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Nozione di forza maggiore

Nel documento CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE (pagine 178-0)

Con sentenza del 25 gennaio 2017 (causa C-640/15-Tomas Vilkas) la Corte di giustizia ha affermato che le autorità incaricate di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo, nei casi di forza maggiore riconosciuta, devono fissare una nuova data di consegna qualora i precedenti tentativi di consegna siano falliti per la resistenza opposta dal ricercato.

Spetta ai giudici nazionali, pertanto, verificare se le autorità non potevano prevedere tale resistenza e se le sue conseguenze sulla consegna non potevano essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso da parte delle stesse autorità.

Il sig. Vilkas era stato destinatario di due mandati d’arresto europei emessi da un giudice lituano. Le autorità irlandesi avevano tentato di procedere alla consegna del Vilkas alle autorità lituane mediante un volo di linea. Il sig. Vilkas era stato però escluso dal volo a causa della resistenza da lui opposta. Due settimane dopo, un secondo tentativo di consegna, sempre mediante un volo di linea, era fallito in seguito a una serie di eventi analoghi.

Il Ministro irlandese della Giustizia e delle pari opportunità aveva pertanto presentato alla High Court (Alta Corte d’Irlanda) un’istanza per l’autorizzazione di un terzo tentativo di consegna del sig. Vilkas. Detto giudice si era tuttavia dichiarato incompetente e ne aveva ordinato la scarcerazione.

Il Ministro della Giustizia e delle pari opportunità ha successivamente interposto appello avverso tale provvedimento dinanzi alla Court of Appeal (Corte d’appello d’Irlanda), che ha chiesto alla Corte di giustizia se il diritto dell’Unione consenta alle autorità di concordare per più di una volta, in seguito al verificarsi di una causa di forza maggiore, una nuova data di consegna ed, eventualmente, in quali circostanze.

Muovendo dagli obiettivi perseguiti dal legislatore dell’Unione, la Corte ha concluso che il diritto dell’Unione non limita espressamente il numero di nuove date di consegna e consente di fissare una nuova data di consegna laddove la consegna non sia stata condotta a buon fine oltre dieci giorni dopo la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

La Corte ha poi esaminato se l’autorità giudiziaria competente per l’esecuzione e l’autorità giudiziaria emittente (nella specie, le autorità lituane) debbono concordare una terza data di consegna qualora la resistenza ripetutamente opposta dal ricercato ne abbia impedito due volte la consegna.

Al riguardo, la Corte ha evidenziato che le autorità statali dispongono di mezzi che, nella maggior parte dei casi, consentono loro di superare la resistenza opposta dal ricercato, pur ritenendo ipotizzabile che, a causa di circostanze eccezionali, la resistenza opposta dal ricercato alla sua consegna possa essere oggettivamente imprevedibile per le autorità interessate e che le conseguenze di tale resistenza sulla consegna non possano essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso da parte delle stesse autorità. La Corte ha pertanto concluso che spetta al giudice del rinvio verificare se la sussistenza di siffatte circostanze sia stata dimostrata nella causa in oggetto.

Nella eventualità che la Court of Appeal non qualifichi come causa di forza maggiore la resistenza reiterata opposta dall’interessato, la Corte di giustizia precisa che il diritto dell’Unione non può essere interpretato nel senso che, dopo la scadenza dei termini fissati, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non possa più concordare una nuova data di consegna con l’autorità giudiziaria emittente, né nel senso che lo Stato membro dell’esecuzione non sia più tenuto a proseguire il procedimento di esecuzione.

Ne deriva che la mera scadenza dei termini previsti non può sottrarre lo Stato membro dell’esecuzione al suo obbligo di proseguire il procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo e di procedere alla consegna del ricercato, con la conseguenza che le autorità interessate devono concordare, a tal fine, una nuova data di consegna.

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T) Trasferimento dei detenuti e modalità di esecuzione della pena.

