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porque + congiuntivo Elementi dubitativi, ipotetici e volit

spagnolo e in italiano

C. La negazione può incidere sull'effetto indicato dalla principale

27. a GIA: io non guardo Troisi / perché non lo capisco / / [ifamcv12]

3.3. Le subordinate causali introdotte da porque con verbo al congiuntivo Valor

3.3.5. porque + congiuntivo Elementi dubitativi, ipotetici e volit

Borrego / Gómez / Prieto (1985: 149) fanno presente che con avverbi o altri elementi che esprimono probabilità (probablemente), dubbio (quizás, tal vez) o desiderio (ojalá), la subordinata introdotta da porque può contenere il verbo al congiuntivo. Con il congiuntivo, si mette in dubbio la validità della causa. Il

parlante non si compromette sul valore di verità della subordinata causale, e non si pronuncia sul compimento di tale causa.13

34. / ustedes denuncian / y no tienen ningún interés en que haya filtración / la policía no tiene ningún interés en que se filtre la [ / ] la situación / y van al juzgado de guardia / en el juzgado de guardia / evidentemente / en el mayor de los secretos / dan el mandamiento / y la policía interviene / / por qué no aparece la droga ? quizás porque no la hubiera ? [enatla01]

Confrontando le costruzioni contenenti avverbi di probabilità, dubbio o desiderio, si osserva che in italiano elementi quali probabilmente, forse o magari non danno mai origine all'impiego del congiuntivo.

4. Conclusioni

Modo congiuntivo nelle subordinate causali

Rispetto all'uso del modo congiuntivo, nelle subordinate causali si osservano alcune differenze tra l'italiano e lo spagnolo.

Rispetto all'incidenza della negazione sulla causale, la differenza si focalizza nei casi in cui tale negazione precede il verbo della principale. Mentre in italiano si usa esclusivamente il modo indicativo, in spagnolo possono essere usati i due modi.

Inoltre, indipendentemente dalla negazione, in spagnolo è possibile usare il congiuntivo in presenza di: invece in italiano si usa l'indicativo in presenza di:

− interrogative;

− se l'evento si situa in un tempo cronologico futuro; − in una replica;

− con elementi che indicano desiderio, probabilità.

Le dissimmetrie interessano quindi non solo l'ambito morfosintattico, ma anche quello semantico-pragmatico.

Nessi

Rispetto ai nessi introduttori di subordinate causali, si può affermare che

perché corrisponde a porque e siccome corrisponde a como (causale). Entrambi

sono i più usati in assoluto. Anche con il que e che causali c'è corrispondenza. Per quanto riguarda la corrispondenza tra gli altri nessi, la situazione non è tanto chiara. Se osserviamo la frequenza di uso nei corpora di C-ORAL-ROM esaminati, l'ordine per frequenza (da maggiore a minore) in ogni lingua è:

13 I contesti dubitativi, ipotetici e volitivi sono segnalati anche da Porto Dapena (1991: 219) e da García Santos (1988: 177).

spagnolo italiano ya que (17) F e I puesto que (10) F e I dado que (4) F debido a que (3) F visto che (24) F e I in quanto (17) F e I dato che (8) F e I poiché (3) F

dal momento che (3) F e I

Non tutti i nessi causali trovano corrispondenza sulla base di affinità foniche o lessicali. Nei corpora di lingua spagnola non ci sono occorrenze di visto que; invece, in italiano, visto che è il nesso più usato. D'altro canto, giacché non compare nei corpora di italiano di C-ORAL, mentre in quelli di lingua spagnola ya

que è il nesso più frequente dopo porque e como. In spagnolo, ya que e puesto que

sono impiegati sia nel registro formale che informale. Dado que e debido a que sono stati usati solo nel registro formale.

Rispetto alla posizione della causale, a seconda che preceda o segua la principale, i dati che emergono esaminando le occorrenze con subordinate causali introdotte da ya que hanno un certo interesse. Nel registro informale, infatti, tutti gli interventi (tranne uno) presentano la causale in posizione anteposta rispetto alla principale e l'informazione data è nota (nel dialogo il parlante la riprende da interventi precedenti); invece, per quanto riguarda il registro formale, nella maggioranza delle occorrenze la subordinata causale segue la principale. Tutti gli interventi corrispondono a programmi dei media, di cui buona parte appartiene a telegiornali.

Si osserva che tutte le subordinate causali introdotte da puesto que seguono la principale.

