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LA POST-STORIA E IL COLORE DEL TEMPO

Nel documento Il libro unico di Roberto Calasso (pagine 114-138)

Nel capitolo precedente ho cercato di far emergere, attraverso il confronto col modello nietzschiano, l’«inattualità» della produzione calassiana. Vorrei invece iniziare il sesto facendo dialogare l’«opera in corso», e in modo particolare La rovina di Kasch – in quanto manifestazione di un progetto e pietra angolare dell’intera impalcatura – con il retroscena culturale della sua contemporaneità, per poter valutare come in essa si inserisca e si distingua. Quello che segue è dunque un tentativo di ricognizione degli aspetti della “narrativa” calassiana che si prestano al confronto con il panorama critico della fine del Novecento.

Nel novembre 1991, in seguito alla pubblicazione dei Quarantanove gradini, Calasso si trova imprevedibilmente al centro di una polemica che per qualche settimana anima il supplemento culturale della «Stampa», «Tuttolibri». Ricostruirla qui brevemente ci dà qualche utile spunto di riflessione sul rapporto tra l’«opera in corso» e il proprio tempo. La querelle nasce da una recensione dal titolo eloquente: Nella torre di Calasso.398 A scriverla è l’allora direttore di Rai Tre Angelo Guglielmi, ex membro del Gruppo 63 e critico militante su diversi quotidiani e settimanali: dopo essersi dilungato sui meriti di Calasso («serio», «elegante nel lessico e nello stile», «unisce al rigore dello studioso lo slancio del ricercatore», autore di esegesi «affidabili e estrose»), Guglielmi conclude il suo pezzo con l’impressione che la raccolta, pur «straordinaria», risulti anche «deludente». Il problema è per lui la mancanza, nei saggi di Calasso, di «curiosità per le difficoltà del presente», l’assenza di un «conforto a fare scelte per l’oggi». Gli rispondono sul numero successivo Carlo Fruttero e Franco Lucentini, prendendo le difese di Calasso: rimproverargli «di non partecipare al coro» sarebbe secondo loro «più che una riserva

398 Cfr. ANGELO GUGLIELMI, Nella torre di Calasso, in «Tuttolibri», XVI, 775, novembre 1991.

Grande, invece, è la speranza di coloro che non si sentono cittadini di questo tempo, perché se lo fossero concorrerebbero ad ammazzare il loro tempo e a tramontare con il loro tempo – mentre vogliono piuttosto risvegliare il tempo alla vita per continuare essi stessi a vivere in questa vita. FRIEDRICH NIETZSCHE

critica, un errore di prospettiva, come giudicare Madame Bovary dal punto di vista di Homais».399 La distanza di Calasso dalle questioni scottanti dell’attualità è infatti, scrivono, «una lontananza voluta, cercata, che non ha nulla di sfuggente, di languido, di remissivo. Se torre è, non è certo d’avorio ma di dura pietra difensiva, irta di merli e di cannoni che sparano, e con quanta precisione!, in tutte le direzioni». Quello che “La ditta” imputa al libro di Calasso, che trova comunque frutto di «un’intelligenza che non si dà un solo istante per vinta», è semmai una visione esageratamente pessimistica: «la letteratura occidentale, anzi, la cultura occidentale, è finita. Non c’è più niente da dire, da pensare, da argomentare, da proporre».400 La polemica, a questo punto, infiamma: non soltanto per la risposta piccata di Angelo Guglielmi, offeso dalle parole di Fruttero e Lucentini che lo accusavano di leggere Calasso solo in ottica televisiva,401 ma anche perché la questione dell’attualità della scrittura – e di cosa essa significhi – si allarga e viene rivolta a tanti altri scrittori italiani, da Vincenzo Consolo a Sebastiano Vassalli, da Lalla Romano a Ferdinando Camon.402 Le ultime battute sono affidate dalla redazione di «Tuttolibri» a Sergio Quinzio e Gianni Vattimo. Il primo difende Calasso mettendosi in qualche modo sulla linea di Fruttero e Lucentini: «giunti là dove non è più possibile sperare in nessuna salvezza», scrive, «resta spazio solo per l’esercizio dell’intelligenza».403 Vattimo accusa Calasso di nutrire astiosa diffidenza contro la cultura accademica e di massa senza rendersi conto che le sue tesi non sono originali, e di ridurre tutto a un «nichilismo passivo» che è proprio dei «filistei della cultura».404 Dopo cinque numeri a lui dedicati, Calasso interviene sulla questione rispondendo alle critiche. La prima cosa che gli preme sottolineare è che non gli sembra di aver ignorato il presente, avendo dedicato i suoi saggi ai «fondamenti della bottiglia di Cocacola» e a Heidegger, alla guerra e alla bêtise che imperversa nel mondo. In secondo luogo, riprendendo le osservazioni di Guglielmi, spiega che l’esigenza di «superare una congiuntura»405 è quanto di più lontano esista dalla propria idea di letteratura – per Guglielmi era invece uno dei suoi compiti più urgenti – e che una simile espressione gli sembra «tollerabile

