici ed i riformatori sociali.

Colpa di lui, che tanto insistè sul « metodo » da far credere che quello

fosse la sostanza del suo pensiero e tanto predicò contro gli art. 826 e 832

del codice civile napoleonico da diventare il capo riconosciuto di tutta la

brava gente la quale reputa essere la libertà testamentaria una delle ri­

forme od addirittura « la » riforma essenziale per la soluzione dei massimi

problemi sociali. Considero perciò disgraziata la sorte del Le Play, sebbene

10 tenga in assai conto il metodo del bilancio di famiglia che va col suo

nome e non sia favorevole alla disponibile di appena un quarto dell’asse

ereditario ed alla divisione forzosa degli immobili fra i coeredi volute dal

codice napoleonico. 2

2. — Su tutti i due punti approvo pienamente i suoi insegnamenti. To­

gliere ai genitori il diritto di disporre, come essi credono meglio, della pro­

pria fortuna, premiando i figli buoni e laboriosi e punendo gli scioperati

e sconoscenti od almeno rinviando alla generazione seguente di nipoti

11 godimento della quota che sarebbe spettata al figlio reprobo; peggio,

negare al genitore il diritto di assegnare in natura i propri beni, specie

la casa e i fondi aviti, è causa di dissoluzione famigliare. Quasi sempre

i genitori non hanno ragione di fare e non fanno parzialità tra i figli e

preferiscono lasciare a questi la cura di spartirsi amichevolmente i beni

7, 1

(10)

86 LUIGI EINAUDI

ereditati; ma in quella rarissima occasione nella quale essi reputano do­

veroso dar la preferenza all'uno sugli altri od assegnare in natura i proprii

beni, essi devono potere assolvere la propria missione. Napoleone ed i suoi

consiglieri non vollero, perchè ad essi premeva distruggere le vecchie

classi dirigenti e perciò frantumare la proprietà terriera. Ma Le Play ri­

corda che, quando volle ricostruire una nuova classe dirigente, Napoleone

ricreò i maggioraschi. In Italia, la questione non è viva, perchè essendo la

disponibile uguale alla metà dell'asse ereditario, è consentita ai genitori

una libertà di azione bastevolmente grande, mentre al tempo stesso si

difendono i figli contro ingiuste antipatie dei genitori ; nè è vietato a questi

di assegnare, osservata la regola della legittima, i singoli beni cadenti in suc­

cessione a questo od a quel figlio. Le Play lodava la legislazione eredi­

taria'vigente in Savoia, che era quella piemontese, divenuta poi italiana;

ed al legislatore italiano probabilmente non avrebbe chiesto nulla. Ma

sarebbe stato il primo a protestare contro quella riduzione al minimo

della sua dottrina, la quale farebbe credere a chi legge i sunti correnti

nei manuali di storia delle dottrine economiche che il suo nome possa

identificarsi unicamente con le consuete critiche alla polverizzazione della

proprietà e con le proposte in favore di beni di famiglia, del diritto del

testatore, della conservazione legislativa delle famiglie-ceppo ecc., ecc. Le

Play pregiava le leggi buone; ma sopratutto esaltava le buone tradizioni,

le sane usanze, le consuetudini stabili; ed a lui sarebbe bastato, in fatto

di leggi, che queste non distruggessero tradizioni usanze consuetudini

buone sane e stabili. Il vero problema che egli studiò fu l’origine delle

tradizioni usanze consuetudini buone e stabili e le cause del prevalere di

quelle contrarie; ed in questo studio sta il suo vero apporto alla costru­

zione della scienza sociale.

3.

— Sono anche ammiratore del « metodo » inventato dal Le Play

dei bilanci di famiglia. Tanto lo ammiro che da più di un quarto di secolo

mia moglie ed io compiliamo, — a parlar propriamente mia moglie com­

pila ogni anno il conto consuntivo della spesa e forse io potrò da sparsi

taccuini ricostruire quello delle entrate — secondo il preciso schema Le Play,

alquanto differenziato nella sezione quarta (sezione prima: nutrimento;

seconda: abitazione; terza: vestiti) delle spese relative ai bisogni morali,

alle ricreazioni ed alla salute. Poiché i bilanci Le Play sono minutissimi

ed ogni cosa acquistata deve essere indicata per specie e non per categoria,

con le quantità in peso o volume o numero, i prezzi unitari e gli importi

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\

(11)

IL PECCATO ORIGINALE 87

complessivi, così, se un giorno a noi due verrà in mente e potremo utiliz­

zare quel materiale, forse ne verrà fuori un non inutile contributo alla

storia del modo di vivere di una famiglia del medio ceto italiano nel

tempo corso dal primo decennio del secolo all’anno in cui il ciclo sarà

chiuso. Questa possibilità di ricordare attraverso le cifre dei bilanci fa-

migliari le nostre piccole vicende intime la debbo al Le Play; e poiché

non tengo diarii, quella filza di quaderni è in pratica il solo ricordo delle

cose compiute quotidianamente che noi potremo trasmettere ai nostri figli.

I quali lo dovranno perciò all’insegnamento del Le Play.

4.

— Detto ciò per attestare a lui la mia riconoscenza ed ai lettori

la mia opinione che il suo modello di bilancio di famiglia sia superiore

a quanti furono dappoi proposti, debbo aggiungere che gli statistici, col

fare rientrare il bilancio di famiglia Le Play entro lo schema dei metodi

statistici gli hanno reso un pessimo servizio. Il suo discepolo Cheysson

volle nel 1890 collocare, l’uno accanto all’altro, 100 bilanci di Le Play

e della sua scuola (Les budgets comparés des cent monographies de fa-

milles publiés d’après un cadre uniforme dans « Les ouvriers europèens »

et « Les ouvriers des deux mondes » avec une introduction par E. Cheys­

son, en collaboration avec M. Alfred Toqué, in .« Bulletin de V Institut

'In­

ternational de statistique », Tome V, l er livr. pag. 1-157), contentandosi

saggiamente di pubblicare i valori assoluti e percentuali di ogni bilancio

in sé considerato, senza tentare somme e medie. Naturalmente, gli statistici

cominciarono a dire che quello era un materiale infido, che si trattava di

numeri troppo piccoli; che non vi era omogeneità di tempo e di luogo; che

i dati medesimi erano soggetti a dubbio per la esattezza dei pesi e dei va­

lori sino al centesimo. Di fronte a contadini diffidenti per istinto, come

pretendeva Le Play di apprezzare per filo e per segno fatti che nemmeno gli

interessati solitamente conoscono? Non dunque osservazioni di fatti veri,

anche se pochi; ma ricostruzioni arbitrarie di un osservatore, sia pure acu­

tissimo e genialissimo. Quindi materiale inutilizzabile col metodo stati­

stico, il quale suppone fenomeni di massa, osservati in grande numero,

con procedimenti uniformi e con certezza di rilevazione.

