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La prima applicazione del SIA e del REIS nel Comune di Sassar

CAPITOLO 3 – IL PROGRAMMA SIA E REIS NEL COMUNE DI SASSAR

3.4. La prima applicazione del SIA e del REIS nel Comune di Sassar

I dati disponibili sul Sia, rilevati a partire dall'avvio della misura sino al 30/05/2017, comprendono n. 754 famiglie in possesso dei requisiti minimi per accedere alla misura. Di queste 351 hanno ottenuto un punteggio superiore a 45 punti; 269 un punteggio compreso tra 25 e 45 punti; e ben 134 un punteggio inferiore a 25. Di fatto, quindi, sono 134 le persone escluse dal beneficio per non aver raggiunto il punteggio minimo necessario.

L'attività preparatoria per il Sia ha richiesto un grande impegno a tutti gli operatori del Settore Coesione Sociale e Pari Opportunità del Comune di Sassari. La misura è parsa calata dall'alto e imposta senza che prima venisse costruita la rete istituzionale e professionale indispensabile a gestirla. All'apertura dei termini, fissata per il 2 settembre 2016, si sono riversati al servizio per presentare la domanda migliaia di persone che, pur non essendo sempre in possesso dei requisiti necessari, hanno preteso che la loro istanza fosse comunque consegnata.

Per far fronte a questa affluenza, si è dovuto improvvisare un gruppo di lavoro specifico dedicato all'accoglienza delle istanze, al supporto nella loro compilazione e al successivo

caricamento sulla piattaforma Inps. Il caricamento è stato problematico in quanto alcuni problemi tecnici riconducibili alla piattaforma informatica fornita al Comune hanno impedito l'invio delle domande all’INPS per diverso tempo.

Anche successivamente alla risoluzione di questi problemi, sono sperimentate ulteriori difficoltà di comunicazione con l'Inps. Ancora oggi non chiari i motivi per cui alcune carte vengono bloccate. Inutili sono parse a questo riguardo le numerose richieste di chiarimento inviate dal Comune all'INPS che ad oggi non hanno avuto risposta. E' da rilevare la presenza, quindi, di un numero crescente di persone che pur avendo precedentemente beneficiato dell'intervento, oggi se lo vede sospendere senza che il Comune riesca a fornirgli in merito una chiara spiegazione. E' evidente come questo generi sentimenti di rabbia e frustrazione che si ripercuotono negativamente nel già difficile rapporto della cittadinanza con l'Istituzione locale.

Anche l'implementazione della parte attiva del programma ha incontrato notevoli criticità. L'invio del progetto per l'accesso ai fondi comunitari aveva infatti scadenza il 31.12.2016. Il tempo di elaborazione, da una parte limitato rispetto alla complessità della progettazione richiesta, ha d'altra parte comportato uno slittamento nell'elaborazione dei progetti personalizzati dal momento che gli stessi sono parsi sin da subito imprescindibilmente legati alla presenza delle equipe multiprofessionali e alla possibilità di attivare interventi di inclusione attiva.

Solo una piccola parte di progetti è stata pertanto elaborata con l'impiego delle risorse umane già operative all'interno del Settore e con la condivisione di impegni minimi da parte dei beneficiari, che non richiedessero l'impiego di risorse economiche aggiuntive. Il patto ha pertanto riguardato l'impegno ad utilizzare le risorse economiche per raggiungere obiettivi familiari o personali ma non per generare inclusione sociale e corresponsabilità.

La successiva adozione del REIS, andando ad integrarsi con il SIA, non ha fatto che complicare ulteriormente questo quadro.

Nel tentativo di gestire questa misura nel modo migliore possibile il Comune di Sassari ha deciso di pubblicare un primo avviso rivolto alle seguenti categorie:

• persone in possesso dei requisiti del Sia, sia nel caso in cui abbiano avuto accesso alla misura, sia nel caso in cui siano stati esclusi perché hanno ottenuto un punteggio inferiore ai 25 punti;

• persone non in possesso dei requisiti SIA, ma con ISEE inferiore a 3.000 euro, che rientrassero in una delle seguenti priorità individuate dalle Regione:

• 3.1 famiglie, anche formate da un solo componente, senza dimora; • 3.2 famiglie composte da 5 persone e più (risultante da stato di famiglia);