Il Tribunale di Sofia ha chiesto alla Corte di giustizia se sia conforme al diritto dell’Unione la norma nazionale che autorizza lo Stato membro di esecuzione (nel caso di specie, la Bulgaria) a concedere al condannato una riduzione della pena in virtù del lavoro svolto durante la sua detenzione nello Stato membro di emissione (nel caso di specie, la Danimarca), quando le autorità competenti di quest’ultimo Stato non hanno concesso, in applicazione del loro diritto nazionale, siffatta riduzione della pena.

Nella sentenza in data 8 novembre 2016 (causa C-554/14, Atanas Ognyanov) la Grande sezione della Corte ha esaminato il contesto e gli scopi perseguiti dal diritto dell’Unione in materia di trasferimento dei detenuti (art. 17, paragrafi 1 e 2, della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009) ed ha ritenuto che, per quanto concerne la parte della pena detentiva scontata da un detenuto nel territorio dello Stato membro di emissione sino al suo trasferimento verso lo Stato membro di esecuzione, solo il diritto dello Stato membro di emissione è applicabile, compreso quanto concerne la questione della concessione eventuale di una riduzione della pena. Quanto al diritto dello Stato membro di esecuzione, esso è destinato ad applicarsi solo alla parte della pena ancora da scontare, in seguito a detto trasferimento.

Secondo la Corte, spetta allo Stato membro di emissione determinare le riduzioni della pena riguardanti il periodo detentivo scontato nel proprio territorio. Solo quest’ultimo è competente a concedere una riduzione della pena per il lavoro svolto prima del trasferimento. Pertanto, lo Stato membro di esecuzione non può sostituire retroattivamente le proprie norme (in particolare, quelle relative alle riduzioni della pena) a quelle dello Stato membro di emissione per quanto concerne la parte della pena già scontata dal detenuto nel territorio dello Stato membro di emissione.

Nel caso di specie, le autorità danesi avevano espressamente dichiarato che la legge danese non consentiva di ridurre la pena detentiva a causa del lavoro svolto durante la detenzione. Di conseguenza, le autorità bulgare non potevano concedere una riduzione della pena sulla parte della pena già scontata in Danimarca. Qualsiasi interpretazione contraria del diritto dell’Unione rischierebbe di pregiudicare gli obiettivi perseguiti da detto diritto (in particolare, il principio del reciproco riconoscimento) e comprometterebbe pertanto la fiducia reciproca degli Stati membri nei confronti dei rispettivi sistemi giudiziari.

La Corte ha concluso nel senso che il diritto dell’Unione osta ad una norma nazionale che autorizza lo Stato membro di esecuzione a concedere al condannato una riduzione della pena a causa del lavoro svolto durante la sua detenzione nello Stato membro di emissione, quando le autorità competenti di quest’ultimo Stato non hanno concesso, conformemente al diritto di quest’ultimo, siffatta riduzione della pena.

La Corte di Giustizia (Quarta Sezione), 11 marzo 2020, SF (causa C‑314/18) ha affermato che, in tema di mandato di arresto europeo, qualora lo Stato di esecuzione subordini la consegna della persona, cittadina o residente di quest’ultimo, che è oggetto di un m.a.e. processuale, alla condizione che tale persona, dopo essere stata ascoltata, gli sia rinviata per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione, quest’ultimo Stato deve procedere al rinvio non appena la decisione di condanna sia divenuta definitiva, a meno che motivi concreti relativi al rispetto dei diritti della difesa della persona interessata o alla buona amministrazione della giustizia non rendano indispensabile la presenza di tale persona in detto Stato, fino a quando non sia intervenuta una decisione definitiva nelle altre fasi procedurali che si inseriscono nel procedimento penale relativo al reato alla base del m.a.e.