(12)

88 LUIGI EINAUDI

quelli riveduti da lui) un’altra cosa. Essi sono un documento storico, dun­

que non statistico. Non contengono osservazioni su masse, sibbene su in­

dividui singoli. Anche nell'ipotesi estrema, chiaramente esageratissima, che

neppure uno dei bilanci Le Play fotografi la realtà esatta del bilancio di

quella data famiglia nel luogo e nel periodo di tempo dichiarato, ed i

dati di essi debbano perciò essere dichiarati inservibili ai fini della inda­

gine statistica, non ne sarebbe affatto sminuito il valore storico. Storia è

ricostruzione di fatti individui, compiuta da chi vede gli avvenimenti col

« suo » occhio, sceglie con la « sua » logica i fatti da narrare in mezzo agli

altri innumerevoli fatti a lui indifferenti, e li colora secondo la visione delle

cose umane che è « sua ». Lo statistico non ha diritto di scelta fra i 100

od i 1000 bilanci di famiglia a lui offerti entro i limiti del gruppo che

egli deve studiare. Può essere, dalla limitazione dei mezzi e del tempo,

costretto a studiare solo 10 su 100 o su 1000 bilanci; ma la scelta deve

essere fatta quanto più egli possa, a caso, senza uso del suo arbitrio o

di un giudizio da lui preordinato. Può, nella scelta, essere guidato dalla

opportunità di tener conto di quei bilanci, i quali mettono in luce certe

caratteristiche: ad es. esercizio di un dato mestiere, numero dei figli,pos­

sesso dalla casa ecc., ecc.; ma i casi in cui quella caratteristica esiste non

possono essere oggetto, entro i limiti in cui l’indagine è tecnicamente e

finanziariamente possibile, di scelta arbitraria da parte sua.

Invece lo storico sceglie secondo l’arbitrio suo. Fra le tante famiglie,

osserva quella che a lui sembra la più rappresentativa o tipica. Perchè a

lui sembri tale, forse neppure egli è in grado di dire. Un’impressione, una

sentenza, un modo di vivere, l’opinione di persone stimabili del luogo

hanno contribuito alla scelta. Allo storico può accadere altresì di combinare

insieme le osservazioni relative a due o tre famiglie in un quadro che a lui

sembri veramente tipico. Celeberrimi dipinti di grandi maestri non sono

forse un’astrazione? Eppure essi fanno rivivere un’epoca meglio di fo­

tografie fedelissime. Le Play immaginava di fare opera di statistico ed

invece scrisse storie. Le sue monografie russe dipingono i rapporti sociali

fra grandi proprietari e contadini, carbonai, pastori, del tempo della ser­

virti della gleba (1844 e 1853) meglio di tanti dotti volumi accademici e

di tanti celebri romanzi; la figura del mezzadro della vecchia Castiglia

(1840-47) balza viva sullo sfondo di una società nella quale il grande di

Spagna è assai più vicino al lavoratore di quanto non si possa dedurre

dai racconti di maniera di guerriglie sociali. L’antica Francia prima della

rivoluzione è stata da lui fotografata nel 1856 nella monografia sul

con-//>

(13)

IL PECCATO ORIGINALE 89

tadino a famiglia-ceppo del Lavedan nel Bearn. Sainte-Beuve e Taine, i

quali avevano una qualche dimestichezza con le fonti storiche, facevano

gran conto di Le Play. Egli aveva l’occhio dello storico.

5.

— La diiferenza fra gli storici — dicasi storici dell’economia, poi­

ché qui si discorre di cose economiche, ma il discorso vale per tutte le

specie di storici — i quali scrivono libri, che leggendoli si sente che sono

falsi dalla prima all’ultima parola, nonostante narrino o raccontino fatti

tutti veri e storici i quali danno una visione vera del tempo investigato, no­

nostante raccolgano solo alcuni fatti, scelti ad arbitrio, essendo dunque tutta

posta nell’occhio, dobbiamo chiederci: quale era la specie di occhio pos­

seduto da Le Play?

Tanti anni fa, ad occasione di certi miei studi di economia mineraria

(1900), mi accadde di far passare la raccolta degli Annales des mìnes del

secolo scorso; e vidi allora per la prima volta la firma di Federico Le Play

in calce ad informatissimi studi di arte ed economia mineraria. Suppongo

che nessuno legga più quegli studi, i quali all’ingegnere moderno pro­

babilmente non dicono nulla che sia oggi praticamente utilizzabile. A me,

che cercavo e cercherei ancora legami fra prezzo e costi di produzione, fra

salari e interessi e profitti di intrapresa, e variazione di questi legami nel

tempo, di quegli studi di Le Play rimase il ricordo come di capolavori.

Le Play era maestro nell’arte dell’ingegnere; maestro compiuto, epperciò,

senza che egli ne fosse consapevole, maestro nell’arte economica. Come

economista teorico, egli era e più si reputava un eretico. Non aveva sim­

patia per gli economisti e, quando poteva, parlava svantaggiosamente di

Adamo Smith e degli economisti liberali, ai quali oltreché agli enciclope- •

disti ed agli utilitaristi del secolo XVIII, imputava la responsabilità dei

mali della società moderna. Ciò gli accadeva, perchè non aveva pene­

trato lo spirito della scienza economica, la quale non è liberale nè sociali­

stica, nè altra cosa, ma è scienza di costi e di prezzi, di scelte tra mezzi li­

mitati per raggiungere i fini voluti dagli uomini; ma forzato dall’arte

sua di ingegnere, in cui era sommo, giungeva, nello studio dei problemi

concreti, alle conclusioni medesime degli economisti, attraverso il mede­

simo metodo, e colle stesse forme di ragionamento. Chi legga la sua mo­

nografìa sul calmiere del pane (cfr. sotto n. 13) e quella sulla lotta fra

legna e carbone (cfr. n. 11) non può a meno di collocarlo, nonostante le

sue proteste, nella schiera degli economisti classici.

