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La presenza degli Istituti di vita attiva nella Città secolare

Nel documento DI RINNOVAMENTO (pagine 137-140)

ALCUNI ASPETTI MAGGIORI DELLA VITA RELIGIOSA

B) LA VITA RELIGIOSA NELLA CITTÀ SECOLARE

6. La presenza degli Istituti di vita attiva nella Città secolare

46. Giungiamo all'ultima tappa di questo breve studio sul rap-porto vita religiosa-mondo, quella che tocca direttamente gli Isti-tuti di vita attiva. Cosa possono e devono fare per portare il loro contributo a questa nuova presenza della Chiesa nel mondo, per esserle di aiuto nella sua missione di « salvare veramente il mon-do », di « santificare il profano »? Due tipi di problemi si pon-gono, che toccano sia le loro opere, sia la loro vita.

a) Agire nella Città secolare?

Gli Istituti di vita attiva hanno delle comunità costltmte, spesso delle « opere », dei tipi determinati di attività pastorale o caritativa: cosa fare con tutto questo per servire il meglio pos-sibile, e secondo il proprio carisma la missione che la Chiesa ha intrapreso per il mondo attuale? Forse gli Istituti secolari possono dare loro qualche indicazione: la presenza dei loro membri nel mondo è attuata con un inserimento totale. Anche se i religiosi

« attivi » non possono farlo in questo grado, forse sono invitati ad entrare nello stesso movimento.

47. La Chiesa certo ha i suoi bisogni « interni » che non può trascurare. Però il Concilio l'ha lanciata nell'avventura « missio-naria» (nel senso largo della parola): colla stessa decisione con cui venti secoli fa san Paolo andava verso le nazioni pagane, vuole oggi incontrare la Città secolare per trasmetterle il van-gelo della salvezza. Gli Istituti attivi debbono interrogarsi di fronte a questo fatto, che implica diversi orientamenti.

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1) Dove andare a lavorare? Un tempo, la ·maggioranza delle attività e opere erano al servizio dei cristiani.- Oggi bisogna an-dare al di là delle frontiere della Chiesa-Isti~one e tentare d'incontrare ogni uomo della città secolare, ogni non-credente.

2) Qual genere di lavoro occo"e fare? Qual tipo di servizio rendere? Un tempo si lavorava in opere caritative precise: ospe-dali, orfanotrofi... con cui si annunciava il Messia salvatore. Oggi queste opere devono ampliarsi in modo da raggiungere la latitu-dine di tutti i bisogni e problemi della Città secolare. Da una parte bisogna salvare l'uomo secolare nella sua secolarità stessa, perché il suo progresso è ambiguo e può essere orientato alla distruzione dell'uomo. Bisogna aiutarlo nella riuscita di tutte le sue imprese (scientifiche, tecniche, socio-economiche, politiche) ma col lievito del Vangelo. D'altra parte, non si può più annun-ziare il Cristo« dall'alto», con verità che costituirebbero un siste-ma a parte, anche edificante: bisogna partire da tutte le realtà della vita più ordinaria e mostrare che il Cristo viene a rivelare il loro ·senso ultimo e ad apportare una salvezza che morde la vita concreta (vedere studio previo II nn. 41-43-4.5).

3) Come fare questo lavoro? Un tempo, questo lavoro ve-niva fatto in istituzioni cristiane. Oggi, in molti casi, occorre op-tare per un'azione di animazione cristiana delle istituzioni seco-lari; raggiungere le persone in seno alle strutture in cui sono na-turalmente inserite, e fors'anche accettare attività secolari di vasta risonanza.

La risposta cioè concreta a queste domande non può essere che

«pluralista», ossia suggerita dallo studio attento delle urgenze.pa-storali locali e delle forze a disposizione, ed in armonia con gli orientamenti dati dalla Chiesa locale ed universale. In certi casi, bisognerà orientare o trasformare opere e attività esistenti. In altri, bisognerà inventare forme nuove. Sembra che nessuna at-tività (purché conforme alla missione propria) si debba scartare.

Pare che ogni esperienza possa essere affrontata.

b) Vivere nella Città secolare?

48. Viene infine il problema della coerenza tra lo scopo dell'Isti-tuto e il modo di vivere dei suoi membri come persone singole e come comunità. Si capisce che i religiosi « attivi » non vogliono 136_

più essere quasi-monaci, né conservare la fissità tradizionale del loro « stato» con tutta la sua speciale « sacralità ». Si è parlato della « secolarizzazione della vita religiosa » stessa. Se ben ca-pita, l'espressione è valida: indica questa ricerca di vivere col proprio tempo, pet partecipare al suo ritmo, alle sue imprese più

«umane», alle sue pene e gioie; indica questa ricerca, animata dal desiderio di scartare tutto ciò che nei modi di pensare, di parlare, e di vivere, rende estraneo agli altri o poco accogliente nei confronti degli altri. Non può mai significare l'abbandono della consacrazione religiosa, né delle esigenze della missione, né della necessità di urtare a volte un mondo che non sempre · ac-cetta Cristo e la sua Chiesa (quindi secolarizzazione con limiti!).

1) In questo contesto e in · stretto legame con il compimento della missione stessa, si pone oggi con vivacità la questione dei tipi di comunità e del loro inserimento nel secolo: « fraternità » evangeliche, presenti a tutti gli ambienti, soprattutto poveri, in case accoglienti, o anche comunità separata dall'istituzione dove lavora.

2) Altri aspetti di una possibile secolarità: atteggiamenti so-ciali: abito, linguaggio, usanze, accoglienza, contatti con il per-sonale femminile, _con la famiglia, il tempo libero, il rifiuto di . privilegi... Partecipazione culturale: uso dei mezzi di comunica-zione sociale (loro importanza per gli educatori e gli insegnanti...).

Impegni economici o politici (extrapartitici): ci sono dei religiosi al lavoro, in piena coerenza con la pa.storale d'insieme della zona;

ci sono delle religiose, per es. in USA, le cui costituzioni con-templano il dovere di partecipare alla lotta civica per la difesa dei diritti dei più poveri...

3) Tutto questo, per essere vissuto «religiosamente» con una presenza « viva e qualificata», pone delle esigenze, almeno le tre seguenti che devono essere chiarissime: 1) una fedeltà in-discutibile alla castità, alla povertà e all'ubbidienza; 2) una vera vita comunitaria, resa possibile dalla sistemazione di un luogo di raccoglimento per la preghiera, il lavoro personale, gli in-contri fraterni; 3) infine una formazione adeguata, che dia una viva sensibilità apostolica, il senso della prudenza umana e cri-stiana ... , in una parola, una fede vigorosamente interiorizzata, nel senso di ciò che diceva San Vincenzo de Paoli alle Figlie della 137

Carità: « Avete come convento la casa dei poveri, come cella la vostra camera affittata, come cappella la Chiesa parrocchiale, come chiostro le strade della città, come clausura l'ubbidienza, come cancello il timor di Dio, come velo la santa modestia».

49. Conclusione della Prima Parte (A e B): Incidenze sul

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