• Non ci sono risultati.

Politiche di income minimization e income maximization

2. EARNING MANAGEMENT

2.4. LE PRINCIPALI TECNICHE DI MANIPOLAZIONE DEI DATI CONTABILI

2.4.3. Politiche di income minimization e income maximization

Altre due forme con le quali l’earning management può presentarsi sono l’income minimization e l’income maximization. Come si può facilmente dedurre, si parla di income minimization oppure di income maximization qualora il comportamento degli amministratori sia orientato, rispettivamente, alla riduzione o alla massimizzazione del risultato d’esercizio. Le due politiche hanno quindi direzione opposta; infatti, come già si è avuto modo di osservare, l’intervento degli amministratori non è sempre volto al miglioramento della performance reddituale ma, anzi, in funzione delle esigenze di rappresentazione e degli obiettivi ultimi perseguiti, vi può essere un differente impatto in bilancio delle politiche manipolative poste in essere.

Nelle politiche di income minimization, di fatto, si passa dal dovuto apprezzamento prudenziale dei fatti aziendali in sede di redazione del bilancio (che comporta una “ragionevole sottovalutazione del patrimonio aziendale”27) alla deliberata e tendenziosa

minimizzazione dell’utile da parte degli amministratori, sebbene la distinzione tra questi due atteggiamenti non sia facilmente riconoscibile28: si è in presenza di pratiche di earnings management laddove nella libertà valutativa non ci si limiti a una prudenza per così dire “razionale”, ma si tenda ad eccedere nella valutazione cautelativa di alcuni valori economici col fine di abbattere volontariamente il reddito per raggiungere uno scopo prefissato29. Le politiche di income minimization possono essere attuate mediante la sottovalutazione dei componenti positivi di reddito o attraverso la sopravvalutazione dei componenti negativi: a titolo di esempio, possibili modalità di realizzazione sono la sottovalutazione delle rimanenze di prodotti finiti, eccessivi accantonamenti per spese o perdite future, la rilevazione di consistenti svalutazioni di attività materiali e immateriali (tra le quali l’avviamento). A tali interventi manipolativi corrispondono elementi dell’attivo sottovalutati o elementi del passivo sopravvalutati: cespiti iscritti a un valore contabile inferiore a quello reale, minori rimanenze nell’attivo di stato patrimoniale, fondi costituiti in misura volutamente eccedente rispetto alle effettive necessità30.

Le politiche di income minimization, andando a sottovalutare elementi del capitale investito o a sopravvalutare poste del passivo, originano delle riserve occulte, fonte, a loro volta, di autofinanziamento non palese. Infatti, i componenti negativi di reddito che sono imputati a conto economico (quali, ad esempio, maggiori quote di ammortamento, svalutazioni di cespiti, accantonamenti a fondi) non determinano una correlata uscita di cassa, pur riducendo il risultato di periodo. Si evitano così uscite di mezzi finanziari sotto forma di imposte o di eventuali dividendi e tali risorse restano nella disponibilità dell’impresa per procedere, potenzialmente, a ulteriori investimenti o al finanziamento dell’attività di gestione corrente (a meno che le risorse non siano assorbite da crediti di natura commerciale o non siano già state investite in altre poste dell’attivo): il mancato

28 Pini, 1991

29 Corsi, 2013 30 Verona

esborso costituisce, di fatto, una fonte per consentire una maggiore autonomia dell’impresa dal punto di vista finanziario e patrimoniale31.

Inoltre, la minore redditività netta è solo temporanea e consente negli esercizi successivi di registrare risultati maggiori grazie alle ridotte o assenti quote di ammortamento delle immobilizzazioni, agli utilizzi dei fondi accantonati, ai minori componenti negativi dovuti a rimanenze iniziali: gli interventi di riduzione del reddito nell’esercizio interessato da politiche di income minimization determinano, appunto, la costituzione di riserve occulte alle quali attingere nei periodi successivi. Passando a considerare le motivazioni che inducono a implementare politiche di questo tipo, va rilevato che la riduzione del risultato di periodo è solitamente finalizzata “a riportare l’utile stesso ad un livello qualificato come soddisfacente, ossia che raggiunge il target ma non se ne distanzia eccessivamente verso l’alto”32.