399 Cfr. CARLO FRUTTERO E FRANCO LUCENTINI, Calasso a Rai 3?, XVI, 776, novembre 1991. 400 Ibidem.

401 Cfr. A.GUGLIELMi, Quando uno scrittore è attuale?, in «Tuttolibri», XVI, 777, novembre 1991. 402 Cfr. MIRELLA SERRI, Scrittore, sei attuale?, in «Tuttolibri», XVI, 778, novembre 1991.

403 SERGIO QUINZIO, Non abbiamo più guide per essere attuali, in «Tuttolibri», XVI, 779, dicembre 1991. 404 GIANNI VATTIMO, Si confonde nichilismo con nostalgia, in «Tuttolibri», XVI, 779, dicembre 1991. 405 R.CALASSO, Aut Kraus aut Coca-cola, in «Tuttolibri», XVI, dicembre 1991, 781.

soltanto all’orecchio di chi non sa cosa sia la letteratura». Al contempo, Calasso si sente «obbligato» a fare delle precisazioni:

non ritengo e non affermerei mai che «la letteratura occidentale, anzi, la cultura occidentale, è finita» (Fruttero&Lucentini). Non ritengo che «il presente» sia caratterizzato dalla “insopportabilità” (Guglielmi) – o almeno non più di quanto lo era per il contadino di Esiodo, che già faceva una vita dura e non godeva neppure dei conforti della televisione. Non penso che non ci sia più «niente da dire, da pensare, da argomentare, da proporre» (Fruttero&Lucentini), tant’è che passo la vita a pubblicare libri di altri e miei. […] Infine, sarò eternamente grato a Fruttero&Lucentini, i quali, pur attribuendomi taluni pensieri in cui non mi riconosco, hanno formulato la lode più alta a cui potessi aspirare, paragonandomi a un elettricista che sa «districare il groviglio di fili multicolori» in un vecchio impianto elettrico. Saper collegare i fili di quel vecchio impianto elettrico che è la nostra mente mi sembra l’unica ambizione che si possa legittimamente attribuire alla letteratura, la quale, per il resto, come tutte le cose essenziali della vita, non ha funzione – e tanto meno quella di fornire «un conforto a fare scelte per l’oggi» (Guglielmi) –, ma si appaga del capire ciò che è, rivelando ciò che è in una forma.406

Oltre a fornirci degli elementi utili alla delineazione dell’ideale letterario di Calasso, questi passi offrono il destro per un tentativo, a ventisei anni di distanza dalla disputa, di storicizzare l’«opera in corso». Penso che, analizzando in modo particolare La rovina di

Kasch – da un lato in ossequio all’«utile superstizione delle date»,407 dall’altro in virtù

della sua forma peculiare –, possa essere utile ragionare su un possibile raffronto con la letteratura postmoderna. Com’è noto, “postmoderno” è una categoria dai contorni molto labili, con la quale, attraverso definizioni mai del tutto univoche e soddisfacenti, si è tentato di circoscrivere alcune tendenze della cultura tardo-novecentesca; la questione sarà qui soltanto abbozzata, evidenziando i punti di contatto dei primi volumi dell’«opera in corso» con la letteratura coeva. In tale operazione, ho trovato opportuno vagliare proprio i Quarantanove gradini; la redazione di questi scritti appartiene a un intervallo compreso tra il 1969 e il 1990 e in massima parte – 34 su 37 sono anteriori al 1980 – essi precedono o accompagnano la gestazione della Rovina di Kasch. Nella produzione calassiana, come notava già Pietro Citati, questi saggi possono essere considerati «la porta d’entrata dei suoi due libri maggiori».408

Devo precisare che un tentativo di confronto fra l’opera calassiana e il

406 Ibidem.

407 Cfr. Cap. 1, nota 8.

postmodernismo è già stato effettuato, in maniera abbastanza approfondita, da Lara Fiorani, ricercatrice dello University College di Londra e autrice di uno dei pochi saggi monografici sulla produzione di Calasso. Vorrei in prima istanza, trarre spunto dalle sue proposte, cercando di valutare volta per volta quanto siano condivisibili. Il lavoro della studiosa dell’UCL, che concentra la sua attenzione in modo particolare sulle Nozze di