(14)

90 LUIGI EINAUDI

in quanto esso aiuti a conseguire un fine di minimo costo e di massima

convenienza economica, lo portava dunque a vedere la realtà. Voleva ve­

derla attraverso la meditazione teorica; ma non scompagnava questa dalla

osservazione. Ripetutamente egli insiste sul vantaggio tratto, anche in in­

dagini tecniche, dalla osservazione del modo tenuto nel lavorare dai pra­

tici artigiani, minatori e fonditori. Ascriveva allo studio deU’arte prati­

cata per tradizione almeno tanta importanza come allo studio dei libri;

epperciò fino all'ultimo rimase scettico intorno alla utilità delle scuole pro­

fessionali ed a queste preferì il tirocinio cominciato in età giovanile nelle

officine.

6. — Fin qui avremmo avuto soltanto un Le Play eminente scrittore

di monografie industriali, emulo e probabilmente maggiore del nostro Giu­

lio, di cui altra volta tentai tracciare il ritratto (in La riforma sociale, gen­

naio-febbraio 1935). L’indagatore tecnico-economico divenne il costrut­

tore di una teoria del mondo sociale per circostanze accidentali. Nei suoi

libri (O. E. I, 17-34) si legge il racconto delle prime osservazioni fatte da

giovinetto in libere corse sulla riva della Senna vicino ad Honfleur, in com­

pagnia di pescatori e contadini, dell’influenza esercitata da amici di fami­

glia che gli facevano rivivere gli uomini dell'antico regime, dai negatori

razionalisti, che avevano fatto la rivoluzione, ai tradizionalisti, i quali ave­

vano fatto la forza della vecchia Francia. Un infortunio gravissimo di la­

boratorio (inverno 1829-830), che lo costringe per 18 mesi alla inazione

ed alla meditazione, pone dinanzi alla sua mente il problema del perchè

della vita e dei fini di essa (O. E. I., 40). Da quel momento comincia

una nuova fase nella sua attività intellettuale. I lunghi viaggi intrapresi

grazie, dapprima, alle conseguite borse di studio e poscia ad incarichi dei

governi del suo paese e forestieri lo portano a percorrere, spesso a piedi,

quasi tutta l'Europa fino agli Urali, alla Scandinavia ed alle Sierre spa-

gnuole. L’ufficio di studio e di riorganizzazione di grandi imprese mine­

rarie è per lui occasione a studiare l’uomo che in quelle imprese lavora.

Egli si chiede: perchè l’uomo, ed egli intende l’uomo del popolo, il con­

tadino, l’operaio, il minatore, il fonditore, è contento o malcontento? per­

chè vuole uscire dal suo stato o rimanervi? perchè una società è prospera

e stabile ed un’altra è instabile o disorganizzata o corrotta?

7. — In apparenza, il problema di Le Play è quello del predicatore,

dell’evangelista, del profeta, il quale intende combattere il male e

propu-/A

(15)

IL PECCATO ORIGINALE 91

gnare il bene; ed in verità a tal fine di bene egli ha fondato società, unioni

per la pace sociale, raggruppato intorno a sè uomini ansiosi di fare il bene

sociale. Ma la sostanza profonda è diversa. Il suo problema era puramente

scientifico: cercare le leggi delle uniformità sociali. Egli intese a risolverlo

con strumenti rigorosamente scientifici. Se guardiamo sotto e dentro la

veste esteriore, la quale fa sorridere lo studioso abituato al linguaggio

degli economisti professionali (1), Le Play (11 aprile 1806-5 aprile 1882)

appartiene alla schiera dei grandi scrittori del secolo. XIX che hanno ficcato

10 sguardo in fondo alle iragioni di vita delle società politiche, i quali si

chiamano — sia lecito citare anche, insieme con i teorici, i nomi di taluni

grandi giornalisti — Burke, Mallet du Pan, De Maistre, Gentz, Tocque­

ville, Taine, Mosca, Pareto. Quest’ultimo si inquieterebbe a vedersi messo

insieme con uomini i quali profetizzavano, evangelizzavano o combatte­

vano; ma la verità comanda di guardar sotto alle formule religiose o po­

litiche la sostanza scientifica. Con maggiore o minore vigoria e consape­

volezza, gli scrittori ora citati reagiscono tutti contro l’idea che gli uomini

siano guidati nell’agire dalla ragione ragionante, c che una società viva

possa essere creata dal raziocinio. Si chiami istinto, o caso, o tradizione o

classe e formula politica o élite e residuo, esistono forze potenti, talvolta

misteriose le quali spiegano la grandezza e la decadenza, la permanenza e

11 disfacimento delle società. Che Le Play distingua le popolazioni (so­

cietà) in « modèles » o « soumises à la tradition, stables, ebranlées e dé-

sorganisées », che egli, per riconoscerle ed analizzarle, si giovi dello stru­

mento « bilancio di famiglia » in fondo non ha alcuna importanza deci­

siva per caratterizzare la sua visione del mondo; per definire la ricostru­

zione che questo singolare ingegenere, economista per intuito spontaneo e

scrittore politico autodidatta, compiè delle ragioni di variazione delle so­

cietà umane.

