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Baldassarre Lombardi, religioso e letterato, autore di una fortunata edizione della Commedia verso la fine del XVIII secolo,1 chiosando il racconto del viaggio di Ulisse in Inf. XXVI nota, a

proposito della montagna «bruna» vista in lontananza dall’eroe greco:

Tra i sentimenti vari de’ teologi intorno al luogo dove esistesse il terrestre Paradiso riferisce Pietro Lombardo avere alcuni opinato esse paradisum longo interiacente spatio vel maris, vel terrae a

regionibus quas incolunt homines secretum, et in alto situm, usque ad lunarem circulum pertingentem; unde nec aquae diluvii illuc pervenerunt [Sent. lib. 2 dist. 17]. Piaciuto essendo al poeta nostro il

pensiero, ha finto in mezzo al terrestre emisfero sotto di noi un monte altissimo, attorniato d’ogn’intorno da immenso mare, nel quale, oltre di avervi nella cima collocato, a tenore della

1 Il commento del religioso «si impose [nell’Ottocento] come termine di paragone per tutti i maggiori commentatori successivi», fatta eccezione per il Tommaseo; lo stesso Scartazzini ebbe a scrivere che quella del Lombardi era, sul finire del XIX secolo, la sorgente principale per la maggior parte degli espositori e dei commentatori (cfr. M. Sensini, L’edizione commentata della Divina Commedia di G.A. Scartazzini: un modello nella

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prefata opinione, il Paradiso terrestre, vi colloca intorno alle falde anche il Purgatorio. Ed è questa la montagna che dice quì veduta da Ulisse; e su della quale salirà esso Dante nella seconda cantica.2

Diversi canti dopo, venuto il momento di postillare l’entrata di Dante proprio nel Paradiso Terrestre, il Lombardi richiama esplicitamente ciò che ha già detto a proposito del luogo in questione per Inf. XXVI,e aggiunge:

E come poi non si passa al celeste Paradiso se non dal grembo della santa Chiesa [Vedi Purg. II, 104]; ed essendo anzi, per parere di alcuni teologi [Vedi l’enunziato Pietro Lombardo, ivi] stato il Paradiso terrestre tipo della Chiesa, finge perciò Dante che in quel terrestre Paradiso apparisca la medesima Chiesa, coi simboli di tutto ciò ch’ella crede, insegna, e adopera. [corsivo mio]3

Sono concetti e fonti presenti già nella terza redazione del commento di Pietro Alighieri,4 e che sono stati presi come punto riferimento dalla maggior parte dei commenti

successivi, fino al XX secolo.

Gabriele Rossetti, qualche decennio dopo il Lombardi, riporta la medesima citazione da Pietro Lombardo, in questo seguendo quindi l’esegesi secolare. Riporta infine due enunciati sullo status del Paradiso Terrestre, uno di Agostino e – in particolare – uno di Giovanni Damasceno: «Paradisus terrestris est temperato et tenuissimo et purissimo aere circumfulgens, plantis semper floridis coronatus».5

Giannantonio, editore del commento, specifica che non è possibile risalire alla traduzione del Damasceno usata da Rossetti, dal momento che quella del Migne è alquanto diversa; in realtà l’occorrenza di Rossetti non è di prima mano, ma risale in primo luogo a Iacomo della Lana, e passa attraverso la terza redazione del commento di Pietro Alighieri, quindi attraverso l’Anonimo Fiorentino e anche Luigi Portirelli. E va specificato che, come

2 La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri novamente corretta spiegata e difesa da F.B.L.M.C. [fra Baldassarre Lombardi minore conventuale], Roma, Fulgoni, 1791[-1792], vol. 2, commento a Inf. XXVI 133-134. Peter Dronke nota, a proposito dell’unificazione nel poema fra la montagna del Purgatorio e quella del Paradiso Terrestre, che «many visions of the otherworld before Dante set the earthly paradise near the purgatory; and indeed already in the Aeneid, after the region of the infernal punishments, Vergil had set a region of purgation before the entry of the Elysian fields» (P. Dronke, Dante’s Earthly Paradise: Towards An Interpretation of Purgato- rio XXVIII, in “Romanische Forschungen”, 82, 1970, 4, pp. 467-487: p. 470).

