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Utilizzo di tecnologie innovative per la lettura centralizzata di esami radiologici nell'ambito dello studio clinico ERMES (ERbitux MEtastatic colorectal cancer Strategy Study)

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRANSLAZIONALE E DELLE NUOVE

TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E CHIRURGIA

TESI DI LAUREA

“Utilizzo di tecnologie innovative per la lettura centralizzata di esami

radiologici nell’ambito dello studio clinico ERMES (ERbitux MEtastatic

colorectal cancer Strategy Study)”

RELATORE

Chiar.mo Prof. Davide Caramella

CANDIDATO

Silvia Iorio

(2)

I

NDICE

Abstract 1

Capitolo I 4

Introduzione: i trial clinici 4

1.1 La sperimentazione in oncologia 4

1.2 Lo studio di fase III 6

1.3 Gli studi di non inferiorità 8

1.4 Criteri RECIST 10

I. Cosa sono i criteri RECIST e la loro evoluzione 10

II. Misurazioni delle lesioni alla valutazione basale 10

III. Criteri di risposta 14

IV. Differenze tra RECIST 1.0 e RECIST 1.1 17

1.5 GCP: Good Clinical Practice 19

I. Cos’è la GCP 19

II. I 13 principi di GCP 20

III. Le figure principali in uno studio clinico 21

1.6 Protocolli oncologici gestiti dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana 23

Capitolo II 28 Il carcinoma colo-rettale 28 2.1 Presentazione e diagnosi 28 2.2 Trattamento 32 Capitolo III 35 Il protocollo ERMES 35 3.1 Introduzione 35

(3)

3.3 Obiettivi dello studio 37

3.4 Disegno dello studio 39

3.5 Selezione e arruolamento dei pazienti 40

3.6 Raccolta dati 43

3.7 Trattamento 44

3.8 Valutazione allo screening, alla baseline e in corso di trattamento 46

3.9 Effetti collaterali durante il trattamento 47

Capitolo IV 50

Obiettivi della tesi: utilizzo di tecnologie innovative per la lettura centralizzata di esami radiologici nell’ambito dello studio clinico ERMES 50

Capitolo V 51

Materiali e metodi 51

5.1 Introduzione 51

5.2 Code of Federal Regulations Part 11 52

5.3 Cloud Computing 53

5.4 Server PACS 59

5.5 Questionario per adesione alla piattaforma IT ERMES 60

5.6 Manuale piattaforma IT per ERMES 61

Capitolo VI 68

Risultati attesi e Conclusioni 68

Capitolo VII 70

(4)

1 ABSTRACT

Il carcinoma colorettale rappresenta una delle principali cause di morbosità e mortalità per neoplasia in tutti i Paesi occidentali ed è secondo come causa di morte sia negli uomini, dopo la neoplasia del polmone, sia nelle donne, dopo il carcinoma della mammella. Si riscontrano 678.000 nuovi casi l’anno nel mondo, 150.000 in Europa e 30.000 in Italia. Allo stato attuale, nonostante questa neoplasia presenti elevati livelli di curabilità rispetto a quelle insorgenti in altri distretti dell’apparato digestivo, la sopravvivenza a 5 anni si attesta mediamente sul 40 - 50 %, potendo raggiungere l’80 - 90 % nelle forme precoci. Un ruolo sempre di maggior importanza sta acquisendo la terapia sistemica dove il farmaco più utilizzato, in quanto più efficace, rimane il 5-fluorouracile (5-FU), soprattutto se associato all’acido folinico (leucovorin), che aumenta presumibilmente il legame del 5-FU al suo enzima bersaglio, la timidilato sintetasi. L’irinotecan, un inibitore specifico delle topoisomerasi 1, prolunga la sopravvivenza rispetto alle sole cure palliative nei pazienti con progressione di malattia durante il trattamento con 5-FU. Inoltre, la somministrazione d’irinotecan in associazione con 5-FU e leucovorin (LV) incrementa il tasso di risposta e la sopravvivenza nei soggetti con malattia metastatica (regime FOLFIRI). Nei pazienti con cancro del colon-retto avanzato si sono dimostrati efficaci anche gli anticorpi monoclonali come il cetuximab (Erbitux), diretto contro il recettore del fattore di crescita dell’epidermide (epidermal growth factor receptor, EGFR), sia associato ad altri farmaci sia in monoterapia.

In seguito ai seguenti studi è stato approvato il protocollo ERMES (ERbitux

MEtastatic colorectal cancer Strategy Study), trial clinico multicentrico, di fase

III, di non inferiorità, randomizzato in pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico con RAS e BRAF non mutati. I pazienti sono randomizzati in due bracci e ricevono come trattamento di prima linea FOLFIRI + cetuximab fino a progressione di malattia (o tossicità inaccettabile) o FOLFIRI + cetuximab per 8

(5)

2

cicli seguito solo da cetuximab fino a progressione di malattia (o tossicità inaccettabile).

Collaborano allo studio circa 86 centri, per un durata totale di 43 mesi; il primo paziente ha iniziato il trattamento il 12/01/2015, l’ultima dose sarà somministrata il 18/07/2018; l’ultima visita sarà il 3/08/2018. I dati saranno raccolti ed esposti il 1/3/2019.

Il centro di riferimento in cui è stato sviluppato il protocollo è il Policlinico Universitario Agostino Gemelli, che funge da Clinical Trial Center a cui dovranno giungere in ultima analisi tutti i dati raccolti e catalogati durante la sperimentazione.

Il trial clinico ERMES ha come obiettivo principale dimostrare la non inferiorità, in termini di sopravvivenza libera da malattia, del trattamento sperimentale; in aggiunta sarà analizzato l’eventuale diminuzione degli effetti collaterali ematologici e non, di grado 3-4. Se si dovessero constatare una più rapida progressione nel braccio sperimentale o una maggiore tossicità, associabile all’utilizzo del solo cetuximab, il braccio standard verrà considerato più efficace. Tali risultati si potranno raggiungere grazie all’Università di Pisa, che riveste il ruolo di Central Radiology Imaging Center, ovvero centro di seconda lettura delle immagini radiologiche. Il polo pisano, in tale veste, accentra l’attività dei centri periferici, controlla il loro operato e trasmette i dati al Policlinico Universitario Agostino Gemelli per l’analisi definitiva.

Tali trasmissioni di dati fino ad ora venivano effettuate attraverso l’utilizzo di CD o DVD, rallentando l’attività; il centro pisano ha ideato una piattaforma apposita, “piattaforma IT ERMES”, con un manuale per ogni centro periferico per facilitarne l’utilizzo. Ciò consente una rapida gestione dei dati, sia dai centri periferici (Local Radiology Imaging Center) al Central Radiology Imaging

Center, sia da quest’ultimo al Clinical Trial Center.

Essendo il polo pisano sia Local Radiology Imaging Center sia Central

Radiology Imaging Center, abbiamo caricato i dati dei nostri pazienti

verificando la semplicità procedurale descritta dettagliatamente nel manuale e successivamente, nel ruolo di centro di seconda rilettura, abbiamo constatato come la piattaforma consenta una rapida gestione dei dati, un assiduo confronto

(6)

3

delle immagini, un costante controllo del follow up del paziente e quindi una veloce attività di second read.

(7)

4 CAPITOLO I

Introduzione: i trial clinici

1.1 La sperimentazione in oncologia

La sperimentazione clinica si avvale di un approccio sistematico alla comprensione della salute umana e della malattia, per identificare metodi efficaci e sicuri nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie. La storia della sperimentazione clinica è costellata di successi che hanno portato a importanti benefici per la società, ma anche di eventi tragici che continuano a porre domande di etiche fondamentali. La ricerca medica comprende la ricerca in laboratorio, gli esperimenti su animali e i trial clinici, che servono a testare la sicurezza ed efficacia di alcuni interventi (trattamenti, azioni preventive, dispositivi medici e altri) negli esseri umani. Se condotti in modo accurato, i trial clinici sono considerati il metodo più sicuro e affidabile per determinare l’efficacia degli interventi: quelli terapeutici servono a testare trattamenti sperimentali, nuove combinazioni di farmaci, nuovi approcci chirurgici o di radioterapia; quelli, invece, di prevenzione servono a vedere se alcuni interventi (farmaci, vaccini, vitamine o cambiamenti negli stili di vita) aiutano realmente a prevenire le malattie o le loro ricadute. [1]

Per valutare se il nuovo trattamento è vantaggioso, gli aspetti più importanti da considerare sono:

la sicurezza, ossia l'assenza di effetti collaterali intollerabili;

l’efficacia, cioè la capacità del farmaco di determinare l'effetto benefico ricercato.