Cadmo e Armonia, si prefigge proprio l’obiettivo di rileggere in chiave post-strutturalista

e post-modernista l’opera calassiana. Nella sua Introduzione, Fiorani spiega di voler dimostrare che, sebbene Calasso abbia a più riprese espresso la sua estraneità a questa categoria cognitiva – arrivando a dichiarare in un’intervista di non aver mai sentito l’esigenza di utilizzare la parola “postmoderno” – è possibile rintracciare

A wealth of thematic and formal clues, all revealing Calasso’s fascination with poststructuralism – a philosophy of textuality and reading practice which deeply affected postmodern.409

Con la sua analisi, Fiorani intende dimostrare come il testo calassiano riveli dei significativi punti di contatto, sia a livello formale che contenutistico, con l’opera di Jacques Derrida, un autore – è lei stessa a riconoscerlo – mai menzionato esplicitamente da Calasso.410 Vediamo dunque di seguire passo passo le osservazioni della ricercatrice, cercando di vagliarle anche alla luce delle considerazioni delle pagine precedenti. Fiorani, come è ovvio, sente la necessità di motivare, innanzitutto, un accostamento che al lettore di Calasso suona indubitabilmente sospetto. Il capitolo del suo lavoro dal titolo Calasso

e il postmoderno si apre infatti con questa considerazione:

Something in the theorization of ‘absolute literature’ may be clashing with the idea of belonging to a specific cultural moment: a sense of verticality rather than horizontality, an aspiration to reconnect with its previous incarnation, rather than look for a narcissistic mirror in contemporary productions. Furthermore, the literature of the returning gods does not share with postmodernism the pessimistic

409 Cfr. L. FIORANI, Roberto Calasso..., cit., p. 11: «una vastità di indizi tematici e formali che rivelano la

fascinazione di Calasso per il post-strutturalismo, una disciplina della testualità e della pratica di lettura che ha influenzato profondamente il postmodernismo» (traduzione mia).

sense of late-coming, of being a mere appendix to the great book of tradition.411

Una prima significativa riserva circa un parallelo tra i due sta senza dubbio nella grande distanza che separa un’idea di letteratura come quella di Calasso, che vi vede niente meno che un’«approssimazione alla clavis universalis»,412 unico rifugio di tutte le antiche sapienze perdute, e una di «letteratura dello sfinimento» come quella postmoderna, per utilizzare la formula di John Barth.413 Inoltre, è difficile seguire Fiorani quando, per motivare la reticenza di Calasso nei confronti del termine “postmoderno”, si appella all’importanza della «sua formazione in un ambiente marxista», scrivendo che «le visioni sovversive della testualità [proprie del postmodernismo] potrebbero essere entrate in conflitto con un’idea di letteratura che conservi una diretta influenza sulla realtà e sulla storia».414 Pur riconoscendo all’opera marxiana un’importanza centrale nella maturazione del pensiero di Calasso, infatti, credo si debba dubitare a ragion veduta dell’ipotesi che egli osteggi, in virtù di questa, il “disimpegno” della letteratura contemporanea, anche alla luce di quanto a più riprese rivendicato sull’antagonismo manifesto tra letteratura assoluta e società egocentrica.

Fiorani ipotizza che Calasso preferisca utilizzare, in alternativa a “postmoderno”, il termine “post-storia”, cioè, secondo quanto leggiamo nei Quarantanove gradini, «quella parte di storia che viene messa in scena nel laboratorio sperimentale del nichilismo».415 Alla luce di quanto detto nei capitoli precedenti, possiamo dedurre che il termine stia a

411 L. FIORANI, Roberto Calasso..., cit., p. 130: «qualcosa nella teorizzazione della “letteratura assoluta”

sembra in parte confliggere con l’appartenenza ad una specifica stagione culturale, per il suo senso di verticalità più che di orizzontalità, ed una aspirazione a riconnettersi alle sue incarnazioni precedenti più che cercare uno specchio narcisistico nella produzione contemporanea. Oltre a questo, la letteratura del ritorno degli dèi non condivide con il postmodernismo la pessimistica sensazione di ritardo, di essere mera appendice del grande libro della tradizione» (traduzione mia).

412 R. CALASSO, Pubblicazione permanente e sporadicamente visibile, in «Adelphiana 1963-2013», 2013,

pp. 22-25, spec. 23.