Nell’ipotesi in cui l’esecuzione di un m.a.e. emesso a fini processuali sia subordinata alla condizione del rinvio previsto nell’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584, lo Stato membro di esecuzione, per eseguire la pena o la misura di sicurezza privative della libertà pronunciate nello Stato membro di emissione nei confronti della persona interessata, può adattare la durata di tale pena solamente se detta pena è superiore alla pena massima prevista per reati simili nella sua legislazione nazionale. In tal caso, la pena adattata non è inferiore alla pena massima prevista per reati simili dalla legislazione dello Stato di esecuzione. (2)

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Con la decisione in esame la Corte di Lussemburgo si è pronunziata in una causa avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale propostale dal Rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam) nell’ambito di un procedimento relativo all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso dal Judge of the Canterbury Crown Court (magistrato presso la Crown Court di Canterbury, Regno Unito), ai fini dell’esercizio di un’azione penale nei confronti di un cittadino dei Paesi Bassi in relazione a due reati di associazione per delinquere finalizzata all’importazione nel Regno Unito, da un lato, di quattro chilogrammi di eroina e, dall’altro lato, di quattordici chilogrammi di cocaina.

La domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione dell’art. 1, par. 3, e dell’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo, nonché dell’art. 1, lett. a) e b), dell’art. 3, parr. 3 e 4, dell’art. 8, par. 2, e dell’art. 25 della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, come modificate dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009.

Il Tribunale di Amsterdam riteneva che la garanzia di rinvio, nello Stato di esecuzione, della persona richiesta in consegna ai fini della esecuzione della pena eventualmente pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro di emissione non era idonea a soddisfare le condizioni imposte dalle richiamate decisioni quadro, poichè le autorità dello Stato di emissione avevano fatto riferimento alla circostanza che la persona richiesta in consegna sarebbe stata rinviata nei Paesi Bassi, ai sensi della sezione 153C dell’Extradition Act 2003 (legge del 2003 sull’estradizione),

“non appena ragionevolmente possibile dopo la chiusura del procedimento penale nel Regno Unito e dopo l’esperimento di tutti gli altri procedimenti relativi al reato per il quale viene richiesta la consegna”.

Due le questioni pregiudiziali poste dal Tribunale di Amsterdam: a) se lo Stato membro che emette un m.a.e. a fini processuali, in quanto Stato membro in cui la sentenza sarà successivamente pronunciata, possa subordinare il rinvio della persona interessata nello Stato membro di esecuzione alla condizione che non solo la decisione di condanna ad una pena o ad una misura di sicurezza privative della libertà sia divenuta definitiva, ma che siano anche definitivamente conclusi tutti gli altri procedimenti relativi al reato per il quale la consegna è stata richiesta (quale, ad es., un procedimento di confisca); b) se lo Stato membro di esecuzione, sulla base dell’art. 25 della decisione quadro 2008/909, possa adattare – dopo aver consegnato l’interessato subordinatamente alla garanzia prevista nell’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584 – la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nello Stato membro di emissione, al di là di quanto consentito dall’art. 8, par.2, della decisione quadro 2008/909, secondo il quale “Se la durata della pena è incompatibile con la legislazione dello Stato di esecuzione, l’autorità competente di quest’ultimo può decidere di adattare la pena soltanto se detta pena è superiore alla pena massima prevista per reati simili nella sua legislazione nazionale. La pena adattata non è inferiore alla pena massima prevista per reati simili dalla legislazione dello Stato di esecuzione”.

Quanto alla prima questione, la Corte ha preliminarmente rimarcato la necessità di un bilanciamento fra l’obiettivo di facilitare il reinserimento sociale del condannato - perseguito dall’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584/GAI - l’efficacia dell’azione penale al fine di garantire la piena ed effettiva punizione del reato su cui si basa il m.a.e., nonchè il rispetto dei diritti della difesa della persona interessata.

In tal senso, rileva la Corte, l’articolazione prevista dal legislatore dell’Unione tra la decisione quadro 2002/584 e la decisione quadro 2008/909 deve contribuire a conseguire l’obiettivo consistente nel favorire il reinserimento sociale della persona interessata: obiettivo che è nell’interesse non solo della persona condannata, ma anche dell’Unione europea.