• 3.3 famiglie composte da uno o più persone over 50 con figli a carico disoccupati;

• 3.4 coppie sposate o coppie di fatto registrate, conviventi da almeno 6 mesi e composte da giovani che non abbiano superato i 40 anni di età;

• 3.5 famiglie comunque composte, incluse quelle uni personali;

nonostante la Ras avesse individuato anche altre priorità è stata adottata questa scelta perché i dati disponili hanno evidenziato che le risorse non sarebbero state comunque sufficienti per rispondere a tutte le richieste. Il Comune ha quindi formulato così questo primo avviso riservandosi di pubblicarne un secondo con le ulteriori priorità contenute nella deliberazione regionale nel caso in cui fossero state successivamente trasferite ulteriori risorse economiche. Lo sforzo di coordinare le due misure è estremamente gravoso anche perché il Comune governa direttamente il Reis ma non ha alcun controllo sul Sia.

Purtroppo questa prima annualità di "sperimentazione" del Sia e del passaggio al Reis sta terminando senza che siano stati costruiti veri e propri percorsi di inclusione sociale.

E la mera erogazione di contributi economici non solo difficilmente favorisce l'uscita dalla situazione di bisogno ma potrebbe addirittura essere controproducente perché rischia di creare delle dipendenze dai servizi e stigmatizzare e rendere cronico il disagio.

Si spera che nel lungo periodo, una volta che la misura del Reis entrerà a regime, sarà possibile costruire relazioni con il volontariato, ma soprattutto con le imprese poiché "serve un investimento, che alla lunga costruisce capitale sociale e inclusione in senso più ampio: non solo dei poveri, ma coinvolgendo una varietà di attori che si includono tra di loro” 187.

Ma perché questo sia realizzabile è necessario che vengano attuate politiche capaci di promuovere le varie realtà produttive e sociali del nostro territorio perché l'attuale contesto sociale ed economico è caratterizzato da una profonda crisi.

Senza un contesto capace di valorizzare le competenze e le abilità di chi voglia impegnarsi per migliorare la propria situazione sarà difficile offrire un'assistenza che non sfoci nell'assistenzialismo.

E non sarà possibile realizzare forme di welfare generativo perché è difficile responsabilizzare le persone in situazione di difficoltà perché escano dal disagio anche occupandosi del bene comune se non si può dare loro questa opportunità.

Si rischia di generare frustrazione proprio nelle persone più motivate che vorrebbero dare il loro contributo e a cui pesa dover accettare un aiuto economico senza una controprestazione. Tutto questo è grave anche perchè, come ci ricorda l'articolo 3 della Costituzione, gli ostacoli alla realizzazione personale attraverso il lavoro limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini.

3.5 Conclusioni

Nel corso del capitolo sono state ripercorse le tappe principali che hanno portato al recepimento in Sardegna delle misure di contrasto alla povertà adottate a livello nazionale. Si 187C. Saraceno, SIA, l'ennesima occasione mancata, intervista alla sociologa. 14/01/2014

è quindi descritta l'evoluzione della normativa regionale di riferimento partendo dalla legge regionale n. 4/88 sul “Riordino delle funzioni socio-assistenziali” che, disciplinando le competenze degli enti locali, trattava l'agire professionale degli operatori sociali, fissava alcuni punti cardine in materia di assistenza economica, assistenza domiciliare, asili nido e centri di aggregazione e individuava le modalità attraverso le quali rimuovere fattori di emarginazione ponendo in essere interventi di tipo educativo, culturale, ricreativo e sportivo. Si è poi osservato e descritto come l'intervento legislativo e amministrativo regionale in tema di assistenza sociale e contrasto alla povertà abbia avuto una notevole intensificazione a partire dal 2001. L'entrata in vigore della riforma del Titolo V cost. ha infatti coinciso con l'adozione, a livello nazionale, dei principali provvedimenti attuativi della legge quadro n. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” e, a livello regionale, della legge regionale della Regione Sardegna n. 23 del 23 dicembre 2005, “ Sistema integrato dei servizi alla persona. Abrogazione della legge regionale n. 4 del 1988, Riordino delle funzioni socio-assistenziali”. E' emerso come entrambe le leggi abbiano disegnato un "sistema integrato" che consente di ottimizzare le risposte affiancando prestazioni di tipo economico a servizi alla persona e alla comunità, evitando sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte.