Accanto a questi aspetti fondamentali bisogna poi analizzare altre questioni come i costi, l’impatto sulla qualità di vita e la fattibilità.

(8)

5

Perché i suoi risultati siano affidabili, uno studio clinico deve essere, quando possibile:

controllato: questa espressione indica che i partecipanti allo studio sono suddivisi in due gruppi: uno riceve il trattamento da mettere alla prova e l’altro (chiamato “gruppo di controllo”) quello standard o il placebo. A parte questa differenza, i due gruppi devono essere trattati in tutto e per tutto in modo uguale, sostenere gli stessi esami, controlli e così via. Questa modalità permette di controllare le variabili in gioco e quindi di stabilire con minore possibilità di errore se gli effetti positivi o negativi osservati nel corso dello studio sono attribuibili al nuovo trattamento, dimostrando la sua eventuale superiorità rispetto a quello standard; • randomizzato: uno studio si dice randomizzato se prevede che i

partecipanti alla ricerca siano assegnati in maniera del tutto casuale al gruppo che riceverà il trattamento da testare o al gruppo di controllo; • in doppio cieco (ultimamente si usa anche il termine “mascherato”): né

i partecipanti né i ricercatori sanno chi stia assumendo il nuovo trattamento e chi il trattamento standard o il placebo, per evitare che i risultati siano influenzati dalle attese o dai timori di entrambi. Si parla di singolo cieco se solo i volontari non sanno che cosa stanno ricevendo, e di triplo cieco se neppure chi analizza i dati dello studio sa chi ha ricevuto che cosa.

Uno studio rigoroso è come minimo in doppio cieco, possibilmente in triplo, randomizzato e controllato. [2]

L’eventuale farmaco viene, quindi, sottoposto a una serie di studi che prevedono una prima sperimentazione preclinica (di solito in “vivo” e in “vitro” sugli animali) e poi una successiva sperimentazione clinica, sull’uomo, che risulta, a sua volta, articolata in quattro fasi.

Studi di fase 1: l’obiettivo principale è definire la Dose Raccomandata (livello di dose precedente alla Massima Dose Tollerabile) per gli studi di fase 2. Normalmente gli studi di fase 1 vengono condotti in pochi centri selezionati, su volontari sani non predisposti all’insorgenza di patologie e non in età avanzata. Il farmaco è somministrato a dose crescente a gruppi differenti di volontari

(9)

6

monitorando la comparsa di effetti collaterali in relazione della quantità somministrata.

Soltanto se i benefici che ne derivano sono superiori rispetto agli effetti collaterali si potrà procedere.

Studi di fase 2: sono coinvolti volontari portatori della patologia per cui viene sperimentato il farmaco; si inizia in questa fase a porre l’accento sull’attività auspicata dal farmaco e quindi su i suoi effetti terapeutici. Questa fase di solito dura per qualche anno e prevede anche essa una suddivisione dei volontari in diversi gruppi, a ciascuno dei quali è somministrata una differente dose del farmaco o un placebo.

Studi di fase 3: viene condotto in questa fase uno studio clinico controllato randomizzato, con assegnazione casuale del nuovo farmaco o di quello standard per quella patologia; sono coinvolti più pazienti rispetto alle precedenti fasi, nell’ordine delle centinaia, migliaia. [cfr. il sottocapitolo 1.2]

Studi di fase 4: sono in genere studi di tipo osservazionale e sono volti a confermare la sicurezza e la tollerabilità a lungo termine del farmaco in un più ampio numero di pazienti, e a valutare anche il rapporto di costo-efficacia. I dati che si ottengono sono statisticamente importanti, poiché coinvolgono un’ampia popolazione costituita da individui eterogenei (diversi per età, razza, sesso) e con caratteristiche che possono essere diverse da quelle dei pazienti selezionati per lo studio registrativo sperimentale. La fase IV è, dunque, quella che permette di valutare l’effectiveness del trattamento.[3]

1.2 Lo studio di fase III

Lo studio di fase III, come già accennato in precedenza, ha come obiettivo dimostrare i risultati del farmaco analizzato su una specifica popolazione, che va dalle centinaia alle migliaia, fornendo molte informazioni sulla sicurezza della molecola. Tale fase ha una durata abbastanza lunga, da uno a quattro anni, potendo mostrare così effetti collaterali rari e ad insorgenza tardiva. La percentuale di farmaci che accede alla fase successiva è del 25-30%. [4]

(10)

7

In generale, gli studi di fase 3 mettono a confronto due (o più) trattamenti, l’uno convenzionale e l’altro sperimentale, che sono somministrati ciascuno a un gruppo di pazienti. Alla fine di un adeguato follow up, il confronto tra i pazienti che hanno ricevuto il nuovo farmaco e quelli che hanno ricevuto quello convenzionale consente di verificare oggettivamente l’efficacia del nuovo trattamento, esprimendola in termini di prolungamento della sopravvivenza dei pazienti e miglioramento della loro qualità della vita.

Normalmente, il metodo utilizzato è quello della randomizzazione, che distribuisce in maniera casuale i pazienti tra il braccio sperimentale e il braccio di controllo, che riceverà il trattamento convenzionale. La randomizzazione ha lo scopo di evitare che i risultati dello studio siano condizionati da scelte operate dall’uomo o da altri fattori interferenti. Solo evitando una selezione programmata dei pazienti si potrà essere sicuri di confrontare gruppi di pazienti in cui l’unica variabile sia costituita dal diverso trattamento. In alcuni studi clinici randomizzati, ai pazienti, e in alcuni casi anche ai medici, non si rivela se il farmaco somministrato è convenzionale o in sperimentazione. Ciò avviene soprattutto quando gli effetti del trattamento potrebbero comportare un notevole grado di soggettività e la conoscenza del trattamento da parte dei pazienti e/o dei medici potrebbe influire sulla loro valutazione. Si parla in tali casi di studi in “singolo cieco” se è solo il paziente a non sapere se riceve il farmaco convenzionale o il nuovo farmaco, e di studi “in doppio cieco” se nemmeno il medico lo sa.

Il confronto, fra gruppi di pazienti aventi caratteristiche simili che ricevono trattamenti diversi per lo stesso tipo di tumore, consente di valutare qual è il farmaco più efficace o che induce un minor numero di effetti collaterali, ed è fondamentale per assicurare risultati attendibili dovuti solo al trattamento e non ad altri fattori. Tuttavia, sono sempre possibili alcune differenze casuali, ed è per tale motivo che i risultati sono poi valutati con strumenti statistici allo scopo di rendere sufficientemente sicura l’attribuzione di eventuali vantaggi al nuovo trattamento. Solo nei casi in cui non sia disponibile un trattamento convenzionale, il nuovo farmaco è messo a confronto con un placebo. In tal caso

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8

il paziente sarà infirmato della possibilità di ricevere un placebo prima di decidere se accettare di prendere parte allo studio. [4]

Nel complesso tali studi offrono sia vantaggi sia svantaggi al paziente che decide di aderirvi: potrà usufruire dei migliori farmaci disponibili per la propria patologia e di un’assistenza oncologica di alta qualità; nel caso in cui facesse parte del braccio con il nuovo farmaco in sperimentazione sarebbe tra i primi a poter godere dei successi di tale molecola oltre alla possibilità di poter contribuire alla ricerca e quindi al progresso della medicina nella lotta contro i tumori. Naturalmente tali studi possono comportare anche degli svantaggi per il paziente nel caso in cui il farmaco in sperimentazione sia meno efficace di quello convenzionale o per la comparsa di effetti collaterali non previsti dal medico.