In italiano tutti i nessi sono stati impiegati sia nel registro formale sia in quello informale, tranne che poiché, usato solo nel registro formale.

Leyenda

/ / Pausa prosódica conclusiva

? Pausa prosódica conclusiva con valor interrogativo

... Pausa prosódica conclusiva por suspensión intencionada del hablante

+ Pausa prosódica conclusiva por interrupción causada por el oyente o por el mismo hablante

/ Pausa prosódica no conclusiva

[ / ] Pausa prosódica no conclusiva causada por un falso inicio

[ / / ] Pausa prosódica no conclusiva causada por un falso inicio con repetición parcial de material lingüístico

[ / / / ] Pausa prosódica no conclusiva causada por un falso inicio sin repetición de material lingüístico

# Pausa durante el flujo del discurso

[<] especifica la relación de solapamiento entre dos cadenas textuales pertenecientes a dos hablantes

& fragmentos de discurso

hhh elementos no lingüísticos o paralingüísticos xxx palabra incomprensible

yyy palabra no transcrita yyyy señal audio no transcrito Registros:

Formal: [med] medios de comunicación [nat] contextos naturales Informal: [fam] contexto familiar [pub] contexto público

[tel] diálogos telefónicos

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El hecho de que las preposiciones fueran consideradas, junto con adverbios y conjunciones, simples "partículas" de la lengua pone de manifiesto el escaso interés que la gramática tradicional demostraba por esta categoría. Una de las interpretaciones más difundidas con respecto a las preposiciones dentro del ámbito de los estudios del español es la que las define por su función de enlace subordinante entre dos o más unidades; o, dicho de otra manera, las preposiciones serían elementos de relación.1 El término "relación", sin embargo, se usa con dos acepciones distintas: en algunos casos se alude a una relación de tipo sintáctica, de enlace entre palabras u otras construcciones de la lengua, subrayando el papel de nexo subordinante de estos elementos; otras veces se hace referencia a una relación semántica en correspondencia con las nociones de espacio, tiempo, causa, finalidad, compañía, etc.

Como ha sido señalado por algunos gramáticos, esta función relacionante no explica todos los valores y usos de las preposiciones. Osuna García ha escrito (1996: 25)

Desde nuestro punto de vista, el mayor incoveniente que tiene el considerar que las preposiciones son elementos de relación es que se trata de una definición sintáctica. Las definiciones sintácticas suelen tener un cierto carácter metonímico, toman la parte por el todo. (…) Esto es lo que pasa con las preposiciones: posiblemente muchos de sus usos podrían explicarse considerándolas como elementos de relación; pero hay otros usos en los que, (…) esto no parece posible

Como comenta este autor, hay que tener en cuenta que la mayor parte de los estudios se han movido siempre dentro del ámbito de lo gramatical, de la lengua entendida como estructura, como sistema. Si el análisis exclusivamente sintáctico resulta, pues, reductivo para definir cabalmente las preposiciones, sería oportuno

1 Así, por ejemplo, la gramática de la R.A.E. de 1962 define a la preposición como: "un elemento de relación cuya significación depende no sólo de ella sino del valor de los vocablos por ella relacionados"(1962: 257); en el Esbozo, en cambio, acotaba: "Podemos, pues, definir provisionalmente las preposiciones como palabras invariables que enlazan un elemento sintáctico cualquiera con un complemento sustantivo" (1973: 434); Gili Gaya, en cambio, afirma: "La función propia de toda preposición consiste en servir de nexo entre un elemento sintáctico cualquiera y su complemento" (1961: 246); Alarcos (1994: 214) "es evidente que la preposición por sí sola no cumple función alguna especial dentro del enunciado, y sólo sirve como índice del papel que desempeña el segmento en que está integrada".

elegir un punto de vista más amplio y dúctil para describir esta categoría de palabras.

En el presente trabajo queremos recoger una serie de ejemplos que nos permiten hipotizar una incidencia de las preposiciones en lo que la tradición gramatical, e incluso disciplinas más recientes de las Ciencias del Lenguaje, llaman modalidad. Para ello adoptaremos un concepto de lengua desde el punto de vista comunicativo y nos centraremos preferentemente en la Teoría de la enunciación.2 Esta elección se debe a que el punto de vista comunicativo, que se viene adoptando desde hace algunas décadas a los estudios de la lengua bajo diversas etiquetas, permite describir ciertos fenómenos frecuentes, sobre todo en el registro coloquial, y superar las restricciones metodológicas que imponen ciertos parámetros estrictamente gramaticales. Así, por ejemplo, si bien se llegó a sospechar que las preposiciones eran partículas carentes de rasgos semánticos propios, hoy en día se puede incluso afirmar, como lo hace Vigara Tauste adoptando un marco de estudio más amplio y realista, que "una simple preposición puede servir para una pregunta completa" (1992: 374); es decir, puede constituir un enunciado. La afirmación está corroborada con el siguiente ejemplo:

Esta noche me voy a bailar yo ¿Con?