Posta tale generale esigenza, la Corte ha rilevato: a) che spetta all’autorità giudiziaria di emissione valutare se motivi concreti attinenti al rispetto dei diritti della difesa della persona interessata o alla buona amministrazione della giustizia rendano indispensabile la presenza di detta persona nello Stato membro di emissione, dopo che la decisione di condanna sia divenuta definitiva e fino a quando non sia intervenuta una pronuncia definitiva nelle altre fasi procedurali che si inseriscono nell’ambito del procedimento penale relativo al reato che è alla base del m.a.e.; b) che l’autorità giudiziaria dello Stato di emissione, tuttavia, non è legittimata, nell’ambito della garanzia di cui all’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584, letto alla

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luce dell’obiettivo di facilitare il reinserimento sociale della persona condannata, a posticipare sistematicamente ed automaticamente il rinvio della persona interessata nello Stato membro di esecuzione al momento in cui le altre fasi procedurali che si inseriscono nell’ambito del procedimento penale relativo al reato che è alla base del mandato d’arresto europeo siano state definitivamente concluse.

Ne discende che (punto 62), qualora lo Stato membro di esecuzione subordini la consegna della persona, cittadina o residente di quest’ultimo, che è oggetto di un m.a.e. ai fini dell’esercizio di un’azione penale alla condizione che tale persona, dopo essere stata ascoltata, gli sia rinviata per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione, quest’ultimo Stato deve procedere a detto rinvio non appena la suddetta decisione di condanna sia divenuta definitiva, a meno che motivi concreti relativi al rispetto dei diritti della difesa della persona interessata o alla buona amministrazione della giustizia non rendano indispensabile la presenza di tale persona in detto Stato, fino a quando non sia intervenuta una decisione definitiva nelle altre fasi procedurali che si inseriscono nel procedimento penale relativo al reato alla base del mandato d’arresto europeo.

In merito alla seconda questione pregiudiziale, inoltre, la Corte di giustizia ha osservato che l’interpretazione proposta dal Governo dei Paesi Bassi - secondo la quale l’art. 25 della decisione quadro 2008/909 autorizzerebbe, nel caso di una persona consegnata subordinatamente ad una garanzia di rinvio, un adattamento della pena da parte dello Stato membro di esecuzione al di fuori delle ipotesi previste dal richiamato art. 8 di detta decisione quadro - non può essere accolta, a meno di non voler privare tale disposizione e, in particolare, il principio del riconoscimento della sentenza e dell’esecuzione della pena, sancito al suo par.1, di qualsiasi effetto utile.

Ne consegue, in definitiva, che lo Stato di esecuzione non può rifiutare la consegna della persona interessata per il semplice fatto che lo Stato di emissione formuli, nella garanzia di rinvio, una riserva quanto alla possibilità di adattamento, da parte del primo di tali Stati membri, della pena eventualmente irrogata nel secondo Stato membro, che vada al di là delle ipotesi previste nell’art. 8 della decisione quadro 2008/909.

Ciò posto, la Corte ha concluso (punto 68) nel senso che, qualora l’esecuzione di un m.a.e.

emesso a fini processuali sia subordinata alla condizione del rinvio previsto nell’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584, lo Stato membro di esecuzione, per eseguire la pena o la misura di sicurezza privative della libertà pronunciate nello Stato membro di emissione nei confronti della persona interessata, può adattare la durata di tale pena solamente in conformità delle condizioni restrittive espressamente previste dall’art. 8, paragrafo 2, della decisione quadro 2008/909.

Sostanzialmente in linea con tali indicazioni di principio si è pronunziata la Corte di cassazione (Sez. 6, n. 27359 del 14/06/2019, Carruggio, Rv. 276230), secondo cui, qualora sia rifiutata la consegna allo Stato di emissione e venga disposta, ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. r), l. 22 aprile 2005, n. 69, l'esecuzione in Italia della pena detentiva inflitta al cittadino italiano, il potere di adattamento della Corte d'appello è limitato alla riduzione della stessa, se superiore a quella massima edittale prevista dalla normativa interna.