La sua « scuola » in fondo è morta; e solo la devozione di pochi di­

scepoli ne serba viva la scintilla. Dalla guerra in poi non si sono più pub­

blicati bilanci di famiglia nella grande collezione da lui iniziata. Dalle

riforme inspirate al principio della libertà testamentaria (aumento della 1

(1) G. L. Bousquet nel suggestivo studio in Le douar Aghbal in «Revue d'écono- mie politique », del gennaio-febbraio 1935, pag. 99, dopo avere detto di lui: « c’est un auteur dont les buts n’ont rien de scientifique », gli rende testimonianza di gran debito e lo rac­ comanda sovratutto « aux gens épris d'abstractions comme antidote ». Il presente saggio ha per iscopo di mettere in luce gli elementi scientifici della teoria Leplayana. Ma poiché questa

è una teoria storica, non può servire di antidoto se non alla teoria astratta di coloro i quali

(16)

92 LUIGI EINAUDI

disponibile, assegnazione in natura dei beni ereditari, criteri restrittivi per

la constatazione della lesione enorme, diritto di pagare saldi in denaro

nelle divisioni ereditarie, riduzione delle imposte di successione nella cer­

chia famigliare), al dovere di patronato dei datori di lavoro verso gli ope­

rai, alla diffusione della proprietà della casa, al riposo domenicale, alla

difesa delle autonomie regionali o locali, il mezzo secolo trascorso dopo

la morte di Le Play ha eliminato quel che in esse era di caduco ed ha fatto

diventare le altre patrimonio comune di grandi correnti dell’opinione pub­

blica o scopo dell’azione dei legislatori e degli uomini di governo.

Resta la sua dottrina; viva per quel che essa ha fornito alla costru­

zione sempre incompiuta della scienza che egli chiamava sociale ed in

lingua italiana meglio si dice politica. Nella schiera illustre sopra ricor­

data sarebbe ingiusto tacere il nome di Le Play.

8.

— Una delle fatiche sue più singolari fu il « vocabolario sociale »,

nel quale egli volle definire con precisione le trecento parole costitutive

del linguaggio proprio della scienza sociale (cfr. qui sotto n. 2; O. E., I,

441-49). Il profeta, l’apostolo usa un linguaggio mistico, atto a colpire

sentimento ed immaginazione. Le Play vuol costruire una scienza e co­

mincia col definire le parole usate. Il succo della dottrina è dato da quelle

parole con le quali egli fissò i connotati dei ceti dirigenti della società.

Quel che altri chiamò poi « classe politica », od « élite », egli disse « au-

torités naturelles » ; e sono « coloro il cui potere deriva nella vita privata

dalla natura degli uomini e delle cose ». Essi sono « nella famiglia, il pa­

dre; nell’opificio, il principale; nella vicinanza, il saggio designato dall’af­

fezione e dall’interesse della popolazione ». È dunque fornito di autorità

naturale ed, elevandosi sovra gli altri, li dirige e comanda, astrazion fatta

dall’ordinamento legale del paese, colui il quale a comandare è designato

dal sangue, dalla posizione sociale e dalla sapienza del consiglio. L’auto­

rità derivata dall’essere riconosciuto atto a dar consiglio altrui è la più

alta e Le Play la chiama autorità sociale. Ne sono rivestiti « coloro i quali

sono divenuti, grazie alla loro virtù, i modelli della vita privata, i quali

dimostrano una forte tendenza verso il bene, presso tutte le razze, in tutte

le condizioni e in tutti i regimi sociali; e, coll’esempio della loro famiglia

e del loro opificio, con la scrupolosa pratica del decalogo e delle consue­

tudini della pace sociale, acquistano l’affetto ed il rispetto di tutti coloro

che li circondano e così fanno regnare il benessere e la pace nel vicinato ».

Oli di noi non ha conosciuto qualcuno di questi uomini? Spesso nqn hanno

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(17)

IL PECCATO ORIGINALE 93 '

alcuna carica ufficiale, non furono mai ministri, nè senatori, nè deputati;

non brigarono cariche di sindaci, consiglieri, non ebbero offerte o non

accettarono quelle di podestà o fiduciari politici o sindacali. Furono talvolta

conciliatori; poiché il loro ufficio naturale è di star seduti sotto l ’albero

del villaggio a comporre liti, ammonire i malcreati e dar consiglio ascol­

tato agli umili. Essi sono dappiù dei potenti della terra, chè i potenti pas­

sano e la parola del saggio rimane.

Non conosce il suo mestiere l’inquirente sociale il quale, giunto in

un villaggio, non cerca, attraverso la voce spontanea del popolo, l’uomo

saggio, il notabile, ricco o mediocre di fortuna, al quale gli abitanti si vol­

gono per consiglio. Le autorità legali gli parleranno di gravezza di imposte,

di desideri di aiuti o di interventi governativi, di iniziative a prò della

economia locale. L’uomo saggio non dirà nulla di ciò, poiché nel villaggio

a ciò nessuno pensa; ma informerà sui costumi, sui vecchi, sui bambini,

sulle famiglie e sulle ragioni eterne della loro prosperità o decadenza.

Le Play si compiaceva a trarre da Platone (Le leggi, lib. XII) la defi­

nizione degli uomini che sono guida ai popoli : « Si trovano sempre, me­

scolati nella folla, uomini divini, in verità poco numerosi, di cui il com­

mercio ha pregio inestimabile, i quali non nascono più frequenti negli stati

civili che negli altri. I cittadini, i quali vivono sotto un buon governo,

devono andare alla cerca di questi uomini, i quali hanno saputo serbarsi

puri da corruzione; debbono cercarli per terra e per mare, in parte per

rafforzare quel che v’è di saggio nelle leggi del loro paese, ed in parte

per correggere quel che può essere in quelle di difettoso. Non è possibile

la perfezione nella «pubblica, se non si osservano e non si cercano questi

uomini o se ciò si fa male ». 9

9.

— Le autorità naturali ricevono forza dalla virtù morale e dal

costume. Nelle società semplici il padre è onnipotente e, fra i padri,

taluno acquista autorità particolare; e diventa capostipite di genti nobili.