1.3 Gli studi di non inferiorità

Gli studi di fase III si dividono in quelli di superiorità, di non inferiorità e di equivalenza. Scopo di uno studio di superiorità è dimostrare che il nuovo trattamento sia superiore a quello di confronto, attraverso la formulazione di due ipotesi: l’ipotesi nulla della non differenza tra i due interventi testati, e quella alternativa di superiorità del nuovo trattamento. Nella formulazione delle due ipotesi viene stabilita una differenza tra i due interventi, rilevante dal punto di vista clinico, che, se dimostrata, implica la superiorità del nuovo trattamento. Obiettivo degli studi di non inferiorità è di dimostrare che un nuovo trattamento non sia peggiore rispetto a quello di confronto, stabilendo a priori una differenza limite, che si possa considerare irrilevante dal punto di vista clinico, che permetta di considerare il nuovo intervento non inferiore rispetto a quello di confronto. Analogamente, attraverso uno studio di equivalenza si vuole verificare se i due interventi indagati presentino lo stesso profilo di efficacia e/o di sicurezza, predefinendo la massima differenza, clinicamente non rilevante, che consenta di ritenere i due trattamenti sovrapponibili.

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9

Condurre uno studio di non inferiorità o di equivalenza potrebbe rivelarsi utile quando si voglia valutare se un trattamento sia più sicuro rispetto a quello di riferimento, possa offrire dei vantaggi in termini di compliance o di costi, o ancora quando si vogliano mettere a confronto diversi dosaggi, formulazioni o vie di somministrazioni di uno stesso farmaco. In tutti gli altri casi sussistono forti dubbi circa l’accettabilità etica e scientifica di tali studi. Dal punto di vista metodologico è importante sottolineare che negli studi di equivalenza/non inferiorità la definizione della differenza limite è cruciale per la pianificazione del trial, per la terminazione della dimensione del campione e per la successiva interpretazione dei risultati. Pertanto la scelta della differenza limite deve essere sempre motivata clinicamente, adeguata a quello che è l’obiettivo principale dello studio, giustificata dal punto di vista statistico. Parimenti rilevanti, e talvolta complesse, sono le analisi statistiche ed eventuali modifiche post-hoc del disegno dello studio. L’analisi tipo intention to treat (ITT) e quella per protocol (PP) sono da considerarsi egualmente importanti. Infatti, entrambe, prese singolarmente, presentano bias che possono inficiare i risultati della ricerca. In particolare, alla presenza di un elevato numero di

drop-out (pazienti che si sono ritirati dallo studio) e di missing data, l’ITT tenderebbe

ad escludere la presenza di una differenza tra i trattamenti indagati (effetto sfortunatamente spesso frequente in questi studi). Più imprevedibile risulta essere la direzione (pro o contro la non differenza/equivalenza dei trattamenti) dell’analisi PP, influenzata soprattutto dallo sbilanciamento dei due bracci dovuto ad eventuali differenti percentuali e cause del drop-out2. A causa della flessibilità del disegno i trial di non inferiorità/equivalenza presentano un elevato rischio di manipolazione dei risultati. [5]

In conclusione, negli studi di equivalenza e di non inferiorità i pazienti andrebbero valutati secondo entrambi i criteri ed il nuovo trattamento andrebbe dichiarato equivalente o di non inferiorità allo standard solo se il verdetto ottenuto con la valutazione ITT concordasse con quello derivante dalla valutazione per protocol. [6]

(13)

10 1.4 Criteri RECIST

I. Cosa sono i criteri RECIST e la loro evoluzione

La valutazione oggettiva del cambiamento tumorale è fondamentale per monitorare la risposta alla terapia. Prima dell’introduzione dei criteri RECIST (Response Evaluation Criteria in Solid Tumors) nel 1981 la World Health

Organisation (WHO) pubblicò i primi criteri di risposta tumorale da utilizzare

soprattutto nei trial clinici nei quali l’obiettivo principale era la risposta tumorale. I criteri WHO introdussero il concetto di un controllo generale del tumore facendo riferimento al prodotto delle misurazioni bidimensionali delle lesioni neoplastiche in aggiunta alla risposta tumorale verificabile al baseline e durante il trattamento. Negli anni successivi, però, tali criteri furono modificati e utilizzati in maniera differente dai vari gruppi di studio portando a risultati contrastanti nell’ambito di stessi trattamenti. Da qui l’esigenza da parte della

International Working Party di stilare i criteri RECIST, introdotti nel 2000, per

standardizzare e semplificare i criteri di risposta tumorale. Gli elementi principali dei primi RECIST, versione 1.0, illustravano le misure minime da adottare per le lesioni target, le istruzioni su come seguire l’evoluzione delle stesse lesioni e l’uso delle lesioni non misurabili per la valutazione tumorale globale. [7]

Nel 2009 sono stati pubblicati dalla rivista European Journal of Cancer i criteri RECIST 1.1 che modificano in parte i precedenti fornendo anche dei chiarimenti in merito ad alcuni punti dibattuti.

II. Misurazioni delle lesioni alla valutazione basale

Le lesioni tumorali e i linfonodi, al baseline, sono divisi in misurabili e non come segue:

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11

Ø lesioni tumorali misurabili: devono essere accuratamente misurante in almeno una dimensione (deve essere riportato il diametro più lungo) e hanno una dimensione minima di:

• 10 mm alla TC (la sezione di scansione TC non deve superare i 5 mm; nel caso di sezione con spessore superiore, le dimensioni minime devono essere due volte lo spessore della sezione);

• 10 mm alla misurazione clinica nel caso di lesioni superficiali misurate con regolo o tumorimetro (lesioni che non possono essere misurate con precisione devono essere registrate come non misurabili);

• 20 mm alla radiografia toracica;

• linfonodi patologici: per essere considerati tali devono avere il diametro minore ≥ 15 mm alla valutazione basale (si suggerisce una ricostruzione TC con sezioni non superiori a 5 mm). Sia al basale sia alle valutazioni successive deve essere misurato solo il diametro minore;

• lesioni ossee litiche o miste litiche-blastiche con una componente presente nei tessuti molli possono essere valutate con TC o RM se la componente presente nei tessuti molli soddisfa la definizione di misurabilità descritta sopra;

• lesioni cistiche ritenute metastasi possono essere considerate misurabili se soddisfano la definizione di misurabilità sopra descritta. Tuttavia, se sono presenti lesioni non cistiche, queste sono da preferire come lesioni bersaglio.

Ø lesioni non misurabili: sono tutte le altre lesioni, comprese le piccole lesioni (con diametro maggiore < 10 mm o linfonodi patologici con diametro minore ≥ 10 mm e < 15 mm). Comprendono:

• lesioni leptomeningee, ascite, versamento pleurico o pericardico, malattia infiammatoria della mammella, linfangite cutanea o polmonare, masse addominali, organomegalie individuabili all’esame obiettivo non misurabili con metodiche di imaging;

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• lesioni precedentemente trattate, come quelle situate in una zona irradiata o in una zona sottoposta ad altre terapie loco regionali, di solito non sono misurabili a meno che la lesione non sia in progressione. I protocolli degli studi devono descrivere con precisione le condizioni in cui tali lesioni sono considerate misurabili.

Tutte le lesioni misurabili, a loro volta, possono essere suddivise in:

Ø lesioni target: tutte le lesioni misurabili, fino a un massimo di due lesioni per organo e cinque in totale, rappresentative di tutti gli organi interessati, misurate alla valutazione basale. Devono essere selezionate in base alle loro dimensioni (lesioni con diametro maggiore più lungo) e riproducibili in misurazioni successive. La somma dei diametri di tutte le lesioni target (il diametro maggiore per le lesioni non linfonodali e il diametro minore per i linfonodi patologici) deve essere calcolata alla valutazione basale e utilizzata come riferimento per le successive valutazioni per stabilire la risposta della componente misurabile della neoplasia;

Ø lesioni non target: tutte le lesioni (o sedi di malattia) non identificate come lesioni target devono essere individuate come non bersaglio ed essere registrate alla valutazione basale. Le misure di queste lesioni non sono necessarie e dovrebbero essere descritte nel tempo come “presenti”, “assenti” o in “inequivocabile progressione”. [8]

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13

Di seguito uno schema riassuntivo sulla divisione delle lesioni tumorali:

Figura 1 Divisione delle lesioni tumorali in misurabili e non misurabili; le misurabili possono essere ulteriormente divise in target e non target.

Lo stesso metodo di valutazione e lo stesso tipo di esame dovrebbero essere utilizzate per caratterizzare le lesioni individuate al baseline e durante il follow

up. [7]

La TC è la tecnica migliore e più riproducibile di cui si dispone attualmente; la RMN può essere utilizzata tenendo presente che esistono numerose variabili nell’acquisizione dell’immagine che possono avere un impatto sulla qualità stessa dell’esame e sulle misurazioni. Se si utilizza la TC occorre sempre somministrare un mezzo di contrasto endovenoso utilizzando, negli esami successivi, sempre la stessa tecnica o lo stesso strumento TC. Se, a causa di allergie o insufficienza renale, non fosse possibile utilizzare il mezzo di contrasto, si può scegliere tra un TC senza mezzo di contrasto o una RMN. La RMN non può sostituire la TC per lo studio del polmone.