Si è inoltre analizzato lo strumento di Programmazione, PLUS (Piano Locale Unitario dei servizi alla persona) ed il ruolo degli ambiti di PLUS. Si è visto come, in seno al Plus, vengano recepiti e concretizzati alcuni principi fondamentali che trovano espressione nei livelli essenziali di assistenza, nella tutela dei diritti della popolazione in materia sociale e sanitaria, nella responsabilizzazione dei cittadini e delle istituzioni, nel coordinamento e nell'integrazione delle politiche sociali dei Comuni.

A partire dall'analisi della legge 23/2005, si sono approfondite le politiche intraprese dalla Regione Sardegna in materia di contrasto dell'esclusione sociale e della povertà. A questo

riguardo la Legge Regionale 29 maggio 2007, n. 2 art. 35, ha avviato interventi che sono stati poi declinati in programmi annuali di intervento adottati con specifici atti regionali. Nel corso del lavoro si è dato conto della specificità dei singoli programmi con riferimento alle singole annualità. Si è osservato come siano stati tra loro simili per finalità e target. In riferimento al programma adottato nel 2016 si è inoltre condotta un'analisi della sua attuazione nel Comune di Sassari che ha permesso di mettere in luce le criticità connesse alla scarsità di risorse umane ed economiche che ha impedito di realizzare progetti personalizzati che avrebbero potuto consentire ai beneficiari dei contributi l'effettuazione di un percorso per migliorare la propria situazione.

Si è poi passati all'analisi dell'impatto che l'attuazione del Sia ha avuto a livello regionale e locale. Si è osservato come, nonostante la normativa abbia attribuito alle Regioni un importante ruolo di regia nell’introduzione e nell'implementazione del SIA, questi Enti hanno avuto un ruolo marginale tanto che questa misura ha assunto una connotazione fortemente centralizzata e calata dall'alto senza un coinvolgimento reale degli ambiti territoriali. Inoltre, si è descritto come, in ottemperanza alle linee guida del Sia che attribuiscono alle Regioni la facoltà di stanziare risorse proprie per finanziare l'estensione della platea dei destinatari del beneficio e/o prevedere un aumento delle somme erogate, la Regione Sardegna abbia istituito con legge regionale del 2 agosto 2016 n. 18 “Il Reddito di Inclusione Sociale” (Aggiudu Torrau: aiuto da restituire), in affiancamento e coordinamento con la misura nazionale del SIA. A questo riguardo si è evidenziato come la legge istitutiva del REIS abbia previsto che “l'intervento consista nella erogazione di un sussidio economico o di un suo equivalente, che

salvo casi eccezionali, è condizionato allo svolgimento di un progetto di inclusione attiva così come stabilito nel percorso personalizzato per il superamento delle condizioni di povertà redatto durante la fase della presa in carico da parte degli uffici di Piano in collaborazione con le strutture competenti in materia di servizi per il lavoro, formazione ed istruzione” e si

sono analizzate le linee guida adottate con delibera di giunta n. 22/27 del 03.05.2017. Si è quindi passati a descrivere l'attuazione del SIA e del REIS nel Comune di Sassari, anche attraverso un'analisi dei dati raccolti al 30/05/2017. Si è illustrato come lo sforzo di coordinare le due misure sia estremamente gravoso anche perché il Comune governa direttamente il Reis ma non ha alcun controllo né riscontro sul Sia. Si è osservato come questa prima annualità di "sperimentazione" del Sia e del passaggio al Reis stia di fatto terminando senza che siano stati costruiti veri e propri percorsi di inclusione sociale.

Purtroppo la mera erogazione di contributi economici non solo difficilmente favorisce l'uscita dalla situazione di bisogno ma potrebbe addirittura essere controproducente perché rischia di creare delle dipendenze dai servizi e stigmatizzare e rendere cronico il disagio.

Per concludere, in assenza di un contesto capace di valorizzare le competenze e le abilità di chi ha voglia di impegnarsi per migliorare la propria situazione, sarà difficile offrire un'assistenza che non sfoci nell'assistenzialismo e non sarà possibile realizzare forme di welfare generativo. E' difficile infatti responsabilizzare le persone in situazione di difficoltà attraverso forme di cura del bene comune, se non si può offrire loro questa concreta opportunità. Si rischia, inoltre, di generare frustrazione proprio nelle persone più motivate che vorrebbero dare il loro contributo e a cui pesa dover accettare un aiuto economico senza una controprestazione.