Sola, sola (Vigara Tauste 1992: 374)

Pero podrían añadirse muchos otros:

Hoy no vuelvo a casa para la comida ¿Por?

Me quedo a terminar un trabajo3

2 Dentro de los diferentes enfoques con los cuales se han enriquecido los estudios de las Ciencias del Lenguaje a partir de la segunda parte del siglo pasado, la Teoría de la Enunciación se presenta como una hipótesis original que permite superar los límites impuestos por una concepción puramente estructural del lenguaje. Aunque faltan aún trabajos que recojan, seleccionen y organicen sistemáticamente el conjunto de estudios que se han ocupado del fenómeno de la enunciación, esta hipótesis se presenta como una alternativa teórica original y válida que parte de los estudios pioneros de un discípulo de Saussure: Charles Bally, y se continúa con el de otros prestigiosos estudiosos franceses como E. Benveniste, Oswald Ducrot, Antoine Culioli, que, a su vez, tienen numerosos discípulos en ámbito de los estudios lingüísticos de lengua española. Como intento de reunir y dar unidad y sistematicidad a los diferentes estudios aparecidos con esta propuesta teórica, en castellano, puede consultarse Kerbrat-Orecchioni (1997); Filinich (1998); García Negroni y Tordesilla Colado (2001); Otaola Olano (2006).

3 Agradecemos este ejemplo a la colega E. Sainz, así como otras interesantes sugerencias que brindó al leer el borrador de este trabajo. Por otro lado, queremos observar que estos usos de preposiciones solas con valor de enunciado se dan sólo con enunciados de modalidad interrogativa, un argumento más que confirma una estrecha relación entre estas partículas y la modalidad discursiva.

Por otro lado, el presente tema, como todos los temas de tipo gramatical que hemos abordado anteriormente, nos interesa en su aspecto aplicativo a la enseñanza de las lenguas extranjeras y, en consecuencia, pensamos que los principios en que se basa la teoría de la enunciación resultan afines con los que se plantea la moderna glotodidáctica para la enseñanza de las LL.EE. En efecto, si tenemos en cuenta que la lengua es, ante todo, un instrumento de comunicación y no un simple sistema de signos, la estamos considerando como un hacer que se manifiesta a través de actos de habla llevados a cabo por sujetos que interaccionan verbalmente en una situación concreta. Este punto de vista pragmático se presenta como muy adecuado para la enseñanza-aprendizaje de un idioma que se estudia con fines comunicativos.

Nos preguntamos entonces de qué manera las preposiciones intervienen en la formación de los enunciados y cuál es la fuerza ilocutiva4 y perlocutiva que éstas pueden imprimir en los mismos; de la respuesta posible se pueden entonces planear estrategias de aprendizaje adecuadas para obtener en los alumnos de español LE un buena competencia comunicativa, competencia en la que tiene un peso no indiferente la modalidad.

El concepto de modalidad, que en principio se apoya en los contenidos de la Lógica, asume en Lingüística un valor relativamente diverso, entendida como rasgo del discurso que pone en evidencia la actitud del hablante con respecto a los contenidos proposicionales o con respecto, incluso, a su interlocutor. Dos nociones claves para el estudio de la modalidad en lengua fueron aportados por Charles Bally, quien a su vez los tomó de la lógica escolástica, se trata de las nociones de

dictum y de modus, dos elementos constitutivos de todo enunciado; el primero,

como se sabe, consiste en el contenido proposicional o representativo de una oración; el modus; concepto que se corresponde en las teorías actuales con el de "modalidad", consiste en la reacción del hablante ante el dictum; así los enunciados:

María come ¿María come? ¡Come, María!

presentan el mismo dictum, pero el modus es distinto en cada caso. Otra distinción que ha sido ampliamente acogida dentro de los estudios de la modalidad es la que opone las nociones de 'enunciación' y 'enunciado'. Sobre la base de este último binomio, se habla de modalidad de enunciación y modalidad de enunciado. La primera consiste en las marcas en el discurso que ponen de relieve la relación del emisor con el interlocutor (modalidades interrogativa, exhortativa, exclamativa, deóntica, etc.); la segunda, alude al mayor o menor grado de compromiso del

