STUDIO DISEGNO AZ FARM.SPONSOR STATO ORGANO DETTAGLIO
2.1 Presentazione e diagnos
Il carcinoma colorettale rappresenta una delle principali cause di morbosità e mortalità per neoplasia in tutti i Paesi occidentali ed è secondo come causa di morte sia negli uomini, dopo la neoplasia del polmone, sia nelle donne, dopo il carcinoma della mammella. Si riscontrano 678.000 nuovi casi l’anno nel mondo, 150.000 in Europa e 30.000 in Italia. Allo stato attuale, nonostante questa neoplasia presenti elevati livelli di curabilità rispetto a quelle insorgenti in altri distretti dell’apparato digestivo, la sopravvivenza a 5 anni si attesta mediamente sul 40 - 50 %, potendo raggiungere l’80 - 90 % nelle forme precoci. È ben dimostrata l’importanza di fattori costituzionali e genetici (es.: alta frequenza in alcune popolazioni rispetto ad altre, elevatissima incidenza nelle famiglie con individui portatori di poliposi familiare), come pure della qualità e della quantità dei cibi ingeriti.
Un’alimentazione povera di fibre vegetali può favorire l’insorgenza di un carcinoma del colon-retto (le fibre, dando luogo a un transito intestinale accelerato, diminuiscono il tempo di contatto della mucosa con eventuali cancerogeni), come pure una dieta ricca in grassi; anche una dieta iperproteica è in grado di alterare la flora batterica del colon (prevale la crescita degli anaerobi, capaci di trasformare i sali biliari in cancerogeni, rispetto agli aerobi). Le localizzazioni prevalenti del cancro del colon (70% circa) sono il sigma e il retto. I fattori di rischio si dividono in quelli ambientali e in quelli ereditari:
Ø ambientali: • età;
29 • obesità;
• fumo/alcool;
• condizione sociale medio-alta. Ø ereditari:
• Poliposi Adenomatosa Familiare (PAF): è autosomica dominante caratterizzata dalla presenza di numerosissimi polipi adenomatosi localizzati soprattutto a carico del colon sinistro. I polipi non sono presenti alla nascita ma si evidenziano nella adolescenza avanzata superando in diversi casi il numero di mille. Tutti i soggetti affetti da questa patologia sono destinati a sviluppare nell’arco della loro vita un carcinoma del colon-retto;
• Sindrome di Gardner: è simile ma meno frequente della PAF (1 su 14.000 nascite); è caratterizzata dalla copresenza di polipi dell’intestino tenue, di tumori desmoidi del mesentere e della parete addominale, di lipomi, di cisti sebacee, di osteomi e di fibromi; è una malattia autosomica dominante; [12]
• Sindrome di Turcot: è una variante PAF, una malattia rara su base ereditaria caratterizzata dalla formazione di molti polipi intestinali in giovane età, sui quali aumentano le probabilità che si sviluppi un cancro del colon: si parla di sindrome di Turcot quando a questa condizione intestinale si associano tumori cerebrali; [13]
• Sindrome di Lynch: detta anche cancro colorettale ereditario non poliposico (HNPCC), è una patologia autosomica dominante che, diversamente dalla PAF, dove la predisposizione alla malattia è data dalla presenza di polipi, si caratterizza per lo sviluppo direttamente della neoplasia intorno ai 45 anni di età. Si divide in due forme: Lynch 1 con esclusiva localizzazione colorettale e Lynch 2 con associate altre possibili neoplasie dell’endometrio, delle ovaie, dello stomaco, del tratto urinario e delle vie biliari.
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Si aggiungono, inoltre, altri fattori predisponenti: colite ulcerosa, morbo di
Crohn, precedente patologia neoplastica maligna, irradiazione pelvica e
displasia/adenoma.
Data l’elevata incidenza del carcinoma colorettale, i programmi di screening hanno acquisito una notevole importanza, poiché una precoce individuazione di una lesione superficiale e localizzata in soggetti asintomatici aumenta l’efficacia della terapia chirurgica.