Nobili sono « coloro i quali per virtù o servizi eminenti o per la pratica

delle grandi tradizioni dei loro antenati sono divenuti i modelli della vita

pubblica ». La nobiltà è « il fiore delle classi superiori e dirigenti in una

società modello. La vera nobiltà non consiste nella trasmissione del san­

gue, del nome e dei titoli, ma nella pratica della legge morale e nella de­

vozione al pubblico interesse ». Come non ricordare la definizione della

(18)

Beau-9 4 LUIGI EINAUDI

regard erano state spezzate e le sue pergamene di famiglia erano state

bruciate al Villard? « Ben sono sciocchi coloro i quali immaginano di

averla fatta finita con noi perchè hanno spezzato le nostre armi o disperso

i nostri archivi. Finché non ci avranno strappato il cuore, non potranno im­

pedirgli di battere per tutto ciò che è virtuoso e grande, non potranno im­

pedirgli di preferire la verità alla menzogna e l’onore a tutto il resto;

finché non ci avranno strappato il cuore, non potranno vietare che esso

sia riscaldato da un sangue che non venne mai meno; finché non ci avranno

strappata la lingua, non potranno vietarci di ridire ai nostri figli che la

nobiltà consiste esclusivamente nel sentimento raffinato del dovere, nel co­

raggio posto nell’adempirlo e nella fedeltà sino all’estremo alle tradi­

zioni della famiglia » (2).

L’ « élite » di Le Play non si confonde dunque con la classe dirigente

nel senso comunemente oggi invalso. Pareto dà il nome di classe eletta od

élite a coloro i quali hanno gli indici più elevati nel ramo della loro at-

attività e chiama perciò a far parte della « classe eletta di governo » tutti

coloro i quali sono riusciti ad entrare nel ceto governante: il senatore

che è stato nominato per il censo ricevuto in eredità, il deputato che

« in certi paesi si fa eleggere pagando gli elettori e lusingandoli, se occorre,

col dimostrarsi democratico sbracciato, socialista, anarchico » ; l’Aspasia di

Pericle, la Maintenon di Luigi XIV, la Pompadour di Luigi XV, la quale

« ha saputo cattivarsi un uomo potente ed ha parte nel governo che egli

fa della cosa pubblica » ( Trattato, §§ 2027 a 2036). Nulla di più repu­

gnante allo spirito di Le Play di questa mescolanza; per lui l’élite è il me­

glio — perciò tradussi con fiore — delle classi dirigenti e superiori in una

società prospera; è quella piccola e rarissima parte delle classi dirigenti

la quale compie opera intesa ad ottenere certi risultati, che egli qualifica

di « prosperità » per la nazione o lo stato o il gruppo. Una classe la quale

conduce la società alla rovina, alla disorganizzazione ed alla decadenza può

essere dirigente, non è élite.

La terminologia di Le Play è preferibile, dal punto di vista della pro­

prietà del linguaggio, a quella di Pareto. Repugna collocare una grande

favorita come la Pompadour nella classe eletta, mentre pare ovvio dichia­

rarla importante parte della classe dirigente. Dirigere è ufficio proprio

anche del capo di una banda di contrabbandieri di alcool, divenuto poten­

tissimo nella vita politica americana; ad essere « eletto » occorrono qualità

morali, le quali sono assenti nei capi contrabbandieri e nelle mantenute.

(2) Costa de Beauregard, Un homme d'autrefois. Paris, 1900, pag. 146, \

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(19)

IL PECCATO ORIGINALE 95

10. — Le Play era mosso da ragioni più profonde di questa termino­

logica ad attribuire la qualità di classe scelta ad una parte soltanto della

classe dirigente. Dal 1661 in poi la Francia è certamente stata governata

da una classe dirigente; ma dal 1661 al 1762 re e cortigiani si fecero col­

l’esempio predicatori di corruzione, dal 1762 al 1789 filosofi e letterati pro­

pagarono 1'«errore fondamentale»; dal 1789 in poi letterati, violenti e

predatori si associarono per distruggere le costumanze del bene. Le Play

non chiama a far parte della « classe eletta » coloro che ebbero allora la

direzione politica e spirituale della società francese. Il fiore della classe

dirigente potè nelle epoche ora dette, essere negletto perseguitato, cac­

ciato di Francia dopo la revoca dell’editto di Nantes, decimato dalla ghi­

gliottina; ma rimase « l a » classe eletta e, salvando la verità fondamentale

e la tradizione di bene, salvò la Francia. Rare volte accade, secondo il

Le Play, che la classe dirigente sia anche la classe eletta; ma in quelle rare

occasioni in cui le due classi diventano una sola si pongono per secoli le

fondamenta della grandezza duratura di un paese. Una di quelle rare occa­

sioni fu il regno di Enrico IV, continuato da Luigi XIII (1582-1643),

quando, all’ombra dell’editto di Nantes (1598), cattolici e protestanti ga­

reggiarono nel servire lo stato; e santi come S. Francesco di Sales e Gio­

vanna di Chantal, filosofi e teologi come Descartes e Bossuet, Nicole e

Pascal, statisti come Pasquier, Du Harlay e Sully, fecero veramente gran­

deggiare il nome della Francia nel mondo e alcuni di essi collo splendore

della loro fama consentirono a Luigi XIV di attribuire a sè il vanto del se­

colo d’oro, in verità dovuto all’opera dei suoi predecessori.

(20)

96 LUIGI EINAUDI

adottata, come principio essenziale, dai riformatori novatori del 1789, del

1830, del 1848 e del 1870; ammessa, più o meno apertamente, dalle mo­

derne teorie ostili allo spirito di tradizione.... Secondo gli adepti dell’errore,

il bambino nasce con la tendenza innata verso il bene. Perciò il male, il

quale esiste dappertutto, è il risultato di un’azione corruttrice, intesa, fin

dalle prime età, a corrompere la natura umana. Da questa opinione, la

cui falsità è universalmente conosciuta dalle madri, dai medici, dai maestri

di scuola derivano logicamente i tre falsi dogmi della libertà sistematica,

dell’uguaglianza provvidenziale e del diritto di rivolta. L'osservazione delle

società le quali applicano siffatti dogmi ne dimostra la incompatibilità con

la pace e la stabilità sociale ».

12.