3 Ivi, Nota a Purg. XXVIII

4 P. Alighieri 3, Purg. XXVIII 139-148.

5 G. Rossetti, Commento analitico al “Purgatorio” di Dante Alighieri, a cura di P. Giannantonio, Firenze, Olschki, 1957, commento a Purg. XXVII 140-142,p. 270.

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implicitamente segnalò già lo Scartazzini, la frase è riportata nella Summa di Tommaso, nel passaggio dedicato ovviamente all’Eden.

Ernesto Trucchi, a sua volta, allega la medesima opinione delle Sententiae, ma offrendo un breve abbozzo dello sviluppo storico dell’idea:

Di qui [dalle antiche tradizioni di terre emerse dall’Oceano, e dalle idee espresse da Pietro Lombardo] a riunire insieme Purgatorio e Paradiso terrestre il passo non era difficile, e fu fatto nella seconda metà del secolo XIII: le visioni di Alberico, di San Patrizio, di San

Brandano, le Revelationes di Matilde di Hackeborn e altre narrazioni fantastiche avevano già avvicinato il Purgatorio e il Paradiso terrestre, situandoli in mezzo all’Oceano; e Pietro di Dante ci ricorda che S. Isidoro di Siviglia aveva immaginato il Purgatorio antipodo a Gerusalemme.6

Arrivato quindi all’altezza di Purgatorio XXVII, il discorso di Trucchi si amplia

decisamente:

Abbiamo già osservato al principio del commento di questa Cantica che Dante, collocando il Paradiso terrestre agli antipodi di Gerusalemme, non si staccava da San Tommaso. Le scuole di Teologia non avevano mai fissato il sito geografico del Paradiso terrestre, benché questa determinazione fosse oggetto di ardenti discussioni, tanto in Oriente (si ricordi la leggenda di Oga Magoga), quanto in Occidente, e disputata con equal accanimento fra i dottori di Teologia e i dotti di scienze fisiche. I ricordi biblici del Tigri e dell’Eufrate facevano volgere il pensiero all’Asia; le tradizioni classiche dei Campi Elisi e degli Orti delle Esperidi al mezzodì; vaghe memorie di terre sprofondate, come l’Atlantide di Platone, e di isole maravigliose intraviste in regioni del tropico occidentale, Isole Fortunate, Paese dei vivi, Terra o fortuna di gioventù, viaggi d’Ulisse, ecc. invitavano a rivolger la mente al continente oceanico. A quest’ultima opinione s’era accostato Pier Lombardo nel Libro delle Sentenze (II, d. XVII), e San Tommaso (S. T. I, CII, 1-4) non riteneva improbabile che il Paradiso Terrestre sorgesse «seclusus a nostra habitatione aliquibus impedimentis vel montium vel marium, vel aestuosae regionis quae pertransiri non potest».7

Giovanni Fallani nel suo studio sulla teologia del poema fa un breve accenno al Damasceno, a Beda e a Pietro Lombardo in apertura della seconda cantica; quindi precisa:

6 E. Trucchi, Nota a Purg. I,in Id., Esposizione della Divina Commedia di Dante Alighieri, cit., tomo II, p. 2. 7 Ivi, Nota a Purg. XXVII, p. 465.

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Nel precisare l’altezza del monte, e tenendo conto dello spazio, l’aria tra la sfera del fuoco e la terra fu divisa in tre zone: superiore, inferiore e media. S. Alberto Magno e S. Tommaso ritennero che la montagna del Paradiso Terrestre fosse nella zona inferiore; mentre la posero nella zona superiore, nell’aere sereno purissimo, Pietro di Tarantasia (poi Papa Innocenzo V), Alessandro di Hales, S. Bonaventura, Egidio Romano.8

Si tratta di nomi le cui opinioni vengono precisate meglio nei commenti di Sapegno e Giacalone al medesimo passo; ma tutti e tre sono debitori del fondamentale studio di Bruno Nardi Il mito dell’Eden.9 Vediamo di ripercorrere dunque le caratteristiche del

Giardino dell’Eden così come sono state esposte dal grande dantista.