Questi programmi vengono consigliati soprattutto a individui con familiari di primo grado affetti dalla neoplasia; il tal caso lo screening inizia dieci anni prima rispetto al soggetto senza familiarità (è previsto all’età di 50 anni).
La maggior parte dei programmi volti all’individuazione precoce del cancro colorettale ha posto l’accento sull’esplorazione rettale digitale e la ricerca del sangue occulto fecale. Lo sviluppo del test Hemoccult ha facilitato notevolmente la ricerca di sangue occulto nelle feci; sfortunatamente, anche quando eseguito in maniera ottimale, presenta importanti limitazioni. Approssimativamente il 50% dei pazienti con cancro colorettale documentato mostra un test Hemoccult fecale negativo, legato alle caratteristiche di sanguinamento intermittente di questi tumori. Inoltre, sono stati riscontrati tumori colorettali solo in meno del 10% di quei soggetti “positivi al test”, mentre sono stati evidenziati polipi benigni in un ulteriore 20-30%; di conseguenza, non risulterà una neoplasia colorettale nella maggior parte degli individui asintomatici con sangue occulto nelle feci. Ciò nonostante, i soggetti positivi dovrebbero necessariamente essere sottoposti a ulteriori indagini comprendenti la sigmoidoscopia, il clisma opaco e/o la coloscopia. Attualmente, l’American Cancer Society consiglia la ricerca del sangue occulto nelle feci con il test Hemoccult ogni anno e l’esecuzione della sigmoidoscopia con strumento flessibile ogni 5 anni a partire dai 50 anni nei soggetti asintomatici che non presentano fattori di rischio per cancro colorettale. L’American Cancer Society ha proposto un “esame totale del colon”(colonscopia o clisma opaco a doppio contrasto) ogni 10 anni come alternativa al test Hemoccult associato alla sigmoidoscopia con strumento flessibile. La coloscopia, inoltre, si è dimostrata superiore al clisma opaco al doppio contrasto nello screening e più sensibile nell’identificazione di adenomi
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villosi, displastici o carcinomi rispetto alla ricerca del sangue occulto e alla sigmoidoscopia con strumento flessibile. [14]
I sintomi dipendono dallo stadio e dalla sede della neoplasia. Nel cieco e nel colon destro sono più tardivi e il primo segno può essere un’anemia microcitica da perdita ematica cronica, la comparsa di astenia o di dispnea da sforzo, un calo ponderale inspiegato. Nei tumori più distali, retto e sigma, l’esordio può essere un sanguinamento acuto che tende a ripetersi, un fastidio addominale, un tenesmo rettale. La comparsa di una massa palpabile o di sintomi ostruttivi quali dolore addominale crampiforme, modiche alterazioni dell’alvo e disturbi urogenitali sono sintomi più tardivi. I principali segni e sintomi e la loro frequenza sono: sanguinamento occulto (58%), anemia (57%), dolore addominale (52%), calo ponderale (39%), stipsi e anoressia (27%), diarrea (22%), nausea e vomito (22%) e tenesmo (10%). Le principali complicanze sono: sanguinamento acuto e cronico, occlusione, perforazione, invasione e compressione di strutture adiacenti, metastasi locali (peritoneo, linfonodi) e a distanza (fegato, polmoni, encefalo e ossa). [15]
Il primo approccio, nel caso di rettorragia o tenesmo rettale di recente insorgenza, è l’esplorazione rettale. Tuttavia, la conferma diagnostica di neoplasia è in genere facilmente ottenibile con colonscopia o con clisma a doppio contrasto, che dimostrano la presenza di un polipo in genere di dimensioni superiori a 1-2 cm a superficie irregolare o di una massa ulcerata facilmente sanguinante o di una lesione anulare stenosante. Mediante la colonscopia si possono eseguire biopsie delle lesioni per la diagnosi istologica: nel 95% dei casi si tratta di un adenocarcinoma, il rimanente 5% è rappresentato da linfomi, carcinoidi o altro.[15]
Nei pazienti, invece, in cui non è possibile l’introduzione di sonde a causa di un’ostruzione che ne blocca il passaggio, non consentendo, quindi, un’adeguata conferma diagnostica, ha un ruolo di sempre maggiore importanza la coloscopia virtuale; quest’ultima è una metodica non invasiva, condotta al computer utilizzando immagini di tomografia computerizzata che permette di visualizzare irregolarità di superficie e se presenti di valicare eventuali stenosi o ostruzioni.[16]
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Gli esami di laboratorio, compreso il dosaggio dei cosiddetti antigeni tumorali (CEA, CA19-9 e altri) sono di scarsa utilità diagnostica. Il CEA può aumentare in varie condizioni fisiologiche (fumatori) e patologie (epatopatie); nel carcinoma colorettale valori elevati di CEA possono comparire tardivamente o essere assenti, ma la loro presenza o ricomparsa nel postoperatorio ha significato prognostico sfavorevole. [15]
2.2 Trattamento
L’approccio previsto è differente a seconda delle dimensioni della neoplasia e dei distretti interessati.