— Il lettore affrettato può credere che Le Play tragga dall'ossequio

ad un dogma di fede le sue opinioni intorno alla verità ed all’errore,

intorno al bene ed al male; e forse Pareto lo classificherebbe tra i meta­

fisici. Colui che novera tra le maggiori felicità della sua esperienza intel-

tellettuale la lettura di quasi tutto ciò che scrisse Le Play facilmente si per­

suase che altra è la verità. Non una delle affermazioni sue ha origine di­

versa dall'osservazione dei fatti, osservazione sua o di altri. A differenza

però di chi ricorre alla rinfusa a testimonianze di pensatori e di pen-

naioli senz’arte nè parte, di santi e di romanzatori quotidiani gialli, Le Play

non ammette alla dignità di testimonio se non chi egli sa avere le qualità

necessarie per osservare bene. Chi è il giudice delle qualità proprie del­

l’uomo? Non Rousseau, il quale opinava in relazione alla dottrina che

voleva costruire; ma la madre, il medico, il maestro, il sacerdote, i quali

hanno visto il bambino appena nato, lo hanno seguito nei primi anni col­

l’ansia di chi generò e di chi deve educare e non hanno ragione di veder

male o di mentire.

Ha ragione Gian Giacomo di scrivere nella « Lettre à Christophe de

Beaumont, archevèque de Paris » che « il principio fondamentale di tutta

la morale, in base al quale ho ragionato in tutti i miei scritti.... è che l’uomo

è un essere naturalmente buono, il quale ama la giustizia e l’ordine; nè

esiste perversità originale nel cuore umano ed i movimenti spontanei della

natura sono sempre giusti » ; od ha ragione Le Play di opporgli il brano di

Sant’Agostino nelle « Confessioni » (I,

v i i, x i x) ?

Il brano ricorre troppe

volte nelle opere del Le Play per non riprodurlo interamente: « La debo­

lezza degli organi è innocente nei bambini; ma non è innocente il loro

animo. Ho visto, ho visto io stesso un bambinetto divorato dalla gelosia.

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(21)

IL PECCATO ORIGINALE 97

Egli non parlava ancora; ma, pallidissimo, guardava con occhio torvo il

suo fratello di latte.... È innocenza, in un bambino, non voler dividere una

fontana di latte cosi abbondante e persino troppo abbondante, con un

bambino debole come lui?... Questa è, Dio mio, l’innocenza dei bambini?

No, non esiste l'innocenza. Quel che essi sono coi loro maestri e precet­

tori per ottenere noci, palle ed uccelli, più tardi sono coi re ed i magistrati

per ottenere oro, terre, schiavi. Cogli anni muta l’oggetto della passione;

ed i supplizi più atroci prendono il posto dei castighi della fanciullezza.

Ma in fondo, è sempre la stessa cosa. Voi, Gesù, avete certo pensato solo

di darci una lezione di umiltà nella piccola statura dei fanciulli, quando

avete detto: Il reame dei cieli è di quelli che rassomigliano ai fanciulli ».

Così opinando, Le Play poteva cadere in errore; ma nel modo tenuto dagli

uomini di scienza. Il suo metodo era rigorosamente scientifico, se si reputa

tale quello fondato sulla osservazione della realtà compiuta da persone

capaci di contemplarla.

13. — Dall’erronea credenza nella perfezione originale dell’uomo na­

scono i tre falsi dogmi: 1) della libertà sistematica; ed invero « l ’uomo,

nato perfetto, creerebbe dappertutto il regno del bene, se gli fosse permesso

di seguire le sue inclinazioni naturali. Il male universale non può dunque

derivare che dalle istituzioni coercitive le quali finora sono state il fonda­

mento di tutta la società; e che bisogna perciò distruggere sistematicamente

per restituire agli uomini la libertà originaria »; 2) della uguaglianza prov­

videnziale; poiché «gli uomini nascendo ugualmente perfetti, dovrebbero

esercitare il medesimo potere e godere dei medesimi vantaggi se la società

fosse fondata sulla giustizia»; 3) del diritto di rivolta: «g li uomini na­

scono invero perfetti; e creerebbero dappertutto il regno del bene, se essi

potessero collaborare tutti in condizioni di piena libertà ed uguaglianza.

Tutti i governi hanno finora mantenuto gli uomini nelle condizioni oppo­

ste, e di qui il dominio universale del male. Fa d’uopo perciò rovesciare

con la forza tutti i governi che tollerano i regimi di coazione e di di­

suguaglianza ».

(22)

por-98 LUIGI EINAUDI

tato a credere nella verità del « peccato originale » non perciò ne deduce

i dogmi della coazione legale, della disuguaglianza e della ubbidienza

assoluta. I legisti, tipici teorici della coazione e dell’autorità legale, sono

agli occhi di Le Play fattori secondari e spesso negativi della classe eletta.

Nelle società prospere si ricorre alle leggi coattive solo laddove non ba­

sta l ’esempio morale delle autorità naturali e sociali; ed il moltiplicarsi

delle leggi coattive è indice del trascorrere delle società dal tipo prospero e

stabile al tipo instabile e disorganizzato.

15.

— Se criterio negativo dell’attitudine ad essere classe è il versare

nell’errore fondamentale, criterio positivo della prosperità di una società

ad opera della classe eletta governante è il grado di osservanza del deca­

logo: adorare un solo dio e reprimere gli idoli, non pronunciare il nome di

Dio, rispettare il padre e la madre, non ammazzare, non rubare, non testi­

moniare il falso, non commettere adulterio, non desiderare la roba d’altri.

Ecco le regole che, osservate nelle cose private e pubbliche, conducono i

popoli alla prosperità e, violate, alla rovina. Le Play studiò ad una ad una

centinaia di famiglie, nei climi fisici, storici e politici più diversi; ne

analizzò minutamente le condizioni di vita materiale ed intellettuale; e,

quando volle andare in fondo alle ragioni della felicità o del malcontento,

del prosperare o dell’impoverire, sempre si rifece al decalogo e studiò il

modo come gli uomini si comportavano dinanzi ai comandamenti stessi.

Questa è la chiave magica, la quale ci rivela i segreti della storia dei popoli.