Questa volontà nasce dalla considerazione che vi sono pochi benefici dall’ampio superamento del reddito-obiettivo e anzi, gli investitori e gli analisti finanziari sono portati a rivedere al rialzo le proprie previsioni circa i risultati futuri, con conseguente maggiore difficoltà per l’impresa a raggiungerli e quindi maggiore probabilità che le aspettative siano facilmente disattese negli esercizi a venire. L’eventuale delusione delle aspettative nei periodi successivi, al contrario, può provocare disinvestimenti da parte degli azionisti e la diminuzione delle quotazioni di borsa. “Questa forma di earning management può essere impiegata, inoltre, allo scopo di deprimere lo share price prima dell’acquisto di azioni proprie da parte della società o dei vertici aziendali”33. In questo caso, l’abbattimento del risultato di periodo è funzionale a far emergere minori utili distribuibili e presumibilmente dividendi ridotti; tali circostanze possono essere percepite dal mercato come un segnale negativo e, di conseguenza, possono comportare un ribasso del corso azionario che facilita operazioni di buy-back da parte dell’impresa o un’eventuale scalata del management interessato ad acquisirne il controllo (le cosiddette operazioni di management buyout):

31 Severino, 1992 32 Florio 2011 33 Florio 2011

l’impresa o gli amministratori risultano agevolati nel loro intento dal momento che possono garantirsi l’acquisto dei titoli a un prezzo “agevolato”. Gli amministratori, inoltre, potrebbero ricorrere a politiche di income minimization e così provocare una riduzione temporanea e indotta nella quotazione delle azioni semplicemente per fini speculativi: si tratta di un fenomeno noto come insider trading.

In questo caso, i manager sfruttano le informazioni private di cui dispongono (a differenza del mercato) per ottenere vantaggi personali che, nella specie, consistono nell’acquistare titoli azionari della società da loro amministrata a un prezzo che sanno essere sottovalutato e quindi vantaggioso, per poi procedere a una cessione del pacchetto nel momento in cui le quotazioni registrino una ripresa, in linea con il vero valore economico dell’impresa. Infine, le politiche in esame vengono spesso attuate anche per ridurre l’eccessivo carico fiscale che altrimenti graverebbe sul reddito d’esercizio ante manipolazioni.

Ad ogni modo, al termine dell’esercizio che risente dell’implementazione di politiche di income minimization risulta una situazione economica dell’azienda peggiore rispetto a quella effettiva. L’effetto che generalmente si determina è una minore o una mancata distribuzione di dividendi (che equivalgono a maggiori disponibilità finanziarie trattenute all’interno dell’impresa), e un connesso rafforzamento occulto del patrimonio. Contestualmente, tuttavia, può risentirne l’immagine aziendale e, pertanto, possono esserci riflessi negativi dal punto di vista finanziario: i prestatori di capitale a titolo di debito potrebbero percepire un più elevato rischio di insolvenza e quindi aumentare il tasso richiesto sui prestiti; dal canto loro, gli azionisti, considerando il basso livello di remunerazione sotto forma di dividendi, potrebbero essere più restii a investire ulteriormente nell’impresa nel caso di un aumento di capitale sociale o, addirittura, potrebbero essere indotti a disinvestire le azioni già detenute. Perciò, qualora il management decida di attuare tali politiche di bilancio deve considerare attentamente anche i possibili contro-effetti, che potrebbero controbilanciare i risultati che si puntano a raggiungere.

Viceversa, le manovre di income maximization hanno uno scopo contrapposto rispetto a quello delle politiche appena trattate, ovvero far sembrare l’esito della gestione aziendale

migliore di quanto sia in realtà. Al fine di massimizzare il risultato economico d’esercizio, gli amministratori possono sopravvalutare i componenti positivi di reddito o sottovalutare i componenti negativi. Tra le molteplici manovre sulle quali è possibile fare leva rientrano la sopravvalutazione delle rimanenze, il rinviare ai futuri esercizi la rilevazione di perdite di valore di asset (comprese le svalutazioni dell’avviamento), l’imputazione di quote ridotte di ammortamento o il mancato accantonamento a fondi.

Le manipolazioni sopra esposte, quindi, mirano a fornire una rappresentazione della situazione economico-patrimoniale dell’impresa migliore rispetto a quella effettiva ed eventualmente permettono di non far emergere perdite già verificatesi.