La radiografia del torace può essere utilizzata solo se le lesioni sono chiaramente definite e circondate da parenchima polmonare areato. È comunque preferibile la TC.

Le lesioni superficiali possono essere prese in considerazione unicamente se ≥ 10 mm di diametro e devono essere misurate con un regolo o tumorimetro. Per

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14

le lesioni cutanee si suggerisce di fotografarle insieme a un regolo per valutarne le dimensioni.

L’ecografia non deve essere usata per misurare le lesioni tumorali.

I marcatori tumorali non possono essere utilizzati per valutare la risposta; se sono inizialmente al di sopra dei valori di normalità, essi devono essere normalizzati per considerare un paziente in risposta completa.

Gli esami cito-istologici possono essere utilizzati in rari casi per es. nella valutazione di masse residue per distinguere una risposta parziale da una risposta completa.

L’utilizzo di tecniche endoscopiche non è consigliato. Tuttavia, possono essere impiegate per confermare la risposta completa patologica.

III. Criteri di risposta

I criteri di risposta sono differenti per le lesioni target e non: Ø valutazione delle lesioni target:

• risposta completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni target. Qualsiasi linfonodo patologico (target o non target) deve avere il diametro minore che si sia ridotto a una lunghezza < 10 mm;

• risposta parziale (PR): almeno una diminuzione del 30% nella somma dei diametri delle lesioni target, prendendo come riferimento la somma dei diametri alla valutazione basale;

• progressione di malattia (PD): almeno un aumento del 20% nella somma dei diametri delle lesioni target, prendendo come riferimento la maggiore riduzione ottenuta durante il trattamento o la valutazione basale, se questa è la somma minore;

• malattia stabile (SD): riduzione o aumento nella somma dei diametri insufficiente per definirsi PR o PD.

Un approfondimento particolare meritano i linfonodi identificati come lesioni target, dei quali bisogna sempre riportare la misura del diametro minore, anche se le dimensioni regrediscono e diventano < 10 mm. Quando i linfonodi sono considerati come lesioni target, la somma dei diametri delle lesioni non può

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essere zero anche se si ha una CR al trattamento, dal momento che un normale linfonodo è definito come avente un diametro minore < 10 mm.

Se le lesioni target si riducono e diventano troppo piccole per essere misurate con precisione, si assegna arbitrariamente la dimensione di 5 mm.

Quando lesioni non linfonodali si “frammentano”, devono essere calcolati e sommati tra loro i diametri maggiori di ciascun frammento. Al contrario, se due o più lesioni adiacenti confluiscono in una lesione unica, occorre misurare il diametro maggiore di quest’ultima.

Ø valutazione delle lesioni non target:

• risposta completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni non target e normalizzazione dei marcatori tumorali (se valutati). Tutti i linfonodi devono avere una dimensione non patologica (diametro minore < 10 mm);

• risposta non completa/ non progressione di malattia (non-CR/non-PD): persistenza di una o più lesioni non target e/o marcatori tumorali al di sopra dei limiti di normalità;

• progressione di malattia (PD): inequivocabile progressione delle lesione non target.

Quando il paziente ha anche una malattia misurabile, per definire una progressione di malattia sulla base di una progressione “inequivocabile” di una o più lesioni non target, deve esserci un sostanziale peggioramento della/e lesione/i non target in modo che, anche in assenza di SD o PR nelle lesioni bersaglio, il tumore sia aumentato in misura sufficiente a meritare la sospensione della terapia. Un modesto aumento nella dimensione di una o più lesioni non target di solito non è sufficiente per poter giudicare inequivocabilmente una progressione della malattia.

Quando, invece, il paziente ha solo lesioni non misurabili, poiché il peggioramento delle lesioni non target non può essere facilmente quantificato, può essere utile verificare se l’aumento globale della quantità di malattia sulla base del cambiamento delle lesioni non misurabili sia comparabile all’aumento che si ha per la malattia misurabile quando si definisce PD. [8]

(19)

16

Vi può essere, però, nel corso dello studio la comparsa di nuove lesioni che denotano la progressione di malattia e la sua scoperta non deve essere attribuibile a cambiamenti della tecnica d’esame o comparsa di lesioni che possano far ipotizzare una patologia diversa da una nuova lesione tumorale. Se una nuova lesione è dubbia conviene continuare la terapia e controllare la lesione nelle successive rivalutazioni per capire se si tratta realmente di una nuova lesione. Se nelle rivalutazioni successive vi è la conferma che si tratta sicuramente di una nuova lesione, la data della progressione è quella dell’esame che ha evidenziato per la prima volta la nuova lesione. Una lesione individuata durante le rivalutazioni in una sede anatomica non studiata alla valutazione basale deve essere considerata una nuova lesione e quindi una PD.[7]

La risposta globale considera sia le lesioni target che non, valutate ad ogni controllo durante il follow up. [9]

Nel caso in cui siano presenti soli lesioni non target si farà riferimento solo a quest’ultime ed ad eventuali nuove lesioni comparse nel corso dello studio. Il paziente verrà comunque seguito nel follow up anche se abbandonerà il protocollo per decadimento delle condizioni generali in assenza di un’evidente progressione di malattia.

Di seguito una tabella riassuntiva sui criteri di risposta: Lesioni target Lesioni non

target

Nuove lesioni Risposta globale

CR CR No CR CR Non CR/ non PD No PR CR Non valutate No PR PR Non PD e non tutte valutate No PR SD Non PD e non tutte valutate No SD Non tutte valutate Non PD No NV PD Qualunque risposta Si o No PD

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17 Qualunque risposta PD Si o No PD Qualunque risposta Qualunque risposta Si PD

CR= risposta completa; PR= risposta parziale; SD= stabilità di malattia; PD= progressione di malattia; NV= non valutabile

Tabella 1 Tabella riassuntiva sui criteri di risposta RECIST.

IV. Differenze tra RECIST 1.0 e RECIST 1.1

I principali cambiamenti nei criteri RECIST 1.1 sono i seguenti:

• riduzione del numero complessivo di lesioni da valutare da un massimo di dieci a cinque, e da cinque a due per ogni organo;

• nuove linee guida per la misurazione dei linfonodi: deve essere misurato il diametro minore e vengono definiti patologici se > 10 mm (target se ≥ 15 mm, non target se compresi tra 10 e 14 mm);

• ulteriore chiarimento della valutazione e della misurazione delle lesioni ossee e cistiche;

• ridefinizione della progressione di malattia in modo che preveda non solo un aumento del 20% nella dimensione della lesione, ma anche un aumento assoluto di almeno 5 mm. La risposta completa (CR) nei linfonodi si ha quando si riducono a una dimensione < 10 mm;

• per i criteri di risposta nelle lesioni non target, viene spiegato in dettaglio che cosa si intende per “inequivocabile progressione”: deve essere rappresentativa di un cambiamento globale della malattia e non solo di un aumento di una singola lesione;

la conferma della risposta è necessaria per gli studi che hanno come

end-point primario la risposta, ma non è più necessaria per gli studi che hanno

come end-point primario la sopravvivenza;

• nuovo orientamento sulle tecniche di immagine più recenti, compreso l’uso della PET a supporto della TC per la progressione di malattia (PD) e a conferma della CR. [8]

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Di seguito una tabella riassuntiva della differenza tra RECIST 1.0 e RECIST 1.1:

RECIST 1.0 RECIST 1.1 N° di lesioni

misurabili

1-10 (max 5 per organo) 1-5 (max 2 per organo)

Misurazioni Lesione tumorale non linfonodale (diametro maggiore)

Lesione tumorale non linfonodale (diametro maggiore)

Linfonodo (diametro minore): Target se ≥ 15 mm Non target se 10-14 mm Non patologico se < 10 mm Dimensione minima della lesione misurabile ≥ 10 mm (TC spirale) ≥ 20 mm (TC non spirale) Clinica: 20 mm Linfonodi: non menzionati ≥ 10 mm (TC)