A fronte di una rilevata incertezza nella teologia coeva a Dante sulla posizione e le peculiarità del Giardino in questione, Nardi sottolinea innanzitutto il fatto che il esso è circondato da un muro di fuoco, muro derivato da una interpretazione del «flammeus gladius» del Cherubino della Genesi.10 Si tratta di un dato stabilito sulla base dell’autorità di

Isidoro di Siviglia.11 Questioni più spinose sono sicuramente la posizione del Giardino

dell’Eden, il suo legame con la montagna purgatoriale e l’altezza di quest’ultima.

Nardi identifica il cuore del problema della posizione nella traduzione dell’ebraico

miqedem, termine che nella Genesi affianca l’atto divino della creazione dell’Eden, e che

Gerolamo traduceva in senso temporale con a principio, mentre i padri greci lo traducevano in senso spaziale con ad orientem. Alessandro Scafi ha utilmente identificato questo dibattito come sottoinsieme di una controversia più ampia, e cioè se il Paradiso Terrestre dovesse essere letto solo allegoricamente o anche come luogo reale ed esistente sulla terra. A fronte di due opposte tendenze nei primi secoli dopo Cristo, Scafi riconosce nell’elaborazione di Agostino (e forse non poteva essere altrimenti) l’impostazione di base per lo sviluppo successivo: il vescovo di Ippona infatti divide il racconto della creazione in due brani, uno da intendersi in senso figurato e il secondo da intendersi in senso letterale. Questo permette

8 G. Fallani, Poesia e teologia nella Divina Commedia, II, Milano, Marzorati, 1961, p. 7. Nel suo commento il critico tenderà poi ad avvicinare l’idea di Dante alla seconda concezione qui presentata.

9 B. Nardi, Il mito dell’Eden, in Id., Saggi di filosofia dantesca, Firenze, La Nuova Italia, 1967, pp. 347-374 (nell’ed. del 1967 alle pp. 311-340).

10 Cfr. Gen. 3,24.

11 Sul legame che si instaura fra la spada fiammeggiante e il fuoco purgatoriale e purificatore, Nardi cita giustamente Ambrogio e Ruperto di Deutz (pp. 352-355). Ma ad oggi non possiamo non tener conto dell’ormai classico J. Le Goff, La nascita del Purgatorio (ed. it. Torino, Einaudi, 1982), che della tradizione del fuoco purificatorio – riferito qui però al luogo del Purgatorio, e non al Paradiso Terrestre – ricorda le origini indoeuropee e segna il complesso sviluppo nel pensiero medievale.

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di riferirsi al luogo descritto dalla Scrittura come a un luogo reale, nel quale accadono fatti storici che tuttavia rinviano anche ad altro. Se per Agostino il problema della localizzazione dell’Eden è secondario nell’orizzonte di una comprensione globale, per i medievali diventa invece un tema di fondamentale importanza.12

È a questo punto che è necessario considerare la citazione che i commentatori già citati ripetono e si trasmettono, ricavandola dal secondo libro delle Sententiae: si dice infatti «in orientali parte esse paradisum longo interiacente spatio vel maris, vel terrae a regionibus quas incolunt homines secretum, et in alto situm, usque ad lunarem circulum pertingentem; unde nec aquae diluvii illuc pervenerunt». La formulazione è sicuramente di Beda, ripreso sia dalla Glossa ordinaria che da Pietro Lombardo, ma Nardi evidenzia l’unde volunt del passo attribuito a Beda, che suggerisce come l’opinione espressa sia più antica.13 Commentando la

