Con sentenza del 30 maggio 2013 (C‑168/13 PPU – Jeremy), la Corte di giustizia si è pronunciata sulla questione pregiudiziale proposta, ai sensi dell'art. 267 TFUE, dal Conseil constitutionnel in data 4 aprile 2013, dichiarando che gli artt. 27, par. 4, e 28, par. 3, lett. c) della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI, non si oppongono alla previsione di un ricorso che sospenda l'esecuzione della decisione con cui l'autorità giudiziaria, entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, accorda il proprio assenso all'estensione del mandato a reati anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stato eseguito il mandato ("consegna suppletiva") o alla consegna della persona ad uno Stato diverso da quello di esecuzione a seguito di un mandato emesso per un reato anteriore alla sua consegna ("riconsegna").
Il giudice costituzionale francese ha sottoposto per la prima volta una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, ritenendo di sollecitarne l'intervento al fine di valutare se la non impugnabilità della decisione dell'autorità giudiziaria sulla richiesta si consegna suppletiva, espressamente prevista dall'art. 695-46, comma 4, code de procédure pénale, determini una violazione dei principi di uguaglianza e di tutela giurisdizionale effettiva, garantiti dagli artt. 6 e 16 della Dichiarazione del 1789.
Rilevato che la decisione quadro nulla dispone in merito alla previsione di un ricorso con effetto sospensivo avverso le decisioni relative al mandato di arresto, la Corte ha ritenuto che tale silenzio non sia incompatibile con il sistema di tutela multilivello dei diritti fondamentali applicabile nello spazio giuridico europeo.
In primo luogo, essa ha posto in evidenza che l'assenza di un'espressa disciplina nella decisione quadro non impedisce, né tantomeno impone, agli Stati membri di prevedere e disciplinare un ricorso con effetto sospensivo avverso il provvedimento di consegna suppletiva o di riconsegna.
Sul punto, la Corte ha ricordato che la decisione quadro già di per sé prevede una procedura conforme alle esigenze dirette a garantire una tutela giurisdizionale effettiva e l'accesso ad un giudice imparziale sancite dagli artt. 13 CEDU e 47 CDFUE, indipendentemente dalle modalità di attuazione della decisione quadro scelte dagli Stati membri. Da un lato, infatti, tutta la procedura di consegna deve svolgersi sotto il controllo giudiziario e nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dal diritto dell'Unione. Dall'altro lato, anche nell'ambito del processo penale principale -
167
che permane al di fuori della sfera di applicazione del diritto dell'Unione - gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto dei diritti fondamentali così come consacrati nell'ordinamento europeo o in quello nazionale, compreso il diritto al doppio grado di giudizio in caso di provvedimento restrittivo della libertà personale.
Tale ultimo rilievo offre alla Corte lo spunto per un'ulteriore precisazione in merito ai meccanismi di funzionamento della cooperazione giudiziaria in materia penale: richiamando la sentenza resa nel caso Aguirre Zarraga e riaffermando che il principio di mutuo riconoscimento si fonda sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri in ordine al fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali siano in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali riconosciuti a livello dell'Unione, ed in particolare nella CDFUE, la Corte aggiunge che "i destinatari di un mandato di arresto possono ricorrere ai mezzi di impugnazione previsti nell'ordinamento giuridico dello Stato membro di emissione al fine di contestare la legittimità del procedimento che ha condotto all'applicazione di una misura restrittiva della libertà personale".
In ogni caso, precisa la Corte (v. §§ 51-55), indipendentemente dalle garanzie riconosciute dalla decisione quadro, l'assenza di una regolamentazione esplicita in merito alla proposizione di un ricorso avverso le decisioni sul mandato d'arresto non impedisce che siano gli Stati a legiferare su tale profilo. Questi ultimi potranno infatti prevedere un ricorso con effetto sospensivo avverso la decisione sulla richiesta di consegna suppletiva o di riconsegna nell'esercizio del margine di apprezzamento che il diritto eurounitario riconosce loro in relazione alla individuazione delle concrete modalità di attuazione degli obiettivi perseguiti dalle decisioni quadro. In tema di mandato d'arresto, il diritto dell'Unione non pone alcun ostacolo: al contrario, il considerando n° 12 prevede espressamente che la decisione quadro "non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo".
Va osservato, infine, che nel § 36 la Corte ha ribadito il principio secondo cui gli Stati membri devono eseguire il m.a.e. ovvero rifiutarne l’esecuzione e subordinarla a condizioni soltanto nei casi elencati agli artt. da 3 a 5 della stessa decisione quadro. Parimenti, a norma dell’art. 28, par. 3, di quest’ultima, l’assenso ad una consegna successiva può essere negato solo negli stessi casi (v. sentenza del 28 giugno 2012, West, C‑192/12 PPU, punto 55 e giurisprudenza ivi citata) e solo detti casi possono giustificare il mancato assenso all’estensione del mandato d’arresto europeo a un reato commesso prima della consegna della persona sottoposta a procedimento penale diverso da quello che ha giustificato detta consegna, a norma dell’articolo 27, paragrafo 4, della decisione quadro.