≥ 15 mm (linfonodi, diametro minore) ≥ 20 mm (Rx torace)

Clinica: 10 mm (misurabile con un regolo) Considerazioni speciali sulla misurabilità delle lesioni Non presenti

Viene chiarita la misurazione per le lesioni ossee e cistiche

Criteri di risposta: lesioni target CR linfonodale non menzionata PD: aumento del 20% rispetto alla somma minore dei diametri maggiore o nuove lesione

CR linfonodo: se si riduce a < 10 mm PD: aumento del 20% (almeno 5 mm) rispetto alla somma minore o nuove lesioni Criteri di risposta: lesioni non target PD: viene considerata se compare una “inequivocabile

Viene spiegato in dettaglio che cosa si intende per “inequivocabile progressione”. Deve essere

(22)

19

Tabella 2 La tabella evidenzia le differenze tra i criteri RECIST 1.0 e 1.1

1.5 GCP: Good Clinical Practice

I. Cos’è la GCP

La Buona Pratica Clinica (Good Clinical Practice – GCP) è uno standard internazionale di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e relazionare gli studi clinici che coinvolgano soggetti umani. L’aderenza a questi standard di GCP garantisce pubblicamente non solo la tutela dei diritti, della salute, della sicurezza del benessere dei soggetti che partecipano allo studio e che devono prevalere sugli interessi della scienza e della società, ma anche l’attendibilità dei dati relativi allo studio clinico. La GCP, introdotta in Italia nel testo più aggiornato nel 1997 (D.M. 15 luglio 1997), ha l’obiettivo di fornire uno standard comune a Unione Europea (UE), Giappone, Stati Uniti, altri Stati e Organizzazione Mondiale della Sanità per facilitare la mutua accettazione dei dati clinici da parte delle relative autorità regolatorie e per far sì che le ispezioni per la verifica delle sperimentazioni dei farmaci siano condotte secondo gli stessi principi etici e metodologici. A tal fine, nell’ambito dell’Agenzia Italiana del Farmaco, opera uno specifico Ispettorato GCP che collabora con gli altri progressione” rappresentativa di un cambiamento globale della malattia e non solo di un aumento di una singola lesione

Criteri di risposta: nuove lesioni

Non presenti Nuova sezione sulle nuove lesioni

Risposta globale Tabella che integra lesioni target e non target

Due tabelle: una integra lesioni target e non e l’altra solo le lesioni non target Conferma della

CR o PR

Dopo almeno 28 gg Richiesta solo se l’end-point dello studio è la risposta

PET Nessuna definizione Può essere considerata a supporto della TC per la PD e a conferma della CR

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20

Ispettorati UE, con compiti di promozione delle GCP realizzata anche tramite cicli di formazione per gli sperimentatori. La GCP deve essere osservata, nei principi e nei dettagli, ogni qualvolta si producano dati sperimentali a fini registrativi; almeno i principi devono essere applicati nelle sperimentazioni cliniche non a fini commerciali. In particolare la GCP fornisce indicazioni tecniche e procedurali sulle attività del Comitato etico, del promotore della sperimentazione, dello sperimentatore, del farmacista, del responsabile della qualità delle sperimentazioni, nonché sui contenuti del protocollo sperimentale e del dossier contenente le informazioni sul farmaco sperimentale. [10]

Le linee guida GCP sono state rilasciate dall’ICH, International Conference on

Harmonisation, nata nel 1990 proprio per consentire l’armonizzazione fra le

diverse autorità competenti dei vari Paesi.

Le linee guida GCP sono allegate al D.M. 15 luglio 1997 (che si compone di 5 articoli e 2 allegati) e sono suddivise in 8 capitoli, che seguono una breve introduzione e che riguardano tutti gli aspetti fondamentali e gli attori coinvolti in una sperimentazione clinica [11]:

• Principi di GCP dell’ICH;

• Commissione di Revisione dell’Istituzione/Comitato Etico Indipendente (IRB/IEC);

• Sperimentatore; • Sponsor;

• Protocollo Sperimentale ed Emendamento/i al Protocollo; • Dossier per lo Sperimentatore;

• Documenti Essenziali per la Conduzione di uno Studio Clinico.

II. I 13 principi di GCP

I principi di GCP sono 13 di cui 10 ripresi dalla Dichiarazione di Helsinki: • conformità degli studi alla Dichiarazione di Helsinki, alla GCP e alla

normativa;

• valutazione del rischio vs beneficio atteso per il soggetto e per la società: il beneficio atteso deve giustificare il rischio;

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21

• i diritti, il benessere e la sicurezza dei pazienti devono essere prevalenti rispetto agli interessi della scienza e della società;

• i dati clinici e non disponibili devono essere adeguati a supportare lo studio;

• lo studio deve essere scientificamente valido (protocollo chiaro e dettagliato);

• la conduzione dello studio deve essere conforme al protocollo approvato da IRB/IEC;

• le cure e le decisioni di natura medica sono prese dallo sperimentatore e sotto la sua responsabilità;

• il personale che partecipa allo studio deve essere qualificato;

• il consenso informato deve essere liberamente fornito dal soggetto prima della partecipazione allo studio;

• la riservatezza dei documenti che potrebbero identificare i soggetti deve essere garantita.

Ai 10 principi tratti dalla Dichiarazione di Helsinki se ne aggiungono 3 innovativi:

• tutte le informazioni devono essere registrate, trattate e conservate in modo da permettere un resoconto accurato, interpretazione e verifica anche a studio completato;

• il prodotto in sperimentazione deve essere fabbricato in GMP (Good Manufacturing Practice) ed usato secondo quanto indicato nel protocollo approvato;

• l’attuazione dei sistemi deve prevedere procedure che garantiscano la qualità di ogni aspetto dello studio.

III. Le figure principali in uno studio clinico

La GCP identifica e definisce le principali figure nello studio clinico:

• sperimentatore: persona responsabile della conduzione dello studio clinico presso un centro di sperimentazione. Se uno studio viene condotto da un gruppo di persone in un centro, lo sperimentatore è il

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22

responsabile del gruppo e può essere chiamato Sperimentatore principale;

• aiuto- sperimentatore (co-sperimentatore): ogni singolo membro (associato, interno, ricercatore) di un team di ricerca clinica designato e supervisionato dallo sperimentatore, presso il centro per eseguire procedure di rilevanza critica per la sperimentazione e/o per prendere decisioni importanti in relazione alla sperimentazione;

• sponsor: un individuo, una società, un’istituzione oppure un’organizzazione che, sotto la propria responsabilità, dà inizio, gestisce e finanzia uno studio clinico;

• Comitato Etico Indipendente (IEC): una struttura indipendente, costituita da medici e membri non medici, responsabile di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti dello studio e di fornire pubblica garanzia di tale protezione. Tale struttura è responsabile di rivedere e approvare il protocollo di studio;

• Commissione di Revisione dell’Istituzione (IRB): una struttura indipendente costituita da medici, scientifici e non, responsabile di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti che prendono parte ad uno studio, attraverso l’approvazione e la revisione costante del protocollo dello studio e dei suoi emendamenti, oltre che dei metodi e dei materiali da utilizzare per ottenere e documentare il consenso informato dei soggetti coinvolti dallo studio;

• Autorità Regolatorie: organismi che hanno il potere di emanare disposizioni normative. Il termine si riferisce anche alle autorità che effettuano una revisione dei dati clinici dello studio e che eseguono ispezioni.

(26)

23

1.6 Protocolli oncologici gestiti dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

L’azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana rappresenta un’eccellenza in molti campi tra cui quello oncologico, nel quale, nel corso degli anni, sono stati raggiunti molti successi grazie alla dedizione e al cospicuo numero di studi condotti.

Di seguito una tabella riassuntiva dei protocolli in atto e di prossima attivazione riguardanti pancreas, stomaco, fegato, polmone, vie biliari, colon retto, vescica, prostata e mammella.