(vaga) descrizione topografica di Beda, gli scolastici si divisero fra una localizzazione sotto il circolo equinoziale, nella zona torrida (Bonaventura, Giovanni Peckham e altri), e una localizzazione più a sud, oltre il circolo, sulla scia di Aristotele che riteneva la zona torrida non abitabile (Tommaso, che identifica la zona torrida con il muro di fuoco dell’Eden).14

Dante propende per quest’ultima soluzione, ma gli studi che abbiamo seguito concordano nel riconoscere che la motivazione di base è teologica, e non geografica: Dante intende porre il giardino dell’Eden agli esatti antipodi di Gerusalemme, in modo da porla in diretto collegamento con l’incarnazione e la passione di Cristo.15 Per quanto riguarda la posizione

geografica del giardino, è vero che Dante «si scostava dalle opinioni correnti fra i teologi del suo tempo»;16 ma è altrettanto vero che il legame fra i due luoghi (Gerusalemme e l’Eden)

risale almeno ad Agostino, e a una corposa tradizione di leggende medievali su Adamo ed Eva:

Secondo l’esegesi di Agostino il peccato di Adamo nell’Eden, il Sacrificio di Cristo sul Golgota e la seconda venuta di Cristo erano intimamente legati, come i tre avvenimenti cardine che strutturavano tutta la storia della salvezza dell’umanità. […] È significativo [poi]

12 A. Scafi, Il paradiso in terra. Mappe del giardino dell’Eden, Milano, Mondadori, 2007, pp. 33-47. Per una carrellata di opinioni, dal Medioevo fino al XVII secolo e oltre, vedi J. Delumeau, Le paradis terrestre se trouvait-il

à l’Équateur?, in “Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres”, 135, 1991, 1,

pp. 135-144.

13 B. Nardi, Il mito dell’Eden, cit., pp. 358-359.

14 Cfr. il cap. 7 di A Scafi, Il paradiso in terra, cit., pp. 130-153.

15 Su questo ha scritto pagine importanti Stefano Prandi, nel volume Il diletto legno. Aridità e fioritura mistica nella Commedia (Firenze, Olschki, 1994), che affronta l’immagine dell’albero e della fioritura nel poema dantesco, e che verrà richiamato ancora più avanti.

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che nelle leggende il legame tipologico tra la caduta e la crocifissione assumesse una dimensione temporale – la croce era stata fatta con il legno dell’albero della conoscenza – e una dimensione spaziale – Adamo era stato sepolto nel luogo della crocifissione.17

Torneremo su il tanto stretto legame esistente fra questi due o tre avvenimenti. Per ora basti notare che è abbastanza sorprendente che proprio Dante, che compone un poema strutturato attorno ad una allegoria di tipo teologico, che dunque presenta la lettera come evento storico, 18 basi la localizzazione del “suo” giardino su un criterio quasi

esclusivamente figurale e tipologico, lasciando in ombra le possibili concettualizzazioni di ordine scientifico e geografico che tanto spazio avevano trovato nelle trattazioni coeve o di qualche decennio precedenti. Pure esigenze della poesia, o culmine insuperato della concezione medievale dello spazio-tempo come alveo dell’azione di Dio nella storia?

Nardi prosegue poi rilevando come l’idea del Paradiso Terrestre situato su una montagna non sia biblica, ma venga adombrata da Giovanni Damasceno, per essere per essere poi proposta manifestamente nella Glossa ordinaria, nella seconda parte della citazione attribuita a Beda:

Unde volunt…esse paradisum… in alto situm, usque ad lunarem circulum pertingentem; unde nec aquae diluvii illuc pervenerunt.19

Abbiamo visto come l’idea venga ripresa da Pietro Lombardo. Ma come conciliare, per un uomo del XIII secolo imbevuto di scienza arabo-aristotelica, la vita dei primi genitori con

la sfera del fuoco, la sfera lunare, nella quale la vita è evidentemente impossibile? A partire da Guglielmo di Auvergne, si intraprendono diversi tentativi di spiegare l’enunciato di Beda; in particolare, commentando la distinzione XVII del II libro delle Sententiae i teologi

del XIII secolo fanno riferimento alla divisione aristotelica dello spazio fra la Terra e la Luna

in tre zone: la zona superiore, più vicina alla luna, calda per l’influsso del cielo lunare ma libera dalle perturbazioni; la zona più vicina alla terra, temperata per via del riflesso dei raggi solari; la zona intermedia, più fredda perché distante da entrambe le zone di calore. Nardi nota con una certa polemica come i grandi dantisti a lui coevi non si siano accorti