4 "Fuerza ilocutiva o intención comunicativa del hablante se corresponde con la modalidad" Otaola Olano (2006: 201).

emisor con respecto a la veracidad del enunciado (modalidades epistémica, alética, etc.) o la reacción afectiva ante el hecho referido (modalidad expresiva y / o apreciativa). Otra distinción importante que realizan los gramáticos es la que existe entre modalidad oracional y acto de habla; la primera se describe a través de una serie de propiedades formales que permiten reconocer oraciones declarativas, interrogativas, imperativas, optativas, etc.; los actos de habla se clasifican como aserción, pregunta, orden, exclamación, etc. La modalidad oracional es asunto específico de un enfoque gramatical, del análisis de la oración; los actos de habla pertenecen al ámbito de la Pragmática, del análisis de los enunciados. Una modalidad oracional puede llevar a cabo diversos actos de habla, así, por ejemplo, una oración interrogativa puede, como enunciado, corresponder a una pregunta, pero también a una aserción, a una orden, a un pedido, a una exclamación, como se ejemplifica a continuación:

¿Cómo te llamas?

¿Te he prohibido algo alguna vez? ¿Te quieres callar?

¿Me pasas la sal? ¿Quién lo hubiera dicho?

En lingüística, en el estudio de la modalidad, durante este siglo "se produce un deslizamiento de la modalidad en la gramática, en la descripción de una lengua, hacia la modalidad del discurso, como fenómeno discursivo" Otaola (2006: 158). Sin embargo, en el ámbito exclusivamente gramatical, el concepto de modalidad no queda abandonado sino que se afinan los instrumentos de análisis ampliándose con nuevos criterios y aportes, incluso dentro de marcos teóricos como los del generativismo.5

Entre los rasgos o marcas6 que distinguen las diversas modalidades lingüísticas se han incluido rasgos pertenecientes a los diversos planos de la lengua, desde la prosodia, con los diversos esquemas entonativos que caracterizan a la exclamación y la interrogación, a la morfología (morfemas verbales de modo, morfemas nominales diminutivos, aumentativos, despectivos, etc.), a la sintaxis, incluyendo fenómenos relacionados con el orden de los constituyentes (tematización, topicalización, focalización), al léxico (adjetivos valorativos, adverbios modales, etc.). Estas modalidades, además, fueron asociadas a los llamados verbos modales, tales como querer, poder, saber, que imprimen al dictum una modalidad ya sea epistémica, alética, deóntica, etc.

Casi todas las categorías gramaticales de contenido léxico y procedimental han sido consideradas dentro de la teoría del discurso o de la enunciación como

5 Para un enfoque de la modalidad desde la sintaxis, véase, por ejemplo, el capítulo VI de Rodríguez Ramalle (2005: 465-537) donde se encontrará además una bibliografía comentada sobre el tema. 6 Algunos autores adoptan también el término "índice" u otros como "operadores", "expresiones", etc.

portadoras de rasgos de subjetividad; pero llama la atención que no haya sucedido así con las preposiciones. Es llamativo, incluso, que una reciente "Gramática del discurso" afirme sin más: "las preposiciones son elementos puramente

gramaticales7 cuya función consiste en proporcionar un valor relacional a través de la dependencia sintáctica", y pocas líneas más abajo se añada: "Las preposiciones se oponen entre sí para dar lugar a los diferentes sentidos gramaticales,8 sirviendo de soporte para articular la sintaxis "Serrano (2006: 146). Afirmaciones éstas que parecen repetir sin novedades lo afirmado precedentemente por las gramáticas tradicionales, a pesar de la referencia al 'discurso' en el título del estudio; esta sospecha se refuerza cuando, tratando de modo particular algunas preposiciones, se presentan ejemplos que constituyen segmentos de lengua que, no sólo no pueden interpretarse como enunciados, sino que ni siquiera tienen estructura oracional (Serrano 2006: 147-151)

Sin embargo, como veremos a continuación, no faltan estudios aislados que hagan referencia a las preposiciones como una categoría que potencialmente puede expresar la actitud del emisor con respecto a su enunciado; vamos a comentar, entonces, algunas estructuras en contextos de enunciados que consideramos particularmente interesantes.

La preposición de

Queremos empezar por el uso ponderativo de la preposición de en