In linea generale, dunque, il giudice italiano è vincolato a rispettare la durata e la natura della pena stabilita nello Stato di condanna, salvo un circoscritto potere di adattamento, entro i limiti stabiliti dall'art. 5 del decreto legislativo n. 161 del 2010, qualora la stessa sia incompatibile, per natura e durata, con la legge italiana (Sez. 6, n. 52235 del 10/11/2017, Starzyk, Rv. 271578, secondo cui, in tema di riconoscimento per l'esecuzione in Italia della sentenza di condanna emessa in altro Stato membro dell'Unione europea, è preclusa al giudice interno l'applicazione dell'istituto della continuazione ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. f), d.lgs.

cit.).

Va altresì ricordato che, in tema di riconoscimento per l'esecuzione in Italia della sentenza di condanna emessa in altro Stato membro dell'Unione Europea, è rilevabile d'ufficio la violazione del principio secondo cui lo Stato di esecuzione non può dare alla sentenza straniera un'esecuzione parziale o diversa da quella concordata in via generale, trattandosi di una regola inderogabile, posta a tutela del principio di sovranità dello Stato di condanna, che impone l'attivazione del meccanismo di consultazione tra lo Stato di emissione e quello di esecuzione, al fine di pervenire ad un accordo sull'esecuzione della pena (Sez. 6, n. 47445 del 19/11/2019, Zarotti, Rv. 277565, in relazione ad una fattispecie in cui la Corte di legittimità ha annullato con rinvio la decisione della Corte di appello, sul presupposto che il giudice nazionale non poteva

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procedere, senza il preventivo consenso dello Stato di emissione, al riconoscimento di una sentenza che avrebbe consentito l'applicazione dell'indulto, per effetto del quale la pena detentiva inflitta sarebbe rimasta ineseguita).

Con altra pronunzia la Corte di Lussemburgo (Quinta Sezione, 11 gennaio 2017, C‑289/15, Grundza) ha precisato che l’art. 7, par. 3, e l’art. 9, par. 1, lett. d), della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, devono essere interpretati nel senso che deve ritenersi soddisfatta la condizione della doppia incriminabilità in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale (guida di un veicolo a motore nonostante una decisione formale che la vietasse), allorché gli elementi di fatto costitutivi del reato, quali risultano dalla sentenza pronunciata dall’autorità competente dello Stato di emissione, sarebbero di per sé perseguibili penalmente anche nello Stato di esecuzione, qualora si fossero verificati nel territorio di quest’ultimo.

U) Esecuzione del M.A.E. e pena pecuniaria.

La Corte di Giustizia (Prima Sezione, 13 dicembre 2018, C-514/17) ha chiarito, in relazione alla sull’interpretazione dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI, i presupposti che consentono allo Stato membro di esecuzione di non eseguire il mandato di arresto europeo emesso nei confronti di una persona che risiede stabilmente in tale Stato, anche se il reato per il quale il m.a.e. è stato emesso è punibile nello Stato di esecuzione con la sola pena pecuniaria.

Le autorità giudiziarie della Romania emettevano un mandato di arresto europeo nei confronti di M.S., per l’esecuzione della pena detentiva di un anno e due mesi irrogata dal Judecătoria Carei (Tribunale di primo grado di Carei, Romania).

L’autorità giudiziaria del Belgio (Tribunale di Liegi) - Paese in cui M.S. si era trasferito e dove risiedeva stabilmente - disponeva l’esecuzione del mandato di arresto europeo.

Avverso tale decisione proponeva appello M.S.; a fondamento del gravame si poneva l’art.

Avverso tale decisione proponeva appello M.S.; a fondamento del gravame si poneva l’art.

Nel documento CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE (pagine 178-0)