17 A. Scafi, Il paradiso in terra, p. 50 e 55.

18 Su questo, oltre alla prima parte dell’Epistola XIII, cfr. l’intramontabile capitolo sui due tipi di allegoria in C.S. Singleton, La poesia della Divina Commedia, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 115-129.

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come Dante si distanzi da Tommaso e Alberto Magno, che pongono il Paradiso Terrestre all’altezza della zona più bassa, e si riallacci invece ad Alessandro di Hales, a Pietro di Tarantasia, a Bonaventura e a Egidio Romano, i quali lo collocano piuttosto nella zona contigua al cielo della Luna (distanziandosi allo stesso tempo anche dai medesimi per quanto riguarda la posizione geografica della montagna, come abbiamo visto).20 Alla serie di

teologi che vanno a formare questo dossier, sul quale quasi tutto è stato detto, potremmo tuttavia aggiungere Riccardo di Mediavilla. Tralasceremo invece, di necessità, l’ampio bagaglio della tradizione delle visiones medievali dell’aldilà, già ampiamente studiato e ricordato, senza per questo volerne sminuire l’importanza.21

Nella annosa querelle fra un Paradiso Terrestre reale e uno allegorico, Pietro Lombardo opta per la soluzione agostiniana, che include entrambe le possibilità:

Tres enim generales de paradiso sententiae sunt: una eorum qui corporaliter intelligi volunt tantum; alia eorum qui spiritualiter tantum; tertia eorum qui utroque modo paradisum accipiunt. Tertiam mihi placere fateor, ut homo in paradiso corporali sit positus.22

Di fronte a questa scelta, Tommaso – senza pensare o dire di contraddire il Magister – impiega un intero articolo nella spiegazione del perché il Paradiso Terrestre debba essere inteso corporaliter, e sembra concedere una realtà allegorica solamente all’albero della vita (sulla scorta di Prov. XIII).23 Bonaventura, dal canto suo, riconosce una duplice natura al

Paradiso Terrestre, spirituale e corporale. Il Paradiso spirituale, da intendersi in due modi, può indicare sia la Ecclesia militans che la Ecclesia triumphans; per quanto riguarda l’altro senso invece,

Paradisus autem corporalis est locus deliciarum et amoenitatis, et hic est duplex similiter secundum duplicem statum, scilicet perfectum et imperfectum. Secundum statum perfectum paradisus est empyreum. Secundum statum imperfectum paradisus est locus quidam amoe-

20 Ivi, pp. 364-365.

21 Fra i tanti contributi, cfr. soprattutto i percorsi descritti nei già citati lavori di Scafi (Il paradiso in terra) e LeGoff (La nascita del purgatorio).

22 Lib. Sent. II, d. XVII, c. 5.

23 Tommaso d’Aquino, In II Sent., d. XVII, q. 3, a. 2. Le citazioni dal commento di Tommaso sono tratte da Tommaso d’Aquino, Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo (con testo integrale di Pietro Lombardo), Bologna, ESD,

2001-2002. Il testo di Bonaventura è ancora non tradotto, e disponibile nell’edizione storica Quaracchi: vedi

Doctoris seraphici S. Bonaventurae s.r.e. episc. card. commentaria in quatuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, voll.

1-4 dell’Opera Omnia, Ad Claras Aquas Quaracchi prope Florentiam, ex typ. Collegii S. Bonaventurae, 1882- 1889.