413 Cfr. JOHN BARTH, The Literature of Exhaustion, in «The Atlantic», 220, vol. II, 1967, pp. 29-34. 414 L. FIORANI, Roberto Calasso..., cit., p. 10: «His rejection of the term may partially be explained by his

formation in a Marxist environment – his coming from a Marxist family and his youth in postwar Italy where respectable intellectuals tend to display a Marxist affiliation. In contrast with the Marxist belief that literature retains the ability to directly influence reality and history, and that it is therefore a valuable and serious intellectual activity, postmodernism emphasizes in literature an element of ‘play’. Postmodern practitioners tend to hold subversive views of textuality and literature, to question language’s ability to affect and even express reality successfully, and foreground in texts the opportunity for play».

indicare il periodo di gestazione dell’«innominabile attuale»:

Immaginiamo una grande civiltà teologica: chi vi nasce eredita un pensiero totale, precedente al dato, che poi si articola e manifesta in un linguaggio, più stretto della sua origine, rimando a qualcosa di anteriore e immobile. Per chi nasce nella civiltà teologica della post-storia il pensiero è un deposito da cui si può attingere tutto, salvo l’esperienza da cui ogni singolo pensiero è nato, mentre la disponibilità del passato come deposito è essa stessa l’esperienza comune a tutte le forme della nuova età. [...] Perciò alla post-storia non appartiene l’utopia, ma la parodia e l’inversione.416

“Post-storia” viene utilizzato per la prima volta in un’opera di Cournot (Trattato sul

concatenamento delle idee fondamentali nella storia) del 1861; l’economista parla di post-histoire con riferimento all’ipotesi hegeliana di una fine della storia in età moderna.

La nomenclatura viene poi ripresa da Toynbee e l’idea, soprattutto, ricorre negli scritti di poetica di Benn, ai quali con ogni probabilità attinge Calasso. È evidente, in ogni caso, che, sebbene l’immagine del passato come deposito sia fortemente postmoderna – sta alla base del riciclo, comune a tanta narrativa del periodo, dei materiali più diversi, mescolati tra loro alla rinfusa – si utilizza qui per delimitare un lasso di tempo piuttosto ampio. Risulta un po’ equivoco, pertanto, equiparare una dicitura che abbraccia un periodo che – pur privo di confini netti – dura quanto meno due secoli, con una che è generalmente usata per indicare gli ultimi quarant’anni del Novecento. Piuttosto, è proprio nell’«orizzontalizzazione della prospettiva storica»,417 nella facilità, cioè, con cui Calasso sembra voler raggruppare sotto un’etichetta onnicomprensiva vicende del passato anche molto lontane nello spazio e nel tempo, che possiamo intravedere una delle più significative consonanze tra la sua opera e il postmodernismo. Uno dei suoi teorici più importanti, Fredric Jameson, ha notato che la nozione modernista, bergsoniana, di «tempo profondo» sembri «radicalmente irrilevante per la nostra esperienza contemporanea, che è piuttosto l’esperienza di un perpetuo presente spaziale».418 Come conseguenza di questa «spazializzazione» del tempo, si registra nel postmoderno, secondo Remo Ceserani, una metamorfosi del passato in «un grande serbatoio culturale di immagini».419 Questa idea mi sembra perfettamente in linea con l’immagine, descritta nella Folie Baudelaire e

416 QG, p. 105.

417 L. FIORANI, Roberto Calasso..., cit., p. 133.

418 FREDRIC JAMESON, Postmodernism, or the Cultural Logic of Late Capitalism, London-New York,

Verso, 1991, p. 154.

poc’anzi citata, del passato che si prepara a essere «messo in scena».420 Jameson individua proprio nella «perdita del passato radicale», nella scomparsa di storicità a favore di un piatto «storicismo» una delle caratteristiche fondamentali del postmodernismo, che, come scrive Paolo Simonetti,

si configura come «cannibalizzazione» casuale degli stili e dei discorsi di un passato che viene sempre più «messo tra virgolette» finché di esso rimangono soltanto dei «testi», con conseguente proliferazione di linguaggi e discorsi privati, parziali, contraddittori.421