PATOLOGIA

STUDIO DISEGNO AZ. FARM.SPONSOR STATO ORGANO DETTAGLIO PANCREAS Adenocarcinoma pancreatico; mGPS of 1 or 2 JANUS 1 INCYTE INCB 18424-362, Phase III, II Linea RUXOLITINIB vs

Capecitabine INCYTE Arruolamento chiuso

PANCREAS Adenocarcinoma pancreatico; pazienti resecati APACT ABI-007-PANC-003 Phase III adiuv. Gem +/- nab®-Paclitaxel

CELGENE Arruolamento chiuso

PANCREAS pancreatico metastatico Adenocarcinoma

MM-398-07-02-03 Phase II I linea - (Arm 1) nal-IRI + 5-FU/LV+ Oxaliplatino '- (Arm 2) nal-IRI + 5-FU/LV '- (Arm 3) nab-paclitaxel + gemcitabine

MERRIMACK Prossima attivazione

PANCREAS pancreatico metastatico Adenocarcinoma

PCYC-1137-CA Phase II/III I linea Ibrutinib/placebo + Gem+Nab-pac PHARMACYCLICS In arruolamento

GASTRICO Carcinoma gastrico HER 2 + avanzato

JACOB BO25114 Phase III I linea Pertuzumab / Placebo + TRASTUZUMAB+CT

HOFFFMANN- ROCHE Arruolamento chiuso

GASTRICO

Adenocarcinoma gastrico e GEJ metastatico o localmente

avanzato; HER2 -; tessuto disponibile per la

valutazione di PD-L1.

MK 3475 061 Phase III II linea dopo platino

o fluoropirimidine

Pembrolizumab vs Paclitaxel

(27)

24 GASTRICO Adenocarcinoma gastrico e GEJ metastatico; HER2 - RAINFALL I4T-MC-JVCU Phase III I linea metastatico Ramucirumab / Placebo

+ Cape (5FU) + Cisplatino ELI LILLY Arruolamento chiuso

GASTRICO Adenocarcinoma gastrico e GEJ inoperabile, localmente avanzato o metastatico; HER2 - GS-US-296-1080 Phase III I Linea MTS GS-5745 / Placebo

+ mFOLFOX6 GILEAD Prossima attivazione

GASTRICO Adenocarcinoma gastrico e GEJ metastatico EMR 100070-008 Phase III III Linea MTS BSC + Avelumab VS BSC + Physician's choice

MERCK SERONO Attivo

GASTRICO

Adenocarcinoma gastrico e GEJ refrattario

a trattamenti standard.

TO-TAS-102-302 (TAGS) Phase III III linea

TAS-102 vs Placebo TAIHO Attivo

HCC

BAYER 15982 Phase III II linea after

Sorafenib

Regorafenib / Placebo BAYER Arruolamento chiuso HCC HCC non resecabile; MET high

ARQULE 197

METIV Phase III II Linea

Tivantinib / Placebo DAICHI/ARQULE Arruolamento chiuso

POLMONE NSCLC; EGFR +

AFATINIB BI 1002.55 Phase III pz EGFR-MUTATO

Afatinib BOEHRINGER Arruolamento chiuso

POLMONE espressione di PD-L1 NSCLC squamoso;

GO 29437 Phase III I Linea squamous

MPDL3280A GENTECH/ROCHE In arruolamento

POLMONE NSCLC non squamoso

DENALI (M18-007) Phase II

I linea adenocarcinoma

CT +/-Demcizumab PHARMACEUTICALS ONCOMED In arruolamento

POLMONE NSCLC non squamoso; espressione di PD-L1

GO 29436 Phase III - I Linea

non squamous

MPDL3280A GENTECH/ROCHE In arruolamento POLMONE

NSCLC; stadio IIIb/IV, EGFR

mutati

SOLAR-2(8273-CL-0302) Phase III I linea EGFR mutati

ASP8273 vs Erlotinib /

Gefitinib ASTELLAS Prossima attivazione

POLMONE NSCLC metastatico, PD-L1+ EMR 100070-005 Phase III I Linea NSCLC PDL1+ Doppietta Platino VS Avelumab

MERCK SERONO Prossima attivazione

COLANGIO CA Colangiocarcinoma intraepatico; FGFR2 Gene fusion

ArQule 087-101 Phase I/II ARQ 087 II linea

FGFR mutati

ARQ 087 ARQULE In arruolamento

COLANGIO CA metastatico o avanzato Colangiocarcinoma

I3O-MC-JSBF Phase II I linea Ramucirumab / Merestinib / Placebo + Gem + Cis

(28)

25

COLON RETTO carcinoma colorettale metastatico

2012-PT023 Phase III

IV linea in poi Placebo vs Xilonix XBIOTECH In arruolamento

COLON RETTO carcinoma colorettale metastatico

CL2-95005-002 Phase II I linea Tas- 102 + Bevacizumab vs Capecitabina + Bevacizumab

SERVIER Prossima attivazione

COLON RETTO localmente avanzati o Tumori Solidi metastatici

RXDX-101-02 Phase II IV linea in poi

Entrectinib IGNYTA Prossima attivazione

COLON RETTO

Carcinoma colorettale metastatico KRAS, NRAS e BRAF wild

type pretrattato con irinotecan

CRICKET Phase II III linea

cetuximab + irinotecan NO PROFIT Attivo

COLON RETTO

Carcinoma colorettale metastatico RAS e

BRAF wild type

ERMES Phase III I linea

FOLFIRI+cetuximab/ FOLFIRI+cetuximab per 8

settimane seguito solo da cetuximab

NO PROFIT Attivo

COLON RETTO Carcinoma colorettale metastatico non resecabile TRIBE Phase III I-II linea FOLFOXIRI + bevacizumab fino a progressione seguito da FOLFOXIRI + bevacizumab versus FOLFOX + bevacizumab fino a progressione seguito da FOLFIRI + bevacizumab

NO PROFIT Attivo

COLON RETTO

Carcinoma colorettale Metastatico RAS wild

type VALENTINO Phasse II I linea FOLFOX-4 + panitumumab seguito da 5-FU/LV + panitumumab o solo panitumumab NO PROFIT Attivo

VESCICA Tumore metastatico o non resecabile JNJ-42756493 Phase II, I Linea two dose of JNJ-42756493 JANSEEN Prossima attivazione VESCICA Tumore urotelialte

invasivo ad alto rischio CA209274 Phase III Nivolumab vs placebo BRISTOL MYERS SQUIBB Attivo PROSTATA metastatico castrazione-Tumore prostatico

resistente

AR targeted agent Phase IV II Linea

Cabazitaxel vs AR targeted

agent SANOFI In arruolamento

PROSTATA metastatico castrazione-Tumore prostatico resistente JNJ-56021927 Phase III, I Linea JNJ-56021927+ Abiraterone+Prednisone VS Abiraterone + Prednisone

JANSEEN Arruolamento chiuso

PROSTATA

Tumore prostatico metastatico

castrazione-resistente naive al trattamento ormonale

ADT Phase III,

Naive ADT + ABIRATERONE+ PREDNISONE VS ADT JANSEEN Arruolamento chiuso

PROSTATA metastatico castrazione-Tumore prostatico resistente

JNJ-56021927 Phase III, II Linea

JNJ-56021927+ ADT VS

ADT JANSEEN Attivo

PROSTATA

Tumore prostatico metastatico

castrazione-resistente

Masitinib Phase III, I Linea

masitinib+docetaxel vs

Placebo+ docetaxel AB SCIENCE

Momentaneamente bloccato PROSTATA metastatico castrazione-Tumore prostatico

resistente

Olaparib Phase II II Linea

Olaparib VS Placebo ASTRAZENECA Arruolamento chiuso

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26

Tabella 3 Tabella riassuntiva dei protocolli condotti dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. MAMMELLA Tumore: - metastatico - R0 - HER2 negativo

BELLE3 Phase III BMK 120 or placebo+ fulvestrant NOVARTIS Arruolamento chiuso

MAMMELLA Tumore metastatico HER2negativo BELLE2 Phase III CBKM120F2302 BMK 120 or placebo+ fulvestrant NOVARTIS Arruolamento chiuso MAMMELLA Tumore metastatico RO HER2negativo Monnaleesa2 Phase III, I linea LEE011 or placebo+

letrozolo NOVARTIS Arruolamento chiuso MAMMELLA Tumore metastatico HER2 positivo PEREX, EA 3513/2012 Pertuzumab +/- CT ROCHE Arruolamento chiuso

MAMMELLA Tumore: - RO - HER2 positivo; - metastasi ossee negative BAY 17062 Phase II random Xofigoo placebo +