Il trattamento endoscopico di gran lunga più frequente è sicuramente la polipectomia, che consiste nella rimozione dei polipi adenomatosi utilizzando diverse soluzioni tecniche; è una metodica che può essere utilizzata con esito positivo in un’alta percentuale di casi (84-89%) ed è gravata da alcune rare complicanze. La più frequente è il sanguinamento (2-3%) e la più grave la perforazione (0,4-0,6%). La polipectomia è una procedura terapeutica indipendente dal grado di displasia o dalla presenza di un carcinoma intramucoso, che non è ancora in grado di metastatizzare.
L’endoscopia ha un ulteriore ruolo terapeutico nel caso di un’occlusione intestinale da una neoplasia stenosante sia come preparazione ad un intervento di resezione in elezione, che come palliazione definitiva in caso di pazienti con una breve aspettativa di vita.
Nel caso di neoplasia infiltrante, interessamento vascolare o di lesione scarsamente differenziata il solo trattamento curativo è rappresentato dall’exeresi chirurgica completa del tumore con margini di resezione di circa 5 cm, del mesocolon e dei linfonodi regionali. In condizioni di elezione l’intervento consiste in una resezione segmentaria del colon e del retto seguita da un’anastomosi immediata.
L’infiltrazione di organi adiacenti si verifica nel 5-10% dei casi, con classificazione T4. Se è possibile effettuare un intervento R0 (assenza di residui
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tumorali) bisogna eseguire una resezione in blocco della neoplasia e del viscere adiacente, anche se l’infiltrazione solo in poco più della metà dei casi è di tipo tumorale, mentre nei restanti è di natura infiammatoria. Tuttavia tale tecnica va privilegiata perché è possibile ottenere una sopravvivenza a 5 anni che va dal 40 all’80%.
Il fegato rappresenta una delle maggiori sedi metastatizzanti del carcinoma colorettale; se le metastasi epatiche possono essere rimosse in maniera radicale, cioè con un buon margine di sicurezza, si possono ottenere delle sopravvivenze a 5 anni interessanti (25-30%) al prezzo di mortalità operatoria modesta (2-5%). Nel caso di metastasi sincrone operabili non esistono attualmente delle linee guida codificate in merito all’esecuzione in un unico tempo o in modo sequenziale della resezione della neoplasia primitiva e delle metastasi. Ambedue le soluzioni comportano vantaggi e svantaggi. Allo stato attuale si esegue una resezione epatica simultanea se l’exeresi non richiede un’epatectomia maggiore (più di tre segmenti) e quindi non aggrava i rischi operatori. In tutti gli altri casi si preferisce un trattamento sequenziale inframmezzato da una chemioterapia sistemica. [17]
Un ruolo sempre di maggior importanza sta acquisendo la terapia sistemica dove il farmaco più utilizzato, in quanto più efficace, rimane il 5-fluorouracile (5-FU), soprattutto se associato all’acido folinico (leucovorin), che aumenta presumibilmente il legame del 5-FU al suo enzima bersaglio, la timidilato sintetasi.