M) Misure cautelari.
Con la sentenza del 16 luglio 2015 (causa C-237/15 PPU, Lanigan), la Corte di giustizia, considerata l’assenza di indicazioni contrarie nella decisione quadro e la finalità che essa persegue, ovvero quella di accelerare e semplificare i procedimenti di consegna di imputati/condannati (a seconda della finalità processuale o esecutiva del mae), ha stabilito nel senso dell’obbligo per le autorità nazionali competenti di proseguire il procedimento di esecuzione del mandato anche dopo la scadenza dei termini fissati dall’art. 17 della decisione quadro, senza che questa imponga il rilascio della persona detenuta ai fini della consegna (rilascio che potrebbe compromettere l’effetto utile del meccanismo di cooperazione predisposto dalla decisione quadro)127.
Secondo la Corte, tuttavia, l’operatività del meccanismo non deve pregiudicare il rispetto dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali, in particolare il diritto alla libertà e alla sicurezza sancito dal suo art. 6, alla luce del quale la decisione quadro deve essere interpretata.
Ciò implica che la custodia di una persona in circostanze come quella qui considerata non può oltrepassare una durata “ragionevole”.
127 Nel dicembre 2012, le autorità giudiziarie britanniche avevano emesso un m.a.e. nei confronti del signor Lanigan, nell’ambito di un procedimento penale avviato nel Regno Unito per omicidio e possesso di arma da fuoco. Nel gennaio 2013, il signor Lanigan è stato arrestato dalle autorità irlandesi, ma non ha acconsentito alla sua consegna (ex art. 13 della decisione quadro) alle autorità britanniche ed è stato detenuto in Irlanda in attesa di una decisione sulla consegna.
A causa di plurimi rinvii dovuti ad incidenti procedurali, l’esame della situazione del consegnando da parte della High Court irlandese ha avuto inizio solo nel giugno 2014 ed è proseguito sino al dicembre dello stesso anno, quando il destinatario del m.a.e. ha eccepito la illegittima prosecuzione del procedimento, in conseguenza dello spirare dei termini previsti dalla decisione quadro per l’adozione della decisione sull’esecuzione del m.a.e.
168
Al fine di verificare che la custodia del consegnando non sia eccessiva e possa, al contrario, considerarsi giustificata anche alla luce dell’art. 52, par. 1, Carta e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (il cui rispetto è imposto dalla clausola di omogeneità di cui all’art. 52, par. 3, Carta), la Corte indica al giudice a quo una serie di elementi da prendere in esame: occorrerà, tra l’altro, tenere in considerazione l’eventuale inerzia delle autorità dello Stato di emissione e di quello di esecuzione, il “contributo” del ricercato alla durata del procedimento, nonché la pena cui si espone il ricercato o la pena inflittagli, l’esistenza di un rischio di fuga e la circostanza che il ricercato sia stato detenuto per un periodo la cui durata totale ecceda significativamente i termini previsti dalla decisione quadro per l’adozione della decisione sull’esecuzione del m.a.e.
Qualora il giudice a quo procedesse alla liberazione del consegnando, secondo la Corte, egli dovrebbe disporre ogni misura necessaria ad evitare che questi si dia alla fuga, assicurando il permanere delle condizioni sostanziali necessarie alla sua effettiva consegna, sinché non sarà adottata una decisione definitiva sulla sua consegna.
La Corte di giustizia (Prima Sezione, 12 febbraio 2019, TC, C 492/18 PPU) ha successivamente precisato che la sussistenza di un concreto pericolo di fuga che legittima l'emissione di una misura cautelare al fine di garantire le condizioni materiali necessarie per la consegna effettiva del ricercato non consente la rimessione in libertà del medesimo sulla base del solo motivo che è trascorso un termine di 90 giorni dalla data del suo arresto.
Inoltre, le autorità giudiziarie nazionali sono tenute ad interpretare la normativa interna in conformità all’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in modo da garantire che la eventuale sospensione del mantenimento in custodia oltre il termine di novanta giorni dall’arresto (nel caso in cui venga proposta una questione di rinvio pregiudiziale ovvero nell’ipotesi di rinvio della decisione sulla consegna per la presenza di un rischio concreto di condizioni detentive inumane o degradanti) non dia luogo a divergenti soluzioni giurisprudenziali nel computo dei termini di durata della custodia cautelare applicata nei confronti della persona richiesta in consegna.