Anche il presupposto calassiano che «la storia non ha alcuna ragione essenziale per distinguersi dalla letteratura»422 ha quindi, in un certo senso, implicazioni profondamente postmoderne. Come nota anche Fiorani, la storia, in piena conformità con una tendenza di quella che Jean-François Lyotard ha definito l’«era dell’incredulità nelle metanarrazioni»,423 rivela non soltanto la sua natura di costrutto linguistico, ma anche la sua essenza letteraria, finzionale.Nella sua predilezione per i «piccoli colpi di pollice», per l’aneddotica che ci rivela i personaggi storici in una luce inusitata, La rovina di Kasch dimostra un’attitudine tipicamente postmoderna ad evidenziare la parzialità di ogni grande narrazione, a focalizzare l’interesse sulle “storie” più che sulla “Storia”. A differenza dell’approccio di gran parte degli scrittori postmodernisti, tuttavia, Calasso non considera questa scelta l’amara e obbligata acquisizione di chi vive un’era “appendicolare” a quella della Grande Storia, ma una ricchezza, la sola via che garantisca di rispettare il carattere approssimativo e incompleto di qualsiasi rappresentazione. Nell’«opera in corso» non si verifica inoltre quell’«appiattimento» e quella perdita dello stile individuale che Ceserani associa, nella sua disamina della letteratura della postmodernità, alla «scomparsa del passato»;424 mi sembra al contrario che in Calasso vi sia una strenua ricerca dello stile più adatto per ogni testo, e una fiducia tutt’altro che

420 Cfr. FB, p. 197.

421 PAOLO SIMONETTI, Postmoderno / Postmodernismi: Appunti bibliografici di teoria e letteratura dagli

Stati Uniti, in «Status Quaestionis», 1 (2011), pp. 127-182, spec. 148.

422 Cfr. nota 372.

423 Cfr.JEAN-FRANÇOIS LYOTARD,La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, traduzione italiana di

C. Formenti, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 6.

disincantata nei riguardi del potere delle forme.

Usando un’espressione coniata da un altro importante critico del postmodernismo, LindaHutcheon, Fiorani suggerisce poi di vedere nella Rovina di Kasch un esempio di «historiographic metafiction», cioè «a text whose blurring of the border between history and fictional narrative foregrounds the literary, textual character of history itself ».425Altri elementi di contatto si possono ricercare nella particolare forma della Rovina di Kasch: possono infatti essere ricondotti al postmodernismo l’opzione per il pastiche, la mescolanza di generi e l’indistinguibilità fra la forma saggio e quella del racconto, oltre agli interventi metaletterari come l’incipit con Talleyrand che dichiara di parlare «sulla soglia del libro».426 Come ha scritto Simonetti, sulla base delle teorie jamesoniane,

I confini tra testi diversi si sfaldano, i discorsi del passato non vengono citati né riprodotti con intenti satirici, ma generano un pastiche di scritture assemblate, l’una

sovrapposta all’altra attraverso varie intertestualità, successioni di frammenti,

collage di superfici multiple senza centro o direzione univoca. Ciò che segue è

l’inevitabile abolizione di ogni distanza critica, l’intromissione di una dimensione sincronica di immanenza dello spazio nella tradizionale temporalità diacronica.427

Ritengo debba essere considerata più genericamente moderna che postmoderna, invece, la «sfiducia nel potere epistemologico della scienza positivistica e nella storia, corrose dal di dentro dall’opacità della scrittura»,428 che è alla base del pensiero calassiano così come di gran parte degli intellettuali a lui contemporanei. Lo stesso direi della «celebrazione della frammentarietà della nostra conoscenza», che Fiorani riconduce, seppur riconoscendone l’ascendenza nietzschiana, alla compagine postmoderna. È indubitabile che questo sia un punto di partenza generalmente condiviso dagli scrittori degli anni ’80, e che la figura di Nietzsche stessa sia diventata un riferimento importante per un gran numero di intellettuali, a partire dall’edizione critica delle sue opere avviata nel ’62 da Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Tuttavia, ciò non mi sembra costituire un

425 Cfr. L. FIORANI, Roberto Calasso..., cit., p. 135: «un testo in cui il confondersi dei confini tra la materia

storica e quella finzionale mette in primo piano il carattere letterario, testuale, della storia stessa» (traduzione mia.). Per la definizione di «historiographic metafiction» si veda LINDA HUTCHEON, The

Politics of Postmodernism, London and Toronto, Routledge, 1991.

426 Cfr. RK, p.14.

427 P. SIMONETTI, Postmoderno / Postmodernismi..., cit., pp. 147-148.

428 Cfr. L. FIORANI, Roberto Calasso…, cit., p. 136: «a general mistrust of the epistemological power of

positivistic science and history, corroded from within by the opacity of all writing, is a strong element which Calasso’s writing has in common with the culture of postmodernity» (traduzione mia.).

elemento di novità rispetto alla produzione letteraria e alla coscienza critica della grande maggioranza degli scrittori delle generazioni precedenti.

Fiorani insiste poi molto sull’aspetto finzionale della concezione storiografica di

Nel documento Il libro unico di Roberto Calasso (pagine 114-138)