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Posto quanto sopra, a parere di chi scrive, non è questa la strada da percorrere per interrogarsi sulla praticabilità della misura

LA MISURA COERCITIVA IN ARBITRATO

4. Posto quanto sopra, a parere di chi scrive, non è questa la strada da percorrere per interrogarsi sulla praticabilità della misura

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arbitrabile, benché su di esso non possa esercitarsi il potere, ad esempio, di transazione o di rinuncia dei privati, dovrebbe concludersi, una volta riconosciuta la natura di obbligazione dell’astreinte, per la possibilità degli arbitri di comminare la predetta misura, a prescindere della espressa attribuzione, nella clausola arbitrale o nel compromesso, ad opera delle parti di un siffatto potere.

4. Posto quanto sopra, a parere di chi scrive, non è questa la strada da percorrere per interrogarsi sulla praticabilità della misura coercitiva in arbitrato, in quanto, come già evidenziato nel corso del presente elaborato, la penalità di mora non può definirsi in termini negoziali.

Le ragioni per cui tale qualificazione debba essere esclusa sono ormai note, in quanto la disposizione di cui all’art. 614 bis c.p.c. non attribuisce/riconosce una posizione di vantaggio, ed, anzi, la sua comminatoria è soggetta alla valutazione del giudice, il quale valuta se ne ricorrano tutti i presupposti.

Infatti, all’altro polo del dibattito dottrinario si trovano coloro che nella misura coercitiva in esame vedono un accessorio giudiziale.

Nei precedenti paragrafi deputati all’inquadramento della misura in esame si è dato atto della tesi, per vero isolata ed elaborata prima della riforma del 2015, di chi ha individuato nell’art. 614 bis c.p.c. una mera misura esecutiva381. Tale conclusione sarebbe avallata dalla collocazione (pre-riforma) della norma a chiusura del Titolo IV del codice di rito, circostanza che avrebbe dimostrato l’intento del legislatore di voler completare la tutela esecutiva impartita dal Libro

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Terzo con il tassello mancante dell’attuazione degli obblighi infungibili.

Se si guarda, dunque, da questo angolo prospettico, è agevole concludere che l’arbitro non potrà concedere tale misura esecutiva, in quanto privo del relativo potere in materia382. Come evidenziato in precedenza, infatti, trattandosi di un potere che, per sua natura (una forma di tutela che prevede il possibile uso della forza), è sottratto alla disponibilità dei privati (i.e. gli arbitri)383. E, di conseguenza, nemmeno si potrà ipotizzare che siano le parti consensualmente ad attribuire tale potere agli arbitri.

Tuttavia, nonostante in altri ordinamenti (i.e. in quello francese), il legislatore abbia definito la predetta misura come “voix de

l'exécution”384, nel nostro ordinamento la disposizione di cui all’art.

614 bis c.p.c. non introduce una misura esecutiva.

Nel nostro ordinamento, la scelta del legislatore è stata diversa. Essa è una misura pronunciata dal giudice della cognizione, per cui in nessun caso potrà parlarsi di misura esecutiva. Ed infatti, l’art. 614 bis c.p.c. definisce la misura de qua quale titolo esecutivo, per cui da quando si verificherà l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento, la pronuncia comminatoria della misura in esame costituirà titolo per cominciare l’esecuzione forzata.

4.1 Se si accede, invece, all’idea che la misura consista in un

provvedimento esclusivamente endoprocessuale, a corredo della condanna e, dunque, privo di un proprio accertamento, non destinato

382 Gli arbitri– come tutti i privati – non possono per definizione accedere a quella tutela che prevede il possibile uso della forza per consentire al titolare del diritto leso di ottenere quanto dovuto.

383 Cfr. SALVANESCHI,in Arbitrato, sub art. 818 c.p.c., 2014, p. 625.

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ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale, si può intravedere un nuovo (apparente) ostacolo al riconoscimento in capo agli arbitri di siffatto potere coercitivo, e tale divieto, come sopra evidenziato, troverebbe conferma nel divieto di pronunciare provvedimenti cautelari, come previsto dall’art. 818 c.p.c.385.

Non che la misura coercitiva abbia natura cautelare. Tuttavia, è stato rilevato che la medesima ragione che ha spinto il legislatore a ritenere la funzione cautelare incompatibile con l’arbitrato si dovrebbe rinvenire, altresì, nella tutela coercitiva386.

Alla luce di quanto appena riportato, ne dovrebbe conseguire, nel silenzio della legge, l’esclusione dell’applicazione dell’art. 614 bis c.p.c. all’arbitrato, posto che (i) si tratta di misura a carattere processuale e deve, quindi, escludersi qualsiasi forma di accertamento di diritto, e che (ii) la sua efficacia deterrente è ontologicamente connessa alla sua forza esecutiva (i.e. all’attuazione sulla realtà materiale).

Per questo verso, a niente servirebbe neppure una previsione espressa dei privati che attribuiscano siffatto potere agli arbitri nella convenzione arbitrale, per la stessa ragione per cui tale potere è escluso quando la misura è definita come esecutiva: non si possono attribuire pattiziamente agli arbitri poteri che i privati stessi non hanno.

Tuttavia, tale conclusione, ovvero la inammissibilità di una pronuncia da parte degli arbitri, è apparsa difficile da accettare anche a coloro che hanno voluto vedere un ostacolo nel divieto della tutela

385 Cfr,, CHIARLONI, voce Misure coercitive, in Diritto on line, www.treccani.it; ID., L’esecuzione indiretta ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c.: confini e problemi, in CAPPONI,SASSANI,STORTO,TISCINI (a cura di), Il processo esecutivo, 2014, p. 909.

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cautelare arbitrale, tanto da spingerli a ricercare soluzioni alternative387. Come quella di richiedere, sulla base del lodo arbitrale, la misura coercitiva al giudice che sarebbe competente per il merito - al pari di quello che accade per le misure cautelari ex art. 669

quinquies c.p.c. -, a discapito di ogni forma di immediatezza della

condanna arbitrale.

Invero, oltre a non condividersi l’assunto per cui il divieto del potere cautelare in capo agli arbitri sia espressione del più generale divieto di poteri coercitivi, allo stesso modo non può condividersi l’assunto secondo cui condanna di cui all’art. 614 bis c.p.c. sia una condanna priva di accertamento. Tale tesi rischia di spostare indebitamente l’accento sulla obbligazione principale inadempiuta. Infatti, il giudice della cognizione (ovvero, altresì, l’arbitro), per poter comminare la misura de qua, svolge eccome un accertamento. Tale accertamento ha ad oggetto la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per la sua comminatoria, come individuati nell’art. 614 bis c.p.c.