In genere, possono comportare vantaggi in termini di immagine aziendale percepita dagli stakeholder e conseguentemente consentire di ottenere con maggiore facilità la concessione di finanziamenti o la sottoscrizione di aumenti di capitale. In quest’ultimo caso, tra l’altro, in virtù del tendenziale aumento della quotazione azionaria conseguente alle buone performance, la società si garantisce maggiori entrate finanziarie in occasione del collocamento delle azioni di nuova emissione: infatti, a parità di aumento del capitale sociale, la società riesce a spuntare un prezzo più elevato rispetto al valore nominale delle azioni e tale differenza va a consolidare il patrimonio aziendale sotto forma di riserva da sovrapprezzo azioni. Peraltro, gli interventi volti alla massimizzazione del risultato di periodo spesso si spiegano con l’esigenza di non violare le clausole contenute nei contratti di finanziamento ed evitare così di incorrere in una rinegoziazione del prestito a condizioni più gravose per l’impresa oppure con la volontà di sostenere temporaneamente la quotazione di borsa, in particolare in prossimità di operazioni straordinarie o di aumenti di capitale.

Inoltre, il management può ricorrere a tali manovre contabili per fini strettamente personali, come ricevere una maggiore remunerazione, laddove questa sia in parte variabile e dipenda dal conseguimento di determinati livelli reddituali, oppure in vista di ottenere la riconferma dell’incarico. Nel caso di specie, in corrispondenza del rinnovo delle cariche degli amministratori, politiche di massimizzazione dei redditi si possono riscontrare per mascherare scarse performance reddituali e così evitare di essere estromessi

dall’impresa o per ottenere un’indennità di buonuscita più elevata in caso di mancata riconferma oppure, alternativamente, per ricoprire una migliore occupazione, quale un ruolo nella direzione della società, a seguito del turnover.

Infine, specularmente a quanto avviene per le politiche di income minimization, il management può essere indotto a gonfiare la quotazione azionaria della società attraverso manipolazioni degli utili al rialzo, al fine di approfittare della sopravvalutazione dei titoli per cedere a un prezzo conveniente le azioni in suo possesso.

Tuttavia, al contempo, le politiche di income maximization determinano delle ripercussioni sfavorevoli per l’impresa. Innanzitutto, la società deve sostenere un carico fiscale maggiore rispetto a quello che graverebbe sul reddito reale, privo di manipolazioni al rialzo. Ciò a meno che i componenti positivi di reddito iscritti in bilancio non siano fiscalmente irrilevanti o che i costi differiti ai futuri esercizi non siano in ogni caso indeducibili. Un altro risvolto negativo delle politiche di income maximization consiste nel fatto che man mano che intervengono manipolazioni contabili volte a gonfiare l’utile si determina un progressivo annacquamento del capitale, ovvero vi è un incremento fittizio del patrimonio netto in quanto ad esso non corrisponde un effettivo valore dei cespiti o di altre poste dell’attivo, al netto delle passività: Florio fa notare come il valore esposto in bilancio “risulta via via superiore rispetto al capitale realmente a disposizione della realtà economico-aziendale”34. Questa situazione conduce a un potenziale pregiudizio per i creditori e per i soci stessi che, sulla base dell’informativa di bilancio, sono portati a confidare in una solidità patrimoniale che probabilmente è solo apparente. Ciò rischia inoltre di riflettersi in una potenziale distribuzione di utili non effettivamente conseguiti, con relativo impoverimento del patrimonio aziendale: i dividendi eventualmente distribuiti sono in parte privi di un fondamento economico e per di più indeboliscono l’impresa da un punto di vista finanziario. Anche nel caso di politiche di income maximization, quindi, il management deve valutare e ponderare benefici e rischi che derivano dall’attuazione di tali manovre di bilancio: in particolare, deve prestare attenzione al fatto che, nell’eventualità che

34 Florio 2011

l’assemblea dei soci deliberi una distribuzione di dividendi, a fronte di utili distribuiti solo fittizi, vi è un’effettiva sottrazione di liquidità alla futura gestione aziendale e ciò potrebbe danneggiare pesantemente l’impresa.

Documenti correlati