Come egli distinse la classe eletta da quella governante e chiamò « eletta »

quella che non solo regge, come fanno tutte le classi governanti, i destini

dei popoli, ma li conduce alla prosperità, così egli distinse nella storia dei

popoli differenti alternanti stati o modi di essere; e disse di « prosperità »

uno di essi, definendolo cosi: «Risultato che l’azione ripetuta del bene

produce sulla condizione fisica e morale delle società. La prosperità si ma­

nifesta sopratutto attraverso la pace e la stabilità. Essa offre, secondo i

luoghi, le razze ed i tempi, due termini estremi di semplicità e di compli­

cazione, segnalati dalla natura dei mezzi di sussistenza. Nella « prosperità

semplice » la sussistenza dipende quasi esclusivamente dalla raccolta rego­

lare delle produzioni spontanee del suolo e delle acque. Nella «prospe­

rità complicata » la sussistenza proviene in gran parte dai prodotti del

lavoro umano. Quando la natura dei luoghi lo consente, essa genera ric­

chezza accumulata, cultura intellettuale e potenza politica » (in n. 2,

O. E., I, 471).

.

(23)

IL PECCATO ORIGINALE 99

L’ordine degli accadimenti è dunque il seguente: 1) esistenza di una

classe eletta, tale perchè conosce ed applica il decalogo; 2) capacità della

classe eletta ad insegnare ai popoli 'la pratica del decalogo; 3) pace e sta­

bilità sociali che per conseguenza esistono nella società ed in cui consiste

la « prosperità » ; e dalla quale derivano ricchezza cultura e potenza, in

grado maggiore o minore a norma delle condizioni di luogo, di razza e

di tempo.

Ricchezza, cultura e potenza possono esistere anche laddove non esiste

« prosperità » definita come sinonimo di pace e stabilità sociale e come con­

seguenza della pratica del decalogo da parte della classe eletta e dei po­

poli da essa guidati. Avremo il secolo di Luigi XIV minato alla base dai

vizi della classe dirigente; non i tempi di Enrico IV e di Luigi XIII, nei

quali fu costrutta la Francia. Il teorico politico non può non distinguere

fatti diversi; e non può contentarsi di spiegare l’accaduto sol perchè acca­

duto. Vi è un accaduto, i cui connotati sono pace e stabilità sociale; e di­

remo questo tipo di « accaduto » conseguenza dell’osservanza della legge

morale e qualificheremo « eletta » quella classe dirigente la quale è ca­

pace di produrre tali specie di « accaduti ». Vi sono altri « accaduti » i cui

connotati sono la discordia, l’irrequietudine, il malessere sociale, e la ri­

volta; e li diremo connessi con l’esistenza di una classe dirigente, la quale

non conforma la sua azione all’osservanza del decalogo. Tutti « accaduti »

e tutte classi « dirigenti » che lo storico analizza e spiega. Ma quale diffe­

renza fra gli uni e gli altri! E quale infimo luogo hanno nella spiegazione

dello storico la ricchezza, la razza, il clima e il tempo e gli schemi astratti

imperniati in questi concetti!

(24)

100 LUIGI EINAUDI

istruzioni al padre Gaspard Barzée il quale partiva per la missione di

Ormuz: «Dovunque vi troviate, anche di passaggio, cercate di conoscere,

per mezzo degli abitanti più rispettabili, le inclinazioni del popolo, gli usi

del paese, la forma del governo, le missioni e tutto quel che riguarda la

vita civile. Voi maneggerete più facilmente gli uomini, quando voi pos­

sediate siffatte nozioni, voi avrete su di essi maggiore autorità, voi saprete

su quali punti dovete maggiormente appoggiarvi nella vostra predicazione.

Si hanno spesso in poco pregio i consigli dei religiosi, perchè essi non co­

noscono il mondo.... Ma quando se ne incontra uno il quale sa vivere ed

ha l’esperienza delle cose umane, lo si ammira come un uomo straordi­

nario.... La scienza del mondo non si apprende però nei manoscritti e nei

libri stampati; bensì nei libri viventi, nelle relazioni con uomini sicuri ed

intelligenti. Grazie a questa scienza voi farete più bene che con tutti i ra­

gionamenti dei dottori e tutte le sottigliezze della scuola » (O. E., I., 474).

Il vero maestro degli uomini, la guida dei popoli non è chi scrive, ma chi

parla. Le Play cita Platone in « Fedro » : « Colui, il quale spera di insegnare

altrui un’arte mettendola per iscritto e colui il quale spera di attingerla ivi....

sono veramente troppo ingenui.... se pensano che uno scritto possa servire

a qualcosa di più che a risvegliare i ricordi di colui il quale conosce già il

soggetto che vi è trattato » (O. E., I, 108). E ricorda il comandamento di

Cristo ai discepoli: «V i mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dun­

que prudenti come serpenti e semplici come colombe.... Voi sarete pre­

sentati, a causa mia, ai governanti ed ai re per rendermi testimonianza....

Quando sarete portati dinanzi ad essi, non preoccupatevi punto del modo

come parlerete cioè di quella che direte. Ciò che dovrete dire vi sarà detto

in quel momento, perchè non voi parlerete, ma lo spirito del padre vostro

che è in voi » (San Marco, X, 16 a 20 in O. E., I, 573). Il che vuol dire

essere i popoli guidati al bene non da coloro i quali insegnano la legge

scritta o la scienza dei libri, ma dagli uomini i quali dicono la parola della

verità, quella che essi sono forzati di dire dal comandamento della coscienza.

17.

— Uomo di poche scelte letture, egli cita sopratutto la Bibbia

(antico e nuovo testamento), Confucio, il Corano, Sant’Agostino, S. Ber­

nardo, S. Tommaso, Aristotile, Platone, Erodoto, Senofonte, Cicerone, Ta­

cito, Seneca, Marco Aurelio, Bacone, Bossuet, Locke, Vico, Burke, Mon­

tesquieu, De Maistre, Montalembert, Tocqueville, De Bonald, l’abate Huc.

Combatteva contro Voltaire, Rousseau, Adamo Smith, Napoleone I,

Bùchner. Teneva vicino al capezzale e meditava i Saggi di Montaigne.