Il 5-FU viene somministrato per via endovenosa, ma può essere sostituito da una pirimidina orale, la capecitabina (Xeloda), con efficacia sovrapponibile. [18] L’irinotecan, un inibitore specifico delle topoisomerasi 1, prolunga la sopravvivenza rispetto alle sole cure palliative nei pazienti con progressione di malattia durante il trattamento con 5-FU. Inoltre, la somministrazione d’irinotecan in associazione con 5-FU e leucovorin (LV) incrementa il tasso di risposta e la sopravvivenza nei soggetti con malattia metastatica. Il regime
FOLFIRI è il seguente: 180 mg/m² d’irinotecan in infusione di 90 min al giorno
1; 400 mg/m² di LV in infusione di 2 ore durante la somministrazione di irinotecan , immediatamente seguito da un bolo di 400 mg/m² di 5-FU e dalla
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sua infusione continua in 46 ore alla dose di 2,4-3 g/m² ogni 2 settimane. La diarrea rappresenta il principale effetto collaterale dell’irinotecan. L’oxaliplatino, un analogo del platino, aumenta anch’esso il tasso di risposta se somministrato in associazione al 5-FU e al LV come trattamento iniziale nei pazienti con malattia metastatica (regime FOLFOX). L’oxaliplatino determina frequentemente una neuropatia sensitiva dose-dipendente che generalmente si risolve dopo la fine del trattamento. I regimi FOLFIRI e FOLFOX hanno pari efficacia. Nella malattia metastatica possono produrre una sopravvivenza mediana di 2 anni.
Nei pazienti con cancro del colon- retto avanzato si sono dimostrati efficaci anche gli anticorpi monoclonali. Il cetuximab (Erbitux) e il panitumumab (Vectibix) sono diretti contro il recettore del fattore di crescita dell’epidermide (epidermal growth factor receptor, EGFR), una glicoproteina transmembrana coinvolta nelle vie di trasduzione dei segnali di crescita e di proliferazione delle cellule tumorali, impedendo, in questo modo, il suo legame con fattori endogeni come transforming growth factor-alfa (TGFα) e epidermal growth factor (EGF). Sia il cetuximab che il panitumumab, quando somministrati in monoterapia, dimostrano apportare benefici solo in una piccola percentuale di pazienti pretrattati; il cetuximab sembra avere una sinergia terapeutica con alcuni agenti chemioterapici come l’irinotecan, anche in soggetti precedentemente resistenti al farmaco. Gli anticorpi non sono efficaci nel sottogruppo di tumori del colon con
K-ras mutato. L’utilizzo sia del cetuximab sia del panitumumab può portare
all’insorgenza di un rash acneiforme, il cui sviluppo e gravità sono correlati probabilmente all’efficacia della terapia.
L’aggiunta di bevacizumab (vascular endothelial growth factor, VEGF) al regime FOLFOX aveva inizialmente mostrato un vantaggio rispetto alla sola chemioterapia, sebbene studi successivi sono stati meno convincenti; il suo utilizzo può portare a ipertensione, proteinuria e aumento di rischio di eventi tromboembolici ed emorragici. [14]
35 CAPITOLO III
Il protocollo ERMES
3.1 Introduzione
Il protocollo ERMES (ERbitux MEtastatic colorectal cancer Strategy
Study) è un trial clinico multicentrico, di fase III, di non inferiorità,
randomizzato in pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico con RAS e BRAF non mutati. I pazienti sono randomizzati in due bracci e ricevono come trattamento di prima linea FOLFIRI + cetuximab fino a progressione di malattia (o tossicità inaccettabile) o FOLFIRI + cetuximab per 8 cicli seguito solo da cetuximab fino a progressione di malattia (o tossicità inaccettabile).
Collaboreranno allo studio circa 86 centri, per un durata totale di 43 mesi; il primo paziente ha iniziato il trattamento il 12/01/2015, l’ultima dose sarà somministrata il 18/07/2018; l’ultima visita sarà il 3/08/2018. I dati saranno raccolti ed esposti il 1/3/2019.
Il centro di riferimento in cui è stato sviluppato il protocollo è il Policlinico Universitario Agostino Gemelli, che funge da Clinical Trial Center a cui dovranno giungere in ultima analisi tutti i dati raccolti e catalogati durante la sperimentazione.