Exemestane+ everolimus BAYER In arruolamento MAMMELLA Tumore metastatico triplo negativo COLET Phase III, I linea Cobimetinib o placebo + paclitaxel ROCHE In arruolamento MAMMELLA Tumore metastatico ER positivo CLEE011X2107 Phase Ib/II LEE011 and BYL719 with letrozole NOVARTIS Attivo MAMMELLA Tumore metastatico HER2positivo Sophia Phase II, III linea Margetuximab or placebo + CT ROCHE Attivo MAMMELLA Tumore metastatico HER2positivo HERMIONE Phase II, II-III linea Trastuzumab+ MM302 Trastuzumab + CT vs. PHARMACEUTICALS MERRIMACK Prossima attivazione MAMMELLA Tumore metastatico triplo negativo CDX01104 Phase METRIC

III, II-III linea

Glembatumumab vedotin

(CDX011) vs capecitabina CELLDEX THERAPEUTICS Attivo

MAMMELLA

Tumore: - BRCA1 o 2 mutato in

neoplasia localmente avanzata e/o metastatica

con precedente CT per metastasi

673-301 Phase III

Talazoparib(MDV 3800/BMN 673) vs terapia

di supporto

MEDIVATION Prossima attivazione

MAMMELLA

Tumore metastatico, factor receptor 2-

negativo

GIM 11, Phase II,

II Linea Eribulina + Beva cizumab NO PROFIT Arruolamento chiuso

MAMMELLA

Tumore R+, HER2-, localmente avanzato o metastatico in donne in post menopausa trattate precedentemente con NSAI GIM 16-FEVEX Phase III Fulvestrant+everolimus+ examestane versus examestane + everolimus+ fulvestrant NO PROFIT Attivo TUMORI NEUROENDOCRINI neuroendocrini torace

ben differenziato ATLANT, Phase II lanreotide+temozolomide IPSEN Attivo MELANOMA melanoma metastatico con mutazione Braf

V600

Columbus, Phase III MEK162 e LGX818 in LGX818 + monoterapia

NOVARTIS Arruolamento chiuso

MELANOMA melanoma stadio III/IV Ca209401, Phase III, I Linea Nivolumab/Ipilimumab BRISTOL MYERS SQUIBB Attivo MELANOMA melanoma metastatico EMR200647-001 Phase I MSB0011359C MERCK Prossima attivazione

(30)

27

Di seguito una tabella riassuntiva dei protocolli ginecologici:

PATOLOGIA

STUDIO DISEGNO AZ. FARM.SPONSOR STATO ORGANO DETTAGLIO

OVAIO Ca ovarico avanzato

AGO-OVAR 12 LUME-Ovar 1

BI1199.15

Terapia di I linea

CT+ bibf 1120 Boehringer Ingelheim aperto

OVAIO

Ca sieroso ovarico ricorrente o Persistente o tube di falloppio

o peritoneale primario

MILO - ARRAY PR-30-5011-C

Terapia MEK I62 o

CT Tesaro aperto

OVAIO

Ca ovarico epiteliale, peritoneale primario o tube di

falloppio TRINOVA-3 AMGEN 20101129 ENGOT-OV 2 Terapia di I linea AMG 386 + paclitaxel

+ carbolatino Amgen aperto

OVAIO platino-sensibile recidivato Ca ovarico recidivante dopo 6-12 mesi

INOVATYON Trabecidina+ PLD Versus Carboplatino + PLD

no profit aperto

OVAIO Ca ovarico epiteliale platino-sensibile MANGO 1 MITO- terapia di I linea CT + bevacizumab no profit aperto

OVAIO epiteliale platino-sensibile Recidiva di Ca ovarico MANGO 2 MITO- CT + o - bevacizumab terapia di II linea con no profit aperto

UTERO Leiomiosarcoma metastatico o localmente recidivante pretrattato con CT convenzionale TAUL 2009-016017-24 trabectedina o gemcitabina +

docetaxel no profit aperto

OVAIO Ca ovarico avanzato o tube di falloppio o peritoneale

primario PAOLA-1 OLAPARIB I linea no profit

prossima attivazione Tabella 4 Tabella riassuntiva dei protocolli ginecologici condotti dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

(31)

28 CAPITOLO II

Il carcinoma colo-rettale

2.1 Presentazione e diagnosi

Il carcinoma colorettale rappresenta una delle principali cause di morbosità e mortalità per neoplasia in tutti i Paesi occidentali ed è secondo come causa di morte sia negli uomini, dopo la neoplasia del polmone, sia nelle donne, dopo il carcinoma della mammella. Si riscontrano 678.000 nuovi casi l’anno nel mondo, 150.000 in Europa e 30.000 in Italia. Allo stato attuale, nonostante questa neoplasia presenti elevati livelli di curabilità rispetto a quelle insorgenti in altri distretti dell’apparato digestivo, la sopravvivenza a 5 anni si attesta mediamente sul 40 - 50 %, potendo raggiungere l’80 - 90 % nelle forme precoci. È ben dimostrata l’importanza di fattori costituzionali e genetici (es.: alta frequenza in alcune popolazioni rispetto ad altre, elevatissima incidenza nelle famiglie con individui portatori di poliposi familiare), come pure della qualità e della quantità dei cibi ingeriti.

Un’alimentazione povera di fibre vegetali può favorire l’insorgenza di un carcinoma del colon-retto (le fibre, dando luogo a un transito intestinale accelerato, diminuiscono il tempo di contatto della mucosa con eventuali cancerogeni), come pure una dieta ricca in grassi; anche una dieta iperproteica è in grado di alterare la flora batterica del colon (prevale la crescita degli anaerobi, capaci di trasformare i sali biliari in cancerogeni, rispetto agli aerobi). Le localizzazioni prevalenti del cancro del colon (70% circa) sono il sigma e il retto. I fattori di rischio si dividono in quelli ambientali e in quelli ereditari:

Ø ambientali: • età;

(32)

29 • obesità;

• fumo/alcool;

• condizione sociale medio-alta. Ø ereditari:

• Poliposi Adenomatosa Familiare (PAF): è autosomica dominante caratterizzata dalla presenza di numerosissimi polipi adenomatosi localizzati soprattutto a carico del colon sinistro. I polipi non sono presenti alla nascita ma si evidenziano nella adolescenza avanzata superando in diversi casi il numero di mille. Tutti i soggetti affetti da questa patologia sono destinati a sviluppare nell’arco della loro vita un carcinoma del colon-retto;

• Sindrome di Gardner: è simile ma meno frequente della PAF (1 su 14.000 nascite); è caratterizzata dalla copresenza di polipi dell’intestino tenue, di tumori desmoidi del mesentere e della parete addominale, di lipomi, di cisti sebacee, di osteomi e di fibromi; è una malattia autosomica dominante; [12]

• Sindrome di Turcot: è una variante PAF, una malattia rara su base ereditaria caratterizzata dalla formazione di molti polipi intestinali in giovane età, sui quali aumentano le probabilità che si sviluppi un cancro del colon: si parla di sindrome di Turcot quando a questa condizione intestinale si associano tumori cerebrali; [13]

• Sindrome di Lynch: detta anche cancro colorettale ereditario non poliposico (HNPCC), è una patologia autosomica dominante che, diversamente dalla PAF, dove la predisposizione alla malattia è data dalla presenza di polipi, si caratterizza per lo sviluppo direttamente della neoplasia intorno ai 45 anni di età. Si divide in due forme: Lynch 1 con esclusiva localizzazione colorettale e Lynch 2 con associate altre possibili neoplasie dell’endometrio, delle ovaie, dello stomaco, del tratto urinario e delle vie biliari.

(33)

30

Si aggiungono, inoltre, altri fattori predisponenti: colite ulcerosa, morbo di

Crohn, precedente patologia neoplastica maligna, irradiazione pelvica e

displasia/adenoma.

Data l’elevata incidenza del carcinoma colorettale, i programmi di screening hanno acquisito una notevole importanza, poiché una precoce individuazione di una lesione superficiale e localizzata in soggetti asintomatici aumenta l’efficacia della terapia chirurgica.

Questi programmi vengono consigliati soprattutto a individui con familiari di primo grado affetti dalla neoplasia; il tal caso lo screening inizia dieci anni prima rispetto al soggetto senza familiarità (è previsto all’età di 50 anni).