La Corte UE si è pronunziata su una questione oggetto di un rinvio pregiudiziale proposto dal Rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam), nell’ambito di un procedimento relativo all’esecuzione di un m.a.e. emesso nei confronti di una persona (TC) richiesta in consegna dalle autorità competenti del Regno Unito. Il giudice del rinvio ha chiesto di stabilire, da un lato, se la decisione quadro 2002/584 debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale che prevede un obbligo generale e incondizionato di rimessa in libertà di una persona ricercata e arrestata in forza di un m.a.e. allo scadere del termine di 90 giorni dal suo arresto, allorché esiste un rischio molto elevato di fuga della medesima, non superabile attraverso l’imposizione di misure adeguate, e, dall’altro, se l’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali debba interpretarsi nel senso che esso osta ad una giurisprudenza nazionale che consente il mantenimento in custodia del ricercato oltre il termine di 90 giorni, sulla base di un’interpretazione della normativa interna secondo cui il termine in questione è sospeso quando l’autorità giudiziaria di esecuzione decide di sottoporre alla Corte UE una domanda di pronuncia pregiudiziale o di attendere la risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da un’altra autorità giudiziaria di esecuzione, ovvero di rinviare la decisione sulla consegna per il motivo che potrebbe ravvisarsi, nello Stato membro di emissione, un rischio concreto di condizioni detentive inumane o degradanti.
Nel richiamare la propria elaborazione giurisprudenziale in tema di diritto alla libertà e alla sicurezza della persona ricercata ai fini della consegna basata sul m.a.e. (cfr. C. giust. UE, 16 luglio 2015, Lanigan, C‑237/15, § 55; C. giust. UE, 15 marzo 2017, Al Chodor, C‑528/15, §37), la Corte di Lussemburgo ha posto in rilievo l’importanza del rispetto, da parte dei giudici nazionali, dei criteri-guida dell’interpretazione conforme della normativa interna alle pertinenti disposizioni previste dalla decisione quadro sul m.a.e. ed ha osservato che le divergenti interpretazioni giurisprudenziali seguite, a livello nazionale, dal giudice del rinvio (Tribunale di Amsterdam) e dalla Corte di appello di Amsterdam (Gerechtshof Amsterdam) - risultate in contrasto finanche in ordine alla decorrenza del computo del periodo di sospensione del termine entro il quale pronunciarsi sulla consegna del ricercato - non hanno consentito di garantire le esigenze di conformità alla normativa europea sotto i profili della chiarezza e della prevedibilità della disciplina relativa ai termini di durata del mantenimento in custodia nello Stato di esecuzione.
169
Entro tale prospettiva, in particolare, il giudice europeo ritiene essenziale operare un bilanciamento tra l’art. 12 della decisione quadro, relativo alla disciplina del mantenimento in custodia del ricercato (secondo cui «Quando una persona viene arrestata sulla base di un mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide se la persona debba o meno rimanere in stato di custodia conformemente al diritto interno dello Stato membro dell’esecuzione. In qualsiasi momento è possibile la rimessa in libertà provvisoria, conformemente al diritto interno dello Stato membro di esecuzione, a condizione che l’autorità competente di tale Stato membro adotti le misure ritenute necessarie ad evitare che il ricercato si dia alla fuga»), e l’art. 6 della Carta UE, secondo il quale ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza.
La Corte di giustizia ha pertanto concluso nel duplice senso: a) che la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio in tema di m.a.e. deve essere interpretata nel senso che essa non consente una normativa interna che contempli un obbligo generale e incondizionato di rimessione in libertà di una persona ricercata e arrestata in forza di un mandato d’arresto europeo allo scadere del termine di 90 giorni dal suo arresto, nelle ipotesi in cui esista un rischio molto elevato di fuga della medesima, che non può essere fronteggiato mediante l’imposizione di adeguate misure cautelari; b) che l’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tuttavia, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una giurisprudenza nazionale che consente il mantenimento in custodia del ricercato oltre la scadenza del termine di 90 giorni – sulla base di un’interpretazione di tale disposizione nazionale secondo la quale il suddetto termine è sospeso quando l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea una domanda di pronuncia pregiudiziale o di attendere la risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da un’altra autorità giudiziaria dell’esecuzione, oppure di rinviare la decisione sulla consegna per il motivo che potrebbe esistere, nello Stato membro emittente, un rischio concreto di condizioni detentive inumane o degradanti – nella misura in cui tale giurisprudenza non garantisce la conformità della normativa nazionale alla decisione quadro 2002/584/GAI e presenta divergenze che possono dar luogo a diversi termini di mantenimento in custodia.
Nel nostro sistema v. Sez. 6, n. 39770 del 05/10/2012, Agu, Rv. 253398, secondo cui la mancata previsione di un termine predeterminato di scadenza della custodia cautelare, successivo alla decisione della Corte di appello, non costituisce motivo di irrazionalità del sistema e di irreparabile pregiudizio della persona richiesta in consegna, tenuto conto dei tempi ristretti previsti per la decisione sull'eventuale ricorso per cassazione e della disciplina relativa ai casi di sospensione e rinvio della consegna.