CONCLUSIONI

Quando si è analizzato il panorama normativo che avrebbe costituito il presupposto di questo studio non si poteva immaginare che da lì a qualche mese, anche l’Italia, che era uno dei pochi Paesi dell’Unione Europea a non avere una misura universale di contrasto alla povertà, ne avrebbe adottato una. Dopo tanti anni di tentativi, di misure frammentarie e selettive, pian piano il legislatore si è orientato verso la direzione giusta, almeno in linea teorica. Con la legge 15 marzo 2017, n. 33 “Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al

riordino delle prestazioni ed al sistema degli interventi e dei servizi sociali”, e con

l'approvazione definitiva in Consiglio dei Ministri del decreto legislativo attuativo del 29.08.2017, si crea la strada per arrivare al Reddito di inclusione (R.E.I.) che è misura a carattere universale e livello essenziale. Sino ad oggi solo alcune Regioni avevano normato con strumenti molto differenziati forme di “reddito minimo” o di sostegno al reddito, dando vita ad una discriminazione poco comprensibile in un Paese dove i diritti sociali, contenuti nella nostra Costituzione dovrebbero tradursi in concrete opportunità e valere per tutti, allo stesso modo, a prescindere dal territorio regionale di appartenenza. Il REI pone le basi per un ampliamento per l’accesso ai diritti ed è al contempo una sfida per la professione dell’Assistente Sociale che si troverà sempre più a svolgere un ruolo centrale nel sostegno alle persone per emanciparsi dallo stato di bisogno.

Anche per gli operatori sociali la Costituzione è una sorta di faro che orienta la programmazione degli interventi e l'operatività quotidiana perché individua i fondamenti dei principi del Servizio Sociale che sempre più in questo periodo ha il dovere di promuovere un'etica pubblica fondata sulla solidarietà sociale capace di garantire i livelli essenziali di assistenza e di educare i cittadini alla solidarietà.

Il Servizio sociale ha insito il principio di promuovere la libertà e l'eguaglianza dei cittadini contribuendo sia nell'azione di prevenzione sia nell'azione di cura e di riparazione.

L'attivazione di percorsi di inclusione sociale, normati da queste misure, attribuisce ancora più significato alla professione, che quotidianamente prova a trovare soluzioni che includano, che coinvolgano, che diano un senso alla vita delle persone.

E’ ancora troppo presto per capire se questa misura sarà in grado di tutelare quei diritti sociali che per definizione dovrebbero garantire al cittadino di essere ma prima di tutto, sentirsi, e, sopratutto, di avere la consapevolezza di essere un soggetto attivo della società attraverso la rimozione dei "muri" di diseguaglianza economica e sociale.

C’è un obiettivo comune che ha guidato, prima l’adozione del SIA, ed ora il REI: la promozione di percorsi di inclusione attiva che partano dal chiedersi come l'escluso possa essere incluso. L’individuo deve essere accompagnato in questo percorso di opportunità e crescita finalizzato a consentirgli di vivere secondo i propri valori e le proprie scelte ed a migliorare le proprie condizioni. La scelta, già sperimentata con il S.I.A., precursore del R.E.I., di interventi che siano legati a progetti di sostegno e inserimento è palesemente coerente con la Costituzione e con i principi del Servizio sociale professionale che presuppongono interventi non assistenzialistici ma percorsi di responsabilizzazione e di attivazione dei destinatari degli interventi. Abbiamo visto come tali percorsi stiano tardando a realizzarsi e come di fatto ad oggi non sia possibile misurare l’impatto che queste misure hanno avuto sui beneficiari in termini di “inclusione attiva” questo soprattutto per quanto riguarda il Sia. Si è rilevato come persista uno scollamento tra i principi che a gran voce vengono definiti a livello nazionale e quelli a cui si ispirano alcune norme che disciplinano le misure e quanto poi, di fatto, questi principi si scontrino con la dura realtà dei servizi chiamati all’operatività che sono spesso sprovvisti delle risorse umane ed economiche che dovrebbero consentire loro di operare, restituendo dignità e dando nuove possibilità alle persone destinatarie degli interventi. Tutto in linea teorica appare perfetto ma la teoria si scontra con la pratica, con Enti che non condividono informazioni importanti, che trasferiscono somme di