La maggior parte dei programmi volti all’individuazione precoce del cancro colorettale ha posto l’accento sull’esplorazione rettale digitale e la ricerca del sangue occulto fecale. Lo sviluppo del test Hemoccult ha facilitato notevolmente la ricerca di sangue occulto nelle feci; sfortunatamente, anche quando eseguito in maniera ottimale, presenta importanti limitazioni. Approssimativamente il 50% dei pazienti con cancro colorettale documentato mostra un test Hemoccult fecale negativo, legato alle caratteristiche di sanguinamento intermittente di questi tumori. Inoltre, sono stati riscontrati tumori colorettali solo in meno del 10% di quei soggetti “positivi al test”, mentre sono stati evidenziati polipi benigni in un ulteriore 20-30%; di conseguenza, non risulterà una neoplasia colorettale nella maggior parte degli individui asintomatici con sangue occulto nelle feci. Ciò nonostante, i soggetti positivi dovrebbero necessariamente essere sottoposti a ulteriori indagini comprendenti la sigmoidoscopia, il clisma opaco e/o la coloscopia. Attualmente, l’American Cancer Society consiglia la ricerca del sangue occulto nelle feci con il test Hemoccult ogni anno e l’esecuzione della sigmoidoscopia con strumento flessibile ogni 5 anni a partire dai 50 anni nei soggetti asintomatici che non presentano fattori di rischio per cancro colorettale. L’American Cancer Society ha proposto un “esame totale del colon”(colonscopia o clisma opaco a doppio contrasto) ogni 10 anni come alternativa al test Hemoccult associato alla sigmoidoscopia con strumento flessibile. La coloscopia, inoltre, si è dimostrata superiore al clisma opaco al doppio contrasto nello screening e più sensibile nell’identificazione di adenomi

(34)

31

villosi, displastici o carcinomi rispetto alla ricerca del sangue occulto e alla sigmoidoscopia con strumento flessibile. [14]

I sintomi dipendono dallo stadio e dalla sede della neoplasia. Nel cieco e nel colon destro sono più tardivi e il primo segno può essere un’anemia microcitica da perdita ematica cronica, la comparsa di astenia o di dispnea da sforzo, un calo ponderale inspiegato. Nei tumori più distali, retto e sigma, l’esordio può essere un sanguinamento acuto che tende a ripetersi, un fastidio addominale, un tenesmo rettale. La comparsa di una massa palpabile o di sintomi ostruttivi quali dolore addominale crampiforme, modiche alterazioni dell’alvo e disturbi urogenitali sono sintomi più tardivi. I principali segni e sintomi e la loro frequenza sono: sanguinamento occulto (58%), anemia (57%), dolore addominale (52%), calo ponderale (39%), stipsi e anoressia (27%), diarrea (22%), nausea e vomito (22%) e tenesmo (10%). Le principali complicanze sono: sanguinamento acuto e cronico, occlusione, perforazione, invasione e compressione di strutture adiacenti, metastasi locali (peritoneo, linfonodi) e a distanza (fegato, polmoni, encefalo e ossa). [15]

Il primo approccio, nel caso di rettorragia o tenesmo rettale di recente insorgenza, è l’esplorazione rettale. Tuttavia, la conferma diagnostica di neoplasia è in genere facilmente ottenibile con colonscopia o con clisma a doppio contrasto, che dimostrano la presenza di un polipo in genere di dimensioni superiori a 1-2 cm a superficie irregolare o di una massa ulcerata facilmente sanguinante o di una lesione anulare stenosante. Mediante la colonscopia si possono eseguire biopsie delle lesioni per la diagnosi istologica: nel 95% dei casi si tratta di un adenocarcinoma, il rimanente 5% è rappresentato da linfomi, carcinoidi o altro.[15]

Nei pazienti, invece, in cui non è possibile l’introduzione di sonde a causa di un’ostruzione che ne blocca il passaggio, non consentendo, quindi, un’adeguata conferma diagnostica, ha un ruolo di sempre maggiore importanza la coloscopia virtuale; quest’ultima è una metodica non invasiva, condotta al computer utilizzando immagini di tomografia computerizzata che permette di visualizzare irregolarità di superficie e se presenti di valicare eventuali stenosi o ostruzioni.[16]

(35)

32

Gli esami di laboratorio, compreso il dosaggio dei cosiddetti antigeni tumorali (CEA, CA19-9 e altri) sono di scarsa utilità diagnostica. Il CEA può aumentare in varie condizioni fisiologiche (fumatori) e patologie (epatopatie); nel carcinoma colorettale valori elevati di CEA possono comparire tardivamente o essere assenti, ma la loro presenza o ricomparsa nel postoperatorio ha significato prognostico sfavorevole. [15]

2.2 Trattamento

L’approccio previsto è differente a seconda delle dimensioni della neoplasia e dei distretti interessati.

Il trattamento endoscopico di gran lunga più frequente è sicuramente la polipectomia, che consiste nella rimozione dei polipi adenomatosi utilizzando diverse soluzioni tecniche; è una metodica che può essere utilizzata con esito positivo in un’alta percentuale di casi (84-89%) ed è gravata da alcune rare complicanze. La più frequente è il sanguinamento (2-3%) e la più grave la perforazione (0,4-0,6%). La polipectomia è una procedura terapeutica indipendente dal grado di displasia o dalla presenza di un carcinoma intramucoso, che non è ancora in grado di metastatizzare.

L’endoscopia ha un ulteriore ruolo terapeutico nel caso di un’occlusione intestinale da una neoplasia stenosante sia come preparazione ad un intervento di resezione in elezione, che come palliazione definitiva in caso di pazienti con una breve aspettativa di vita.

Nel caso di neoplasia infiltrante, interessamento vascolare o di lesione scarsamente differenziata il solo trattamento curativo è rappresentato dall’exeresi chirurgica completa del tumore con margini di resezione di circa 5 cm, del mesocolon e dei linfonodi regionali. In condizioni di elezione l’intervento consiste in una resezione segmentaria del colon e del retto seguita da un’anastomosi immediata.

L’infiltrazione di organi adiacenti si verifica nel 5-10% dei casi, con classificazione T4. Se è possibile effettuare un intervento R0 (assenza di residui

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tumorali) bisogna eseguire una resezione in blocco della neoplasia e del viscere adiacente, anche se l’infiltrazione solo in poco più della metà dei casi è di tipo tumorale, mentre nei restanti è di natura infiammatoria. Tuttavia tale tecnica va privilegiata perché è possibile ottenere una sopravvivenza a 5 anni che va dal 40 all’80%.

Il fegato rappresenta una delle maggiori sedi metastatizzanti del carcinoma colorettale; se le metastasi epatiche possono essere rimosse in maniera radicale, cioè con un buon margine di sicurezza, si possono ottenere delle sopravvivenze a 5 anni interessanti (25-30%) al prezzo di mortalità operatoria modesta (2-5%). Nel caso di metastasi sincrone operabili non esistono attualmente delle linee guida codificate in merito all’esecuzione in un unico tempo o in modo sequenziale della resezione della neoplasia primitiva e delle metastasi. Ambedue le soluzioni comportano vantaggi e svantaggi. Allo stato attuale si esegue una resezione epatica simultanea se l’exeresi non richiede un’epatectomia maggiore (più di tre segmenti) e quindi non aggrava i rischi operatori. In tutti gli altri casi si preferisce un trattamento sequenziale inframmezzato da una chemioterapia sistemica. [17]

Un ruolo sempre di maggior importanza sta acquisendo la terapia sistemica dove il farmaco più utilizzato, in quanto più efficace, rimane il 5-fluorouracile (5-FU), soprattutto se associato all’acido folinico (leucovorin), che aumenta presumibilmente il legame del 5-FU al suo enzima bersaglio, la timidilato sintetasi.

Il 5-FU viene somministrato per via endovenosa, ma può essere sostituito da una pirimidina orale, la capecitabina (Xeloda), con efficacia sovrapponibile. [18] L’irinotecan, un inibitore specifico delle topoisomerasi 1, prolunga la sopravvivenza rispetto alle sole cure palliative nei pazienti con progressione di malattia durante il trattamento con 5-FU. Inoltre, la somministrazione d’irinotecan in associazione con 5-FU e leucovorin (LV) incrementa il tasso di risposta e la sopravvivenza nei soggetti con malattia metastatica. Il regime

FOLFIRI è il seguente: 180 mg/m² d’irinotecan in infusione di 90 min al giorno

1; 400 mg/m² di LV in infusione di 2 ore durante la somministrazione di irinotecan , immediatamente seguito da un bolo di 400 mg/m² di 5-FU e dalla

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