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nus in partibus orientis, de quo dicit Damascenus: Divinus paradisus est Dei minibus in Eden plantatus, gaudii et exultationis universae promptuarium.24

Anche Riccardo, al termine della distinzione XVII del II libro, si interroga sul luogo del

Paradiso Terrestre, e si chiede se la descrizione fisica offerta da Pietro Lombardo sia accettabile. La risposta è semplice e sintetica, ed è affermativa. Fra i particolari offerti nelle risposte alle obiezioni ve ne sono due di una certa importanza per il dantista che vi si accosti. Rispondendo all’obiezione per cui gli hystoriographi, che si dedicano a descrivere la terra, non parlano di un luogo con le dette [nelle Sententiae] condizioni fisiche, il maestro francescano afferma:

Hystoriographi narrant ea quae per experientiam appraehenderunt, vel ab expertis audierunt, et quia locus ille est hominibus inaccessibilis in statu naturae lapsae propter interpositionem marium, et terrarum inhabitabilium, et etiam propter custodiam illius viae [cioè il Cherubino con la spada fiammeggiante], […] [gli storiografi] de paradiso terrestri parum, vel nihil retulerunt. Sed Moyses de illo locutus est, quia hoc habuit per divinam inspirationem.25 [corsivo mio]

A interessare sono innanzitutto i vocaboli experientiam ed expertis: dei luoghi comuni della terra possono parlare coloro che ne fanno esperienza sensibile, ma del Paradiso Terrestre poté parlare solo colui che fu oggetto di divina ispiratione (Mosè). Non è fuori luogo pensare al viaggio di Ulisse proprio verso l’inaccessibile Paradiso Terrestre, «per divenir del mondo esperto», che non volle «negar l’esperienza» del «mondo sanza gente» oltre le colonne d’Ercole (Inf. XXVI 98 e 116); e come non ricordare le parole usate da Dante auctor all’inizio

della seconda cantica: «Venimmo poi in sul lito diserto, /che mai non vide navicar sue acque /omo, che di tornar sia poscia esperto»? Il che ci conduce – quindi e ovviamente – a pensare anche all’opposto viaggio di Dante, per investitura di Dio, che sfocia in un resoconto scritto «per divinam inspirationem». Per quanto si corra il rischio di incappare in una suggestione, è comunque sicuramente interessante notare lo scarto, in Riccardo, fra

24 Bonaventura da Bagnoregio, In II Sent., d. XVII, dub. II. Il testo di Bonaventura è ancora non tradotto, e disponibile nell’edizione storica Quaracchi: vedi Doctoris seraphici S. Bonaventurae s.r.e. episc. card. commentaria in

quatuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, voll. 1-4 dell’Opera Omnia, Ad Claras Aquas Quaracchi prope

Florentiam, ex typ. Collegii S. Bonaventurae, 1882-1889.

25 Riccardo di Mediavilla, In II Sent., d. XVII, a. 2, q. 5, concl. e ad 1m. Per il testo di Riccardo si fa riferimento a Clarissimi theologi magistri Ricardi de Media Villa super quatuor libros sententiarum Petri Lombardi Quaestiones

subtilissimae. Ristampa Anastatica, Frankfurt, Minerva, 1963 (Rist. facs. dell’edizione Brixiae, apud Vincentium

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una possibilità di cognizione del luogo puramente geografica, e quindi esperienziale solo dal punto di vista sensoriale o fisico, e una invece riconducibile ad un’esperienza che ha come movente l’ispirazione divina, tra l’altro legate entrambe al problema dell’esposizione attraverso un testo (come è per Dante pellegrino e poi auctor): dei geografi nel primo caso, della Scrittura nel secondo; e non serve rammentare quale sia l’intensità di paragone che via via si instaura nel poema con il testo sacro. È un concetto accennato brevemente anche nel commento di Tommaso,26 ma esplicitato in questi termini solo da Riccardo. Come scrive

Scafi a proposito della creazione dantesca:

In ultima analisi, la sua [di Dante] guidata per i tre regni di inferno, purgatorio e paradiso, sia pure considerati all’inizio del Trecento come campi del sapere cosmografico e geografico, era