denaro alle persone senza che l’altro ente coinvolto ne abbia contezza. In questi termini è difficile creare quei percorsi di inclusione di cui, come abbiamo visto, i documenti riempiono le loro pagine. Questo crea confusione negli operatori, false aspettative nei cittadini che sperano di sentirsi realmente inclusi e non meri destinatari di un trasferimento economico. Spesso le persone ripongono negli slogan che sentiamo quotidianamente alla televisione, una speranza di sentirsi realmente utili, e arrivano al Servizio chiedendo di poter firmare un patto che sia realmente tale e nel quale, loro, sentano di poter ricevere ma anche dare qualcosa per contribuire al progresso della società.

Questo sarebbe anche coerente con i principi del Welfare generativo laddove propone che, chi riceve, diventi poi agente di cambiamento, capace di migliorare la società, reinvestire ciò che ha ottenuto per aiutare chi è in difficoltà, utilizzare le proprie risorse per il bene comune. Si evidenzia comunque come la misura SIA sia stata definita dal Governo una misura ponte, una sperimentazione capace di traghettare i suoi risultati verso la creazione di un’unica misura di sostegno al reddito. Questo risultato è stato raggiunto con l’approvazione della legge sul REI ma per avere i risultati necessari per valutare l'efficacia concreta di tale misura si dovrà attendere almeno un anno.

Sono comunque stati fatti numerosi progressi nei termini di investimento sulle infrastrutture dei Servizi, con il rafforzamento dei servizi sociali locali, dei centri per l’impiego, e del privato sociale. Si è partiti dal reinvestire sui servizi ed in particolare sulla professionalità degli assistenti sociali come tassello centrale del sistema, e questa non è una scelta scontata, che si è resa possibile perché si è fatto un mutamento di rotta anche culturale. Forse ci si è resi conto che quando si parla di inclusione attiva e di progetti personalizzati è necessario che i professionisti dell’aiuto, siano messi nelle condizioni di predisporre un accompagnamento responsabile della persona dalla libertà dal bisogno intercettando non solo i bisogni materiali

ma soprattutto creando percorsi e volti a promuovere dignità ed inclusione sociale a livello di comunità.

Questo, attualmente, è ancora più importante perché la comunità contemporanea si sente provata da anni di crisi, una crisi che ha frammentato e diversificato in modo considerevole i bisogni espressi dai propri membri tanto da indurre il Governo a distribuire le risorse economiche senza una progettualità che consentisse un reale miglioramento della condizione di vita delle persone in condizioni di disagio con una conseguente perdita di significato. Il REI dal primo gennaio del 2018 sostituirà il SIA ed è pertanto auspicabile che non ci siano altre misure da gestire e che anche i servizi sociali avranno realmente contezza dell'impatto che questa misura produrrà in termini di inclusione a livello locale. Secondo le previsioni del Governo con il REI si potranno sostenere circa mezzo milione di famiglie povere, quindi meno del 40% degli italiani in povertà assoluta, a causa della scarsità di risorse. Questo suscita non poche perplessità e non rimane che chiedersi quali risposte avranno al loro bisogno di “Inclusione” la restante percentuale di Cittadini! E cosa farà lo Stato per garantire a tutti quei poveri,che non avranno i requisiti per accedere alla misura, il loro diritto al minimo vitale...? quanto i limiti di budget si scontreranno con il ruolo riconosciuto allo Stato di far si che l'uomo venga reso libero dallo stato di bisogno in cui si trova?

E, visto che il diritto ad un esistenza dignitosa non è una concessione dello Stato ma un diritto costituzionalmente garantito, come potrà il legislatore giustificare con la carenza di risorse l'inadeguatezza di prestazioni indispensabili per alleviare le situazioni di estremo bisogno che si traduce in una violazione dei principi cardine della Costituzione?

BIBLIOGRAFIA

 Anfossi L., “Perchè scrivere ancora di Segretariato Sociale”? in studi Zancan n. 3/2013  Atti della Commissione parlamentare sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla,

vol. I, Camera dei Deputati, Roma 1953.

 Baldini M., Gori C., in “Universali o categoriali? Le nuove politiche contro la povertà e il