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(25)

IL PECCATO ORIGINALE 101

Ma il libro dei libri è per lui l’uomo. Per tutta la vita egli segui il me­

todo tenuto durante i 200 giorni del primo viaggio quando nella state

del 1829, percorrendo 6800 chilometri a piedi, visitò le regioni com-.

prese fra la Mosella, la Mosa, il Reno, il mare del Nord, il Baltico e le

montagne dell' Erzgebirge della Turingia e dell’ Hundsruck : « mettersi in

rapporto intimo con le popolazioni ed i luoghi, allo scopo di stabilire una

distinzione netta fra i fatti essenzialmente locali e quelli che hanno un ca­

rattere di interesse generale. Cercare ansiosamente di conoscere le « autorità

sociali » di ogni località; osservare le loro pratiche; ascoltare con rispetto

i giudizi da esse recati su uomini e su cose ». Da questa preparazione sono

venute fuori le centinaia di saggi che altri ed egli stesso disse « monogra­

fie di famiglia » e sono invece pagine di un veggente intorno alle ragioni

per le quali i popoli vivono contenti o soffrono, prosperano od avanzano,

o regrediscono e decadono e poi riprendono e riconquistano la stabilità e

la pace sociale.

18.

— Coloro che, leggendo libri, sentono il bisogno di collocare l’au­

tore dentro le categorie che essi per comodità di intelligenza e di insegna­

mento hanno stabilito, e veggono che Le Play comincia colla descrizione

dei luoghi ed insiste sulla influenza che la steppa, il bosco, il mare, la

miniera, l’agricoltura, il mestiere esercitano sulla vita di coloro che vi

sono addetti, sono indotti ad accomunarlo ai molti che spiegano la storia

del mondo con le caratteristiche geografiche metereologiche telluriche tec­

niche dei luoghi abitati e del lavoro compiuto. Altri che lo scorge descrit­

tore minuzioso dei costumi, investigatore delle ragioni per le quali in dati

tempi prevalsero schiavitù, servitù della gleba, ed altre specie di contratti

di lavoro, ammiratore dei vincoli consuetudinari fra padroni ed operai,

delle tradizioni famiglia», promotore di riforme legislative atte a con­

servare la famiglia-ceppo, il bene di famiglia, se per rispetto alla decenza

del linguaggio, si astiene dal dirlo reazionario, lo chiama però conser­

vatore alla De Bonald od alla De Maistre. Altri ancora, opponendo i suoi

costanti richiami all’importanza della religione, la sua abbominazione verso

gli economisti e gli enciclopedisti lo dirà un precursore del socialismo cri­

stiano, del corporativismo cattolico. Chi ascolta la predicazione calda degli

scritti minori, gli appelli accorati agli uomini da bene, l’eccitamento ad

unirsi in leghe per la pace sociale lo colloca fra i tanti invasati i quali

credono di aver trovato la soluzione del problema sociale.

(26)

mnemo-102 LUIGI EINAUDI

nico, sono in fondo nettamente false. Sebbene la sua descrizione della

steppa russa e della influenza che essa ha esercitalo nella vita dei popoli

che l’abitarono o la traversarono sia una delle rappresentazioni artistiche

della vita pastorale primitiva più stupende che io conosca, Le Play non è un

determinista geografo (3). Sebbene egli abbia fissato nel bronzo i tratti

essenziali della famiglia rurale dell’antico regime di prima della rivoluzione,

e sebbene abbia descritto come nessun altro le caratteristiche dei rapporti

di patronato e dei vincoli corporativi, egli non è un tradizionalista reazio­

nario. Sebbene egli abbia trascorso la seconda metà della vita a predicare la

« riforma sociale », egli non è un agitatore ed un riformista. Od, almeno,

queste sue doti potenti di osservatore del mondo fisico e di rievocatore di

società passate non sono quelle sue essenziali. £ tempo si riconosca essere

stato egli uno dei creatori della moderna scienza politica. Certamente egli

non ha voluto scrivere esclusivamente per costruire un libro scientifico. Nè

ha eccitato, come altri fece, il disprezzo contro tutti coloro che, studiando

l’uomo, non affettarono di spogliarsi di tutte le qualità umane, di ogni

interesse per la materia indagata e non misero alla stessa stregua, quasi si

trattasse di sezionare e studiare un minerale o un cadavere, tutti i sentimenti

ed i ragionamenti dell’uomo. Il che è un piccolo giochetto vocabolaristico,

facile e comodo il quale non aggiunge però niente alla conoscenza della

verità. A che prò irridere a coloro che scrissero per dichiarare i mezzi con i

quali gli uomini possono procurare a sè la beatitudine eterna del paradiso,

quando l’irrisore ripetè le stesse idee, traducendole in gergo cosidetto scienti­

fico di ricerca delle leggi secondo le quali vivono gli uomini in determinate

società le quali hanno i connotati alfa e beta e gamma? Questo è un

trucco ridicolo. Le Play non immaginò che gli scienziati potessero perdere

tempo in siffatte delicatezze di linguaggio e parlò di classi dirigenti, di

classi elette, di società prospere o decadenti, di formule atte a tenere salde

od a disgregare le società nel linguaggio eterno di Mosè e di Cristo. Cercò

(3) Come non è tale Taine, nonostante il bello e sciagurato capitolo introduttivo della « Storia della letteratura inglese », il quale in sostanza ha ben poco a fare col testo susseguente. Eppure tutti si fermano lì e di 11 giudicano di lui. Tutti i pappagalli sputano su Taine ripetendo in coro : « race », « milieu-» e « moment » ; che sarebbero i tre fattori da cui nell'introduzione è fatto discendere « l’état mora! » di un popolo, dal quale « état moral » discenderebbero alla loro volta la sua letteratura, la sua filosofia, la sua società e la sua arte. Che è certo cosa da ridere; ma perchè non andare avanti e leggere: «Tout vient du dedans chez lui, je veux dire de son âme et de son génie; les circonstances et les dehors n'ont con­ tribué que médiocrement à le dévélopper » (Histoire ecc. II, 164). Naturalmente, qui si parla di Shakespeare; e per lui Taine butta dalla finestra i tre fattori, buoni per descrivere gli scrittori qualunque, di cui non si saprebbe cosa dire se non si inquadrassero nella « race », nel « milieu » e nel « moment ». Ma oramai a Taine è appicciato il cartellino della « ra­ ce » ecc. ecc. e guai a dimenticarsi la finca ! \

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